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martedì 30 ottobre 2018

Messico - Comunicato congiunto del CNI, CIG ed EZLN


Comunicato congiunto del Congresso Nazionale Indigeno, Consiglio Indigeno di Governo e Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale contro il megaprogett del Nuovo Aeroporto Internazionale del Messico (NAIM) ed in appoggio e solidarietà con le popolazioni migranti.

26 ottobre 2018

Al Popolo del Messico
Ai popoli del Mondo
Alla Sexta Nazionale ed Internazionale
Alle reti di appoggio al CIG
Ai mezzi di comunicazione

Noi popoli, nazioni, tribù e barrios del Congresso Nazionale Indigeno ed EZLN, ci rivolgiamo con rispetto al popolo del Messico ed ai popoli originari e contadini che degnamente si oppongono al megaprogetto di morte che chiamano Nuovo Aeroporto Internazionale del Messico (NAIM), i quali senza arrendersi, senza vendersi, né cedere, non hanno lasciato cadere la speranza, che è la luce per la quale sogniamo e costruiamo la giustizia.

La nostra parola va rispettosamente anche a coloro che sono obbligati a cercare in altri suoli quello che gli hanno strappato nelle loro geografie; a coloro che migrano alla ricerca di vita, e a coloro che li appoggiano disinteressatamente con i propri mezzi, tempi e modi.
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Abbiamo visto, seguito e vissuto da vicino la lotta delle comunità del lago di Texcoco e dintorni. Abbiamo visto la loro determinazione, la loro dignità ed il loro dolore che sono stati anche nostri. Non dimentichiamo la repressione di maggio del 2006, la tortura sessuale, l’ingiusto incarceramento dei compagni e delle compagne del Fronte dei Popoli in Difesa della Terra e della Sexta nazionale e internazionale; così come l’omicidio del nostro compagno Ollin Alexis Benhumea e del giovane Francisco Javier Cortés Santiago; repressione ordinata allora da Vicente Fox ed Enrique Peña Nieto, con l’avallo ed il plauso di tutto lo spettro politico di sopra, compreso chi oggi si presenta come “il cambiamento”.

Oggi, senza alcuna considerazione per i nostri diritti come popoli originari, i malgoverni dicono di consultare i messicani per sapere se preferiscono l’aeroporto nel Lago di Texcoco o a Santa Lucía, ma noi pensiamo che entrambe le soluzioni portano alla depredazione dei territori circostanti, alla devastazione ambientale, alla mercificazione della vita comunitaria dalla loro cosiddetta aerotropolis. Entrambe portano a fare del nostro paese il pezzo necessario che permetta il libero flusso al capitale transnazionale che faciliti l’entrata e l’uscita delle merci, lo sfruttamento di tutto quanto abbiamo a beneficio di pochi. Ognuna delle due opzioni sono dirette ad appoggiare la morte che minaccia l’umanità. Ossia, appoggiare il capitalismo neoliberale come boia dei nostri popoli.

venerdì 26 ottobre 2018

Centro America - La Carovana partita dall’Honduras nel suo viaggio in Messico




Cosa spinge migliaia di cittadini honduregni, guatemaltechi e salvadoregni a lasciare i loro paesi d’origine per cercare di arrivare negli Stati Uniti?



Sono migliaia i profughi che, a partire dal 13 ottobre scorso, si sono riversati nelle strade di San Pedro Sula (Honduras) nella speranza di raggiungere il Nord America. Nel percorso si sono aggiunti guatemaltechi e salvadoregni, che hanno colto l’occasione di questa grande Carovana, con la “C” maiuscola come scrive il giornalista di El Faro Sebastián Escalón, per provare ad entrare negli Stati Uniti.

Partita dalla seconda città honduregna per popolazione, dopo la capitale Tegucigalpa, la Carovana ha attraversato Città del Guatemala e Tecún Umán sotto la pioggia ed il sole, dormendo per la strada e mangiando ciò che gli abitanti guatemaltechi decidevano di offrire loro.


Come spiegano i giovani che scelgono di concedere interviste ai giornalisti locali e stranieri, a differenza dei migranti, che cercano di passare inosservati, la volontà questa volta è quella di farsi notare così da poter raccontare e far conoscere la situazione.

La fuga acquista quindi un significato ancor maggiore: una vera e propria manifestazione collettiva.
Lo urlano in slogan le migliaia di persone che ne fanno parte: “Non si può vivere se si è poveri in America Centrale!”

Avanzano insieme donne e uomini, giovani ed anziani, con passo deciso.
Marciano verso la terra del vecchio “sogno americano”. 


È la forza della massa che muove le oltre settemila persone in marcia.

Si lasciano alle spalle disoccupazione, violenze, povertà e conflitti civili che da anni insanguinano i paesi d’origine. 

Marciano nella speranza di migliorare il proprio futuro, andando proprio verso quel modello di società che, negli anni, ha causato impoverimento, violenze e repressione in tutta l’America centro-meridionale.


La carovana si trova ora in Chiapas, ed attraverso i reportage di Radio Zapatista possiamo seguire il lento avanzare attraverso il primo stato messicano dalla frontiera.



DA DOVE VENGONO LE DONNE E UOMINI DI OGNI ETA’ CHE COMPONGONO LA CAROVANA?

Con il crollo dei cartelli colombiani degli anni 2000 la produzione di droghe dirette negli Stati Uniti si è spostata verso nord, in Messico ma non solo.
Uno spostamento che ha segnato in profondità quello che viene chiamato "centroamerica".

I profitti delle narcotraffico, garantiti dall’ipocrisia del proibizionismo ed in mano a poteri legali ed illegali, producono un’immensa quantità di denaro, che finisce nei scintillanti palazzi della finanza globale, devastando con la violenza del controllo del territorio intere comunità.
Una guerra non dichiarata che assieme ad una situazione economica e sociale drammatica ha creato un clima invivibile che, spesso, non viene raccontato.


