mercoledì 8 giugno 2016

Arabia Saudita - #FreeRaif - La mia lotta per salvare Raif Badawi


Pubblicato a maggio il libro di Ensaf Haidab, la moglie del blogger Raif Badawi, condannato alla pena disumana di 1000 frustate e dieci anni di carcere nel maggio 2014 per oltraggio all’Islam.

La donna, che insieme ai figli vive in Canada dopo essere stata costretta a scappare, ha scritto insieme a Andrea C. Hoffmann, scrittrice e giornalista tedesca, un libro che è una chiara ed appassionata denuncia di quel che avviene in Arabia Saudita.


La persecuzione contro Raif si è allargata a tutta la sua famiglia tanto è vero che la sorella Samar Badawi, in gennaio è stata arrestata e poi rilasciata.


La storia di Raif
Dopo la prima parte dell’esecuzione, le prime 50 frustate inflitte nel gennaio 2015, sull’onda delle proteste internazionali, viste le sue condizioni di salute, Raif non è stato più colpito fisicamente ma continua ad essere incarcerato in attesa di subire la continuazione del flagello.


Poco o niente si sa della sua condizione. Le poche notizie che filtrano dalle mura del sistema carcerario saudita dicono che Raif ha portato avanti negli scorsi mesi uno sciopero della fame durato una ventina di giorni per opporsi ad un trasferimento. 


Per il resto tutto tace. O meglio il Governo dell’Arabia Saudita è totalmente impermeabile alle critiche che gli giungono sul tema dei diritti umani.

Ipocrisie internazionali

Al giovane scrittore è stato assegnato il Premio Sacharov. A livello internazionale in particolare dal Canada, dove risiede la moglie Ensaf Haidar, continua ad essere alimentata la campagna internazionale per la liberazione di Raif.

L’ipocrisia che copre tutta la vicenda si intreccia con gli interessi multilevel che troppi paesi hanno con il potentato che guida l’Arabia.
Le assurdità e contraddizioni sembrano aumentare ogni giorno. Nonostante la ratifica della Convenzione contro la Tortura, i processi continuano ad essere svolti in maniera sommaria, senza il minimo rispetto dei più basilari diritti infliggendo pene disumane, tra cui appunto la flagellazione.
 

L’Arabia Saudita pare tenere particolarmente all'immagine di sé nell'opinione pubblica tanto da aver partecipato, a seguito dell’attentato nella redazione di Charlie Hebdo, alla manifestazione di solidarietà a Parigi, in cui in prima fila hanno sfilato numerosissimi capi di Governo o Ministri, compreso il Ministro degli Affari Esteri saudita. Ciononostante due giorni dopo Raif riceveva, in piazza di fronte ad una folla urlante, le prime cinquanta frustrate della sua condanna. 

L’ipocrisia non ha limiti e infatti l’ambasciatore saudita all’Onu Feisal bin Hassan Trad è stato nominato presidente del Gruppo consultivo del Consiglio per i diritti umani delle nazioni Unite. Ovvero di una struttura che viene considerata la punta di diamante del Consiglio dei diritti umani.

Perché si tace sulla sistematica violazione dei diritti umani in Arabia Saudita?
La questione dei diritti umani in questo nostra contemporaneità, segnata dai giochi delle alleanze mobili, che si muovono nello scacchiere geopolitico del Medi oriente, diventa uno straccetto da sventolare in maniera timida. 


La vicenda di Raif dice più di tante approfondite analisi su quale sia il rapporto del cosiddetto Occidente e non solo con l’Arabia Saudita, formalmente alleato nella guerra al terrorismo, salvo foraggiarlo in maniera indiretta. Stiamo parlando di una potenza che aspira, nel contrasto con l’Iran, in gara con l’Egitto e la Turchia ad essere potenza chiave dell’area. Un paese che con i giochi pericolosi intorno al prezzo del petrolio, sta segnando la sorte dell’oro nero a livello globale, con le sue ricadute in interi continenti come l’America Latina.


La campagna per la libertà di Raif non è un affare locale, è un tema che riguarda vicino tutti noi perché quel che accade in quel pezzo di mondo si intreccia con i nostri destini.



Il mio combattimento per salvare Raif Badawi.

Sin dal primo momento l’impegno di Ensaf a favore della causa e della lotta del marito è stato instancabile e appassionato.
La moglie di Raif ha ormai attraversato tutta l’Europa e molti altri Stati per cercare di riportare il marito a casa e ottenere la sua liberazione, organizzando incontri con rappresentanti dei governi, giornalisti, media, sostenitori della sua causa, oppure partecipando a convegni, manifestazioni e consegne di premi.

giovedì 2 giugno 2016

EZLN - Sulle Elezioni: organizzarsi

Organizzarsi
(Sulle elezioni)
Subcomandante Insurgente Moisés
Aprile-Maggio 2015.

