I giovani che sono morti o feriti a Suruç avevano
un unico scopo: andare a Kobanê e unirsi alla ricostruzione della città.
La Federazione della gioventù socialista (SGDF) aveva scritto un
comunicato stampa prima di andare a Suruç.
Da un mese i giovani si
stavano preparando per partire con un’azione pubblica.
I residenti di Suruç e i rappresentanti delle organizzazioni non
governative hanno accolto i giovani a Suruç.
Si sono incontrati con il
governatore distrettuale e gli hanno detto che volevano andare a Kobanê.
Il Governatore Distrettuale però li ha fatti aspettare dicendo che solo
pochi di loro potevano attraversare il confine, ponendosi in contrasto
con tutto il gruppo.
Il sanguinoso attacco di Suruç è avvenuto dopo la conferenza stampa
nel centro culturale Amara, in risposta alla risposta negativa del
governatore distrettuale.
Bisogna fare le seguenti domande per quanto riguarda l’attacco:
1- La polizia ha fermato tutti i giovani che si stavano dirigendo ad
Amara.
Il posto di blocco della polizia era a 200 metri di distanza da
Amara, la polizia avrebbe potuto fare il posto di controllo più vicino
al centro culturale.
La polizia ha fatto il posto di blocco a 200 metri
di distanza da Amara, in modo da non essere coinvolta dall’esplosione?
2- Come ha fatto la kamikaze dell'ISIS ad entrare nel centro culturale
dove la polizia ha perquisito ogni notebook, macchina fotografica e
anche le matite dei giovani massacrati?
3- Come è potuto succedere che i sevizi di intelligence turchi, che
sorvegliano Suruç compreso il valico di confine di Mürşitpınar, non
sono riusciti a "vedere" la cellula dell’ ISIS?
4- Come è possibile che la polizia non ha identificato la cellula
dell’ISIS nonostante il fatto che Amara è vicino ad una stazione di
polizia?
5- Perché la polizia ha attaccato i civili che portavano i feriti in
ospedale? È perché volevano lasciare i feriti a morire così?
6- Ci sono molte cellule ISIS intorno a Suruç? Lo stato a conosce queste cellule?
7- Perché i corpi sono stati esaminati all’obitorio di Antep invece che a Urfa? Cosa stanno cercando di nascondere?
8- Non ci sono dichiarazioni di testimoni ma si sostiene che ci sono
stati due attentatori, un uomo che ha fatto esplodere la bomba e una
donna, la donna è ferita e sotto custodia della polizia attualmente. Chi è
l’attentatrice nata nel 1995 a Sivas, che è tenuta sotto custodia dalla
polizia? Perché i funzionari non vogliono fare dichiarazioni su questo?
Lo stato turco non risponde a queste domande.
Molte persone avevano previsto questo attacco, dopo la liberazione
del YPG di Gire Spi (Tel Abyad).
Come i filmati delle telecamere hanno
confermato, l’ISIS è fuggito da Gire Spi ed è passato ad Akçakale
liberamente e felicemente.
Poco dopo, Dicle News Agency e altri media
indipendenti hanno documentato la sede ISIS ad Akçakale. Diha ha anche
riferito che si è formata una cellula ISIS a Ceylanpınar due giorni
fa.
Gire Spi è stata una sconfitta pesante per l’AKP e ISIS perché la
loro logistica era organizzata attraverso questo confine.
I funzionari
dell’AKP hanno dimostrato il loro malcontento per la liberazione di Gire
spi pubblicamente e Erdogan ha dichiarato che "non sarebbero stati a
guardare".
Ora stanno cercando di vendicare la liberazione di Gire Spi
nel Nord Kurdistan.
Quando ISIS è stato sconfitto in Rojava, hanno
portato la guerra da questa parte del confine. Stanno ripetendo
l’attacco di Kobanê del 25 giugno a Suruç, Urfa e Diyarbakir.
Il brutale
massacro di Suruç prende di mira il modello di vita democratica e
libera sviluppato in Rojava e i solidali con il movimento di liberazione
curda.
Siamo in una situazione pericolosa per come Erdogan e il suo Akp
stanno alimentando l’odio sia dopo la sconfitta in Rojava che dopo le
elezioni.