In una sistema di comunicazione dove la semplificazione la fa da padrona è importante analizzare le diverse, e più specifiche, cause territoriali che hanno portato migliaia di persone a riversarsi nei territori messicani al di là del ponte Rodolfo Robles, verso Ciudad Hidalgo.




DONNE E UOMINI HONDUREGNI
A partire da chi compone in maniera numericamente maggiore la marcia troviamo cittadini honduregni che scappano da cause che hanno radici profonde, legate alla povertà e alle disuguaglianze endemiche nel paese, assieme all’attuale crisi politica del governo di Juan Orlando Hernández.

lunedì 22 ottobre 2018

Centro America - Abbattiamo il muro. Pronunciamento del CNI-CIG in appoggio alla carovana dei migranti

Il Congresso Nazionale Indigeno e il Consiglio di Governo Indigeno, apriamo i nostri cuori e la nostra rabbia. Chiamiamo alla solidarietà urgente verso i nostri fratelli e sorelle che subiscono uno spostamento forzato a causa della distruzione che il grande capitale seminano in ogni angolo del mondo, distruzione che si trasforma in violenza, spoliazione e povertà.

Chiamiamo rispettosamente le reti di sostegno al CIG, la Sexta nazionale e internazionale e le organizzazioni dei diritti umani a manifestare, con tutti i mezzi possibili, il loro sostegno alla carovana dei nostri fratelli migranti, ad accompagnare il loro cammino, la loro resistenza e ribellione, per rompere insieme a loro le recinzioni e i muri del potere.

Il percorso delle nostre sorelle e fratelli porta con sé la tragedia sistemica del nostro mondo, il danno profondo che il capitalismo ha causato alla nostra madre terra e con esso a tutti i popoli. Lo spostamento, l'esodo di centinaia, migliaia, milioni è cominciato anni fa e oggi è organizzato ed emerge sotto forma di carovana di migranti. Ma questo è solo uno dei sintomi del collasso che, in ciascuna delle lingue in cui parliamo nel Congresso Nazionale Indigeno, abbiamo denunciato e per il quale stiamo chiamando all'organizzazione per resistere e ribellarci.

Ciò che deve essere fermato non è il cammino dell'umanità, ma l'invasione del grande capitale, le strade possono essere aperte solo con e tra tutte e tutti.

Attentamente

Ottobre 2018

Per la ricostituzione integrale dei nostri popoli

Mai più un Messico senza di noi

Congresso Nazionale Indigeno

Consiglio Indigeno di Governo

venerdì 19 ottobre 2018

Nicaragua - Denuncia urgente dell'Articolazione Femminista del Nicaragua

Denuncia urgente dell'Articolazione Femminista del Nicaragua

Le femministe nicaraguensi condanniamo l'escalation di repressione del regime di Ortega e Murillo. 


La mattina del 14 ottobre, quando decine di persone cominciavano a concentrarsi per dare inizio alla manifestazione civica "Uniti per la libertà", centinaia di poliziotti hanno attaccato i manifestanti e arrestato arbitrariamente oltre 38 persone, senza alcun ordine di cattura e motivazione e facendo un uso smisurato della forza.
Tra le decine di persone arrestate dalla polizia ci sono le nostre compagne dell'Articolazione Femminista del Nicaragua: Marlen Ausiliatrice Chow Cruz e Deysi Tamara Dávila Rivas, oltre alle compagne: Suyen Barahona Cuan, Ana Margarita Vijil Gurdián, Ana Lucía Álvarez Vijil, Alba Luz Aragón Dávila, Marcela Martínez Guzmán, María Alejandra Machado Blandón, Sandra Patricia Cuadra Murillo, Silvia Castillo Salaverry, Nena Gisela Morales, Geisel Solís, María Dolores Monge Aguilar, Sofia Gabriela Velásquez González e María de los Ángeles Gutiérrez.

Con la stessa forza denunciamo che la nostra compagna Haydee Isabel Castillo Flores è stata arrestata all'aeroporto mentre si imbarcava su un aereo e finora non è stata fornita nessuna informazione circa la sua posizione. Lottie Cunningham, che era sullo stesso volo, è stata  arrestata 
temporaneamente mentre stava facendo delle foto dell'arresto di Haydée.
Entrambe dovevano partecipare ad una riunione a Washington (USA) della CIDH. Sia Lottie che Haydee sono sotto la tutela della Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH).

lunedì 23 luglio 2018

Nicaragua - La sinistra e i silenzi che uccidono

di Raul Zibechi

Senza etica, la sinistra non è nulla. Né il programma, né i discorsi e ancor meno le intenzioni hanno un qualsivoglia valore se non si fondano sulla verità, sul rispetto incondizionato delle decisioni esplicite o implicite dei settori popolari che pretende di rappresentare.

In questi tempi, in cui tutti i dirigenti della sinistra si riempiono la bocca di valori, è significativo che non si vada al di là del discorso. E’ solo quando s’ha qualcosa da perdere che l’etica viene messa alla prova. Il resto è retorica. Parlare di etica, di valori, quando non ci sono rischi, né materiali, né simbolici, risulta essere un esercizio vuoto.

Ci ricordiamo tutti che, in Bolivia, il Che mise a repentaglio la propria vita tornando sul luogo di uno scontro armato per salvare un compagno ferito: assurda da un punto di vista militare, quell'azione fu eticamente encomiabile.