Alle/i compagne/i della Sexta:

A coloro che stanno ascoltando e leggendo perché gli interessa sebbene non siano della Sexta:

Ogni volta che avviene ció che chiamano “processo elettorale”, sentiamo e vediamo che se ne escono col fatto che l’EZLN chiama all’astensione, cioè che l’EZLN dice che non si deve votare. Dicono questa e altre stupidaggini, a niente serve loro la testa grande, visto che non studiano la storia e neppure ci provano. E perfino scrivono libri di storia e biografie e prendono soldi per tali libri. Ovvero, guadagnano per dire bugie. Come i politici.

Chiaro che voi sapete che a noi non interessa ciò che fanno quelli di sopra per cercare di convincere la gente di sotto del fatto che la prendono in considerazione.

Come zapatisti non chiamiamo a non votare e nemmeno a votare. Come zapatisti che siamo ciò che facciamo, ogni volta che è possibile, è dire alla gente che si organizzi per resistere, per lottare, per ottenere ciò di cui si ha bisogno.

Noi, zapatisti, come molti altri popoli originari di queste terre, ormai conosciamo il modo di fare dei partiti politici, e si tratta di una brutta storia di brutta gente.

Una storia che per noi come zapatisti che siamo, ormai è storia passata.

Credo che fu il defunto Tata Juan Chávez Alonso a dire che i partiti politici dividono la gente nei villaggi, li mettono gli uni contro gli altri, li fanno litigare perfino tra familiari.

E di quando in quando, vediamo che questo accade anche dalle nostre parti.

Voi sapete che in varie comunità nelle quali stiamo, c’è gente che non è zapatista, che vive male senza organizzarsi e aspettando che il malgoverno passi loro la sua elemosina per farsi qualche foto, per mostrare che il governo è buono.

Allora vediamo che, ogni volta che ci sono elezioni, alcuni si vestono di rosso, altri di azzurro, altri di verde, altri di giallo, altri scoloriti. E così combattono tra di loro, a volte tra gli stessi familiari. Perché combattono? Ebbene, per vedere chi li comanderà, a chi obbediranno, chi gli darà ordini. E pensano che se vince il tale colore, chi ha appoggiato quel colore riceverà più elemosina. E allora li vediamo dire che sono ben decisi e consapevoli nell’aderire a un partito, e a volte arrivano ad ammazzarsi per un fottuto colore. Perché sono quelli che già comandano a volere l’incarico, a volte vestendosi di rosso, o di azzurro, o di verde, o di giallo, o mettendosi un nuovo colore. E dicendo che fanno parte del popolo e che bisogna appoggiarli. Ma non fanno parte del popolo, sono gli stessi governanti che un giorno sono deputati locali, un altro sono sindaci, un altro sono funzionari di partito, poi sono presidenti municipali e così via, saltando da un incarico all’altro, e anche da un colore all’altro. Sono gli stessi, gli stessi cognomi, sono i familiari, i figli, i nipoti, gli zii, i cugini, i parenti, i cognati, i fidanzati, gli amanti, gli amici degli stessi bastardi e bastarde di sempre. E dicono sempre la stessa roba: dicono che salveranno il popolo, che ora si comporteranno bene, che non ruberanno più così tanto, che aiuteranno i poveracci, che li tireranno fuori dalla miseria.

Ebbene, si spendono i loro soldi, che ovviamente non sono loro bensì sono presi dalle tasse. Però queste bastarde e bastardi non spendono i soldi per aiutare o sostenere i poveracci. No. Li spendono per mettere i loro nomi e le loro foto nella propaganda elettorale, negli annunci delle radio e televisioni commerciali, nei loro giornali e riviste a pagamento, e compaiono perfino al cinema.

Ebbene, quelli che nelle comunità sono sostenitori sfegatati di un partito al momento delle elezioni e molto consapevoli del loro colore, quando alla fine viene fuori chi ha vinto passano tutti a quel colore, perché pensano che così gli verrà dato il loro regalino.

Per esempio, ora gli daranno un televisore. Ebbene, come zapatisti che siamo noi diciamo che gli stanno dando una pattumiera, perché attraverso la televisione gli manderanno un mucchio di spazzatura.

Ma se prima il problema era che gli dessero tutto o no, ora non gli danno e non gli daranno più nulla.

Se glielo davano, era perché diventassero scansafatiche. Si sono perfino dimenticati come si lavora la terra. Se ne stanno lì, aspettando che arrivino i soldi del governo per spenderseli in bevute. E se ne stanno lì nelle loro case, sfottendoci perché noi andiamo a lavorare nei campi mentre loro non fanno che aspettare che ritorni la moglie, la figlia, mandate a ritirare il sussidio, il sostegno del governo.

E così via, finché non arriva più. Senza preavviso, non esce nei media prezzolati, nessuno viene a dirgli di essere i loro salvatori. Semplicemente, cessa il sostegno. E quel fratello o sorella si rende conto di non aver più nulla, né per le bevute, né tanto meno per il mais, i fagioli, il sapone, i pantaloni. E allora deve tornare nei campi ormai in abbandono, inselvatichiti che nemmeno ci si può camminare. E siccome si è ormai dimenticato come si lavora, gli si gonfiano le mani tanto che nemmeno può impugnare il machete. Lo hanno fatto diventare un essere inutile che vive solo di elemosine e non di lavoro. Ecco ciò che già sta succedendo. Non esce nelle notizie dei malgoverni. Al contrario, esce che vengono dati molti fondi.

