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lunedì 1 ottobre 2012

India - 50 milioni in piazza contro l’invasione degli Ipermercati


di Davide Ettorre
Cinquanta milioni di indiani sono scesi in strada per dimostrare la loro contrarietà alla proposta di riforma del governo che, di fatto, aprirebbe il settore della grande distribuzione organizzata alle multinazionali straniere.
Si tratta di una questione particolarmente complessa, da tempo oggetto di aspre polemiche nella nazione asiatica. 
La riforma del commercio era già stata avanzata lo scorso anno, nel dicembre 2011, ma era poi stata bloccata dai partiti di opposizione e dalle proteste popolari.
La proposta prevede che le grandi multinazionali possano acquisire fino al 49% dei principali centri di distribuzione e che possano, quindi, vendere direttamente ai consumatori indiani, cambiando radicalmente il sistema attuale dove tali centri erano in mano ai piccoli commercianti al dettaglio.

sabato 28 luglio 2012

India - Il rischio di una promessa tradita


di Giovanni Mafodda - Tratto da Limes
Il più recente colpo basso all’ottimismo di quanti ripongono nei Bric (Brasile, Russia, India e Cina) le speranze di una reale capacità di traino dell’economia mondiale fuori dalla perdurante “grande recessione” lo ha dato nei giorni scorsi l’aggiornamento trimestrale del Fondo Monetario Internazionale sull’economia globale e la stabilità finanziaria. L'Fmi ha corretto al ribasso le tutt’altro che rosee prospettive di crescita delineate con l’analisi precedente.
Il contagio che interessa le economie emergenti è amplificato da vulnerabilità peculiari ai rispettivi paesi, come nel caso già evidenziato del Brasile; vulnerabilità date per risolte, come per incanto, dalla performance drogata dall’eccesso di liquidità che ha caratterizzato la fase più recente del sistema economico internazionale.
 I numeri delle correzioni al ribasso dell'Fmi sono per l’India i più severi tra quelli relativi ai paesi emergenti. Le previsioni di crescita dell’economia del subcontinente evidenziano un ulteriore taglio dello 0,7%, al netto del quale il pil dovrebbe posizionarsi a livelli non superiori al 6,1 e 6,5% rispettivamente per l’anno in corso e per il prossimo. Un ritmo ritenuto dai commentatori e da molti esponenti politici indiani insufficiente a far procedere su un reale percorso di crescita diffusa un paese di 1,2 miliardi di abitanti.
 Nel 1991 la “rivoluzione economica” di Manmohan Singh, attuale primo ministro e da qualche settimana anche ministro delle Finanze, ha liberato l’India da molte delle pastoie del “license Raj”, un sistema improntato all’esempio dalle economie pianificate che sottoponeva, frustrandolo, ogni tentativo di esercizio imprenditoriale ad un complicatissimo ed imponente apparato di permessi, regole e licenze. La ricetta di Singh ha quadruplicato da allora la taglia dell’economia indiana, assicurando ritmi di crescita media annua superiori al 7%, con picchi del 9% nel biennio 2007/2009 e accumulando tra il 2007 ed il 2012 un incremento del 43% del pil secondo solo alla Cina (56%). Essa sembra però non bastare più ad assicurare ritmi di crescita sostenuti.

venerdì 1 luglio 2011

Estate 2011 - Associazione Ya Basta in Chiapas e Messico

Con le comunità zapatiste e con le mobilitazioni in Messico


"SÓLO PUEDE HABER VIDA SI HAY LIBERTAD, JUSTICIA Y PAZ"
Ai primi di maggio in Messico la grande marcia, lanciata dal poeta Javier Sicilia, ha portato in piazza nella capitale miglaia di messican@. Contemporaneamente si sono svolte manifestazioni in tutte le città del paese da nord a sud, mentre a San cristobal gli zapatista riempivano la città, arrivando da tutti i Municipi autonomi. Una grande mobilitazione che ha messo al centro l’insopportabile situazione generata nel paese dalla "guerra al narcotraffico" con la sua lunga lista di persone uccise come "danni collaterali". "Basta, non ne possiamo più del Governo e dei narcos" è stato lo slogan semplice e chiaro che ha accomunato le famiglie delle vittime civili di una guerra interna che ha portato con sè la militarizzazione della vita sociale messicana. Una guerra interna di apparati, cartelli, istituzioni che stritola la libertà, che distrugge la vita, che approfitta per eliminare i movimenti sociali e le realtà di base. Gli zapatisti continuano la loro esperienza di autogoverno e costruzione di un’alternativa reale, costruiscono la loro azione politica nella pratica del comune. Saremo in Chiapas nell’estate 2011 per andare nelle comunità zapatiste, continuare i progetti di cooperazione per la difesa dei beni comuni, come il Progetto Agua para Todos, e saremo in Messico per condividere le aspirazioni di giustizia, libertà e pace che si esprimono nel paese.

lunedì 7 marzo 2011

India - La BKU lancia la protesta contadina

India Bhartiya Kisan Union (BKU)La Bhartiya Kisan Union (BKU) ha minacciato di lanciare una grande offensiva il 9 marzo, bloccando tutte le strade nazionali per isolare Delhi dagli altri Stati.
Rohtak: Il malcontento che ribolle tra i contadini indiani contro le politiche del governo, si appresta a riversarsi sulle strade dato che la Bhartiya Kisan Union (BKU – Unione degli Agricolltori Indiani) ha minacciato di lanciare una grande offensiva il 9 marzo, bloccando tutte le strade nazionali per isolare Delhi dagli altri Stati.
La BKU è arrabbiata per il continuo abbandono del settore agricolo da parte dei governi Centrale e statali e per le politiche che si sono rivelate disastrose per le condizioni economiche degli agricoltori. I contadini si sono opposti all'acquisto di terreni fertili e hanno reclamato l’attuazione delle raccomandazioni della relazione della commissione Swaminathan.

venerdì 19 novembre 2010

India - Distrutta una coltivazione Ogm di riso

I contadini distruggono il raccolto di riso transgenico a Hadonahalli

BANGALORE: una varietà di riso transgenico, attualmente in sperimentazione presso il Vignan Krishi Kendra dell'Università degli Studi di Scienze Agricole (UAS) in Doddaballapur, è stato distrutto dai contadini, questo mercoledì.
Un gruppo di contadini armati di falce, della Rajya Karnataka Raitha Sangha (KRRS), ha fatto irruzione nei 30 acri di terreni a KVK Hadonahalli, dove il riso ibrido Seed Production Technology (SPT) sviluppato da DuPont era in fase di “prove di selezione” in una area di un ettaro, e hanno distrutto tutto.
Circa 30 attivisti sono entrati nel recinto di un ettaro ale 8 del mattino e hanno distrutto il raccolto in circa un'ora, prima dell'arrivo della polizia.

lunedì 7 giugno 2010

India: Agricoltori contro sciacalli

Bangalore, proteste degli agricoltori contro l’ “Incontro Globale degli Sciacalli” – 250 arresti preventivi ed irruzione alla sede del convegno.