Stiamo di fronte oggi alla seconda opportunità per la sinistra latinoamericana di riscattarsi da tutti i suoi “errori” (mettiamo il vocabolo tra virgolette perché se ne abusa per coprire colpe più serie) condannando il massacro che Daniel Ortega e Rosaria Murillo stanno perpetrando contro il loro stesso popolo. Seconda opportunità perché la prima si presentò una ventina d’anni fa quando Zoilamerica Narvaez, la figliastra di Ortega, denunciò gli abusi sessuali subiti dal patrigno.

martedì 10 luglio 2018

Nicaragua - L’ultima rivoluzione tradita

Foto Kaos en la red

di Bianca Segovia (*)

Cosa succede in Nicaragua oggi, dopo 11 anni dal ritorno al potere attraverso libere elezioni del FSLN1, è qualcosa che addolora e fa riflettere, tocca profondamente nelle viscere e nel cuore.
Ho vissuto con gioia due periodi della mia vita abbastanza lunghi per farmi portare scolpite nella pelle e nell’anima il calore e l’amore verso i e le nicaraguensi e la loro terra fertile, i vulcani che sono sempre pronti a far scoppiare un’allerta gialla.
Questa volta un nuovo Cerro Negro2 è comparso spingendo la crosta terrestre per emergere con il suo rumore viscerale attraverso una rottura e una detonazione forte.
I lapilli di lava hanno rischiarato il cielo e la colata incontrollata ha preso strada senza più barriere.

Che cosa è successo da metà aprile 2018?
 
Ci si trova spesso in una posizione scomoda a criticare governi che si autoproclamano socialisti, rivoluzionari, apertamente di sinistra come nella vecchia Europa non esistono più.
Ho imparato a conoscere lo spirito indomito, ribelle e rivoluzionario che si porta dentro la maggioranza delle persone che ha vissuto una travagliata storia recente come quella dell’ultima rivoluzione del ‘900, quella nicaraguense. Anche qui in Italia, separata da un oceano e da vari chilometri di terra, sento l’esigenza di prendere posizione: non si può avere paura di schierarsi contro l’autoritarismo, il familismo, il militarismo e l’affarismo di un governo che di sandinista ha mantenuto solo un nome come fosse un logo, distanziandosi anni luce dal sandinismo storico e dalle sue origini.
Chi non difende Daniel e la Murillo non si colloca automaticamente a favore delle destre come vorrebbe far credere lo stesso partitismo verticista. Non sostenere l’Orteguismo viene naturale.
Fin dal mio arrivo in terra nicaraguense oltre alle parole del nicañol3 legate a frutta, piatti squisiti, modi di dire, ho imparato il termine Danielismo.
L’accentramento nelle mani di un leader di un intero partito è un fenomeno comune.
La declinazione nicaraguense di questo fenomeno è costituita dal Danielismo o Orteguismo.
Nelle conversazioni con le persone incontrate nei miei viaggi questo fenomeno si palesava nel giro di un tempo molto breve. Ad un certo punto arriva una citazione “come dice Daniel” oppure l’altra variante “come dice la compagna Rosario Murillo”.
Anche dopo 6 litri di birra, anche in contesti amicali o di chiacchiere che con il Presidente Comandante non avevano nulla a che fare; queste citazioni come se piovesse non diminuiscono neppure quando le bottiglie vuote che si accumulano sul tavolo crescono, nemmeno i vapori dell’alcool fanno desistere lo snocciolamento del rosario. L’impressione è di trovarsi ad ascoltare un comunicato ufficiale del “19 digital”4
La figura della prima dama è stata centrale nell’instaurarsi dell’Orteguismo. Rosario Murillo, la moglie di Daniel, anch’essa nelle fila del FSLN fin dagli anni della lotta armata contro Somoza, recentemente ha giocato un ruolo decisivo, seppur non ufficiale, nel partito FSLN con un’ascesa verticale e dirigenziale al di fuori di qualsiasi traiettoria politica classica. Un partito trasformato in un piccolo feudo famigliare in cui non si ammette nessuna posizione che non si rispecchi nella linea della coppia presidenziale: non sono ammesse correnti interne né personalità con un pensiero critico e indipendente.
La pulizia dentro al partito era già compiuta, la strada spianata, il controllo dei media ufficiali è stato consegnato ai figli della coppia. Un familismo e nepotismo per antonomasia.
Comandanti storici e storiche si sono via a via sganciati/e e allontanati/e, menti brillanti e critiche purgate perché pericolose. Anche questa una storia già vista.
Fortunatamente in Nicaragua parlare della politica attuale e passata è facile con chiunque, c’è molta voglia di dialogare, di discutere, di esporre un’opinione e di sicuro ci si imbatte in persone con un pensiero critico e non allineato: tanti sandinisti e sandiniste non danielisti/e si preoccupano di andare oltre agli slogan e frasi ufficiali dei comunicati o delle varie campagne politiche.

venerdì 11 maggio 2018

Ay Nicaragua, Nicaragüita

L’ultima sanguinosa repressione delle scorse settimane ha riportato l’attenzione internazionale sul Nicaragua, mettendo in luce alcune essenziali riflessioni sulle società post-rivoluzionarie del Novecento. A quasi quarant’anni dalla vittoria sandinista dell’estate del 1979, la più giovane e poetica delle rivoluzioni del secolo scorso, ci si chiede ancora come sia stato possibile che Daniel Ortega – il più “politico” tra i suoi grandi protagonisti, quello disposto ad allearsi con chiunque pur di restare al governo – sia diventato poi il simbolo di un potere cieco e corrotto, che ha di fatto privatizzato il Fronte Sandinista e le istituzioni del paese perseguitando ogni protesta sociale e molti dei suoi compagni d’un tempo, a cominciare dal vecchio poeta Ernesto Cardenal. Gli studenti hanno convocato una nuova manifestazione nazionale per il 9 maggio, dove non mancheranno di intonare, con grande disappunto del governo, Ay Nicaragua, Nicaraguita, la canzone composta dai fratelli Mejìa Godoy per la grande Campagna dell’alfabetizzazione, uno dei simboli più straordinari dei primi anni della rivoluzione. Carlos Mejia Godoy, che sostiene l’indipendenza della protesta, ha scritto: non posso essere neutrale di fronte a tanta barbarità e ignominia
Una delle foto della protesta nicaraguense diffusa attraverso le rete sociali
di Raúl Zibechi

“Come fare a non diventare fascista, perfino quando (soprattutto quando) uno crede di essere un militante rivoluzionario?”. La frase di Michel Foucault descrive alla perfezione il processo che soffre il Nicaragua.