Ma nei villaggi non arriva più nulla. Dove va a finire il denaro che il malgoverno dice di stare dando per la campagna di elemosine sulla fame? Ebbene, lo sappiamo che là sopra hanno detto che ci sarà meno denaro o che semplicemente non ce ne sarà più. Voi credete che, mentre il contadino ormai campa di elemosina e si dimentica di lavorare, quello che sta sopra e che gli passava il sussidio lavori? No, anche quello di sopra è abituato a ricevere gratis. Non sa vivere onestamente lavorando, sa solo vivere occupando incarichi di governo.

Quindi succede che essendoci meno soldi non arriva più nulla. Resta tutto di sopra. Un po’ lo arraffa il governatore, un altro po’ il giudice, un altro po’ il poliziotto, il deputato, il presidente municipale, il sindaco, il leader contadino e a quel punto alla famiglia del sostenitore di partito non arriva più nulla.

Prima sì che arrivava, ma ora non più. “Che succede?”, chiede il sostenitore di partito. E pensa che il problema sia che il tal colore non serve più, e prova a passare ad un altro colore. Il risultato è lo stesso. Nelle assemblee i sostenitori di partito si incazzano, si urlano addosso, si accusano l’un l’altro, si chiamano traditori, venduti, corrotti. E in effetti sì, sia quelli che gridano che quelli che subiscono le urla sono traditori, venduti e corrotti.

E allora, la base di questi partiti si dispera, si angustia, è presa dalla pena. È svelato l’inganno perché nelle nostre case zapatiste c’è il mais, ci sono i fagioli, c’è la verdura, c’è quel minimo di soldi per le medicine e i vestiti. E dal lavoro collettivo viene fuori quel che serve per sostenerci tra di noi in caso di necessità. C’è la scuola, c’è la clinica. Non è il governo che ci viene ad aiutare. È che noi stessi ci aiutiamo tra compagni zapatisti e con le compagne e i compagni della Sexta.

Allora viene il fratello affiliato al partito e ci chiede cosa fare, perché è messo male.

Ebbene, sappiate cosa rispondiamo noi:

Non gli diciamo di cambiare il partito per un altro meno peggio.

Non gli diciamo di votare.

Nemmeno gli diciamo di non votare.

Non gli diciamo di farsi zapatista, perché lo sappiamo bene, per la nostra storia, che non tutti hanno la forza d’animo di essere zapatisti.

Non lo prendiamo in giro.

Semplicemente gli diciamo di organizzarsi.

“E poi che devo fare?”, ci chiede.

E allora gli diciamo: “Veditela da solo sul da farsi, secondo quel che ti dice il tuo cuore, la tua testa, e non che venga qualcun altro a dirti cosa devi fare”.

E lui ci dice: “E’ che la situazione è veramente incasinata”.

E noi non gli diciamo bugie, non gli facciamo chissà che grandi discorsi. Noi gli diciamo soltanto la verità:

-  Non farà che peggiorare”.
-*-

Sappiamo bene che così vanno le cose.

Ma come zapatisti abbiamo anche ben chiaro che c’è ancora gente che da altre parti, nelle città e nelle campagne, cade nella trappola di mettersi con i partiti.

Sembra molto vantaggioso mettersi coi partiti, perché si guadagnano soldi senza lavorare, senza sbattersi per guadagnare pochi centesimi e avere il minimo per mangiare, vestirsi e curarsi.

Ciò che fanno quelli di sopra è ingannare la gente. Questo è il loro lavoro, vivono di questo.

Vediamo che c’è gente che ci crede, crede che la situazione migliorerà, che il tal dirigente risolverà il problema, che si comporterà bene, che non ruberà molto, che intrallazzerà solo un po’, che bisogna provare.

Quindi noi diciamo che sono pezzi di piccole storie che devono passare. Che devono constatare con i propri occhi che non ci sarà nessuno che risolverà il problema, ma che dobbiamo risolverlo noi stessi, stesse, come collettivi organizzati.

Le soluzioni le dà il popolo, non il leader, non i sostenitori dei partiti.

E non lo diciamo solo perché suona bene. È perché lo abbiamo visto accadere realmente, è perché già lo facciamo.

-*-

Può darsi che molto tempo fa, alcuni aderenti ai partiti di sinistra, prima di istituzionalizzarsi, cercassero di creare coscienza tra il popolo. Non cercavano il potere attraverso le elezioni, ma di smuovere il popolo perché si organizzasse, e lottasse, e cambiasse il sistema. Non solo il governo. Tutto, tutto il sistema.