In questi giorni il governo del Karnataka ha organizzato un “Incontro Globale degli Investitori” (Global Investors Meet), una chiamata a raccolta di potenziali investitori, indiani e stranieri, interessati ad accaparrarsi una fetta della torta di risorse naturali ed umane ancora disponibili nello stato dell’India meridionale.
Il movimento degli agricoltori, in rete con altre organizzazioni, ha organizzato una protesta contro il convegno definito “Incontro Globale degli Sciacalli”, contro quella che e’ stata denunciata come la “svendita del paese”, e contro la politica di acquisizione forzata delle terre degli agricoltori: infatti in questi anni sono migliaia gli ettari requisiti e passati al settore industriale.

giovedì 26 novembre 2009

India - Il porto di Mangalore bloccato per ore "No alle importazioni distruttive"

Successo della protesta SICCFM



Blocco! Avvertimento al governo contro l'aziendalizzazione della terra e del mareIl Porto di Mangalore bloccato per ore, "No alle importazioni distruttive!"


Il Comitato di Coordinamento dei Movimenti degli Agricoltori dell’ India Meridionale (SICCFM) ha organizzato una manifestazione di massa e ha bloccato il nuovo porto di Mangalore in Karnataka, contro l'aziendalizzazione della terra e del mare, e contro le importazioni distruttive a basso prezzo di prodotti alimentari e colture, causate dal WTO e dagli accordi di libero commercio. Tutte le porte del nuovo porto di Mangalore sono state completamente bloccate dai manifestanti e il funzionamento del porto è stato fermato per ore.

La protesta e’ stata condotta dagli agricoltori del KRRS – Brigata Verde del Karnataka, Dalla Associazione degli Agricoltori del Cocco del Kerala, dalla Associazione degli Agricoltori del Tamil Nadu insieme alla Federazione Indipendente dei Pescatori dello Stato del Kerala e dal Comitato d'Azione Costiero dei Pescatori del Karnataka.
Centinaia di donne e uomini hanno marciato per le strade della città di Mangalore dalla stazione ferroviaria centrale di Kottara Chowke e proceduto verso il nuovo porto di Mangalore. Gli agricoltori hanno bloccato la porta e si sono seduti di fronte al cancello principale, scandendo slogan, portando e mostrando striscioni contro importazioni di prodotti alimentari a basso prezzo, il WTO e gli accordi di libero scambio.

Contadini infuriati hanno anche portato delle piante di arachide, di girasole e di noci di cocco dato che i prezzi di questi prodotti sono una seriamente danneggiati dall’'importazione a basso prezzo dell'olio di palma da parte di paesi come Malaysia e Indonesia.

Questa lotta è stata organizzata nel contesto dei negoziati della settima riunione ministeriale del Doha round, che si terrà a Ginevra dal 30 Novembre al 2 dicembre 2009.

La decisione del governo indiano di riaprire i negoziati del Doha Round, porterebbe all'aumento delle importazioni distruttiva nel paese e danneggerebbe drasticamente la situazione di milioni di produttori che sono privi di qualsiasi altra alternativa dignitosa.

Contrastando questa posizione, i contadini e I pescatori hanno chiesto ai governi centrale e statali di fermare qualsiasi tipo di aziendalizzazione della terra e del mare, di mantenere l'agricoltura fuori dal WTO e hanno chiesto di ristabilire le Restrizioni Quantitative sulle importazioni. Questa protesta è anche una risposta ai colloqui in corso tra il governo dell'India e degli Stati Uniti, volti addirittura ad espandere il loro accesso al mercato.

Gli effetti delle importazioni distruttive sono ben noti agli agricoltori, questi sono alcuni esempi di quello che è successo ai loro prodotti, e alla loro vita:

Dopo la firma della zona di libero scambio India-Sri Lanka, i prezzi dei principali prodotti agricoli del Kerala sono scesi e l'economia dello Stato ha subito una perdita annuale di Rs. 70.000.000.000. Il prezzo del pepe è stato ridotto da Rs. 21.502 a Rs. 6.644 per ogni quintale tra il 1.999-2.000 ed il 2005-06. Leimportazioni di pepe nero libero da dazio sono passate da 1,385.3 tonnellate a 4.865,1 tonnellate, tra il 1.999-2.000 ed il 2004-05. Il prezzo all'esportazione della vaniglia domestica si e’ ridotto da Rs. 6,413.45 / kg a Rs. 1.679 / kg, tra il 2001-02 ed il 2005-06. La rimozione delle Restrizioni Quantitative e questo accordo di libero scambio ha portato all’aumento delle importazioni di olio di cocco raffinato: 3.753,72 tonnellate a 11.427,14 tonnellate tra il 1.999-2.000 ed il 2004-05.

Dall’accordo di libero scambio India-ASEAN, nonché dalla realizzazione del Doha round, ci si può aspettare impatti simili, tra cui l’aumento delle importazioni, il calo dei prezzi locali, e la caduta dei prezzi all'esportazione.

Gli agricoltori hanno dichiarato con fermezza che non saranno ingannati ancora una volta dai prodotti cosiddetti "esclusi" dal libero scambio: un trucco per nascondere la realtà dietro un paravento. Con questo trucco molti prodotti sono ufficialmente esclusi, ma i sottoprodotti delle stesse coltivazioni inversamente vengono accettati, determinando le stesse conseguenze distruttive.

Ad esempio: lo zucchero di canna è escluso, ma altre forme di glucosio, cioè lo zucchero, fruttosio, così come la melassa, lo zucchero e dolciumi saranno benvenuti; il Cocco è escluso, ma il Guscio di noce di cocco grezzo sara’ benvenuto; il cotone è escluso, ma la lanugine di cotone sara’ benvenuta; Il latte è escluso, ma lo yogurt, il latticello, il formaggio fresco e in polvere e I formaggi lavorati saranno benvenuti; il grano è escluso, ma la farina di segale, la crusca o altre forme di cereali dopo la fresatura e il Bulgur di grano, saranno benvenuti.

I manifestanti hanno anche sottolineato che il sistema federale sta giocando una partita contro di loro: dopo che gli Agricoltori del Cocco del Kerala sono stati in grado di vincere una battaglia giudiziaria e di ottenere un giudizio presso la Alta Corte del Kerala, che vieta l'importazione di olio commestibile , questo divieto è stato praticamente indebolito dalla politica totalmente opposta dello Stato di Karnataka, consentendo queste importazioni. In questo modo i prodotti vietati, entrando in un porto vicino al confine, come Mangalore - che è uno dei porti più importanti per le importazioni di olio commestibile sulla costa sud-occidentale, continuano a danneggiare il mercato Kerala come prima (così come il Karnataka ed il Tamil Nadu).

I rappresentanti degli agricoltori (tra i quali: Kodihalli Chandrashekhar, Presidente operativodel KRRS e Brigata verde, P. Ravindranath Presidente del Kerala Coconut Farmers Association, S. Kannaiyan - Coordinatore del SICCFM) hanno pronunciato dei discorsi di fronte al porto.

Quando la polizia si rifiutava di fornire acqua agli assetati manifestanti, hanno avvertito gli agenti della polizia di trattare gli agricoltori con rispetto, altrimenti non ci sarebbe volute nemmeno quindici minuti per rompere le barriere e ad entrare all'interno del porto e proseguire l'azione, in questo modo che il diritto fondamentale al bere e’ stato difeso e l'acqua è stata fornita.