Il governo di Daniel Ortega e Rosario Murillo ha decretato una riforma della previdenza sociale che, tra le altre cose, impone una riduzione del 5 per cento delle pensioni per riaggiustare i conti dell’Istituto Nicaraguense della Previdenza Sociale (INSS), seguendo il suggerimento del Fondo Monetario Internazionale. La situazione economica si è deteriorata in conseguenza della crisi venezuelana, però i danni li pagheranno los de abajo.

Com’è noto, la repressione ha causato tra i 25 e i 30 morti in appena quattro giorni. 

L’Articolazione Femminista Nicaraguense denuncia un tipo di repressione molto speciale, “contro i giovani universitari e la popolazione che li appoggia in maniera attiva, mettendo insieme le forze antisommossa della Polizia Nazionale con le forze paramilitari formate da giovani che si suppone siano organizzati in quella che chiamano “Gioventù Sandinista”.
La vicepresidente Rosario Murillo, moglie di Ortega, ha detto nei giorni scorsi di voler aprire un dialogo sull’aumento che colpisce i pensionati. Foto univision.com
La maggioranza dei morti sono stati colpiti dai proiettili dei poliziotti anti sommossa che proteggono i paramilitari. Il governo ha chiuso temporaneamente “i pochi mezzi di informazione indipendenti che ancora esistono nel paese”, secondo quanto denunciano le femministe che definiscono il governo di questi 11 anni “patriarcale, votato all’esclusione e misogino”.

Ciò di cui dobbiamo venire a capo è come si sia potuti arrivare a questa situazione. Come sia stato possibile che una forza politica rivoluzionaria, e dei capi che costruirono il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale, si siano potuti trasformare in assassini del loro popolo.
Penso che questa crisi porti alla luce almeno quattro questioni.

La prima consiste nel ricordare che non è la prima volta che questo succede con i movimenti rivoluzionari al potere. È la storia dell’Unione Sovietica di Stalin, però è anche la terribile storia di Sendero Luminoso, della guerriglia salvadoregna che assassinò Roque Dalton a causa delle differenze politiche e che organizzò l’assassinio della comandante Ana María. Questioni scomode di cui non si vuole parlare e da cui ancora meno si vuole imparare.

La seconda è che i coniugi Ortega-Murillo hanno commesso dei crimini, senza che la sinistra egemone abbia detto una sola parola, perché per loro tutto sta nel detenere il potere, a qualunque prezzo. Quando Zoilamérica Narváez, figlia della Murillo e figliastra di Ortega denunciò il presidente per violenza sessuale, nel 1998, i partiti membri del Forum di San Paolo non alzarono la voce, né criticarono il denunciato. Quando l’attuale  vice presidente del Nicaragua, la signora degli anelli e dei gioielli, difese il suo sposo contro sua figlia per rendere più forte il suo potere, le sinistre si voltarono da un’altra parte.

L’ex vicepresidente del Nicaragua dei primi anni della rivoluzione, Sergio Ramirez, e la scrittrice femminista Gioconda Belli manifestano a Madrid contro la repressione. Foto Paolo Aguilar
La voce non si levò nemmeno quando, ancora nel 1998, fu firmato il patto di Ortega con l’esponente della destra storica Arnoldo Alemán, un patto che serviva a spartirsi il paese e a proteggere le sue ricchezze. Non ci fu alcuna denuncia contro l’alleanza con il potere economico, la corruzione scandalosa della cupola del FSLN, le minacce agli oppositori di sinistra, quelli che restano i veri sandinisti e accusano di tradimento la cricca di Ortega e Murillo.

Probabilmente, una delle analisi più lucide sulla degenerazione del governo è quella scritta da Mónica Baltodano, nella rivista Envío del gennaio 2014, e intitolata ¿Qué régimen es éste? ¿Qué mutaciones ha experimentado el FSLN hasta llegar a lo que es hoy? (Che regime è questo? Che mutazioni ha sperimentato il FSLN fino a diventare quello che è oggi?). 
La ex comandante guerrigliera (uscita dal FSNL dopo l’alleanza con la destra di Alemán, ndt) indica quattro mutazioni nell’orteghismo che spiegano l’attuale deriva.

Sostiene, in primo luogo, che è stato rafforzato “come mai prima” un regime politico ed economico contro i poveri e a favore della concentrazione della ricchezza e del potere. In secondo luogo, rileva che “s’è fatta più profonda la subordinazione del paese alla logica globale del capitale”, che usufruisce delle ricchezze naturali e della mano d’opera sottopagata in Nicaragua. La terza mutazione è che “l’attuale sistema economico-sociale ha bisogno di farla finita con le resistenze sociali e il regime di Ortega consegue questo risultato esercitando un severo controllo sociale”. E la quarta sta nella concentrazione di potere della cricca che fa capo a Ortega-Murillo.

L’ex presidente dell’Uruguay Pepe Mujica sta promuovendo la candidatura al Nobel per il vecchio poeta Ernesto Cardenal, il primo ministro della cultura del Nicaragua rivoluzionario
Quello della privatizzazione del Fronte Sandinista è stato un processo che si è sviluppato “prima della creazione dell’oligarchia economico-finanziaria del Fronte”, cosa che ha permesso un controllo assoluto delle principali istituzioni del paese, per poter usare “quel potere concentrato al fine di riprodursi, consolidarsi e installarsi al vertice dello Stato per anni”. Baltodano pensa che si tratti di una simbiosi degli Ortega con il potere economico nicaraguense, tra la borghesia tradizionale e la emergente “borghesia rossonera”(dai colori della bandiera sandinista, ndt).