Non possiamo fare appello ai tiranni perchè lo Stato non
protegge i civili e le istituzioni da ISIS. Lo Stato protegge e tollera ISIS.
Tale situazione rende l’autodifesa più fondamentale che mai.
Come possiamo organizzare la nostra auto-difesa?
1- La legittima difesa è un problema serio e importante. Dovremo
organizzarla sistematicamente e senza panico e senza fare affidamento
sullo stato.
2- Non dobbiamo lasciare la sicurezza nelle mani degli agenti di
polizia con azioni collettive nelle città di confine, nonché centri
urbani come Amed. È più probabile che ISIS attacchi le aree in cui vi è
una presenza di polizia più alta.
I civili a centinaia possono formare
comitati di sicurezza per l’auto-difesa.
3- Ci sarà pericolo sino a quando esisteranno cellule ISIS.
Pertanto, i giovani dovrebbero prendere l’iniziativa ed eliminare le
cellule ISIS che operano sotto false spoglie di organizzazioni
umanitarie o riviste.
4- Le organizzazioni non governative, i politici democratici, i
parlamentari e la stampa dovrebbero prendere posizione per quanto
riguarda la sede ISIS nella casa colonica Tigem in Akçakale.
Parlamentari e ONG dovrebbero chiarire perché Tigem è chiusa ai civili.
di Amed Dicle
martedì 21 luglio 2015
lunedì 20 luglio 2015
Kurdistan - Decine di morti e feriti a Suruç e Kobane
Il co-presidente del DBP (Partito democratico) delle regioni di Urfa İsmail Kaplan ha dichiarato che un attacco suicida ha causato un’esplosione a Suruç, distretto di Urfa, che ha preso di mira circa 300 membri della Federazione delle associazioni della gioventù socialista prima del loro trasferimento a Kobanê.
Kaplan ha dichiarato che, secondo un rapporto iniziale, oltre 50 persone hanno perso la vita e decine sono rimaste ferite.
L’esplosione si è verificata nel giardino del Centro culturale Amara dove i giovani si trovavano dal loro arrivo ieri nel distretto.
I giovani si erano radunati nel giardino per rilasciare un comunicato alla stampa prima di recarsi a Kobanê.
Il giardino del centro culturale si è trasformato in un bagno di sangue dopo l’esplosione a causa di corpi dei giovani sparsi a pezzi.
Le ambulanze sono accorse sul posto per trasportare i feriti negli ospedali. I corpi delle vittime rimangono in giardino.
Dopo 45 minuti dell’attacco di Suruc un’altra esplosione a Kobane davanti all' Asayis di Kobane. Un giornalista ha detto che 3 membri di Asayis hanno perso la vita e che ci sono feriti.
Gli attacchi sono avvenuti dopo la dichiarazione di Erdogan e Bulent Arinc che ha detto "non li aspettano giorni migliori".
sabato 18 luglio 2015
Kurdistan - YPG: “Lottiamo per una Siria libera e democratica, completata con successo l’operazione.
Il comandante generale dello YPG (Unità di
protezione del popolo) ha annunciato che l’operazione denominata
Comandante Rubar Qamishlo, lanciata il 6 maggio contro l’Isis, è
terminata con successo.
Questa operazione ha permesso di unire i due cantoni Kobane e Cizire e di liberare le città di Tal Abyad e Eyn Isa.
In meno di tre mesi sono inoltre stati uccisi 1472 jihadisti del Califfato.
La notizia è stata data in un comunicato stampa a Qamishlo da Sozdar Derik, comandante generale dello YPG.
Questa operazione ha inoltre permesso di liberare centinaia di villaggi e decine di città, cacciando gli uomini dell’Isis da un’area di circa 11mila chilometri quadrati.
Il comandante generale Derik ha sottolineato come la liberazione di Tal Abyad sia stata la maggior vittoria dello YPG contro l’Isis. In toltale sono stati uccisi 1472 jihadisti e ne sono stati catturati 647. Nelle operazioni hanno perso la vita anche 139 combattenti dello YPG.
“Ai nostri compagni che sono caduti nelle operazioni abbiamo promesso che saremmo andati avanti con determinazione e coraggio – ha detto Derik – fino a quando non arriveremo a costruire una Siria libera, democratica e pluralistica”.