Hanno dichiarato che l'azione era un avvertimento per il governo indiano che vuole liberalizzare il mercato molto di più nella prossima riunione ministeriale del WTO a Ginevra. Che gli agricoltori ed I pescatori aveva raggiunto i cancelli del porto, e che, se saranno costretti, raggiungeranno le navi che trasportano le merci importate per lanciarle di nuovo in mare, a meno che il governo prenda la posizione di proteggere i propri agricoltori e pescatori.

Hanno affermato che la terra appartiene agli agricoltori, e il mare per i pescatori, qualsiasi tipo di aziendalizzazione della terra e del mare non saranno tollerati.

Hanno bruciato infine l'olio di palma importato e rotto delle noci di cocco per mostrare la loro rabbia, visto che il prezzo è crollato.

Essi hanno dichiarato che questo è il primo blocco di un porto in India, pratica che sarà intensificata e si diffonderà in tutto il paese contro tutti i porti, se il governo non cambierà la sua posizione.

Essi hanno inoltre annunciato che continueranno la loro protesta contro la stessa riunione del WTO a Ginevra, visto che alcuni rappresentanti degli agricoltori indiani parteciperanno alle proteste in Europa, in collaborazione con il movimento internazionale di agricoltori La Via Campesina e gli altri movimenti contro l'aziendalizzazione della Terra e delle mare.

Comunicato integrale in inglese

Warning to the government against the corporatization of the Land and the Sea: Blockade!

Mangalore’s Port blocked for hours, “No to destructive Imports!!”

On 23/11/2009 the South Indian Coordination Committee of Farmers Movement (SICCFM) organized a mass rally and blocked the new Mangalore port in Karnataka against the corporatization of land and sea, and the destructive cheap imports of food and crops because of WTO and FTAs. All the gates of the New Mangalore Port were completely blocked by the protesters and the functioning of the port was stopped for hours.

The protest was held by the farmers from KRRS and Green brigade from Karnataka, Kerala Coconut Farmers Association, the Tamil Nadu Farmers Association along with the fisher-folks from Kerala State Independent Fish Workers Federation and from Coastal Karnataka Fishermen Action Committee.

Hundreds of women and men marched in the streets of the city of Mangalore from Central Railway Station to Kottara Chowke and then proceeded towards the New Mangalore Port. Farmers blocked the port and sat in front of the main gate, shouting slogans, carrying and displaying banners against cheap food imports, WTO and FTAs.

Angry farmers also carried plants of ground nut, sunflower and coconuts as the prices of these products are severely affected by the cheap import of Palm oil from countries like Malaysia and Indonesia.

This struggle was organized in the background of the seventh ministerial meeting of the WTO’s Doha round of negotiations to be held in Geneva from 30th November to 2nd December, 2009.

The decision of the Indian Government of reopening the Doha Round of negotiation, would lead to the increase of the destructive imports into the country and would drastically affect the situation of millions of producers who are without any other dignified alternative.

Countering this position, the farmers and fisher folks demanded the central and state governments to stop any type of corporatization of land and sea, to keep agriculture out of WTO and demanded to re-establish Quantitative Restrictions on imports. This protest is also an answer to the ongoing talks between the Government of India and the USA to even expand the market access.

The effects of the destructive imports are well known to the farmers, these are some examples of what happened to their products, and to their lives:

After signing the India-Sri Lanka FTA, prices of Kerala’s major agricultural commodities fell and the state economy sustained an annual loss of Rs. 7,000 crores. Pepper price was reduced from Rs. 21,502 to Rs. 6,644 per quintal from 1999-2000 to 2005-06. With ISFTA, the duty free import of black pepper from Sri Lanka increased from 1,385.3 tonnes to 4865.1 tonnes, from 1999-2000 to 2004-05. Domestic export price of vanilla got reduced from Rs. 6,413.45/kg to Rs. 1,679/kg, from 2001-02 to 2005-06. Removal of Quota restriction and this FTA resulted in import surge of refined coconut oil: 3753.72 tonnes to 11427.14 tonnes from 1999-2000 to 2004-05.

Similar impacts, including import surge, fall in local prices, and fall in export prices can be expected from the India-ASEAN FTA, as well as from the implementation of the Doha Round.

The farmers declared firmly that they will not be fooled again with the products so called “excluded” from the free trade: a trick to hide the reality behind a screen. With this trick many products are officially excluded, but the byproducts of the same crops are conversely welcomed, leading to the same destructive consequences.

For example: Sugar Cane is excluded but other forms of sugar i.e. glucose, fructose, as well as molasses, and sugar confectionary will be welcomed; Coconut is excluded but coconut shell unworked will be welcomed; Cotton is excluded but cotton linter will be welcomed; Milk is excluded but yogurt, buttermilk, fresh cheese and powdered and processed cheese will be welcomed; Wheat is excluded but rye flour, bran or other forms of cereal after milling and Bulgur wheat, will be welcomed.

The protesters also pointed out, that the federal system is playing a game against them: after the Coconut Farmers of Kerala were able to win a judicial struggle and to get a Judgment in the High Court of Kerala, to ban the import of any edible oil, this Ban was practically weakened by the totally opposite policy of the Karnataka State, by allowing this imports. In this way the banned products, entering in a Port close to the border, like Mangalore - that is one of the major inlets for imported edible oil on the south-west coast, are continuing to affect the Kerala market as before (as well as the Karnataka’s and the Tamil Nadu’s).

The representatives of the farmers (among them: Kodihalli Chandrashekhar, Working President of KRRS and Green Brigade, P. Ravindranath President of Kerala Coconut Farmers Association, S. Kannaiyan – Coordinator of SICCFM) delivered speeches in front of the Port.

As the police was refusing to provide water to the thirsty protestors, they warned the officials of the police to treat the farmers with respect, otherwise it would not even take fifteen minutes to break the barriers and to enter inside the port and continue the action there; so the basic right to drink was defended and the water was provided.

They declared that the action was a warning to the government of India who wants to liberalize the market much more in the upcoming ministerial meeting of WTO in Geneva. That the farmers and the fisher folks had reached the gates of the port and they will be forced to reach the ships carrying the imported goods to throw them back to the sea unless the government takes the position to protect its farmers and fisher folk.

They affirmed that the land belongs to farmers, and the sea to the fishermen, any type of corporatization of land and sea will not be tolerated.

They burned finally the imported palm oil and broke the coconut to show their anger as the price has fallen to the ground.

They declared that this is the first ever blockade action against a port in India which will be intensified and will spread all over the country against all the ports, if the government will not change its position.

They also announced that their protest will continue against the same Meeting of the WTO in Geneva, as some Indian farmers representatives will participate in the protests in Europe in association with the international movements of farmers La Via Campesina and the other Movements against corporatization of Land and Sea.

mercoledì 23 settembre 2009

India - La protesta dell'Indian Institute of Tecnology contro il nuovo sistema di gestione varato dal governo

Circa 1500 professori dell'Indian Institute of Tecnology (Iit) inizieranno giovedi uno sciopero della fame per protestare contro l'attuale sistema di promozioni e retribuzioni.L'Iit è l'istituto ingegneristico di eccellenza indiano, la struttura che negli ultimi anni ha sfornato una nuova classe di ingegneri richiesti in tutto il mondo e che hanno contribuito allo sviluppo record del paese.
Il ministro per lo Sviluppo delle Risorse Umane indiano Kapil Sibal ha lanciato un appello perché i professori cambino idea e rinuncino alla protesta: "noi non vogliamo che i nostri futuri premi Nobel vadano in sciopero della fame. Dovrebbero essere affamati solo di conoscenza".
La riforma del sistema di gestione dell'Istituto promossa di recente dal governo contiene, secondo i professori, delle anomalie inaccettabili che eliminano la meritocrazia nel sistema delle promozioni, minando la capacità dell'Istituto di mantenere livelli d'eccellenza.

