giovedì 18 giugno 2009

Incontro Continentale Americano contro l’Impunità


Da tutto il continente si riuniranno in territorio zapatista
Caracol di Morelia – Chiapas 20 e 21 giugno 2009

In Messico come in tutto il continente americano gli episodi di impunità segnano la storia. L’impunità non solo verso il passato ma anche impunità totale contro la quotidiana violenza che si esercita contro i singoli, le organizzazioni sociali e i movimenti.
In Messico in particolare all’interno del clima di militarizzazione del paese sostenuto dal dispiegarsi della cosiddetta “guerra al narcotraffico” e acuito dall’emergenza sanitaria, la vicenda di San Sebastian Bachajon, la detenzione che continua dei prigionieri di Atenco, i continui episodi di repressione contro gli zapatisti e la Otra campana dimostrano quanto generale sia la chiusura di spazi di democrazia.
Per denunciare e discutere di questa inaccettabile situazione il 20 e 21 giugno si svolgerà nel Caracol zapatista di Morelia l'Incontro Continentale contro l'impunità.

L'Associazione Ya Basta seguirà l'evento in collaborazione con Global Project.
La commissione di organizzazione dell'Incontro Continentale Americano contro l'impunità nel suo primo comunicato aveva indicato le formule per la partecipazione.
Nel secondo comunicato ha reso noto la partecipazione di delegazioni provenienti da 16 paesi,
il programma delle attività che inizieranno il 20 giugno alla mattina ela messa in onda on line dell'evento

mercoledì 17 giugno 2009

In Iran si muore per la democrazia. Fermiamo la repressione, pretendiamo la libertà


Occupazione del Padiglione Iraniano alla Biennale di Venezia
Irruzione di un gruppo di attivisti all'interno del padiglione iraniano alla Biennale di Venezia. Appeso uno striscione con la scritta "hope for the future? Freedom for Iran now!".


“FREEDOM FOR IRAN NOW”. È questa la nuova insegna del padiglione iraniano alla 53^ Biennale d'arte di Venezia dopo che questa mattina un gruppo di attivisti dei centri sociali lo hanno occupato per protestare contro la terribile violenza dispiegata dal “regime” Ahmadinejad nel reprimere le proteste di questi giorni. Verso le undici di questa mattina una ventina di attivisti del S.a.L.E. hanno fatto irruzione nel palazzetto veneziano in campo San Samuele, si sono arrampicati sui balconi, ed hanno sostituito il banner d'ingresso.
“Sette manifestanti morti, decine di arresti, centinaia di feriti, irruzioni nelle università e negli ospedali non possono lasciarci indifferenti”, hanno gridato i ragazzi mentre volantinavano ai passanti ed ai visitatori. “Ciò che accade in Iran ci segnala un'urgenza di libertà e di giustizia (a partire dai diritti civili, politici e sociali fino alla distribuzione della ricchezza ricavata dal petrolio) da parte di quei soggetti più colpiti dalle politiche autoritarie: studenti e donne in primis. L'Iran che chiede una rivoluzione è quello che ha saputo sopperire all'oscuramento della stampa ufficiale attraverso l'uso di internet, dei telefoni cellulari e di tutte quelle tecnologie che ci stanno restituendo un punto di vista partecipe di questi momenti importanti e drammatici”.
“Noi siamo, oggi, a fianco delle donne iraniane, degli studenti, dei bloggers e di tutti coloro che, proprio ora, stanno rischiando la vita, non in nome di una bandiera o di una religione, ma perché pensano che ne valga la pena se la posta in gioco è la liberazione dei propri desideri, dei propri corpi e dei propri pensieri” si legge nel loro volantino.