Perché dico aderenti ai partiti di sinistra istituzionale? Be’, perché sappiamo che ci sono partiti di sinistra che non sono coinvolti negli intrallazzi di sopra, che hanno le loro modalità, ma non si vendono, né si arrendono, né cambiano il loro pensiero sul fatto che bisogna finirla con il sistema capitalistico. Perché lo sappiamo, e noi come zapatisti non lo dimentichiamo, che la storia della lotta di sotto è scritta anche con il loro sangue.

Ma la grana è la grana e il sopra è il sopra. E gli aderenti ai partiti di sinistra istituzionale hanno cambiato il loro modo di pensare che è diventato la ricerca di un posto, per i soldi. Semplicemente: i soldi. Cioè la grana.

O pensate che creare coscienza si faccia disprezzando, umiliando, criticando la gente di sotto? Dicendogli che sono dei mangiapanini che non pensano? Che sono ignoranti?

Pensate di creare coscienza se chiedete il voto alla gente e allo stesso tempo la insultate dicendo che sono dei bavosi che si vendono per una televisione?

Pensate che creino coscienza se, quando gli si dice: “senti tu, uomo di partito di sinistra, quel capretto o capra, che tu dici essere la speranza, è già stato di altri colori e non è che un ratto”, ti rispondono che sei venduto a Peña Nieto?

Pensate che creino coscienza se dicono alla gente la menzogna che noi zapatisti diciamo di non votare; magari perché stanno vedendo che forse non otterranno l’elezione, ossia più grana, e stanno cercando un pretesto per incolpare qualcuno?

Pensate di creare coscienza tenendo gli stessi che prima erano gialli, o rossi, o verdi, o azzurri?

Pensate di creare coscienza dicendo di non far votare chi non ha studiato ed è povero perché sono ignoranti che votano soltanto il PRI?

Se il Velasco del Chiapas dà ceffoni con la mano, questi uomini di partito danno ceffoni con il loro razzismo mal nascosto.
Guardate che l’unica coscienza che stanno creando questi uomini di partito è che, oltre a essere orgogliosi, sono degli imbecilli.

Cosa si credono?

Che dopo aver ricevuto i loro insulti, le loro menzogne e i loro rimbrotti, la gente di sotto accorrerà a inginocchiarsi dinanzi al loro colore, a votare per loro e a pregarli di salvarla?

Ecco cosa diciamo come zapatisti: ecco la prova che per essere un politico di partito di sopra bisogna essere bavoso o svergognato o criminale, o le tre cose insieme.

-*-

Noi zapatisti diciamo che non bisogna aver paura che il popolo comandi. È la cosa più sana e giudiziosa. Perché il popolo stesso cambierà le cose come ha veramente bisogno. E solo così esisterà un nuovo modo di governare.

Non è che non capiamo che significhi eleggere o elezione. Noi zapatisti abbiamo un altro calendario e un’altra geografia su come fare le elezioni in territorio ribelle, con la resistenza.

I nostri villaggi eleggono già per conto proprio, e non si spendono milionate né si consumano tonnellate di immondizie plastiche, di teloni con le loro fotografie di ladri e criminali.

Certo, abbiamo appena vent’anni di cammino nell’elezione delle nostre autorità autonome, con vera democrazia. Così abbiamo camminato, con la Libertà che conquistiamo e con l’altra Giustizia del popolo organizzato. Dove si coinvolgono migliaia di donne e di uomini per scegliere. Dove tutte e tutti sono d’accordo e si organizzano nella vigilanza affinché compiano l'incarico dei villaggi. Dove i villaggi si organizzano per vedere quali saranno i lavori spettanti alle autorità.

Cioè come il popolo comanda il suo governo..

I villaggi si organizzano in assemblee, dove si iniziano a esprimere pareri e di conseguenza a venire fuori le proposte che vengono studiate, nei loro pro e contro, e si analizza qual è la migliore. E prima di decidere le portano a tutti i villaggi per l’approvazione e tornano in assemblea per la presa di decisione secondo la maggioranza della decisione dei villaggi.

Questa è già la vita zapatista nei villaggi. È già una cultura di verità.

Vi sembra che sia molto lento? Perciò noi diciamo che è in base al nostro calendario.

Vi sembra che avvenga perché siamo popoli originari? Perciò diciamo che è secondo la nostra geografia.

È chiaro che abbiamo commesso molti errori, molti sbagli. Certo che ne faremo altri.

Ma sono i nostri sbagli.

Noi li commettiamo. Noi li paghiamo.

Non come nei partiti nei quali i dirigenti sbagliano e per di più incassano, e quelli di sotto sono quelli che pagano.
Perciò la storia delle elezioni non ci fa né caldo né freddo.

Non facciamo una chiamata né a votare né a non votare. Non ci interessa.

C’è di più: nemmeno ci preoccupa.

Quel che interessa a noi zapatisti è sapere di più su come resistiamo e affrontiamo le molte teste del sistema capitalista che ci sfrutta, ci reprime, ci disprezza e ci deruba.