Tratto da:
Peace reporter

mercoledì 16 settembre 2009

Arundhati Roy, India democrazia ma non per tutti

A Torino l'autrice de "Dio delle piccole cose"



Intervistata da La Stampa afferma: "Il mio Paese è una Superpotenza superpovera che nasconde la distruzione dell'ambiente"

Sette anni fa venne condannata per «oltraggio». Aveva criticato, in un suo vibrante scritto che ora si può leggere in Quando arrivano le cavallette (Guanda) una sentenza dell’Alta corte di giustizia indiana favorevole alla costruzione di una grande diga sul fiume Narmada. «In fondo sono rimasta in carcere per un solo giorno, è stata una pena simbolica - racconta Arundhati Roy - Ma il problema non è quel che accade a me, persona nota. Il problema è che ogni giorno in India viene uccisa o sparisce della gente». Lei, infatti, è persona talmente nota che una volta, dopo l’attacco terrorista a Bombay, venne chiamata direttamente in causa da un anchorman, nel corso di un’intervista con un funzionario della polizia, che sparò il suo «speriamo ci stia guardando» con tono niente affatto amichevole. Ha scritto un romanzo di enorme successo, Il dio delle piccole cose, nel ’96.
A Londra vinse il Booker Prize, e fu tradotto in tutto il mondo. Da allora, non una riga di fiction. È diventata un’eroina no-global. E anche un personaggio ingombrante. Oggi (Teatro Carignano, alle 21) inaugura insieme con lo scrittore-regista inglese John Berger la stagione del Circolo dei Lettori, in una serata che guarda anche all’imminente edizione di Torino Spiritualità.

Parlerete del raccontare. Un’arte che sembra aver rinnegato.
«Non ho più messo mano a romanzi perché nutro un certa ostilità all’idea di carriera. Non mi voglio pensare come una scrittrice che deve ogni volta pubblicare un nuovo libro. Però ritengo che molti dei miei saggi rappresentino un modo specifico di raccontare storie difficili. Quello sulla diga, per esempio: è stata una grande sfida, che andava oltre il ruolo normalmente attribuito a uno scrittore. In India c’è una realtà così urgente, una necessità di mettersi per strada, nel cuore della politica e dei problemi basilari della popolazione, che è davvero difficile rifiutarsi».

Il suo cambio di marcia verso un aperto impegno è imposto dalla situazione? Lo ha sentito come un dovere?
«Non esageriamo. Non ho il senso del dovere».

Però ha quello dell’impegno.
«Le faccio un esempio. Nel nuovo libro c’è un saggio sull’attacco suicida al parlamento di New Delhi, il 13 dicembre 2001, che fece 14 vittime. Sapevo che era un’assoluta tragedia, e la sola cosa che ho pensato è stata: se non ne scrivo, sicuramente me ne pentirò. Funziona così. Per me è impossibile andare nel Kashmir e non scriverne. Ma ci vado soprattutto per capire la natura umana. Con quel che accade sarebbe impossibile non andare».

In Kashmir si consuma una lotta interminabile tra India e Pakistan, con infiltrazioni terroristiche, scontri religiosi, rivendicazioni indipendentiste.
«E se uno non prende posizione viene accusato di tradimento. Certo, la minaccia del Pakistan in quell’area è reale. Ma è altrettanto reale quella dell’India: è in atto una vera occupazione militare, con un bilancio atroce; ci sono stati almeno diecimila scomparsi, e decine di migliaia di torturati. E in India non il minimo accenno. Silenzio. Non se ne parla».

L’immagine che dà del suo Paese contrasta con quella che se ne ha generalmente: una grande democrazia, una grande crescita economica, una superpotenza meno inquietante di quella cinese.
«Superpower-Superpoor, superpotenza superpovera. L’India è una democrazia solo per qualcuno, diciamo per la classe media; e questo è il vero problema, che nasconde i contadini ridotti alla disperazione e al suicidio, la povertà, la distruzione dell’ambiente».Mali che lei denuncia apertamente. Se fosse cinese, invece...«Lo so, non potrei. Ma la contrapposizione non ci porta da nessuna parte. Ci sono aspetti positivi in entrambi i Paesi, accanto ad altri, troppi, molto negativi. Anche da noi c’è una legge sulla sicurezza che, di fatto, criminalizza ogni dissenso».

L’India è uno Stato repressivo?
«Peggio. Uno Stato repressivo con spezzoni di fascismo. E che sta diventando sempre più uno Stato di polizia. Non si riesce a dare cibo e acqua sufficienti alla popolazione, ma ora tutti verranno forniti di una carta d’identità elettronica. E quelli che non l’avranno cesseranno di esistere».

Nel suo libro lei critica sia il Partito induista sconfitto alle ultime elezioni, sia il Partito del Congresso tornato al potere. Quale alternativa propone?
«Guardi che il Partito del Congresso, data l’enorme frammentazione politica, ha vinto con il 10 per cento dei voti. In ogni caso, non credo alle alternative globali. Sono altrettanto violente. Credo però che ogni nuova diga abbia un’alternativa, che ci siano possibilità puntuali, situazione per situazione, contro il crescere della violenza e le soluzioni militari; che ci siano diritti di base nel cui ambito lavorare. È importante essere specifici».

Lei insiste sulla specificità. Proviamo a definire anche la spiritualità?
«Volentieri: capire che ognuno di noi è parte di una storia. Rispettare tutto ciò che ci circonda. Se rimuovi l’essere umano, non rimane niente».

Tratto da:
La Stampa 16 settembre 2009

giovedì 28 maggio 2009

India - Intervista a S. Kannaiyan del India’s Tamizhaga Vivasayigal Sangam

L’intervista è stata fatta da Nic Paget-Clarke per In Motion Magazine nell’ottobre 2008 durante la Conferenza Internazionale di Via Campesina in Mozambico. Nell’intervista Kannaiyan racconta la nascita della sua organizzazione, le lotte contadine in India e commenta il divario sociale che si è creato nel paese con lo sviluppo industriale. Kannaiyan è stato ospite del Festival Questa terra è la nostra terra che si è svolto a Montebelluna Treviso contro il vertice del G8 agricoltura.
Vai all’intervista integrale

martedì 19 maggio 2009

Elezioni in India

Intervista a Ihivasundar, giornalista indipendente indiano
In seguito alle recenti elezioni in India che hanno visto la conferma del risultato elettorale per il Congress Party di Sonia Ghandi abbiamo raggiunto telefonicamente Ihivasundar, giornalista indipendente indiano.