Questa operazione ha permesso di unire i due cantoni Kobane e Cizire e di liberare le città di Tal Abyad e Eyn Isa.
In meno di tre mesi sono inoltre stati uccisi 1472 jihadisti del Califfato.
La notizia è stata data in un comunicato stampa a Qamishlo da Sozdar Derik, comandante generale dello YPG.
Questa operazione ha inoltre permesso di liberare centinaia di villaggi e decine di città, cacciando gli uomini dell’Isis da un’area di circa 11mila chilometri quadrati.
Il comandante generale Derik ha sottolineato come la liberazione di Tal Abyad sia stata la maggior vittoria dello YPG contro l’Isis. In toltale sono stati uccisi 1472 jihadisti e ne sono stati catturati 647. Nelle operazioni hanno perso la vita anche 139 combattenti dello YPG.
“Ai nostri compagni che sono caduti nelle operazioni abbiamo promesso che saremmo andati avanti con determinazione e coraggio – ha detto Derik – fino a quando non arriveremo a costruire una Siria libera, democratica e pluralistica”.
giovedì 16 luglio 2015
Iran - I diritti negati ai curdi in Iran
“Ci sono dodici milioni di curdi in Iran che sono
costretti a vivere in condizioni molto difficili, sia per quanto
riguarda l’aspetto economico che quello dei diritti umani. Sono
impegnati solo in mestieri umili, quelli che riescono a trovare un
impiego. Molti lavorano la terra e sono impiegati nelle campagne ma
pensare di fare carriera o occupare posti di rilievo è impensabile.
Il PJAK (Free Life Party of Kurdistan) è l’unica forza politica che è impegnata nel difendere i diritti dei curdi, ma naturalmente è un partito illegale. La Repubblica Islamica giudica tutti coloro che portano avanti le vertenze dei curdi come dei traditori e questo implica che molti attivisti politici siano stati rinchiusi nelle carcere e sottoposti a torture. Chi viene giudicato un traditore viene giustiziato senza un giusto processo. Ci sono circa 1260 detenuti politici curdi in Iran.
Lo stesso rischio lo corrono anche tutti coloro che osano parlare di quest’argomento e mettere in discussione l’autorità. Ci sono anche molti giornalisti rinchiusi nelle galere iraniane anche solo perché hanno osato parlare di diritti umani negati. E non sono tutti necessariamente di origine curda. Chiunque anche solo osi mettere al centro certe questioni rischia non solo la reclusione ma addirittura la vita”.
A pronunciare queste parole è Shirzad Kamangar, tra gli uomini di spicco del partito curdo iraniano. Costretto all’esilio, vive la maggior parte del suo tempo a Bruxelles dove lo abbiamo incontrato.
Ma com’è la situazione di chi sceglie di lottare per i diritti in Iran?
“Chi ha scelto di fare politica è costretto a uscire dal Paese e questo implica l’impossibilità di rientrare perché messo piede sul suolo iraniano la conseguenza immediata sarebbe l’arresto. Il problema poi si presenta per i familiari che rimangono perché il governo impossibilitato ad arrestare chi vive all’estero e quindi se la prende con loro. Io sono stato in prigione diverse volte e dopo l’ultima volta ho scelto di abbandonare la mia terra e le persone a me care. Non potere rientrare è ovvio che è un dolore. Ma la cosa più difficile da accettare sono le ritorsione che subiscono i cari dei fuoriusciti. Mio fratello ad esempio era un insegnante di scuola elementare ed è stato arrestato e giustiziato dopo un processo sommario solo perché era mio fratello. Non era certo un attivista politico, eppure ha pagato con la vita il solo fatto di essere mio fratello”.
Che ruolo ha a tuo parere l’Iran con Is?
“Il ruolo dell’Iran nella questione Is è quello di supporto al Califfato. Chiaro che non lo dichiara apertamente ma è un fatto. Un po’ come fa la Turchia. Nessuno lo dice chiaramente ma la questione è per noi molto chiara. E non si tratta solo di una questione ideologica, ma anche pratica che però nessuno ha voglia di affrontare. Mi riferisco alla comunità internazionale. Il problema è anche che è molto complicato fare uscire notizie dall’Iran, impossibile poi anche solo fare un lavoro di inchiesta o di denuncia sulla questione. Credete sia possibile anche per un giornalista straniero, occidentale, entrare in Iran e raccogliere testimonianze sulla condizione dei curdi o sui rapporti di questa grande potenza e Daesh?