Perché non è solo da un lato e in un modo che il capitalismo opprime. Opprime se donna. Opprime se impiegato. Opprime se operaio. Opprime se contadino. Opprime se giovane. Opprime se bambina o bambino. Opprime se maestro. Opprime se studente. Opprime se artista. Opprime se pensi. Opprime se sei umano, o pianta, o acqua, o terra, o aria, o animale.

Non importa che lo profumino o lavino, il sistema capitalista “gronda sangue e fango, da tutti i pori, dalla testa ai piedi” (andatevi a vedere chi lo ha scritto e dove).

Pertanto la nostra idea non è di promuovere il voto.

Tanto meno di promuovere l’astensione o il voto in bianco.

Il nostro pensiero non è di fornire ricette su come far fronte al problema del capitalismo.

Non è nemmeno imporre il nostro pensiero ad altri.

Il seminario serve a vedere le varie teste del sistema capitalista, a cercare di capire se ha nuovi metodi per attaccarci o sono gli stessi di prima.

Se ci interessano i pensieri altrui è per vedere se è vero ciò che vediamo arrivare, ovvero una crisi economica tremenda che si congiungerà ad altri mali e farà molti danni a tutte e tutti ovunque, in tutto il mondo.

Perciò se è vero che sta per accadere questo, o che sta già accadendo, bisogna pensare se ha senso agire allo stesso modo di prima.

Pensiamo che dobbiamo obbligarci a pensare, ad analizzare, a riflettere, a criticare, a cercare il nostro proprio passo, il nostro proprio modo, nei nostri luoghi e nei nostri tempi.

Ora chiedo a lei che sta leggendo queste righe: che voti o no, le danneggia pensare come va il mondo nel quale viviamo, analizzarlo, capirlo? Pensare criticamente le impedisce di votare o di astenersi? Le aiuta o no a organizzarsi?

-*-

Finendola sulle elezioni:

Soltanto perché sia ben chiaro e non vi facciate ingannare sul fatto che diciamo ciò che non diciamo.

Noi capiamo che ci sono quelli che credono di poter cambiare il sistema votando alle elezioni.

Noi diciamo che è complicato perché è chi comanda a organizzare le elezioni, a dire chi è candidato, a dire come si vota e quando e dove, a dire chi vince, ad annunciarlo e a dire se tutto si è svolto in maniera legale o no.

Ma va bene, c’è gente che pensa di sì. Va bene, noi non diciamo di no, ma nemmeno di sì.

Quindi, che votino per un colore o scolorito, o non votino, quel che noi diciamo è che bisogna organizzarsi e prendere nelle nostre mani il governo e obbligarlo a obbedire al popolo.

Se lei ha pensato di non votare, noi non diciamo che va bene, e nemmeno diciamo che va male. Le diciamo solo che pensiamo che non basti, che bisogna organizzarsi. E ovviamente che si prepari perché le daranno la colpa delle miserie della sinistra partitica istituzionale.

Se ha pensato di votare e già sa chi voterà, è uguale, non discutiamo se va bene o va male. Quel che le diciamo chiaramente è di prepararsi perché si arrabbierà molto per gli inganni e le frodi che subirà. Perché a ingannare sono esperti quelli che stanno al Potere. Perché quel che succederà è già deciso da quelli di sopra.

Sappiamo anche che ci sono leader che ingannano la gente. Le dicono che ci sono solo due strade per cambiare il sistema: o la lotta elettorale o la lotta armata.

Dicono questo per ignoranza o per assenza di vergogna, o per entrambe.

In primo luogo, essi non stanno lottando per cambiare il sistema, né per prendere il potere, bensì per diventare governo. Non è la stessa cosa. Dicono che una volta al governo faranno cose buone, ma hanno cura di mettere in chiaro che non cambieranno il sistema, bensì che ne rimuoveranno gli aspetti negativi.

Converrebbe che studiassero un po’ e capissero che essere governo non è detenere il Potere.

Si vede come non sappiano nemmeno che rimuovendo gli aspetti negativi del capitalismo non è che non ci sia più capitalismo. E vi dirò perché: perché il capitalismo è lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dei molti da parte di pochi. Se ci aggiungete anche le donne, la faccenda non cambia. Se ci aggiungete anche gli otroas, la faccenda non cambia. Continua ad essere il sistema nel quale unoas si arricchiscono a spese del lavoro di otroas. E sono pochi gli otroas di sopra, e sono molti gli otroas di sotto. Se gli affiliati ai partiti dicono che ciò va bene e che bisogna solo stare attenti che non passino il segno, che lo dicano pure.

Ma per arrivare a essere governo non ci sono solo due vie come dicono loro (la via armata e la via elettorale). Dimenticano che il governo si può anche comprare (o hanno già dimenticato com’è arrivato al governo Peña Nieto?). E non solo questo, forse non lo sanno ma si può comandare senza essere governo.

Se questa gente dice che si può fare solo con le armi o con le elezioni, l’unica cosa che dicono è che non conoscono la storia, che non studiano bene, che non hanno immaginazione, che sono degli svergognati.

Basterebbe che guardassero un po’ verso il basso. Ma ormai gli si è torto il collo dal tanto guardare in alto.