Domanda: Nonostante le vicende di corruzione che hanno complessivamente coinvolto il sistema politico indiano ed i principali partiti , Sonia Ghandi ha vinto le elezioni di sabato scorso. Quali sono sostanzialmente i motivi che hanno determinato questo risultato elettorale?
Risposta: Ci sono varie motivazioni, una delle quali, forse la piu’ eclatante, è che semplicemente l’elettorato non è rappresentato dai partiti politici che si sono candidati. Lo conferma ad esempio il fatto che il partito di Sonia Ghandi in alcune vaste e popolate regioni del Paese non ha riscosso molto consenso, a tal punto che in queste aree il Congress rappresenta a malapena il 15%. Le principali coalizioni che a livello nazionale hanno determinato questo risultato sono due: il partito nazionalista di destra Bharatiya Janata ed il partito di Sonia Ghandi. A livello locale sono queste due coalizioni che hanno stretto alleanze elettorali con i partiti locali minori determinando critiche e contestazioni a queste elezioni. Io personalmente no penso che questo voto sia stato un voto per Sonia Ghandi, bensì sia stato dato alle rappresentanze locale che tramite le tattiche d’alleanza con i partiti locali, si è trasformato in bacino elettorale a favore del partito del Congress. Questa è la dinamica del sistema elettorale indiano a carattere maggioritario, dove se ci sono tre o quattro candidati non vincono le liste ma le coalizioni principali. Questa cosa non riflette assolutamente la situazione politica reale che c’è nel paese.

Domanda: Quindi in realtà non si puo’ parlare di un processo elettorale realmente democratico...
Risposta: assolutamente no. La situazione reale nel rapporto democratico tra rappresentanza ed elettorato si è creata solamente una volta nella storia dell’India nel 1984 con l’elezione di Indira Ghandi e mai si sono verificate condizioni di processi democratici reali.

Domanda: Quindi essenzialmente ci troviamo di fronte ad una facciata costruita dalle strategie dei grandi partiti politici indiani che vogliono mostrare il volto democratico della grande potenza economica indiana. Quali sono le contraddizioni che si possono intravedere in questo processo? Quali saranno le prospettive nell’ambito di politica internazionale messe in campo dall’India in questo nuovo assetto geopolitico che si sta conformando nelle regioni dell’estremo oriente?
Risposta: La politica economica è stata portata avanti dal "Common Minimal Programme" portato avanti dai partiti di governo di sinistra. E’ grazie all’esistenza di questo piano economico e all’integrazione finanziaria che l’India non sta vivendo la grande crisi globale che sta colpendo i Paesi occidentali. Questo è stato reso possibile da una sostanziale convergenza su questo programma di tutti i partiti politici. Il "Common Minimal Programme" era infatti condiviso ed appoggiato anche dai governi vicini geograficamente e politicamente all’India. Rispetto a questo anche la politica internazionale dell’India è stata, eccetto per il Pakistan, di natura non interventista. A questo punto però, per la logica delle coalizione opposte, il Congress Party non è piu’ nelle condizioni di appoggiare questo programma economico, e deve dare avvio a nuove politiche di sviluppo. Con il risultato politico delle ultime elezioni va a cambiare anche il ruolo che l’India assume nella geopolitica dell’estremo oriente determinando nuove relazioni con i paesi confinanti, in particolare SriLanka, Nepal e Pakistan. Con l’Afganistan vengono sostanzialmente riconfermate le relazioni politico-economiche pre-esistenti.

Domanda: A livello internazionale quindi c’e’ un ri-allineamento con le politiche economiche e di sviluppo degli Stati Uniti. Pensando invece ai movimenti delle popolazioni rurali contro i sistemi agricolo-industriali dominati dalle grandi Corporation delle biotecnologie quali sono le possibili implicazioni?
Risposta: Si, questo dato è anche confermato dall’assegnazione del Ministero delle Finanze che è molto vicino alle posizioni di Washington ed porterà la politica economica indiana verso un’economia di mercato di tipo neo-liberale. Chiaramente questo fatto andrà proprio ad influire sul tessuto sociale costituendo poichè fra la implicazioni di tale scelta c’e’ l’idea di promuovere un progetto di sviluppo rurale. Per fare delle riforme economiche sulle politiche di sviluppo Sonia Ghandi non ha piu’ dalla sua parte l’alleanza dei partiti di sinistra che portavano le istanze dei contadini, ma si trova nelle condizioni da una parte di poter decidere da sola, dall’altra di dover trovare una forma di dialogo con i movimenti rurali, scontrandosi con i problemi e le contraddizioni che esso comporta.

sabato 16 maggio 2009

India - Elezioni legislative e democrazia

Intervista alla giornalista indiana Guri Lankesh

Si sono conclusi in queste ore gli scrutini delle elezioni legislative in India. A trionfare la coalizione di centro-sinistra guidata dal Partito del Congresso di Sonia Gandhi, superando di parecchie lunghezze l’opposizione del partito di centro-destra capeggiato dai nazionalisti del Barathyia Janata Party (Bjp).
La giornalista indiana Guri Lankesh, in questa intervista, presenta un quadro dei principali candidati e l’attuale situazione politica nel paese: oggi in India si stanno fronteggiando due coalizioni principali, due partiti che però non presentano grosse differenze nelle loro politiche economiche ed estere.
Guri descrive le coalizioni a partire dalle loro storie politiche: i candidati, che sostengono le teorie del libero mercato, sono supportati dai maggiori industriali del paese e dalle compagnie nazionali e internazionali.
Infine Guri Lankesh ragiona su cosa significa realmente il concetto di democrazia in India.
- [ audio ] (english)

Da sapere
Le elezioni per la quindicesima legislatura indiana si svolgono in cinque giornate. Sono cominciate il 16 aprile 2009. L’ultima giornata di voto sarà il 13 maggio. I risultati saranno resi noti il 16 maggio 2009. Gli elettori registrati sono 714 milioni, il 48 per cento sono donne, il 25 per cento ha meno di 35 anni. Si sono presentati 1.055 partiti.
I due principali candidati premier sono l’attuale primo ministro Manmohan Singh, del Congress, e Lal Krishna Advani, leader del partito nazionalista di destra Bharatiya janata party. Una terza candidata è Mayawati, la governatrice dalit (intoccabile) dell’Uttar Pradesh e leader del Bahujan samaj party, di ispirazione socialista. Nella camera bassa del parlamento (Lok sabha) saranno eletti 543 deputati.
I partiti minori e regionali potrebbero conquistare il 50 per cento dei seggi.
In caso di vittoria il premier Singh potrebbe allearsi con la sinistra, come nel 2004. (Fonte Internazionale 794, 8 maggio 2009)

martedì 24 marzo 2009

India, Nano rosso sangue

La sanguinosa repressione delle proteste dei contadini indiani contro la fabbrica della Nano

La casa automobilistica indiana Tata ha lanciato la vettura più economica al mondo: la Nano, che in India verrà venduta a soli 1.500 euro. Tra un paio d’anni sbarcherà anche sul mercato europeo, ma costerà 5 mila euro perché equipaggiata per rispondere alle norme di sicurezza e inquinamento del Vecchio Continente."Grazie alla Nano, anche i poveri dell’India e del mondo intero potranno permettersi un’auto", ha annunciato raggiante il presidente della compagnia, Ratan Tata. Una prospettiva ambientalmente terrificante, visto che la Nano base ha un motore a benzina altamente inquinante.L’unico vero scopo del signor Tata è fare grandi profitti giocando sui grandi numeri del mercato indiano. Purtroppo per lui, però, la domanda potrà essere pienamente soddisfatta solo tra almeno un anno. La produzione infatti sarà molto limitata per il 2009 a causa dei ritardi nella costruzione della fabbrica nel Gujarat, dove la Tata ha dovuto trasferire lo stabilimento inizialmente impiantato nel Bengala Occidentale, dove nel 2007 i contadini locali si erano ribellati all’esproprio dei terreni. Una protesta repressa con una violenza inaudita dalle autorità locali.Un anno fa la nostra rivista aveva pubblicato un reportage su questi drammatici eventi, ignorati dalla stampa italiana per non creare imbarazzi alla Fiat...

