venerdì 9 novembre 2018

Brasile - Tra le braccia di Bolsonaro. Genealogia dell’ascesa

Riportiamo una intervista a cura di Giuseppe Orlandini pubblicata su Napoli Monitor che ringraziamo.
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Bruno Cava è docente dei corsi liberi di cinema e di filosofia che ogni anno raccolgono centinaia di persone presso istituzioni quali il Museu da República, la Cinemateca Museu de Arte Moderna e la Casa de Rui Barbosa, a Rio de Janeiro. Partecipa alla rete Universidade Nômade da più di dieci anni, producendo co-ricerca su movimenti sociali e lotte urbane. È editore della rivista Lugar Comum e pubblica in vari siti e blog, tra i quali Open DemocracyThe GuardianLe Monde DiplomatiqueAl Jazeera, e su riviste come le francesi Multitudes e Chimère e la nordamericana South Atlantic Quarterly. Laureato in ingegneria e in filosofia del diritto, ha scritto vari libri, tra cui: A multidão foi ao deserto (São Paulo, Annablume, 2013). Nel 2017 ha lanciato insieme ad Alexandre Mendes il libro A constituição do comum (Rio de Janeiro, Revan). Lo abbiamo raggiunto via mail dopo il risultato del ballottaggio per le elezioni in Brasile, per comprendere più accuratamente le origini della vittoria del candidato dell’estrema destra.
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Con l’elezione di Jair Bolsonaro, quel che con grande approssimazione viene definito il nuovo ciclo politico reazionario globale, in Brasile assume contorni drammatici. Così come per altri contesti, la sua elezione segna la crisi di egemonia della governamentalità neoliberale e la disposizione a dosi misurate di “guerra civile”? Se così è, considerando che la realtà brasiliana già si distingue per un’intensità pronunciata della violenza e del biopotere, quali forme potrà assumere tale esito? Cosa aspettarsi da un governo Bolsonaro?

La crisi del 2008-09 al Nord è stata letta come un’opportunità per il Sud globale. Gli Stati Uniti e l’Europa occidentale hanno adottato una politica monetaria espansiva, che i governi di Russia, Cina e Brasile hanno interpretato come una chance per investire nell’industrializzazione, stimolare la produzione e l’occupazione. 
Dilma è stata scelta per succedere a Lula perché rappresentava questo nuovo passo: la fase due del “lulismo”. 

Se la crisi della globalizzazione neoliberale veniva letta come divorzio tra capitalismo e democrazia liberale, in Brasile si pensava che ciò consentisse una “fuga in avanti”, lo sbocco verso uno stadio dirigista dello sviluppo. 
L’esperienza sviluppista però è stata un fiasco: una parte dell’investimento si è perso nell’inefficacia dei progetti e nella mancanza di pianificazione, l’altra parte è stata consumata dalla corruzione miliardaria che ha coinvolto il Partito dei Lavoratori (PT)
Nel 2015, dopo essere stata rieletta l’anno precedente, Dilma riconosceva la crisi terrificante che colpiva il paese e chiamava un banchiere della scuola di Chicago per gestire il ministero dell’economia e avviare un aggiustamento fiscale. 
Quando l’anno successivo le strade si sono riempite di milioni di manifestanti, il paese era in bancarotta, con sfrenati tassi di disoccupazione e indebitamento. 
Il governo Temer (2016-18) ha continuato la politica di aggiustamento che Dilma aveva fallito a causa della perdita di sostegno sociale e politico, attraverso alcune riforme, per quanto insufficienti e limitate. 

Oltre alla retorica incendiaria stile Trump, la prima sfida di Bolsonaro è affrontare la crisi fiscale dello stato e realizzare la riforma della previdenza e dei servizi pubblici senza aggravare le tensioni urbane, che sono già un orizzonte visibile in alcune metropoli. 
Il capo economista del presidente eletto è un guru neo-liberale che promette di rivoluzionare il sistema di protezione sociale del paese, unificando le imposte e i regimi pensionistici, arrivando a promettere anche un reddito di cittadinanza di importo pari o superiore alla bolsa familia, marchio di fabbrica del lulismo. 
In questo senso, Bolsonaro non tende a rappresentare l’arrivo di un nuovo tipo di fascismo, un’eccezione sovrana, ma la nuova modulazione di una normalità che è già socialmente fascista (biopotere)
Il Brasile è un paese ultra-violento, con un tasso di omicidi superiore alla somma di tutti i paesi in Europa (inclusa la Russia) e degli Stati Uniti. 
La maggior parte della popolazione vive già in condizioni di paura e ricatti a causa di istanze violente che operano nella zona grigia tra il potere del crimine e il crimine del potere, siano essi narcotrafficanti, milizie parapolitiche o oligarchi mafiosi del territorio. 
Bolsonaro, oltre alla retorica trumpista, è inteso come un giustiziere i cui “eccessi e deliri” sono tollerati in nome della protezione militare di fronte a un male maggiore. Il rischio del fascismo, quindi, non sta in uno Stato Fascista, ma nella risonanza del nuovo presidente con la rete di micro-fascismi già in atto, in un fascismo che è soglia mobile e zona grigia.