Perciò noi zapatisti non ci stanchiamo di dire: organizzatevi, organizziamoci, ciascuno nei suoi luoghi, lottiamo per organizzarci, lavoriamo per organizzarci, pensiamo a iniziare a organizzarci e incontriamoci per unire le nostre organizzazioni per un Mondo in cui i popoli comandano e il governo obbedisce.

Riassumendo: come abbiamo detto prima, come diciamo ora: che tu voti o no, organizzati.

E quindi noi zapatisti pensiamo che dobbiamo avere un pensiero adeguato per organizzarsi. Cioè c'è bisogno di teoria, il pensiero critico.

Col pensiero critico analizziamo le modalità del nemico, di chi ci opprime, ci sfrutta, ci reprime, ci disprezza, ci deruba.

Ma anche, col pensiero critico vediamo com'è il nostro percorso, come sono i nostri passi.

Perciò stiamo chiamando tutta la Sexta a fare riunioni di pensiero, di analisi, di teoria, di come vedete il vostro mondo, la vostra lotta, la vostra storia.

Vi chiamiamo a realizzare i vostri semenzai e a condividere ciò che lì seminerete.

-*-

Noi come zapatisti continueremo ad autogovernarci secondo il principio che il popolo comanda e il governo obbedisce.

Come dicono i compagni zapatisti: Hay lum tujbil vitil ayotik[1]. Vuol dire: è molto bello come siamo.

Un’altra: Nunca ya kikitaybajtic bitilon zapatista. Vuol dire: non smetteremo mai di essere zapatisti.

Un’altra ancora: Jatoj kalal yax chamon te yax voon sok viil zapatista. Vuol dire: Fino a quando morirò il mio nome sarà zapatista.


Dalle montagne del sudest messicano.

A nome di tutto l’EZLN, degli uomini, delle donne, dei bambini e degli anziani
dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Subcomandante Insurgente Moisés.

Messico, aprile-maggio 2015.




[1] Questa e le altre frasi sono in lingua tzeltal, la lingua madre del Subcomandante Moisès [N.d.T.].

tratto da "Il pensiero critico di fronte all'idra capitalista" 

martedì 31 maggio 2016

Messico - Maggio: tra autoritarismo e resistenza


radio

                Subcomandante Moisés 
               Subcomandante Galeano
Il calendario? Maggio 2016.
La geografia?
Beh, potrebbe essere ovunque in questo paese graffiato a sangue dalle sparizioni forzate, l’impunità fatta istituzione, l’intolleranza come forma di governo, la corruzione come modus vivendi di una classe politica puzzolente e mediocre.
Ma potrebbe anche essere una qualsiasi parte di questo paese sanato dalla caparbietà dei famigliari che non dimenticano i loro assenti, la ricerca tenace di verità e giustizia, la resistenza ribelle contro i colpi, i proiettili, le sbarre, il desiderio di costruire un sentiero proprio senza proprietari, senza padroni, senza salvatori, senza guide, senza capi; la difesa, la resistenza, la ribellione; la crepa si fa più ampia e profonda a forza di dolore e di rabbia.
“Messico”, viene chiamato abitualmente questo paese, questo paese che riflette a suo modo una crisi che scuote il mondo intero.
Sembra che, ad un certo punto nella breve e intensa storia del XX° secolo, questo paese sia stato un punto di riferimento del turismo internazionale. Si è parlato dei suoi paesaggi, della sua gastronomia, dell’ospitalità della sua gente, di quanto perfetta fosse la sua dittatura.
Ma prima e durante quest’immagine da opuscolo di agenzia viaggi, è successo quel che è successo. No, non vi riempirò di informazioni su ciò che è accaduto nell’immediato passato, diciamo 30 anni.
Il punto è che, negli ultimi anni, il “Messico” è ormai un riferimento mondiale della corruzione di governo; la crudeltà del traffico di droga; non infiltrazione ma coabitazione tra crimine organizzato e istituzioni; sparizioni forzate; esercito fuori dalle caserme, nelle vie e nelle strade; omicidi e detenzioni degli oppositori, di giornalisti e persone che non contano; il “warning” nei percorsi turistici; il cinismo come idiosincrasia sui media e i social network; la vita, la libertà e i beni personali giocati alla roulette mortale della vita di tutti i giorni (“se non ti è toccato oggi, forse domani”). Se sei donna, di qualsiasi età, si moltiplicano i rischi. Il femminile, insieme al diverso, vince solo in questo: è più probabile che subisca violenza, scomparsa, morte.
Ma tutto questo già lo sapete. Basta aver vissuto qui, in queste terre e sotto questi cieli, un po’, non molto, diciamo tra i primi mesi di vita e meno di 5 anni, che è l’età delle bambine e dei bambini uccisi nell’asilo nido ABC di Hermosillo, Sonora, Messico, il 5 giugno 2009, quasi sette anni fa.
Che crimine avevano commesso questi bambini? Sono state vittime della sfortuna, di un oscuro disegno divino, del caso? O sono stati e sono vittime di una classe politica che si permette di tutto (come ad esempio il fatto che una delle persone coinvolte – e non indagate -, sia candidata alla presidenza del Messico per il Partito di Azione Nazionale)?
Così il luogo potrebbe essere Sonora dove, però, la criminalità e la spudoratezza non riescono a sconfiggere le famiglie dei bimbi dell’asilo nido “ABC”.
Oppure potrebbe essere lo Stato messicano, dove si vuole distruggere il popolo Ñatho di San Francisco Xochicuautla seppellendolo sotto una delle strade del grande capitale. Il suo crimine? Difendere le foreste. Tuttavia, gli abitanti continuano a resistere sulle macerie delle loro case.
Oppure potrebbe essere Oaxaca, nella comunità Binizza di Álvaro Obregón a Juchitán, dove la popolazione è stata attaccata a colpi di pistola dai paramilitari del Partito di Azione Nazionale e del Partito della Rivoluzione Democratica. Qual è la sua colpa? Opporsi alla privatizzazione del vento che, con i cosiddetti “parchi eolici”, il grande capitale impone sull’Istmo.