Un anno fa a Singur, distretto di Hoogly, nello stato del Bengala Occidentale, viene trovato in una fossa, semicarbonizzato, il cadavere di Tapasi Malik, una giovane contadina. La polizia statale si affretta ad archiviare il caso come ‘suicidio’. Tapasi si era distinta nella lotta contro gli espropri dei terreni richiesti dalla multinazionale indiana Tata Motors, che a Singur pretende mille acri per impiantare una fabbrica di utilitarie a basso costo con la collaborazione della Fiat.
Come atto di terrorismo contro la resistenza dei contadini, la giovane è stata sequestrata di notte, strangolata e bruciata. Prima di essere uccisa, Tapasi è stata violentata in gruppo dai suoi assassini. Per questo crimine la polizia federale ha fatto arrestare il responsabile locale del Partito comunista indiano marxista (Cpm) che è al potere in questo stato. L’uomo non è nemmeno stato sospeso dal suo partito. A Nandigram, distretto di East Medinipur, sempre in Bengala Occidentale, la notte tra il 6 e il 7 gennaio 2007 squadracce del Cpm assaltano con bombe e armi da fuoco i contadini che difendono i loro campi dal tentativo d’esproprio a favore della multinazionale chimica indonesiana Salim. I morti accertati sono tre, ma molte persone risultano disperse. Alcuni contadini hanno denunciato che in precedenza erano stati marchiati a fuoco sulle mani come ‘nemici del Cpm’. La forte resistenza dei contadini e la loro esasperazione hanno portato all’espulsione dai villaggi di Nandigram dei quadri del principale partito nel governo bengalese.
Ne è nato un conflitto che trascende gli interessi economici, che vanno dallo sviluppo industriale alle prebende ottenibili dai quadri del Cpm e, in subordine, dalle loro squadracce. Un conflitto per stabilire chi gestisce il potere sul territorio. Questo conflitto, inizialmente tra i contadini di Nandigram da una parte e il Cpm dall’altra, si è arricchito di nuovi protagonisti. Innanzitutto il Trinamool Congress Party, una scheggia bengalese staccatasi dal Congress Party e che contesta il potere al fortissimo Cpm. Poi gli eredi del movimento naxalita che dal 1967 per circa sei anni oppose braccianti, contadini poveri e popolazioni tribali ai poteri politici centrali e locali (compresi i governi di sinistra del Bengala Occidentale). Il bilancio della repressione fu di 10 mila morti e lo sterminio di pressoché tutti i dirigenti naxaliti. Ma è un movimento che, oltre ad aver sostanzialmente vinto nel confinante Nepal, è da tempo in ripresa anche in India, diviso in due rami: da una parte i partiti marxisti-leninisti, che sono usciti dalla clandestinità (e che da noi potrebbero forse essere definiti di ‘sinistra radicale’), dall’altra i movimenti maoisti che praticano la lotta armata controllando migliaia di villaggi. Apertamente appoggiato dal Trinamool Congress Party e implicitamente dai Naxaliti, si è formato il Comitato di resistenza contro lo sfratto dalle terre, che coordina le lotte contro gli espropri. Recentemente si è inserito anche un terzo incomodo: il fondamentalismo islamico.
Nandigram ha una maggioranza di popolazione musulmana. Tuttavia non ci sono mai stati problemi comunitaristici e i contadini musulmani e indù si sono uniti strettamente per combattere gli espropri. Tanto è vero che l’accusa del Cpm, per giustificare la strage di gennaio, che a Nandigram operavano fondamentalisti musulmani non è stata recepita nemmeno dai suoi alleati del Left Front. Ma alla fine dell’anno scorso si è fatta viva una componente fondamentalista del tutto esterna al movimento di resistenza contadina, mettendo a soqquadro Calcutta con slogan che mischiavano una vaga difesa dei contadini musulmani di Nandigram con l’attacco al governo in quanto reo di aver dato asilo politico alla scrittrice Taslima Nasreen, in esilio dal Bangladesh perché rincorsa da una fatwa per aver "offeso" l’Islam. I tentativi del Cpm di riprendere il controllo politico di Nandigram raggiungono un picco il 14 marzo 2007 quando su pressione del governo la polizia statale cerca di occupare i villaggi. Respinta dalla popolazione con lanci di oggetti, la polizia decide di sparare ad altezza uomo (coadiuvata in modo documentato da elementi delle squadracce del Cpm). I morti sono 14 e i feriti 150.
Le denunce di stupri compiuti da singoli o da interi gruppi di poliziotti aumentano nei giorni seguenti. Medha Patkar, la nota attivista sociale indiana, visita nell’ospedale di Nandigram una bambina di 10 anni che è stata seviziata con il lathi (il manganello di bambù in uso nelle forze di polizia indiane). Ma il primo ministro bengalese Buddhadeb Bhattacharjee, detto il ‘Buddha Rosso’, ribadisce che non ha niente di cui discolparsi. Non è dello stesso parere il governatore del Bengala Occidentale, Sri Gopalkrishna Gandhi, nipote del Mahatma, che dopo aver dichiarato di provare "un orrore agghiacciante" per i fatti di Nandigram ed essere andato a visitare i feriti, censura l’operato del Left Front (il Fronte delle Sinistre capeggiate dal Cpm che governo questo stato) domandandogli "a quale pubblico interesse giovi lo spargimento di tutto questo sangue umano". La domanda di Gopalkrishna Gandhi intende mettere il governo delle Sinistre con le spalle al muro: infatti il Left Front, per poter espropriare i contadini, sta utilizzando una legge coloniale britannica (il Land Acquisition Act del 1894 ) che prevede l’esproprio a fini di ‘pubblica utilità’ e non, come in questo caso, per dare terreni a imprese private.