Comunicato dell'iniziativa dell'occupazione del Padiglione Iraniano

Le notizie parlano, finora, di sette manifestanti uccisi dalla polizia di Ahmadinejad, di centinaia di feriti, di arresti e di raid all'interno di ospedali e università. Ciò che accade in Iran non può lasciarci indifferenti.La contestata rielezione del presidente in carica sta dando vita ad un livello di repressione che smaschera il carattere autoritario di un regime conservatore e teocratico. Dall'altra parte, la popolazione iraniana sta dimostrando, con coraggio e determinazione, la propria fame di libertà.I milioni di cittadini e cittadine, “l'onda verde” che si riversa nelle strade di Teheran, ci parla non soltanto della necessità di un cambio al vertice della politica iraniana, ma, soprattutto, ci segnala un'urgenza di libertà e di giustizia (a partire dai diritti civili, fino alla distribuzione delle ricchezze petrolifere) da parte di quei soggetti più colpiti dalle politiche autoritarie: studenti e donne in primis. L'Iran che chiede una rivoluzione è quello che ha saputo sopperire all'oscuramento della stampa ufficiale attraverso l'uso di internet, dei telefoni cellulari e di tutte quelle tecnologie che ci stanno restituendo un punto di vista partecipe di questi momenti importanti e drammatici. Noi siamo, oggi, a fianco delle donne iraniane, degli studenti, dei bloggers e di tutti coloro che, proprio ora, stanno rischiando la vita, non in nome di una bandiera o di una religione, ma perché pensano che ne valga la pena se la posta in gioco è la liberazione dei propri desideri, dei propri corpi e dei propri pensieri.

Congresso della società democratica - Kurdi, Yezidi e Aleviti uniti nella richiesta di una Costituzione Civile


Al terzo Congresso della Società Democratica tenutosi a Diyarbakir, i delegati hanno chiesto Pace e cambiamenti alla Costituzione.
Il Congresso della Società Democratica, tenutosi per due giorni a Diyarbakir, la maggiore città kurda del sud-est della Turchia, si è concluso con una dichiarazione finale.
Era il terzo congresso di questo genere che ha visto la partecipazione di 600 delegati, molti dei quali appartenenti ai partiti politici kurdi.

Appello a porre fine alle operazioni
Hatip Dicle, l’ex segretario del Partito Democratico (DEP) e deputato eletto a Diyarbakir per il partito filo-kurdo DTP (Partito della società democratica) ha detto tramite una dichiarazione letta a Kosuvolu Park che il cessate il fuoco unilaterale dichiarato dal Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) è un’opportunità importantissima. E ha chiamato lo Stato e il Governo a porre immediatamente fine alle operazioni militari.
Almeno 10mila persone hanno preso parte alla Marcia della Pace che si è tenuta prima della dichiarazione, gridando slogan di sostegno a favore di Abdullah Ocalan e ballando le danze popolari. Dicle ha detto che il congresso è stato l’occasione per elaborare una “dettagliata mappa” per un processo di pace.
I delegati del Congresso hanno fatto appello affinché venga stilata una Costituzione civile che elimini ogni discriminazione di lingua, cultura e identità nei confronti dei kurdi e delle altre popolazioni, così come la fine di ogni forma di ostruzionismo alla politica democratica.
Al Congresso ha preso parte Ahmet Turk presidente del DTP, i deputati del partito e i 98 sindaci, il rappresentante siriano Yakup Gabriel, l’ex Ministro Adnan Erkmen, Ahmet Guvener rappresentante della Chiesa protestante di Diyarbakir, Feyzullah Deniz della famiglia dello Shaikh Said, leader dell’importante rivolta kurda del 1925, Kemal Bulbul dell’Unione delle Federazioni Alevite, Ibrahim Biro rappresentante degli yezidi, il fratello di Abdullah Ocalan, il sig. Mehmet Ocalan, ex deputati, accademici, artisti e scrittori.
Non hanno invece partecipato i membri del Partito dei diritti e delle libertà (HAK-PAR) e del Partito della Democrazia Partecipata (KADEP) che erano stati invitati.

Serve più coraggio
Parlando all’apertura del Congresso, Ahmet Turk ha detto “Non sono i kurdi ad avere in mano la chiave che risolve il problema” e ha criticato il Governo per la mancanza di “approcci coraggiosi”.
Sottolineando che i kurdi stanno insistendo per una soluzione pacifica della Questione kurda, egli ha anche affermato che i kurdi sono stati trattati come terroristi dall’opinione pubblica nazionale ed internazionale.
Un resoconto con i suggerimenti per una soluzione della questione kurda sarà consegnato al Presidente Abdullah Gül, ai partiti politici e alle NGOs. (EZÖ/EK/AG)