Chiunque anche solo volesse provarci, sarebbe immediatamente tacciato di attività spionistica. La conseguenza immediata sarebbe la carcerazione.”
Che prospettive ci sono secondo te per il futuro? “Quello che pensiamo come comunità curda intesa nella sua quasi totalità è che è sui diritti che dobbiamo concentrare la nostra battaglia. Per questo siamo uniti alla lotta in Rojava ma anche sostegno al partito turco curdo HDP che è una bella spina nel fianco di Erdogan. Diversa è la questione nel Kurdistan iracheno ma quelle sono problematiche interne alla nostra comunità e di più facile soluzione. Oggi dobbiamo essere tutti compatti per fare si che i curdi sparsi nei vari territori ottengano finalmente il rispetto non solo dei diritti umani ma anche sul piano della libertà di espressione. Senza il raggiungimento di questi elementi, il popolo curdo non sarà mai libero, che si trovi a vivere in Iran, in Turchia, in quel che rimane della Siria o in Iraq”.
di Ivan Compasso, Articolo21
Il PJAK (Free Life Party of Kurdistan) è l’unica forza politica che è impegnata nel difendere i diritti dei curdi, ma naturalmente è un partito illegale. La Repubblica Islamica giudica tutti coloro che portano avanti le vertenze dei curdi come dei traditori e questo implica che molti attivisti politici siano stati rinchiusi nelle carcere e sottoposti a torture. Chi viene giudicato un traditore viene giustiziato senza un giusto processo. Ci sono circa 1260 detenuti politici curdi in Iran.
Lo stesso rischio lo corrono anche tutti coloro che osano parlare di quest’argomento e mettere in discussione l’autorità. Ci sono anche molti giornalisti rinchiusi nelle galere iraniane anche solo perché hanno osato parlare di diritti umani negati. E non sono tutti necessariamente di origine curda. Chiunque anche solo osi mettere al centro certe questioni rischia non solo la reclusione ma addirittura la vita”.
A pronunciare queste parole è Shirzad Kamangar, tra gli uomini di spicco del partito curdo iraniano. Costretto all’esilio, vive la maggior parte del suo tempo a Bruxelles dove lo abbiamo incontrato.
Ma com’è la situazione di chi sceglie di lottare per i diritti in Iran?
“Chi ha scelto di fare politica è costretto a uscire dal Paese e questo implica l’impossibilità di rientrare perché messo piede sul suolo iraniano la conseguenza immediata sarebbe l’arresto. Il problema poi si presenta per i familiari che rimangono perché il governo impossibilitato ad arrestare chi vive all’estero e quindi se la prende con loro. Io sono stato in prigione diverse volte e dopo l’ultima volta ho scelto di abbandonare la mia terra e le persone a me care. Non potere rientrare è ovvio che è un dolore. Ma la cosa più difficile da accettare sono le ritorsione che subiscono i cari dei fuoriusciti. Mio fratello ad esempio era un insegnante di scuola elementare ed è stato arrestato e giustiziato dopo un processo sommario solo perché era mio fratello. Non era certo un attivista politico, eppure ha pagato con la vita il solo fatto di essere mio fratello”.
Che ruolo ha a tuo parere l’Iran con Is?
“Il ruolo dell’Iran nella questione Is è quello di supporto al Califfato. Chiaro che non lo dichiara apertamente ma è un fatto. Un po’ come fa la Turchia. Nessuno lo dice chiaramente ma la questione è per noi molto chiara. E non si tratta solo di una questione ideologica, ma anche pratica che però nessuno ha voglia di affrontare. Mi riferisco alla comunità internazionale. Il problema è anche che è molto complicato fare uscire notizie dall’Iran, impossibile poi anche solo fare un lavoro di inchiesta o di denuncia sulla questione. Credete sia possibile anche per un giornalista straniero, occidentale, entrare in Iran e raccogliere testimonianze sulla condizione dei curdi o sui rapporti di questa grande potenza e Daesh?