Ma nemmeno la strage di marzo è riuscita a piegare i contadini. Perché? La legge prevede un indennizzo a prezzi di mercato per i proprietari. Punto e basta. Ma moltissimi contadini proprietari sanno che il loro futuro non sarà per nulla roseo se passano le requisizioni. Singur e Nandigram sono terre fertilissime che danno dai tre ai cinque raccolti l’anno, di vari prodotti. Le terre che essi potrebbero acquistare in alternativa, con molta verosimiglianza non potranno essere della stessa qualità, sia per la crescente scarsità di terre da mettere a coltura (se non a costi esorbitanti), sia per la spinta speculativa del prezzo dei terreni dovuta alla riconversione della loro destinazione d’uso. Inoltre la maggior parte dei contadini non può nemmeno esibire un titolo di proprietà: le donne, innanzitutto, pur potendo per legge ereditare, sono solitamente costrette dai pregiudizi patriarcali della loro società a rinunciare a favore dei membri maschi della famiglia; poi i braccianti, che ovviamente non hanno nessun titolo di proprietà, così come i fittavoli e i mezzadri. Senza contare i proprietari non registrati a causa delle lacune del catasto indiano e chi si guadagna da vivere con le attività ancillari, come il piccolo artigianato e il piccolo commercio. Decine di migliaia di famiglie vedono perciò come destino più probabile quello di andare a ingrossare le baraccopoli di Calcutta e delle altre grandi città indiane. Le ricadute occupazionali dei nuovi insediamenti industriali sono ben esemplificate dalle recenti dichiarazioni di Debasis Ray, responsabile comunicazioni della Tata Motors, riguardo alle possibili assunzioni alla Tata di Singur dei contadini rimasti disoccupati a causa dell’esproprio: "Per ora non siamo in grado di fare promesse, ma di sicuro alcune persone di quell’area potranno essere assunte".
Lo scorso novembre il Cpm decide che deve a tutti i costi ‘risolvere’ la questione Nandigram. Dopo alcune riunioni interne dove si lanciano gli slogan ‘uccidi o vieni ucciso’, ‘noi o loro’, il partito invia le sue squadracce alla riconquista dei villaggi di Nandigram. Nessuno ancora sa cosa sia successo. A lungo è stato impedito ai giornalisti di accedere alla zona. I pochi che ci sono riusciti hanno letteralmente testimoniato che "c’era sangue da tutte le parti". Alla fine, per sedare gli scontri, il governo federale ha deciso di inviare la Central Reserve Police Force, che peraltro si è lamentata della non collaborazione della polizia locale. Gli attivisti del Comitato di resistenza contro lo sfratto dalle terre non osano tornare nelle loro case per paura di ritorsioni. E come al solito la violenza sulle donne si è rivelata una pratica regolare. Nandigram è ‘riconquistata’. Ma ormai il danno politico per il Cpm e il Left Front è fatto. Il 14 novembre 2007, Calcutta ha ospitato un’enorme manifestazione di protesta di intellettuali, registi, scrittori, commediografi, docenti, cioè di quella intellighenzia progressista che fin dai tempi del Raj britannico contraddistingue la capitale del Bengala come la città-laboratorio dell’India intera.
L’India contemporanea ci viene presentata in continuazione come un’occasione da non perdere per i nostri investimenti industriali, commerciali, finanziari e nei servizi. Assieme alla Cina, l’India è il paese in cui tuffarci per condividere assieme alla sua dominante classe media le gioie di un crescente sviluppo che in Occidente invece ristagna. Per molti versi è così. E tuttavia il quadro è largamente incompleto e parziale. Se la classe media indiana rappresenta circa 270 milioni di persone, le statistiche ufficiali del 2007 parlano di 836 milioni di persone che vivono con meno di mezzo dollaro al giorno. Lo sviluppo indiano, come avviene in tutto il mondo, è fortemente polarizzato, disarticola assetti sociali, mina le possibilità di esistenza di milioni di persone, spreca risorse, foreste, acqua, terreno agricolo. In una società dove la maggioranza della popolazione vive di agricoltura, i piani di conversione di milioni di acri ad usi non agricoli (impianti industriali, strade, infrastrutture, edilizia) saldano la devastazione del territorio a quella sociale per la gloria di uno sviluppo di cui beneficeranno i pochi e che emarginerà i molti. Questi piani sono parte di una guerra di ‘autocolonializzazione’, come è stata definita recentemente dalla scrittrice Arundhati Roy. Una guerra che non può più essere messa sotto silenzi. Nel Bengala Occidentale, il 2007 è stato caratterizzato da un violento conflitto tra contadini e governo del Left Front (Fronte delle Sinistre), capeggiato dal Partito comunista indiano, che ha ammesso esplicitamente di considerare conclusa la stagione delle riforme agrarie e di puntare tutto, in chiave capitalistica, su industrializzazione e terziario. Una chiave per cui l’agricoltura contadina è vista come una sorta di residuo semifeudale destinato a scomparire, con le buone o con le cattive. E le cattive significano bastonate, sevizie, stupri e massacri.
E in Italia, coinvolta in questa vicenda tramite la Fiat, cosa si dice di queste violenze? Silenzio assoluto. Il responsabile comunicazione del gruppo Fiat, sollecitato ad esprimersi sui fatti di Singur, ha risposto: "Da dove arrivano (le auto) e come vengono fatte non ci riguarda". Possiamo azzardare che questa dichiarazione non sembra proprio in linea con gli impegni di ‘responsabilità sociale’ sottoscritti dalla Fiat. Ma in Italia si ragiona per sillogismi: denunciare e criticare il governo del Bengala Occidentale vuol dire criticare i nostri investimenti e accordi di business bengalesi. Criticare i nostri investimenti e accordi di business bengalesi, vuol dire criticare la politica del nostro establishment economico e del governo. Conclusione: non si può fare. Semplicemente non c’è lo spazio per farlo.
Da noi deve andar di moda la ‘Shining India’, quella del boom economico, quella del software avanzato. Da noi deve farsi strada l’idea di un’India con cui concludere affari o anche accordi culturali che tengano però alla larga le decine di migliaia di intellettuali che protestano in nome della democrazia. D’altronde, non è forse l’India ‘la più grande democrazia del mondo’. E allora cosa c’é da protestare?Ci è richiesto di recepire unicamente un’immagine dell’India che, soprattutto, tenga ben lontano da noi lo spettro inquietante delle centinaia di milioni che non ce la fanno, delle donne stuprate e a cui tagliano i seni, delle decine di milioni di tribali con la vita devastata dagli espropri, dalle violenze e dalle miniere d’uranio a cielo aperto. Ma ciò che è più importante è evitare che le persone si accorgano che lo sviluppo indiano è lo specchio, non deformante ma fedele, della deformità del nostro stesso sviluppo.
Scritto per Peacereporter da Piero Pagliani

