domenica 8 maggio 2016

Messico - Dieci anni fa la mattanza di Atenco

di Claudio Dionesalvi 

Il macello c’era stato pochi giorni prima. Quella mattina di dieci anni fa, pur di entrare a San Salvador Atenco, a un’ora da Città del Messico, arrivammo alla spicciolata. Ci infilammo nei furgoni del trasporto locale, camuffati da campesinos, dividendoci a gruppetti per restare in incognito. Così riuscimmo a eludere la polizia politica messicana che fermava chiunque si avvicinasse. Entrando in città, fummo subito avviluppati da una sensazione di morte. Strade deserte, portoni delle case sfondate, carcasse d’animali, anziani con la testa china conficcata tra le mani rugose. Giunti nello zocalo, la gente del posto ci corse incontro, sommergendoci d’abbracci. Ci riempirono d’affetto. Eppure non ci eravamo mai incontrati prima. Donne e bambini sembravano scampati a un evento devastante, sopravvissuti a un’esplosione nucleare o a una calamità naturale. Ma erano loro ad accogliere, e noi a trovare riparo. Silvana e Loredana si misero a piangere. Quasi a voler esorcizzare il terrore, loro e le altre compagne presero a giocare con i bambini dagli occhi a mandorla.

Entrammo in un auditorium. Al tavolo erano seduti esponenti del Frente de Pueblos ed Defensa de la Tierra, il cui leader, Ignacio del Valle, era stato arrestato. Dal fondo della sala, alle nostre spalle, si udì un mormorio. Entrò un gruppetto di uomini a volto scoperto. Soltanto uno di loro indossava il passamontagna. Sarà stata forse l’emozione, per un istante ebbi la sensazione di vedergli volteggiare intorno uno scarabeo, un vecchio indigeno con la pipa, due bimbette dispettose e un pinguino. Prendevano vita nella realtà i personaggi delle sue fiabe e dei suoi racconti, anzi lo precedevano. Fu quella la prima volta che incontrai il Subcomandante Marcos. Una per una, strinse la mano alle donne e agli uomini della delegazione italiana, di cui facevo parte. Eravamo in Messico con l’associazione Ya Basta, sul piano della qualità umana e politica le persone migliori che io abbia incontrato in oltre 25 anni di cammino nei movimenti che vorrebbero capovolgere il mondo e costruirne un altro. II Sub impugnò il microfono e raccontò quel che era accaduto pochi giorni prima nel posto in cui ci trovavamo. Gli abitanti di Atenco lottavano contro la costruzione di un Wallmart al posto della piazza in cui da secoli si riunivano, vendevano frutta, fiori e ortaggi. E per protesta avevano eretto delle barricate. Ma un giorno irruppe la Polizia Federale Preventiva per rimuovere i blocchi. I superpoliziotti messicani caricarono, picchiarono, devastarono le case, uccisero un ragazzo, arrestarono decine di persone e le portarono via. Lungo il tragitto verso le carceri di Santiaguito e La Palma, fermarono le camionette sulle quali trasportavano i prigionieri. Avevano già in tasca i profilattici. Buttarono giù le donne e ne violentarono a decine. Ci finirono in mezzo anche due attiviste europee, una spagnola e una tedesca, che erano accorse ad Atenco, solidali con i manifestanti. Qualche giorno dopo, le due coraggiosissime ragazze denunciarono quanto era accaduto in conferenza stampa.

Al termine dell’incontro pubblico, trascorremmo un’intera giornata con gli abitanti della città. Ne uscimmo come eravamo entrati, dribblando controlli di polizia e spie disseminate intorno.

Quando un mese fa ho visto le immagini di quell’idiota ridens di Matteo Renzi che trionfante stringeva la mano del presidente messicano Enrique Pena Nieto e glorificava i rapporti commerciali tra i due Paesi, m’è venuta una voglia irresistibile di assestargli un pesante scappellotto in testa, uno di quelli che non oserei mai dare al più monello dei miei alunni. Idiota! Ha pure il coraggio di parlare dei diritti umani. È il migliore alleato dei peggiori regimi violenti.