Chiunque anche solo volesse provarci, sarebbe immediatamente tacciato di attività spionistica. La conseguenza immediata sarebbe la carcerazione.”
Che prospettive ci sono secondo te per il futuro? “Quello che pensiamo come comunità curda intesa nella sua quasi totalità è che è sui diritti che dobbiamo concentrare la nostra battaglia. Per questo siamo uniti alla lotta in Rojava ma anche sostegno al partito turco curdo HDP che è una bella spina nel fianco di Erdogan. Diversa è la questione nel Kurdistan iracheno ma quelle sono problematiche interne alla nostra comunità e di più facile soluzione. Oggi dobbiamo essere tutti compatti per fare si che i curdi sparsi nei vari territori ottengano finalmente il rispetto non solo dei diritti umani ma anche sul piano della libertà di espressione. Senza il raggiungimento di questi elementi, il popolo curdo non sarà mai libero, che si trovi a vivere in Iran, in Turchia, in quel che rimane della Siria o in Iraq”.
di Ivan Compasso, Articolo21
sabato 4 luglio 2015
Kurdistan - Appello per la pace delle donne di Turchia
Le organizzazioni delle donne in Turchia
hanno rilasciato un comunicato congiunto dal titolo ”Noi insistiamo per
la pace” dichiarando che le donne manterranno la loro determinazione nel
lottare per la pace e hanno avvertito i politici e i media di non
presentare la guerra come un’alternativa alla risoluzione pacifica.
Le donne hanno ricordato il selvaggio
attacco a Kobanê del 25 giugno costato la vita a 230 civili, e hanno
affermato che il massacro ha creato un profondo dolore e rabbia; tuttavia
hanno rafforzato la volontà di lottare per la pace invece che
scomporsi.
Il comunicato delle donne ha attirato
l’attenzione sul fatto che l’attacco a Kobanê dimostra la preparazione
di un nuovo periodo di guerra e hanno dichiarato: ”Mentre vi è una guerra
al di fuori dei confini, diventa tutto più difficile sviluppare la pace
all’interno dei confini. Negli ultimi tre mesi il processo di pace è
giunto a una battuta d’arresto. Quando abbiamo pensato che è stato
raggiunto un consenso per la democratizzazione della Turchia e della
pace sociale, l’odio, ostilità e la rabbia sono diventati di nuovo parte
della vita quotidiana “.
Le donne hanno aggiunto che queste
politiche di guerra sono state sviluppate nonostante la maggioranza
della società nelle ultime elezioni politiche aveva chiesto la pace.
Chiamando in causa i politici le donne
hanno detto:”Mentre vi è un nuovo parlamento dove le differenze del
paese sono bene rappresentate,non portate la guerra e i bollettini di
guerra come soluzione di ogni problema” e hanno ricordato che un nuovo
governo non si è ancora costituito e dunque un governo temporaneo non
può assumere la decisione di guerra nel nome di milioni di persone.
Le donne hanno sottolineato che la
maggioranza della società alle elezioni ha votato per la pace,e perciò
il nuovo parlamento deve agire per sostenere la pace e hanno aggiunto
che prima che inizino i lavori ufficiali del nuovo parlamento,un vecchio
disegno di legge non può essere fatto sul terreno della guerra.
Le donne hanno anche chiesto agli organi
dei media di essere la voce della pace e per far prevalere il
giornalismo di pace e il linguaggio della pace.Le donne hanno anche
invitato tutte le donne ad insistere sulla pace e hanno dichiarato:
“Sappiamo tutti molto bene che cosa significa la guerra. Questo è il
motivo per cui dobbiamo insistere sulla pace. Diffondiamo la pace a
tutto il paese e gridiamo tutte ‘Siamo determinate per la pace”.
Il comunicato congiunto è stato
rilasciato su richiesta dell’Iniziativa delle donne per la pace e
sottoscritta dalle organizzazioni femministe, dai comitati delle
organizzazioni sindacali, gruppi di studentesse e altre organizzazioni
indipendenti delle donne.
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Più di 500, 40, 30, 20, 10 anni dopo
ALLERTA ROSSA E CHIUSURA CARACOLES
BOICOTTA TURCHIA
Viva EZLN
Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.
La lucha sigue!