lunedì 30 maggio 2016

Turchia - Continua la costruzione del “muro della vergogna” al confine con il Rojava

Lo Stato turco continua la sua ostilità verso i curdi anche di fronte alla rivoluzione del Rojava. In modo analogo a Israele sono iniziati a sorgere “muri della vergogna” lungo il confine turco che dividono i curdi sui due lati. Lo Stato sta cercando di dividere i curdi con fossati aggiunti ai muri di cemento costruiti nel 2014.
Le lastre di cemento dei “muri della vergogna” vengono prodotti in massa nel distretto di Mardin di Kızıltepe. Le lastre vengono prodotte in un luogo vicino alla fabbrica di mattoni oltre l’aeroporto e trasportati al confine con camion privi di contrassegno.
Le lastre vengono trasportate al confine con il Rojava via İpekyolu e posizionati vicino ai fossati. La gente sta protestando ma il governo continua a costruire il muro alto 3 metri, con muri spessi 2,5 metri.
Intanto rapporti riferiscono che un muro sarebbe in costruzione sula strada tra i distretti di Artuklu Kızıltepe.
tratto da UIKI

venerdì 27 maggio 2016

Turchia - Alla deriva verso un fascismo postmoderno

Intervista a Faysal Sariyildiz, parlamentare HDP per il distretto di Cizre/Şirnak. In Europa per raccontare il massacro compiuto dall'esercito turco nella città di Cizre. A rischio arresto dopo la revoca dell'immunità parlamentare.
di Giansandro Merli
La revoca dell'immunità ai parlamentari colpirà esponenti di tutti i partiti politici. L'AKP di Erdogan, come l'HDP dei curdi, fino ai nazionalisti del MHP e ai kemalisti del CHP hanno diversi esponenti sotto inchiesta. Perché dite che si tratta di una misura per far fuori le opposizioni, e in particolare quella curda?
Questa misura è contro le opposizioni e soprattutto contro l'HDP perché nonostante l'immunità viene revocata a tutti i parlamentari, non tutti saranno trattati allo stesso modo o arrestati. Si tratta di una decisione per far arrestare i deputati curdi e per cancellare l'area politica dell'HDP. In Turchia non esiste una magistratura indipendente. I giudici sono subalterni ad Erdogan. Pensate che quando abbiamo raccolto i cadaveri a Cizre, alcuni esponenti della magistratura hanno detto che quei corpi non erano umani, ma erano corpi di animali. L'immunità è stata revocata per eliminare l'HDP e imprigionare tutti i deputati che cercano di lavorare per la democrazia. Hanno già iniziato ad aprire i processi contro di noi, accusandoci di essere parte di un'organizzazione terroristica [il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, PKK, n.d.r.]. In questo momento, stanno attaccando, anche militarmente, tutte le forze democratiche e i singoli deputati. Tribunali, polizia e AKP collaborano per farci fuori dal Parlamento.
C'è differenza tra le accuse penali rivolte ai parlamentari dell'HDP e quelle che riguardano gli esponenti delle altre forze politiche?
Sì, le indagini contro di noi riguardano interventi in pubblico e dichiarazioni politiche. Ci accusano di fare propaganda per un'organizzazione terroristica. Si tratta quasi esclusivamente di reati d'opinione. A parte il mio caso, che è un'eccezione. Io sono accusato di aver fatto entrare delle armi nella città di Cizre, durante l'assedio, nascondendole all'interno di una bara. Perfino la stampa ha negato questa accusa: ci sono foto che dimostrano che trasportavo un cadavere, ma senza alcuna bara. Per tre mesi sono stato l'unico deputato a poter entrare nella città. In quel periodo, sono successe cose orrende. Una volta sono stati uccisi tre anziani e quando hanno portato i loro corpi all'obitorio gli hanno messo delle pistole nelle mani, sostenendo che fossero terroristi.
Per quanto riguarda le inchieste contro i parlamentari dell'AKP, si tratta principalmente di accuse di corruzione (corruzione che riguarda anche dei ministri). Gli esponenti del CHP, invece, sono accusati per la maggior parte di reati connessi all'oltraggio verso il Presidente della Repubblica. Anche per quanto riguarda i numeri ci sono grandi differenze. Il CHP ha 51 parlamentari indagati in 179 processi. L'AKP, 27 parlamentari in 46 processi. L'MHP, 7 parlamentari in 17 cause. L'HDP, 49 parlamentari in 354 processi. Anzi, scusate... proprio mentre parlavo i parlamentari sotto indagine sono diventati 53. Su 59 presenti in Parlamento.