Tutte le volte che ripenso ad Atenco, mi rendo conto di quanto sia tragica la lotta contro il neoliberismo. Tutte le volte che ripenso al Messico degli zapatisti e alla ribellione del popolo Maya, invidio il loro entusiasmo nel costruire un’alternativa concreta a questo mondo di merda, il loro amore per la dignità umana. Entusiasmo, amore e solidarietà non sono mai slegati dal conflitto con lo strapotere delle multinazionali. Tutte le volte che ripenso a quanto accadeva dieci anni fa in quell’angolo di mondo, mi viene in mente l’aggressione capitalista che l’acqua, l’aria e la terra nei Paesi del mediterraneo subiscono ogni giorno. Mi rincuora solo sapere che Silvana e Loredana nel frattempo sono diventate mamme. Ed entrambe le figlie si chiamano Maya.

venerdì 6 maggio 2016

Messico - Comunicato congiunto del CNI e dell'EZLN sulla repressione nella comunità di Chablekal

Noi popoli, comunità, tribù, quartieri, organizzazioni e collettivi che formiamo il Congresso Nazionale Indigeno denunciamo e condanniamo i fatti accaduti oggi [3 maggio 2016] nella comunità di Chablekal, Yucatan, quando la polizia ha certato di sgomberare dalla sua casa un nonno della comunità, ed i coloni, conoscendo la situazione dell’ingiusto sgombero, hanno deciso di protestare e tentare di impedirlo ed i poliziotti statali antisommossa hanno risposto lanciando gas lacrimogeni; fino ad ora sono stati ritrovati oltre 40 bussolotti di gas nella comunità, nel luogo dove si trovavano donne, bambine e bambini ed anziani.

Ai mezzi di comunicazione

Alle organizzazioni per i Diritti Umani

Alla Unión de Pobladoras y Pobladores de Chablekal

Al popolo del Messico

Sorelle e Fratelli:

Noi popoli, comunità, tribù, quartieri, organizzazioni e collettivi che formiamo il Congresso Nazionale Indigeno denunciamo e condanniamo i fatti accaduti oggi [3 maggio 2016] nella comunità di Chablekal, Yucatan, quando la polizia ha cercato di sgomberare dalla sua casa un nonno della comunità, ed i coloni, conoscendo la situazione dell’ingiusto sgombero, hanno deciso di protestare e tentare di impedirlo ed i poliziotti statali antisommossa hanno risposto lanciando gas lacrimogeni; fino ad ora sono stati ritrovati oltre 40 bussolotti di gas nella comunità, nel luogo dove si trovavano donne, bambine e bambini ed anziani.

Nello svolgimento del loro lavoro di difensori dei diritti umani, Jorge Fernández Mendiburu e Martha Capetillo Pasos, membri del Centro dei Diritti Umani Indignción A.C. e del Congresso Nazionale Indigeno, sono stati fermati arbitrariamente, colpiti ed ammanettati in maniera violenta e contraria ad ogni procedura, per essere poi liberati poco dopo, e questo è chiaramente un atto di intimidazione e di criminalizzazione dell’osservazione dei diritti umani e della protesta sociale.

Denunciamo inoltre questo atto come un tentativo di intimidazione sia nei confronti dei difensori dei Diritti Umani sia nei confronti dei coloni della Comunità di Chabekal, comunità che si è organizzato nella Unión de Pobladoras y Pobladores de Chablekal per il Diritto al possesso della terra, del territorio e delle risorse naturali, per difendere quello che resta del loro territorio dopo i furti ed i saccheggi perpetrati negli ultimi anni da speculatori e nuovi proprietari terrieri con l’appoggio delle autorità agrarie e politiche del municipio, dello stato e della federazione. Alla loro richiesta di fermare la vendita indiscriminata delle terre, si risponde con questo ed altri tentativi di intimidazione contro i coloni e coloro che li accompagnano e difendono i loro diritti.