Perù, l'ordine di Alan Gargia era uccidere gli indigeni


La resistenza degli indigeni ha obbligato il governo di Lima a fermare e derogare i decreti che permettevano alle multinazionali di spogliare l’Amazzonia che dovranno essere riesaminati in Parlamento a Lima. Il tempo e la tenacia dei popoli originari diranno se è un diversivo neoliberale, una semplice tregua per dirottare l’attenzione internazionale (poca ma combattiva) oppure l’inizio di una vittoria storica di chi difende la biodiversità dell’Amazzonia. Intanto, secondo l’indigeno awajún Salomón Aguanash, testimone diretto delle stragi, intervistato da IPS, l’ordine di Alan García era sparare per uccidere. Così, all’alba del 5 giugno, quando tre elicotteri MI-17 dell’esercito hanno aperto il fuoco su 3.500 indigeni che bloccavano la strada che collega la selva alla costa Nord, è iniziato il massacro in Amazzonia. Al termine dell’incursione sul terreno gli indigeni contavano almeno 25 morti e un centinaio di feriti ma erano più che mai disposti a resistere fino alla vittoria. I dati sulle violenze successive continuano ad essere contraddittori. Secondo fonti inconciliabili, il governo e gli indigeni, ci sarebbero 23 poliziotti morti da una parte e almeno 50-60 indigeni uccisi e fino a 400 desaparecidos dall’altra. Il presidente del Consiglio dei Ministri peruviano (in Perù, nonostante il sistema presidenziale, esiste tale figura) Yehude Simón, ha annunciato che il governo di Alan García si è impegnato a trattare con gli indigeni e revisionare in parlamento entro il prossimo 18 giugno i decreti sullo sfruttamento delle risorse naturali, forestali e idriche che hanno provocato la ribellione in Amazzonia e alle quali il governo è obbligato dal Trattato di libero commercio con gli Stati Uniti. Il nuovo portavoce del coordinamento indigeno dell’AIDESEP, che rappresenta 300.000 persone di 1.300 comunità, Daysi Zapata (Alberto Pizango è ancora nell’Ambasciata del Nicaragua a Lima dove ha chiesto asilo politico) si dimostra scettico: “Più che promesse dobbiamo vedere fatti concreti. Notiamo però che il governo fa adesso, con almeno 60 morti sulla coscienza, quello che noi avevamo chiesto da marzo”.Intanto è alta la polemica a Lima per le parole del presidente boliviano Evo Morales per il quale quello in corso in Perù è “un massacro voluto dal Trattato di libero commercio con gli Stati Uniti”, particolarmente punitivo per gli interessi del paese andino. “Quello che succede in Perù –ha sostenuto Morales- da noi in Bolivia non potrebbe succedere perché la nostra Costituzione obbliga alla consultazione con i nativi. In Perù invece il TLC consegna la selva amazzonica alle multinazionali che commettono un vero e proprio genocidio in America latina”. Il governo di Alan García, che ha affermato di considerare gli indios “cittadini di serie B”, gli ambientalisti il vero nemico del XXI secolo e considera i fatti di queste settimane frutto di un complotto internazionale orchestrato da La Paz e Caracas, ha concesso di recente asilo politico a tre ministri del governo di Gonzalo Sánchez de Lozada, accusati di aver assassinato più di 70 indigeni boliviani nella cosiddetta “guerra del gas” del 2003 e all’esponente dell’opposizione venezuelana Manuel Rosales sulla testa del quale pende un mandato di cattura internazionale spiccato dall’Interpol per decine di accuse di corruzione.

Gennaro Carotenuto

Sale la tensione in Iran


collegamento da Teheran con Omid Firouzi - ricercatore Università di Urbino

A Tehran nonostante le indicazioni di non scendere in piazza, in migliaia hanno continuato a manifestare assumendo forme nuove di protesta.
Una composizione traversale dagli studenti alle donne. In piazza non solo contro il dato elettorale, ma mobilitazioni che mettono in crisi la politica di questi ultimi anni.
Il governo sta tentando i bloccare i flussi comunicativi. Retate e perquisizioni sono all’ordine del giorno. Il territorio è militarizzato. Nonostante i tentativi repressivi le proteste continuano.
Ascolta il contributo su Global Project

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!