venerdì 20 febbraio 2009

Arundhati Roy: "Giustizia o guerra civile: la mia India a un bivio"

"Gli attivisti non si stancano, e io sono stanca"

«Il romanzo e il saggio sono come la sinistra e la destra del miocorpo. E io sto provando a essere ambidestra». Quasi un tormento per Arundhati Roy che ha messo il rapporto tra potere e impotenza al centro di ogni forma di scrittura. Il dio delle piccole cose, bestseller internazionale e Booker Prize nel 1997 da lei definito «un romanzo politico», è rimasto la sua prima e unica opera di narrativa. Da allora la scrittrice indiana è diventata la voce dei senza voce. Cortei, sit-in, scioperi della fame e tanti saggi.
Ha così incanalato la sua energia creativa in impegno militante, denunciando soprusi e ingiustizie: dalle grandi dighe sul fiume Narmada, che hanno lasciato senza terra milioni di contadini, alle persecuzioni dei musulmani per la «deriva fascista» dei fondamentalisti indù. Per anni è stata una scelta: «Nel mio caso la narrativa scaturisce senza sforzo. Il saggio invece nasce con fatica dal mondo dolente e spezzato in cui mi sveglio ogni mattina» scriveva nel 2002 in Settembre alle porte. Oggi però le cose sono cambiate: «Sto cercando di scrivere il mio secondo romanzo, ma non è facile», ammette dalla sua casa di New Delhi. Una frase che rivela la fatica che sta facendo a indossare di nuovo i panni della narratrice. Già due anni fa aveva confessato al Guardian: «Ho detto tutto quello che potevo sulla globalizzazione, come scrittrice devo andare in un posto diverso». Ma il «trasloco» non è ancora riuscito. Da qualche tempo va ripetendo: «Non sono un’attivista. Gli attivisti non si stancano mai, mentre io sono esausta».
Eppure fino alla scorsa settimana, per San Valentino, era in prima linea al fianco di studenti e docenti universitari a una manifestazione contro le ronde moralizzatrici dei fondamentalisti indù che a gennaio hanno aggredito alcune ragazze in un discopub di Mangalore, accusandole di «comportamenti osceni», atti contro le tradizioni indiane, segnali indecenti della contaminazione occidentale. «Una guerra di classe combattuta sul corpo delle donne» l’ha definita Roy. La scrittrice, un’infanzia di esclusione sociale alle spalle (è cresciuta nel Kerala con la madre divorziata), ha preso la parola leggendo un brano del Dio delle piccole cose, saga familiare che la passione di una donna per un intoccabile trasforma in tragedia. «Sono fuggita da casa a 16 anni perché era intollerabile l’idea di crescere in un piccolo villaggio — ha ricordato alla folla con il microfono in mano, il corpo minuto e aggraziato che sprigiona carisma, qualche filo grigio ad accennare ai suoi 47 anni portati da ragazzina —. Sono fuggita per essere felice, libera, loro vogliono toglierci l’aria e impedirci di respirare. Dobbiamo reclamare l’aria, dobbiamo farlo ogni giorno».
E lei continua a farlo. «Scrivere saggi è soltanto un altro modo di capire la società in cui viviamo. Più diretto, pressante, a volte molto importante, soprattutto se vivi in una parte del mondo che sta sbandando verso il fascismo sotto i tuoi occhi». Ma Roy non considera la lotta per i diritti umani una prerogativa degli intellettuali. «Non prescriverei mai un ruolo prefissato agli scrittori: come gli idraulici o i meccanici, non sono un gruppo omogeneo con un unico orientamento culturale. Alcuni lavorano stando dalla parte dei governanti, altri dalla parte dei governati. Così pure per attori, giornalisti, sportivi, musicisti e tutti gli altri». Poi sembra distinguere tra sostenitori di una causa e testimonial: «Non credo che intervenire in una situazione politica come scrittore equivalga a sfruttare la propria fama per sostenere qualche particolare tipo di rivoluzione. Non si tratta di usare la propria celebrità ma di fare il proprio lavoro: guardarsi intorno. Vedere. Pensare. Scrivere». Ma lei stessa ammette che non tutti gli sguardi sono innocenti. Per esempio Maximum City dell’indiano Suketu Metha contiene un passo in cui lo scrittore osserva le torture della polizia. «Mi ha disturbato la facilità con cui l’autore è andato in una stanza per le torture con un poliziotto amico e ha descritto quello che accadeva. Guardare la tortura non è un atto neutrale. Non si può essere spettatori, si diventa complici».
Apprezza invece La tigre bianca di Aravind Adiga, Booker Prize l’anno scorso, che racconta il lato meno scintillante della rivoluzione indiana: «Il romanzo è stato accolto in India con molta rabbia. La cosa buona è che fa sentire a disagio chi deve essere messo a disagio». Giudizio più sfumato per The Millionaire dello scozzese Danny Boyle, tra i favoriti agli Oscar: «Ho visto il film, mi è sembrato girato in modo splendido, ha un grande impatto. Per il resto è stato come percorrere una strada accidentata. C’erano enormi buche culturali in cui il film continuamente inciampava. I dialoghi erano imbarazzanti, cosa che mi ha sorpreso perché invece ho apprezzato The Full Monty», dello stesso sceneggiatore, Simon Beaufoy. Poi racconta una di queste buche: «Il giovane protagonista, il "cane dello slum" di Mumbai (lo "Slumdog" del titolo inglese, il pezzente, è un neologismo coniato, pare, dallo stesso Beaufoy, ndr), è chiaramente britannico. E la sua sicurezza culturale intimidiva il poliziotto, chiaramente indiano, che lo stava torturando. La pelle scura che li accomuna è troppo sottile per nascondere la forma di quello che li separa. Era come guardare i bambini neri di uno slum di Chicago parlare con l’accento di Yale». Roy ha provato sentimenti ambivalenti: «Felice che il film sgonfi il mito dell’"India scintillante", delusa che non lo faccia con il brio e la coscienza politica che il regista e lo sceneggiatore hanno mostrato in altri lavori. Ma ovviamente l’audience internazionale trangugia il film come melassa...».
Diventare milionari vincendo a un quiz non è una forma di riscatto esemplare. Ma lei stessa ha riconosciuto che pure il tipo di protesta non violenta a cui ha aderito per oltre un decennio è fallita. E ora non se la sente più di condannare del tutto le persone che imbracciano le armi per far valere i propri diritti. La battaglia resta da combattere; come, non è chiaro. «C’è un grande dibattito in India su questo, la strada è ancora da trovare». Una cosa è certa: la sua India è a un bivio: «Da una parte la freccia indica Giustizia, dall’altra Guerra civile». Speranze per le prossime elezioni, ad aprile? «Le elezioni qui sono come un festival — dice —. Vanno e vengono senza portare molti cambiamenti. L’unico modo per evitare che la nostra società scivoli nel caos è che il governo garantisca un livello minimo di trasparenza. Oggi certe persone sanno che possono permettersi tutto: stupri, omicidi di massa, frodi pesanti, espropriazioni, la distruzione di foreste e fiumi».
E pure le cause dell’attentato di Mumbai sono soprattutto indiane, ribadisce. Anche dopo l’ammissione del Pakistan che l’attacco è stato in parte pianificato sul suo territorio con l’appoggio di una rete globale. «Non mi stupisco. Identificare la provenienza di un attentato terroristico è come identificare la provenienza del capitale. Del resto, la stessa polizia di Mumbai ha ammesso che gli attentatori hanno avuto un appoggio logistico in India. Gli attacchi sono nati da una particolare storia e sono stati gli ultimi di una serie, di cui molti, secondo i servizi segreti, pianificati ed eseguiti qui in India. Presentarli come una sorta di attacco al Paese buono da parte del Paese cattivo è banale». Lei, che definisce il terrorismo come «la privatizzazione della guerra», e ha chiamato George Bush e la sua risposta al Terrore come «l’incarnazione di un incubo mondiale», ora spera in Obama. «Il suo compito non è diverso da quello del pilota che pochi giorni fa ha dovuto fare un atterraggio di emergenza nell’Hudson a New York — dice —. Anche l’impero americano ha bisogno di un atterraggio d’emergenza morbido. La sua politica estera dovrà cambiare e molti dei suoi cambiamenti saranno dettati dalla sua economia debole. Obama sembra avere il garbo e l’intelligenza per fare un buon lavoro. Però sono stata delusa perché non ha avuto il coraggio di condannare la recente violenza di Israele a Gaza».
Alessandra Muglia
Articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 20.02.09

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!