I discorsi di odio, le allusioni a un’esplicita volontà di rottura con il regime democratico e con il rispetto dei diritti umani, le terribili dichiarazioni contro gli oppositori, i neri, i poveri, le donne e le LGBTQ, già hanno provocato una escalation di violenza e sono stati ampiamente riportati dalla stampa nazionale ed estera. Tuttavia è necessario comprendere le condizioni di possibilità del fenomeno Bolsonaro. Un certo consenso di sinistra vede nella sua affermazione l’apoteosi del cosiddetto golpismo che, dalle giornate di giugno del 2013, passando per l’impeachement del 2016 e l’arresto di Lula nel marzo di quest’anno, si sarebbe abbattuto sul paese. Al di là di questa teleologia conciliatoria e del paradosso di un golpe che si suggella per via elettorale, qual è una possibile genealogia del fenomeno?

venerdì 2 novembre 2018

Kurdistan - Kobane sotto attacco turco

Nuova strage a Kobane. Contraria a ogni norma di diritto internazionale

di: Stefania Battistini e Ivan Grozny
Da Kobane in queste ore arrivano video molto simili a quando la città siriana in mano ai curdi veniva attaccata da Isis. Questa volta però le bombe sono sganciate dalla Turchia, il secondo esercito della Nato. Dopo Afrin, Erdogan viola ancora una volta il diritto internazionale e bombarda i villaggi abitati dai civili. L’obiettivo è colpire l’esercito curdo YPG e YPJ, il primo che ha resistito, combattuto e vinto contro Daesh, sostenuto dalla coalizione internazionale.
Nei video postati dagli abitanti si vede il terreno saltare, si sentono le urla delle persone. Le stesse persone che da tre anni stanno pazientemente ricostruendo tutto ciò che lo Stato islamico aveva distrutto. Con Ivan Compasso Grozny, a giugno, siamo stati a Kobane. A 4 anni dalla devastazione di Isis abbiamo visto la rinascita di una città e della sua gente, dopo il sangue versato. Abbiamo visto muratori ricostruire case e quartieri. Abbiamo visto nuovi ospedali e nuove scuole nate anche grazie ai soldi raccolti dalle fondazione delle donne del Rojava in Germania, Austria, Svizzera, Olanda. Coi finanziamenti della provincia Trento è stato rifatta una scuola per i bimbi rimasti orfani perché Daesh ha ucciso i loro genitori: si chiama l’Arcobaleno di Aylan, il piccolo curdo trovato sulle rive del Bosforo in Turchia, simbolo del dramma dei popoli che sfuggono dalle guerre.
Abbiamo visto le strade tornare a vivere. Fino a mezzanotte donne, uomini, bambini insieme per respirare la libertà ritrovata.
Abbiamo visto il Cimitero dei martiri di Kobane: più di mille combattenti hanno dato la vita per liberare il mondo dal terrorismo di matrice islamista.
Abbiamo visto cosa è diventato concretamente il confederalismo democratico alla base
l’organizzazione delle città del Rojava ispirato alle teorie socialiste del filosofo statunitense Murray Bookchin: una democrazia senza Stato, flessibile, multiculturale, anti-monopolistica; laicità, femminismo, ecologismo come pilastri. Abbiamo visto che non sono solo tensioni ideali, ma fatti concreti: la parità di genere e la laicità nel bel mezzo dell’estremismo religioso islamista, l’introduzione del matrimonio civile e l’abolizione della poligamia. Le donne hanno ruoli politici e militari, fanno parte delle forze di sicurezza e gestiscono l’organismo di polizia contro la violenza sessuale.
Abbiamo visto gli sforzi per arrivare a una convivenza pacifica a Mumbij, città multietnica in mano a Isis e liberata ad agosto 2016 dalle truppe del Free Syrian Army (FSA) appoggiate dagli americani. Un anno dopo libere elezioni in cui si è scelto di rappresentare tutte le identità: turcomanni, arabi, circassi, curdi. Quattro etnie, quattro identità, ognuna disegnata sulla bandiera, tutte presenti nell’Assemblea popolare votata dai cittadini. Per la prima volta il modello del confederalismo democratico è a partecipazione araba ed esce dal confine curdo.
Abbiamo visto l’istruzione tornare secolare, cioè laica, le scuole islamiche abolite nei territori
riconquistati.
Ora la Turchia sta distruggendo tutto questo. Dopo il vertice di Istanbul tra Germania, Francia, Turchia e Russia, sono iniziati gli attacchi. “La Turchia ha bombardato le aree di confine di Kobane e del Rojava per quattro giorni davanti agli occhi di tutto il mondo – scrive UIKI, l’Ufficio Informazione Kurdistan in Italia – Né la coalizione internazionale contro ISIS né gli Stati che hanno partecipato al vertice di Istanbul hanno preso seriamente posizione contro questi attacchi o hanno condannato lo stato turco”, sottolineando il paradosso di attacchi contemporanei: quelli turchi nel Nord della Siria, quelli di ISIS contro il villaggio di Hejin nell’area di Dêir Er-Zor, uno dei suoi ultimi bastioni. Qui le forze democratiche siriane – con YPG e YPJ come elemento aggregante – continuano a combattere.
Per questo oggi dal Rojava arriva una chiamata d’emergenza all’Europa e all’Occidente. La
copresidenza del KCDK-E ha emesso un comunicato in cui si legge: “Il Congresso europeo della Società democratica curda (KCDK-E) fa appello per un’azione urgente ai curdi e ai suoi sostenitori in Europa in seguito agli attacchi dello stato turco contro Kobane. L’esercito turco ha bombardato con armi pesanti i villaggi di Kor Eli e Selim e stanno progettando un massacro. Chiediamo a tutti di organizzare al più presto mobilitazioni a difesa e a sostegno di queste terre che sono costate il sangue di donne, giovani, bambini […]”
Noi come giornalisti abbiamo il dovere di non far passare sotto silenzio questa ennesima strage contraria a ogni norma di diritto internazionale