La terza questione che fa luce sulla crisi nicaraguense, è che essa mette a nudo la povertà etica e politica delle sinistre. Più che una povertà, una decomposizione in piena regola. Ci sono ancora “intellettuali” (“mercenari”, come dice un veterano militante comunista) che continuano a menzionare l’intervento dell’imperialismo in Nicaragua per giustificare i crimini. Non ho il minimo dubbio che gli Stati Uniti spingano i giovani nica a rovesciare Ortega. Questo non ha la minima importanza, perché non stiamo qui per giocare una partita a scacchi geopolitica ma per difendere la vita dei popoli, quella vita che il governo di Managua si impegna a distruggere.

La quarta questione è che dobbiamo lavorare duramente per rompere un dilemma di ferro: la politica come guerra, sebbene condotta con altri mezzi, come disse Clausewitz e come celebrò Lenin. La guerra consiste nella sconfitta e nell’annichilimento del nemico, con o senza armi. Credo sia lecito difenderci dai nemici, anche con le armi. Ma fondare la politica sulla guerra (con strategie, tattiche e arti militari) è un cammino che conduce la lotta per l’emancipazione verso un insondabile abisso. 

Ci siamo formati in quella tradizione, ma è ora di ripensarla.

Quando i giovani nica gridano “Ortega e Somoza, sono la medesima cosa”, è perché si è perso il nord, sull’altare del potere. Ci rimane l’esempio dei curdi e degli zapatisti, che resistono senza trasformarsi in criminali.

Fonte: la Jornada

Traduzione per Comune-info: Marco Calabria

domenica 3 dicembre 2017

Honduras - Governo sospende garanzie costituzionali

La protesta cresce e già si contano morti e feriti

Protesta alla salita nord di Tegucigalpa (Foto G. Trucchi | Rel-UITA)


Tegucigalpa, 2 dicembre
L’Honduras brucia e solo adesso alcuni media internazionali se ne rendono conto.  Migliaia di persone in tutto il paese scendono in strada e bloccano le principali vie di comunicazione, i ponti, le piazze. Protestano contro le incongruenze di un processo elettorale falsato e che puzza di brogli. Delinquenti infiltrati per generare caos assaltano negozi e banche. 
Il governo decreta il ‘coprifuoco’ per 10 giorni.

Continua la protesta popolare contro le forti anomalie che hanno caratterizzato l’intero processo elettorale. Secondo l’Alleanza d’opposizione alla dittatura si starebbe letteralmente rubando la vittoria al proprio candidato, il presentatore televisivo Salvador Nasrallah, per favorire l’attuale presidente honduregno che vuole rieleggersi Juan Orlando Hernandez.

La protesta si è diffusa in più aree del paese mentre nella capitale si è spostata dai grandi viali ai barrios y colonias (quarteri popolari) dove la gente si è organizzata fin dai tempi del golpe del 2009. Quasi impossibile transitare per le principali vie di comunicazione che uniscono le regioni (departamentos) del Paese.

A San Pedro Sula e Tegucigalpa, vandali infiltrati hanno attaccato e saccheggiato negozi, centri commerciali e anche alcune banche, gettando la popolazione nel terrore.

Secondo dati non ufficiali, ci sarebbero già non meno di otto persone che hanno perso la vita durante la repressione dell’esercito e la polizia militare. Cinque a San Pedro Sula, tre a Tegucigalpa e una a Ceiba. Dozzine i feriti e più di cento le persone arrestate.
Secondo la versione fornita dall’Alleanza d’opposizione, la presenza di criminali infiltrati nella protesta farebbe parte di una strategia orchestrata dal governo, con il sostegno dell’esercito e della polizia, per creare il caos e giustificare così la sospensione delle garanzie costituzionali.

Un popolo impaurito dalla violenza e incapace di muoversi e protestare sarebbe lo scenario ideale per il partito di governo, proprio quando il Tribunale supremo elettorale, Tse, sta per annunciare la rielezione del presidente Hernández.

Una strategia machiavellica che avrebbe anche lo scopo di screditare i sostenitori dell’Alleanza a livello nazionale e internazionale. La stessa tecnica che è stata utilizzata durante il colpo di stato del 2009 per smobilitare la resistenza e la protesta popolare.

Detto e fatto
Alle 22 di venerdí, il presidente e candidato del partito di governo ha deciso di firmare un decreto con il quale limita, per un periodo di dieci giorni, le garanzie costituzionali previste dall’articolo 81 della Carta Magna.
Con questa decisione si proibisce la libera circolazione delle persone dalle 6 di sera alle 6 di mattina e ordina l’arresto di chiunque venga trovato in strada. Viene inoltre ordinato di procedere allo sgombero di tutte le strutture pubbliche, strade, ponti e altre strutture pubbliche e private che siano state occupate dai manifestanti.

Dal suo account Twitter, Salvador Nasralla ha condannato la violenza di Stato.
“Condanniamo la repressione contro il popolo honduregno e i morti provocati dal colpo di Stato perpetrato dal presidente, nonché candidato illegale e capo delle Forze armate, Juan Orlando Hernández, che ha perso le elezioni di domenica in Honduras “, ha scritto Nasralla.