mercoledì 27 aprile 2016

Turchia - Il Presidente del Parlamento chiede una Costituzione islamica

Il Presidente del Parlamento turco Ismail Kahraman con la sua richiesta di sostituire la Costituzione finora laica del Paese con una islamica, ha scatenato proteste. “Il concetto di laicismo non dovrebbe essere nella nuova Costituzione”, così è stato citato il politico del partito di governo islamico-conservatore AKP dall’agenzia stampa statale Anadolu a Istanbul. “Siamo un Paese Islamico. Per questo dobbiamo creare una Costituzione religiosa.”
Fin ad ora la separazione tra Stato e religione è radicata nella Costituzione turca. “Sentimenti religiosi non devono assolutamente avere alcun ruolo nelle questioni dello Stato e della politica, come è previsto dal principio del laicismo “, recita il preambolo. Nonostante questo il governo dell’AKP del capo di Stato Recep Tayyip Erdogan negli anni passati ha assegnato alla religione uno valore sempre maggiore nella vita pubblica. Erdogan prevede di modificare la Costituzione scritta dai militari dopo il loro colpo di stato nel 1982. Anche se l‘AKP ha la maggioranza assoluta in Parlamento, questa non basta per poter modificare la Costituzione.
Anche se esponenti di spicco hanno preso le distanze dall'avanzata del loro amico di partito, martedì diverse centinaia di persone sono scese in piazza contro Kahraman davanti al Parlamento di Ankara. La polizia turca li ha dispersi con l’uso di lacrimogeni.
Sempre martedì la Corte Europea per i Diritti Umani a Strasburgo ha stabilito che Ankara lede la libertà di religione dei circa 20 milioni di aleviti nel Paese. Senza giustificazione oggettiva e ragionevole sarebbero trattati in modo diverso dalla maggioranza di musulmani sunniti, così martedì hanno deciso i giudici. Con questo una protesta di oltre 200 aleviti ha avuto successo. Volevano ottenere tra le altre cose che i loro luoghi di preghiera e funzioni religiose fossero riconosciuti a livello ufficiale. Il governo di Ankara nel 2005 aveva rifiutato una richiesta di questo tipo da parte della comunità religiosa islamica.

venerdì 22 aprile 2016

Honduras - Cosa c’entra Hillary Clinton con l’uccisione in Honduras di Berta Cáceres?

La morte dell’attivista ambientalista Berta Cáceres e di Nelson García confermano le responsabilità della candidata alla Presidenza americana.

La drammatica situazione di costante violazione dei diritti umani nel piccolo paese centroamericano non smette di far discutere. Dopo l’assassinio di Berta Cáceres e Nelson Garcia in particolare l’attenzione negli Stati Uniti si è indirizzata sull'appoggio dato da Hillary Clinton, quando era Segretaria di Stato, al governo honduregno instaurato con il colpo di stato che ha portato all'allontanamento del legittimo presidente Zelaya.
La Clinton è stata contestata proprio in questi giorni a Los Angeles.
Sabato 16 marzo, mentre la candidata presidente parlava delle sue politiche economiche alla Southwest College, un dimostrante ha alzato uno striscione con scritto "Il cambio di regime di Hillary ha ucciso Berta Caceres".