giovedì 1 novembre 2018

Messico - Programma del Primo Festival del Cinema.

Festival del cinema “Puy ta Cuxlejaltic”. Programma Generale.
Commissione Sexta dell’EZLN
Messico
Ottobre 2018

Programma delle proiezioni al festival del cinema “Puy ta Cuxlejaltic”

Attenzione: Per cause di forza minore, le date di questo primo festival si estendono fino al 9 novembre.

Saranno proiettati i seguenti film (nelle proprie categorie):

Categoria Ah, ti piace?

Sezione Speciale: “Una colonia cittadina nelle montagne del sudest messicano”.
Roma. Direzione: Alfonso Cuarón.

Categoria Cadere e rialzarsi
Baionetta. Direzione: Kyzza Terrazas.
Rudo y Cursi. Direzione: Carlos Cuarón.
Batallas Íntimas. Direzione: Lucía Gajá.
No les pedimos un viaje a la luna. Direzione: María del Carmen de Lara.

Categoria Sognare la Realtà
Érase una vez. Direzione: Juan Carlos Rulfo.
Ana y Bruno. Direzione: Carlos Carrera.
Tobías. Direzione: Francisca D´Acosta y Ramiro E. Pedraza.
Carrizos. Direzione: Dinazar Urbina.
Niños Héroes. Direzione: Itzel Martínez.
El Laberinto del Fauno. Direzione: Guillermo del Toro.
El Patio de mi casa. Direzione: Carlos Hagerman.
Future Past; Fin de, Coapan sin tiempo e Carnaval. Direzione: Federico Cuatlacuatl.
Aquí sigo. Direzione: Lorenzo Hagerman.
El sonar de las olas. Direzione: Vanessa Ortega C.
Amor, nuestra prisión. Direzione: Carolina Corral.

Sezione Speciale: Corrispondenza Infantile.
Niñ@s del llano encantado. Collettivo Ojo de Agua Comunicación.
Saludos desde San Juan Evangelista Analco. La Caléndula Audiovisual y Ojo de Agua Comunicación.
Ololetic Ya Vits Tan. Direzione: María Sojob.
Video carta desde Chicahuaxtla. Colectivo Ojo de Agua.