Perché alcuni parlamentari del CHP hanno votato a favore di questa riforma?
Quello che abbiamo letto sulla stampa è che i militari hanno esercitato forti pressioni sul partito, partecipando anche a una riunione del comitato centrale. Non tutto il partito ha votato a favore della revoca dell'immunità, ma solo il suo esecutivo. Ritengono l'HDP un pericolo e vogliono “proteggere lo Stato”, anche sostenendo Erdogan. Hanno detto sin dall'inizio che avrebbero votato per la revoca, nonostante questa misura contraddica il dettato costituzionale. Ormai la popolazione turca sta scivolando rapidamente verso uno sciovinismo sempre più estremo, per cui nessun partito si assume la responsabilità di proteggere l'HDP. E non dimentichiamo che il CHP è una formazione politica fortemente inserita all'interno degli apparati dello Stato turco. È una vergogna che questa organizzazione sia ancora membro del Partito Socialista Europeo! [di cui fa parte il PD e, per la Turchia, lo stesso HDP, n.d.r.].
Quale sarà la risposta dell'HDP e del movimento curdo nel caso in cui i parlamentari vengano arrestati?
Non è ancora stato deciso. Noi vogliamo condurre una lotta democratica e politica all'interno della Turchia. Ma ovviamente ci sono delle variabili. Il nostro co-presidente ha detto che se questa misura verrà portata fino in fondo, come partito saremo rispettosi delle decisioni del popolo. Ci saranno assemblee regionali per scegliere le forme di lotta. Anche perché la situazione nel Kurdistan turco continua ad essere molto tesa. A Şirnak ci sono scontri continui e l'esercito turco sta subendo molte perdite. Nonostante non vogliano ammetterlo e per non far crollare il morale dei soldati nascondano perfino i corpi dei militari caduti.
La revoca dell'immunità ha provocato alcune reazioni a livello internazionale. Il Presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz ha condannato questa decisione. Mentre Angela Merkel ha minacciato di fermare la liberalizzazione dei visti se la Turchia non rispetta la democrazia, cioè «un sistema che si basa su una magistratura indipendente, una stampa indipendente e un parlamento forte». Tre pilastri già abbondantemente crollati nel paese di Erdogan. Dopo tutto quello che è accaduto in questi mesi, l'accordo sui rifugiati, il silenzio sul massacro di Cizre, secondo l'HDP il processo di integrazione europea può ancora essere un fattore di democratizzazione dello Stato turco oppure no?
L'Europa ha i suoi principi e noi crediamo che possa spingere la Turchia verso una democratizzazione dello Stato. Con questo obiettivo, abbiamo sempre sostenuto il fatto che l'applicazione dei principali protocolli internazionali sui diritti umani fosse prerogativa per l'ingresso nell'UE. E questo sarebbe un bene, perché tutti sappiamo che la Turchia vive una pericolosa deriva verso una forma di fascismo postmoderno. In queste settimane ho girato tanto in Europa e ho incontrato esponenti di numerosi partiti: tutti sanno bene che Erdogan ha costruito un governo autoritario e fascista. Il problema è che continuano a perseguire un pragmatismo miope. E questa miopia diventa ancora più grave nel momento in cui la Turchia affonda a causa dell'autoritarismo di Erdogan. Se non cambia la prospettiva, l'Europa rischia di subire conseguenze molto pesanti: Erdogan sta usando tutte le armi a sua disposizione, dal sostegno a Daesh ai flussi migratori provenienti dalla Siria. La realpolitik europea fa finta di non vedere chi ha mandato camion pieni di armi ai terroristi di Daesh (fatto documentato da foto e articoli di giornalisti turchi) o chi è responsabile della produzione di flussi migratori dalla Siria e all'interno della stessa Turchia. Inoltre, le politiche europee di sostegno a Erdogan stanno fomentando le diverse forze fasciste della società turca. In questi giorni, si parla molto del genocidio degli armeni, della loro deportazione in massa. Oggi in Turchia c'è chi chiede le stesse misure nei confronti dei curdi. Lotteremo e resisteremo affinché al popolo curdo non tocchi la stessa sorte.


Tratto da Dinamo
Quest'intervista è stata pubblicata in forma più breve su Il Manifesto del 27/05/2016, a pag. 8., con il titolo «L’Ue chiude gli occhi sullo sciovinismo turco».

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