Lo slogan non solo allude al coinvolgimento della Clinton nel colpo di Stato in Honduras, mala accusa anche di essere indirettamente responsabile dell’assassinio di Berta Cáceres. L’omicidio è avvenuto in un contesto di crescita continua di repressione in cui sono stati travolti numerosi attivisti che combattono battaglie per la tutela dei diritti umani e la protezione dell’ambiente, dopo il colpo di stato del 2009.
Una situazione di violenza che fa dell’Honduras, insieme agli altri paesi del Centro America una zona di "nuova guerra, come la definiscono le inchieste giornalistiche di cui abbiamo raccontato nell’articolo dedicato al volume Cronicas Negras.
Ma cosa lega Honduras e Usa, attraverso la figura della Clinton?
Anche se non siamo più negli anni della definizione dell’ America Latina come "cortile di casa degli americani", in cui si compivano operazioni, occultate dalla ragion di Stato, appoggiando regimi sanguinari e dittatoriali, negli ultimi tempi in forma più raffinata e poco visibile, una parte delle strutture del governo statunitense non ha smesso di intervenire nelle politiche interne dei suoi vicini.
Il caso dell’Honduras ha portato sotto i riflettori la candidata democratica alla Casa Bianca per le prossime elezioni.
Come è stato ricostruito dai familiari e dai compagni di Berta Cáceres, attraverso operazioni presentate come un appoggio per ristabilire un clima di sicurezza nel Paese, la Clinton non ha lesinato uomini e fondi per sostenere il governo di Pepe Lobo, installato a partire dal colpo di stato che ha allontanato Zelaya dalla presidenza.
Un governo le cui responsabilità nel mantenere una situazione di violenza, attacco ai diritti umani, repressione contro gli attivisti politici, non cessano.
L’Honduras in un mix di ferocia ed omicidio, compiuti da forze dell’ordine e criminalità organizzata, continua ad essere in testa alle classifiche mondiali per i livelli di violenza raggiunti nel Paese.
Vedere che anche nel tempo di Obama, con le dovute forme diverse dal passato (la storia non si ripete mai uguale ...) una parte dell’establishment americano, incarnato dalla Clinton, non demorde dai vecchi vizi, non stupisce.
Ma le forme in cui l’intervento avviene vanno conosciute e analizzate perchè sono quelle utilizzate anche in altre parti del mondo. Un’appoggio basato su fondi e programmi che si ammantano della retorica della preservazione della sicurezza... non importa a che prezzo.
Per raccontare quello che succede in Honduras e come ha agito la ex first lady oggi candidata presidente, vi proponiamo due reportage realizzati da Democracy Now! ed un articolo tratto da The Nation.
Vale la pena di leggerli e pensare non solo agli scenari honduregni ma anche al resto del mondo.

mercoledì 20 aprile 2016

Brasile - Guardare il Brasile dell’impeachment contro la presidente Dilma Rousseff ...

.. per riflettere sul referendum sulle trivelle. Può servire?


C’era una volta la storia di un paese balzato ai primi posti delle classifiche internazionali per la crescita, la sua sigla era l’inizio di BRICS .. ovvero di nuove (India, Cina e Sudafrica) e vecchie (Russia) potenze che nella globalizzazione affermavano il proprio ruolo nel mercato mondiale, con PIL in crescita costante. Il paese è il Brasile.
Ma era un altro tempo, un’altra epoca. Ora le crescite vertiginose sono solo un ricordo. Mentre si conferma come il "mercato dei soldi" sovrasta enormemente le cosiddette "economie reali".
Un dato, illustrato in un articolo per Il Manifesto di Luigi Pandolfi, lo spiega chiaramente "nel 2014 il valore dell’economia finanziaria a livello mondiale ha toccato la cifra astronomica di circa un trilione di dollari (mille mila miliardi) contro un Pil globale (ricchezza materiale prodotta) di soli 78 bilioni (75 mila miliardi). Un rapporto di 13 a 1".
E’ questo tempo, quello del capitalismo finanziario del mercato unico globale, nel quale oggi il Brasile occupa la cronaca per l’apertura da parte della Camera dei deputati di un procedimento di impeachment nei confronti della presidente Dilma Rousseff, il cui mandato scade nel 2018. Adesso la parola passa al Senato.
Il paese è spaccato da un lato i sostenitori di Dilma e gli esponenti della maggioranza insieme a movimenti sociali importanti come i Sem Terra gridano al colpo di stato, dall'altro gli oppositori di ogni variante, sostenuti da poteri forti, che vedono l’occasione per dare il colpo finale alla storia partita con la presidenza di Lula.
E’ nei mutamenti globali, nell'assestarsi post crisi del capitalismo finanziario, che possiamo vedere le cause dei cambiamenti nel gigante brasiliano.
Le politiche di Lula prima, nella passata fase della globalizzazione dei mercati, e di Dilma poi, si basavano sulla possibilità di far marciare insieme una crescita basata su esportazioni di materie prime, come minerali ferrosi, agrobusiness spinto anche con l’uso di OGM, come il caso della soia, commercio con potenze come la Cina, con iniziative di redistribuzione sociale, puntando sulla crescita interna. Senza dimenticare il petrolio.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!