L’alleanza chiede trasparenza
Secondo i dati ufficiali, con il 94,31% dei voti scrutinati, il candidato del partito di governo sarebbe in testa per circa 45 mila voti, cioè l’1,5%. Questo sabato il Tse dovrà realizzare un conteggio voto per voto di quei seggi i cui verbali finali presentano non meglio precisate ‘anomalie’.
Si tratta di uno scrutinio speciale di più di mille verbali, che corrispondono a circa 300 mila voti, che favorirebbero nettamente Nasralla. Per garantire la massima trasparenza, le missioni di osservazione della OEA e della UE hanno insistito per fare in modo che questo scrutinio si realizzi in presenza di tutte le forze politiche e degli osservatori internazionali.

Ieri i delegati dell’Alleanza si sono rifiutati di prendere parte allo scrutinio, in quanto i magistrati elettorali non hanno voluto accettare 5 delle 11 petizioni presentate dall’opposizione. Tra di esse quella di realizzare una revisione di oltre 5 mila verbali che sono stati inseriti nel sistema senza la preseza dei partiti e degli osservatori (1,5 milioni di voti) e il riconteggio, voto per voto, di tre dipartimenti in cui la partecipazione della popolazione è stata esageratamente più alta della media nazionale.
Guarda caso si tratta di zone controllate storicamente dal partito di governo.

Nasralla ha denunciato che è sempre stato in testa di oltre il 5% e che improvvisamente è caduto il sistema di computo per quasi 24 ore. Quando ha ricominciato a funzionare la sua percentuale ha iniziato a scendere e quella di Hernández a salire vorticosamente fino a sorpassarlo.

“Siamo vittime di un furto e lo denuncio a livello internazionale. Nessun paese al mondo riconoscerà una vittoria illegale. Lo sanno tutti che una tendenza del 5% su Hernández con il 70% dei voti scrutinati è irreversibile, ci vogliono far credere che con solo il 30% che mancava si sia invertita la tendenza. È matematicamente impossibile. Qui è caduto il sistema, il server, è caduto tutto, abbiamo trovato verbali non firmati introdotti nel sistema. È assurdo”, ha detto  Nasralla.

Fonte: LINyM
Foto e altro su www.rel-uita.org
Di Giorgio Trucchi | Rel-UITA
Traduzione: Gianpaolo Rocchi e Giorgio Trucchi

giovedì 20 aprile 2017

El Salvador - Vietata per legge l'estrazione mineraria

El Salvador respinge l’estrazione mineraria
Non sempre le multinazionali riescono ad averla vinta. 
L’esempio lampante viene da El Salvador, il più piccolo paese dell’America centrale, che all'unanimità ha votato una proposta di legge volta a proibire l’estrazione mineraria. È stata la Comisión de Medio Ambiente y Cambio Climático ad accogliere il rifiuto alla miniera metallica proveniente da ampi settori della società salvadoregna, poi ratificato dall’Assemblea legislativa.
La proposta di legge, giunta alla Comisión de Medio Ambiente y Cambio Climático con l’accompagnamento di oltre trentamila cittadini e con il con il sostegno dei movimenti sociali, ambientalisti, dell’arcivescovo di San Salvador José Luis Escobar Alas e dell’Universidad Centroamericana (Uca, quella dove gli squadroni della morte e l’esercito al servizio dell’estrema destra di Arena uccisero padre Ellacuría e i suoi compagni gesuiti), è stata recepita immediatamente deputati del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional (Fmln). L’estrazione mineraria in El Salvador è stata costellata, da sempre, da soprusi e violenze di ogni tipo, ricordati da Giorgio Trucchi nel suo articolo Un paso importante hacia la prohibición de la minería metálica, pubblicato su Alainet. Molti sono stati i caduti, assassinati per aver provato a difendere il territorio dall’estrazione mineraria, a partire dal dipartimento di La Unión, dove scorre il fiume San Sebastián, le cui acque, fin dal 1968, hanno cominciato a tingersi di marrone e ad essere non più utilizzabili sia dagli esseri umani sia dagli animali (morti avvelenati) a causa della multinazionale Commerce Group. Una situazione simile, attualmente, è quella del dipartimento di Cabañas, dove l’opposizione delle comunità al progetto minerario El Dorado ha provocato morti e feriti. La Mesa Nacional Frente a la Minería Metálica non ha mai fatto un passo indietro, nonostante i molti militanti desaparecidos. Tra loro, Marcelo Rivera, esponente dell’associazione Amigos de San Isidro Cabañas, scomparso il 18 giugno 2009 e ritrovato in fondo a un pozzo, ed altri attivisti del Comité Ambiental de Cabañas, ricordati dal Movimiento de Víctimas, Afectados y Afectadas por el Cambio Climático y Corporaciones, che aveva invitato i deputati di tutti gli schieramenti a votare a favore della proposta di legge.
La battaglia tra El Salvador e le multinazionali va avanti almeno dal 2004, quando

sabato 4 marzo 2017

Honduras - Proteste a un anno dall’assassinio di Berta Cáceres

Honduras, proteste a un anno dall’assassinio di Berta CáceresIn Honduras, centinaia di persone si sono radunate giovedì davanti alla sede della Corte Suprema a Tegucigalpa per chiedere giustizia per Berta Cáceres, la famosa leader ambientalista e femminista assassinata in casa sua un anno fa. Otto uomini sono stati arrestati in quanto sospettati della sua uccisione, tra cui un maggiore dell’esercito in servizio attivo e due militari in pensione. Due di questi sospetti sarebbero stati addestrati negli Stati Uniti.
“Siamo qui per denunciare che non è stata fatta giustizia” ha dichiarato Bertita Isabel Zúñiga Cáceres, figlia di Berta. “Le autorità vogliono farci credere che il caso sia risolto, ma noi affermiamo che ci sono molte irregolarità. Non c’è garanzia che le persone arrestate vengano imprigionate e condannate.”
Poliziotti in tenuta anti sommossa hanno lanciato lacrimogeni sui partecipanti alla protesta di giovedì a Tegucigalpa e questi hanno risposto tirando pietre. I manifestanti chiedevano la fine dell’impunità per gli assassini degli oltre 150 attivisti per i diritti alla terra morti nella valle di Aguan dal 2009.
tratto da Democracy Now!