Categoria La Tormenta
No sucumbió la eternidad. Direzione: Daniela Rea.
Hasta los dientes. Direzione: Alberto Arnaut.
Artemio. Direzione: Sandra Luz.
Rush Hour. Direzione: Luciana Kaplan.
Tierra de Impunidad. Direzione: Diego Osorno y Luciano Gorriti.
La Tempestad. Direzione: Tatiana Huezo.
Silvestre. Direzione: Santiago Mohar Volkow.
Los reyes del pueblo que no existe. Betzabé García.
Los débiles. Direzione: Raúl Rico y Eduardo Giralt.
El futuro en nuestras manos. Direzione: Sara Oliveros.

Categoria Ieri, Oggi
Reed, México Insurgente (restaurato). Direzione: Paul Leduc.
El Grito (restaurato). Direzione: Leobardo López Aretche.
Diarios en Motocicleta. Direzione: Walter Salles.

Categoria Resistenza e Ribellione
Juban Wajin. Colectivo Tlachinollan y La Sandía Digital.
El secreto de la belleza. Direzione: Néstor Jiménez.
El Desafío Indígena. Direzione: Inti Cordera.
El Maíz en Tiempos de Guerra. Direzione: Alberto Cortés.
Del Oriente / Laboratorio Experimental de Cine. Faro Oriente y Faro Aragón.
Cherán. Tila y Ostula. SubVersiones.
Yoo´oram luturia y Comcaac quih yaza quih iicp cöismatoomlam quih.
La Marabunta Filmadora. Yoemem * Comcaac * Raramuri.
La Tercera Raíz. Direzione: Camilo Nu.
Los hijos del jaguar. Direzione: Eriberto Benedicto Gualinga Montalvo.
La Antigua: Sangre que nutre. Espora Kolectivo.
La Frágil Armada. Direzione: Jacques Kebadian y Joani Hocquenghem.
Los rebeldes. Direzione: Jacques Kebadian y Michel Andrieux.
Petites historias das criancas. Direzione: Gabriele Salvadores. Guido Lazzarini, Fabio Scamoni.
Slikebal: el comienzo. Direzione: Bernardino López.

Sezione Speciale: Ixmucané
500 años. Direzione: Pamela Yates.
Mujer. Se va la vida compañera. Direzione: Mariana Rivera.
Koltavanej. Direzione: Concepción Suárez.
Mujeres que Luchan. Koman Ilel.
La Candidata Imposible. Direzione: Rodrigo Hernández y Elpida Nikou.
Gira. Videoastas de la Frontera Sur.
Las mujeres que luchan. Direzione: Rocío Martínez Ts´ujul.
Hilo de la memoria. Direzione: Mariana Rivera.
Semillas de Guamuchil. Direzione: Carolina Corral.

Categoria Canta, Tessi, Balla, Gioca, Racconta questa memoria

martedì 30 ottobre 2018

Messico - Comunicato congiunto del CNI, CIG ed EZLN


Comunicato congiunto del Congresso Nazionale Indigeno, Consiglio Indigeno di Governo e Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale contro il megaprogett del Nuovo Aeroporto Internazionale del Messico (NAIM) ed in appoggio e solidarietà con le popolazioni migranti.

26 ottobre 2018

Al Popolo del Messico
Ai popoli del Mondo
Alla Sexta Nazionale ed Internazionale
Alle reti di appoggio al CIG
Ai mezzi di comunicazione

Noi popoli, nazioni, tribù e barrios del Congresso Nazionale Indigeno ed EZLN, ci rivolgiamo con rispetto al popolo del Messico ed ai popoli originari e contadini che degnamente si oppongono al megaprogetto di morte che chiamano Nuovo Aeroporto Internazionale del Messico (NAIM), i quali senza arrendersi, senza vendersi, né cedere, non hanno lasciato cadere la speranza, che è la luce per la quale sogniamo e costruiamo la giustizia.

La nostra parola va rispettosamente anche a coloro che sono obbligati a cercare in altri suoli quello che gli hanno strappato nelle loro geografie; a coloro che migrano alla ricerca di vita, e a coloro che li appoggiano disinteressatamente con i propri mezzi, tempi e modi.
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Abbiamo visto, seguito e vissuto da vicino la lotta delle comunità del lago di Texcoco e dintorni. Abbiamo visto la loro determinazione, la loro dignità ed il loro dolore che sono stati anche nostri. Non dimentichiamo la repressione di maggio del 2006, la tortura sessuale, l’ingiusto incarceramento dei compagni e delle compagne del Fronte dei Popoli in Difesa della Terra e della Sexta nazionale e internazionale; così come l’omicidio del nostro compagno Ollin Alexis Benhumea e del giovane Francisco Javier Cortés Santiago; repressione ordinata allora da Vicente Fox ed Enrique Peña Nieto, con l’avallo ed il plauso di tutto lo spettro politico di sopra, compreso chi oggi si presenta come “il cambiamento”.