giovedì 20 ottobre 2016

Honduras - Berta Cáceres era nella lista nera dell’esercito

di David Lifodi
Berta Cáceres faceva parte di una lista di obiettivi da eliminare nelle mani dell’esercito honduregno. Non che nessuno si aspettasse il contrario, ma a mettere nero su bianco la responsabilità dello Stato è stato un ex militare, il giovane sergente Rodrigo Cruz, secondo il quale almeno due unità delle forze armate erano in possesso di un elenco con i nomi di una decina di attivisti ed esponenti dei movimenti sociali che dovevano essere uccisi.
Rodrigo Cruz, lo pseudonimo con cui ha chiesto di essere identificato, ha rilasciato la sua dichiarazione al quotidiano inglese The Guardian, ma, nel frattempo, ha disertato e ha già abbandonato l’Honduras, al pari di altri membri della sua unità militare. Berta Cáceres fu assassinata il 3 marzo 2016. Dalla sua morte, già diversi altri commilitoni di Cruz figurano come desaparecidos.
In Honduras la guerra sporca contro la comunità lenca (in lotta contro la centrale idroelettrica di Agua Zarca), i sindacalisti, gli esponenti del Frente Nacional de Resistencia Popular, i campesinos e, più in generale, contro ogni forma di opposizione, prosegue inesorabile. La stessa Berta Cáceres, in passato, aveva segnalato più volte di essere stata oggetto di minacce di morte e di far parte di una lista nera nelle mani dello Stato a causa della sua opposizione alla costruzione della diga di Agua Zarca, ma questo non ha impedito alla Fuerza Nacional de Seguridad Interinstitucional (Fusina) di eliminarla immediatamente. Inoltre, pare che gli uomini di Fusina siano stati addestrati militarmente da soldati statunitensi e da agenti dell’Fbi. Tra i cinque arrestati per il caso Cáceres spicca il generale Mariano Díaz Chávez, in passato coinvolto attivamente nelle operazioni congiunte degli eserciti di Stati Uniti e Honduras in Irak. Se il generale è stato destituito con disonore, tuttavia lo stato honduregno non ha fatto niente per giungere alla verità per quanto riguarda l’omicidio di Berta Cáceres.

giovedì 8 settembre 2016

Honduras - Lettera a mia madre

demo-berta-caceres-2A sei mesi dall’assassinio di Berta Cáceres, i responsabili materiali di un crimine che ha ferito milioni di persone nel mondo intero e i loro mandanti restano impuniti. Il governo dell’Honduras continua a ignorare senza alcun pudore la richiesta di un’indagine indipendente, la sola che potrebbe rivelare una verità fin troppo facile da intuire. 
L’impresa Desa, che ha ideato un progetto sul fiume Gualcarque contro il quale l’attivista indigena si è battuta fino alla fine dei suoi giorni, tenta intanto di ripulire la sua immagine. Le banche continuano a finanziare come se nulla fosse avvenuto il business che investe su quella devastazione del territorio. 
Bertha Zúniga Cáceres, 25 anni, scrive alla mamma per dirle che la sua voce e il suo sorriso vivono in lei e che non perderà la speranza

venerdì 26 agosto 2016

Honduras - Convocata una Giornata per chiedere giustizia per Berta Cáceres

Il Consiglio Civico delle Organizzazioni Popolari e Indigene dell'Honduras (COPINH) ha annunciato la Giornata di Mobilitazione artistico, culturale e spirituale "Giustizia per Berta Ora!", con la quale riunirà le comunità, organizzazioni, movimenti sociali e la società civile per chiedere risposte relative all'omicidio della leader indigena Berta Cáceres.


Durante gli eventi verrà richiesta l'immediata cancellazione del progetto relativo alla centrale idroelettrica Agua Zarca alla società DESA, responsabile della morte di Cáceres il 3 marzo. La Giornata si terrà nei giorni 1, 2 e 3 settembre, nella città di La Esperanza, Intibucá, dove viveva la leader ambientalista e avrà lo scopo di denunciare la partecipazione delle istituzioni dell'Honduras, società private e banche internazionali nel crimine. Il 3 settembre saranno 6 mesi da quando la società DESA, in complicità con il governo honduregno, ha assassinato la coordinatrice del COPINH Berta Cáceres, a causa della sua lotta contro il progetto idroelettrico che minaccia i popoli indigeni e la natura.

martedì 23 agosto 2016

Honduras - Richiesta di castigo per i funzionari responsabili dell'omicidio di Berta Cáceres

Aderenti al Consiglio Civico delle Organizzazioni Popolari e Indigene dell'Honduras (COPINH) si sono mobilitati di fronte al Tribunale Civile di Tegucigalpa per chiedere la punizione dei funzionari corresponsabili dell'omicidio del leader ambientalista Berta Caceres, mentre si stava svolgendo l'udienza preliminare  a carico di Jonathan Laínez, ex vice ministro del Ministero delle risorse naturali e dell'ambiente (SERNA), con l'accusa di abuso di autorità per essere collegato al permesso ambientale concesso alla DESA-Agua Zarca, la società responsabile per l'omicidio di progetto di Cáceres. 

Inoltre, hanno chiesto la cancellazione del progetto, che fu approvato illegalmente ed illegittimamente dalle "istituzioni corrotte" e da funzionari di governo e che è una minaccia per le persone e la natura. 

"Il COPINH chiede che si applichi la legge a tutti questi avvoltoi che consegnano i nostri territori al prezzo di un gallo morto", è scritto in un comunicato. 

Il 3 marzo, Berta Caceres, leader indigeno Lenca che aveva lottato per la sospensione della costruzione della centrale idroelettrica Agua Zarca, è stata uccisa su ordine della società DESA, responsabile del progetto, ed i cui responsabili sono ancora in libertà a causa della imperante impunità che vige in Honduras.

venerdì 22 aprile 2016

Honduras - Cosa c’entra Hillary Clinton con l’uccisione in Honduras di Berta Cáceres?

La morte dell’attivista ambientalista Berta Cáceres e di Nelson García confermano le responsabilità della candidata alla Presidenza americana.

La drammatica situazione di costante violazione dei diritti umani nel piccolo paese centroamericano non smette di far discutere. Dopo l’assassinio di Berta Cáceres e Nelson Garcia in particolare l’attenzione negli Stati Uniti si è indirizzata sull'appoggio dato da Hillary Clinton, quando era Segretaria di Stato, al governo honduregno instaurato con il colpo di stato che ha portato all'allontanamento del legittimo presidente Zelaya.
La Clinton è stata contestata proprio in questi giorni a Los Angeles.
Sabato 16 marzo, mentre la candidata presidente parlava delle sue politiche economiche alla Southwest College, un dimostrante ha alzato uno striscione con scritto "Il cambio di regime di Hillary ha ucciso Berta Caceres".

Lo slogan non solo allude al coinvolgimento della Clinton nel colpo di Stato in Honduras, mala accusa anche di essere indirettamente responsabile dell’assassinio di Berta Cáceres. L’omicidio è avvenuto in un contesto di crescita continua di repressione in cui sono stati travolti numerosi attivisti che combattono battaglie per la tutela dei diritti umani e la protezione dell’ambiente, dopo il colpo di stato del 2009.
Una situazione di violenza che fa dell’Honduras, insieme agli altri paesi del Centro America una zona di "nuova guerra, come la definiscono le inchieste giornalistiche di cui abbiamo raccontato nell’articolo dedicato al volume Cronicas Negras.
Ma cosa lega Honduras e Usa, attraverso la figura della Clinton?
Anche se non siamo più negli anni della definizione dell’ America Latina come "cortile di casa degli americani", in cui si compivano operazioni, occultate dalla ragion di Stato, appoggiando regimi sanguinari e dittatoriali, negli ultimi tempi in forma più raffinata e poco visibile, una parte delle strutture del governo statunitense non ha smesso di intervenire nelle politiche interne dei suoi vicini.
Il caso dell’Honduras ha portato sotto i riflettori la candidata democratica alla Casa Bianca per le prossime elezioni.
Come è stato ricostruito dai familiari e dai compagni di Berta Cáceres, attraverso operazioni presentate come un appoggio per ristabilire un clima di sicurezza nel Paese, la Clinton non ha lesinato uomini e fondi per sostenere il governo di Pepe Lobo, installato a partire dal colpo di stato che ha allontanato Zelaya dalla presidenza.
Un governo le cui responsabilità nel mantenere una situazione di violenza, attacco ai diritti umani, repressione contro gli attivisti politici, non cessano.
L’Honduras in un mix di ferocia ed omicidio, compiuti da forze dell’ordine e criminalità organizzata, continua ad essere in testa alle classifiche mondiali per i livelli di violenza raggiunti nel Paese.
Vedere che anche nel tempo di Obama, con le dovute forme diverse dal passato (la storia non si ripete mai uguale ...) una parte dell’establishment americano, incarnato dalla Clinton, non demorde dai vecchi vizi, non stupisce.
Ma le forme in cui l’intervento avviene vanno conosciute e analizzate perchè sono quelle utilizzate anche in altre parti del mondo. Un’appoggio basato su fondi e programmi che si ammantano della retorica della preservazione della sicurezza... non importa a che prezzo.
Per raccontare quello che succede in Honduras e come ha agito la ex first lady oggi candidata presidente, vi proponiamo due reportage realizzati da Democracy Now! ed un articolo tratto da The Nation.
Vale la pena di leggerli e pensare non solo agli scenari honduregni ma anche al resto del mondo.

sabato 12 marzo 2016

Honduras - Mail da inviare alle ambasciate

Inviamo alle rappresentanze in Italia del governo messicano la preoccupazione e la richiesta di protezione per l’attivista Gustavo Castro, unico testimone dell’omicidio di Berta Caceres, al quale le autorità dell’Honduras hanno impedito di lasciare il paese. Qui, di seguito, la mail da inviare ai seguenti indirizzi: 
correo@emexitalia.it
seccion.consular@emexitalia.it
info@consuladohondurasroma.it


ALERTA: seguridad para Gustavo Castro!
Ocho dias después del asesinado de Berta Cacéres, el ciudadano méxicano Gustavo Castro Soto -que es el unico testigo del delito- sigue en la embajada de México en Honduras. 
A pesar de las medidas cautelares dictadas por la CIDH (“en consideración la información presentada que indica que el señor Gustavo Castro ha decidido salir del país para salvaguardar su seguridad, la CIDH considera necesario que el Estado tome todas las medidas necesarias para asegurar su seguridad durante todo el proceso para preparar y completar su salida”), el y la organización Otros Mundos Chiapas -que fundó y de la cual es director- se encuentran muy preocupados porqué el Gobierno de Honduras pide al Gobierno mexicano de dejarles bajo su “control” Gustavo. 
Desde la embajada mexicana Gustavo nos envió este mensaje:
“He colaborado en todas las diligencias y estoy dispuesto ha seguirlo haciendo en el marco de la ley Honduras. Quiero pero permanecer en la embajada porqué temo por mi seguridad”.
Pido el gobierno méxicano que asegure la incolumidad del ciudadano méxicano y defensor de los derechos humanos y medioambientales Gustavo Castro, y que favorezca su pronto regreso a México.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!