Oggi, senza alcuna considerazione per i nostri diritti come popoli originari, i malgoverni dicono di consultare i messicani per sapere se preferiscono l’aeroporto nel Lago di Texcoco o a Santa Lucía, ma noi pensiamo che entrambe le soluzioni portano alla depredazione dei territori circostanti, alla devastazione ambientale, alla mercificazione della vita comunitaria dalla loro cosiddetta aerotropolis. Entrambe portano a fare del nostro paese il pezzo necessario che permetta il libero flusso al capitale transnazionale che faciliti l’entrata e l’uscita delle merci, lo sfruttamento di tutto quanto abbiamo a beneficio di pochi. Ognuna delle due opzioni sono dirette ad appoggiare la morte che minaccia l’umanità. Ossia, appoggiare il capitalismo neoliberale come boia dei nostri popoli.

venerdì 26 ottobre 2018

Centro America - La Carovana partita dall’Honduras nel suo viaggio in Messico




Cosa spinge migliaia di cittadini honduregni, guatemaltechi e salvadoregni a lasciare i loro paesi d’origine per cercare di arrivare negli Stati Uniti?



Sono migliaia i profughi che, a partire dal 13 ottobre scorso, si sono riversati nelle strade di San Pedro Sula (Honduras) nella speranza di raggiungere il Nord America. Nel percorso si sono aggiunti guatemaltechi e salvadoregni, che hanno colto l’occasione di questa grande Carovana, con la “C” maiuscola come scrive il giornalista di El Faro Sebastián Escalón, per provare ad entrare negli Stati Uniti.

Partita dalla seconda città honduregna per popolazione, dopo la capitale Tegucigalpa, la Carovana ha attraversato Città del Guatemala e Tecún Umán sotto la pioggia ed il sole, dormendo per la strada e mangiando ciò che gli abitanti guatemaltechi decidevano di offrire loro.


Come spiegano i giovani che scelgono di concedere interviste ai giornalisti locali e stranieri, a differenza dei migranti, che cercano di passare inosservati, la volontà questa volta è quella di farsi notare così da poter raccontare e far conoscere la situazione.

La fuga acquista quindi un significato ancor maggiore: una vera e propria manifestazione collettiva.
Lo urlano in slogan le migliaia di persone che ne fanno parte: “Non si può vivere se si è poveri in America Centrale!”

Avanzano insieme donne e uomini, giovani ed anziani, con passo deciso.
Marciano verso la terra del vecchio “sogno americano”. 


È la forza della massa che muove le oltre settemila persone in marcia.

Si lasciano alle spalle disoccupazione, violenze, povertà e conflitti civili che da anni insanguinano i paesi d’origine. 

Marciano nella speranza di migliorare il proprio futuro, andando proprio verso quel modello di società che, negli anni, ha causato impoverimento, violenze e repressione in tutta l’America centro-meridionale.


La carovana si trova ora in Chiapas, ed attraverso i reportage di Radio Zapatista possiamo seguire il lento avanzare attraverso il primo stato messicano dalla frontiera.



DA DOVE VENGONO LE DONNE E UOMINI DI OGNI ETA’ CHE COMPONGONO LA CAROVANA?

Con il crollo dei cartelli colombiani degli anni 2000 la produzione di droghe dirette negli Stati Uniti si è spostata verso nord, in Messico ma non solo.
Uno spostamento che ha segnato in profondità quello che viene chiamato "centroamerica".

I profitti delle narcotraffico, garantiti dall’ipocrisia del proibizionismo ed in mano a poteri legali ed illegali, producono un’immensa quantità di denaro, che finisce nei scintillanti palazzi della finanza globale, devastando con la violenza del controllo del territorio intere comunità.
Una guerra non dichiarata che assieme ad una situazione economica e sociale drammatica ha creato un clima invivibile che, spesso, non viene raccontato.


In una sistema di comunicazione dove la semplificazione la fa da padrona è importante analizzare le diverse, e più specifiche, cause territoriali che hanno portato migliaia di persone a riversarsi nei territori messicani al di là del ponte Rodolfo Robles, verso Ciudad Hidalgo.




DONNE E UOMINI HONDUREGNI
A partire da chi compone in maniera numericamente maggiore la marcia troviamo cittadini honduregni che scappano da cause che hanno radici profonde, legate alla povertà e alle disuguaglianze endemiche nel paese, assieme all’attuale crisi politica del governo di Juan Orlando Hernández.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!