sabato 26 ottobre 2019

Cile - L’Ottobre nero del Cile: una protesta che viene da lontano

di Alessandro Guida e Raffaele Nocera*

I media cileni non hanno fatto in tempo a etichettarlo come il «18 de octubre negro» che gli eventi dello scorso venerdì sono stati già superati dallo tsunami dei giorni successivi. Di fronte a una rivolta sociale sicuramente disorganica, almeno in una fase iniziale, ma non per questo meno “rumorosa”, il governo ha in una prima fase tentato di strumentalizzare le circostanze, criminalizzando i manifestanti, ma nel giro di poco tempo ha perso completamente il controllo della situazione e, a conferma di un’estrema debolezza, ne ha delegato la gestione ai militari.

Si è così fatto ricorso dapprima alla Ley de Seguridad Interior del Estado, emanata alla fine degli anni ‘50 e poi riformata in piena dittatura civico-militare; poi si è dichiarato lo “stato di emergenza” per disturbi all’ordine pubblico nella capitale e successivamente in altre zone del paese.
A ciò ha fatto seguito il coprifuoco, misura che, alla pari delle precedenti, non veniva adottata dai tempi del dittatore Augusto Pinochet. Infine, in preda al panico, il presidente Sebastián Piñera ha sospeso il provvedimento che aveva dato il la alle manifestazioni di dissenso, ossia l’aumento del prezzo del biglietto della metropolitana, vanto del paese e già tra le più care del continente (e di tante altre capitali del mondo). 

Azioni che, tuttavia, non hanno fatto altro che provocare un’estensione e una radicalizzazione della protesta. Le dichiarazioni del leader del centrodestra relative alla presenza di un vero e proprio stato di guerra interna – che hanno richiamato alla memoria quel passato dittatoriale in cui la necessità di combattere il “nemico interno” venne addotta a giustificazione delle più atroci violazioni dei diritti umani che il Cile abbia mai conosciuto – hanno chiuso il cerchio, rappresentando l’ultimo atto di una settimana piena di disastrosi errori politici alla Moneda.

In molti, fra gli osservatori, anche in Italia, si sono detti sorpresi da questa “improvvisa” esplosione sociale e dalla successiva reazione dello Stato, autoritaria e antidemocratica, che ha riportato i militari nelle strade del paese dopo oltre trent’anni, causando un numero imprecisato di morti (che le autorità stimano in 18 ma che secondo fonti indipendenti sarebbero più del doppio), centinaia di feriti e migliaia di arresti in pochi giorni. Per non parlare dei saccheggi e delle devastazioni delle stazioni della metropolitana e di edifici pubblici e privati. 

Com’è possibile, si è affermato, che in quello che, da qualche decennio a questa parte, viene presentato come l’esempio stesso di transizione democratica perfettamente riuscita, possano accadere cose di questo tipo? Del resto si tratta di un paese modello, stabile politicamente e fra i più avanzati economicamente dell’America Latina, si è detto e scritto. 

E, se realmente è così che stanno le cose, da dove viene questa “inattesa” esplosione di rabbia collettiva? Si tratta, forse, del prodotto di qualche trama “sovversiva” internazionale, o della destabilizzazione ordita dai “claudicanti” (e non numerosi) governi della “sinistra radicale” latinoamericana, nei palazzi del potere all’Avana o a Caracas, con la connivenza di frange estreme locali?

In realtà, se si guarda agli ultimi decenni di storia cilena e, in modo particolare, al modo in cui si è prodotto il lento, graduale e incompiuto (ebbene sì, incompiuto) processo di transizione dai 17 anni di feroce dittatura pinochetista alla democrazia, il quadro assume contorni ben diversi e gli accadimenti odierni ci appaiono, non soltanto meno sorprendenti, ma addirittura per certi versi prevedibili. La visione “positiva” della transizione cilena che si è affermata nel corso degli anni è stata favorita, infatti, soprattutto da fattori di carattere macroeconomico. 

I risultati a lungo termine di quella che alcuni autori hanno definito la «rivoluzione capitalista del Cile», iniziata dalla dittatura a metà degli anni Settanta con la «politica di shock» avviata dal regime su impulso dei Chicago boys, sono stati, invero, indiscutibili: smantellamento del settore pubblico, privatizzazioni, razionalizzazione industriale con conseguente mobilità della forza lavoro, sostegno agli investimenti, svalutazione del peso rispetto al dollaro per favorire le esportazioni, controllo da parte della Banca centrale dei tassi d’interesse e così via, avevano permesso al regime autoritario cileno di consegnare alle forze democratiche un paese con i conti sostanzialmente in regola. 

Non a caso, fra il 1990 e il 2009, il Prodotto Interno Lordo cileno crebbe mediamente ad un ritmo del 5%, i salari reali lievitarono a loro volta in maniera vigorosa, così come aumentò vertiginosamente il volume delle esportazioni (addirittura del 102% solo fra il 1990 ed il 1997). In breve, il Cile venne presentato come la manifestazione concreta della possibilità di coniugare, e con successo, democrazia e libero mercato. 

Non è un caso se, nel corso degli anni Novanta, si giunse a parlare di «modello cileno di sviluppo», del Cile come un esempio, come un possibile riferimento per i paesi della regione e anche per le nazioni appartenenti ad altre “periferie” del pianeta . 

A questa sostenuta crescita economica, senza precedenti nella storia nazionale, che avrebbe portato alla definizione del paese in questione in termini di «giaguaro dell’America Latina», corrispose, peraltro, in quegli anni, un notevole attivismo sul piano internazionale, finalizzato a rompere l’isolamento politico ed economico in cui era stato confinato il vecchio regime per i crimini commessi e a proiettare all’esterno una nuova immagine del paese. 

Basti ricordare che, già alla metà degli anni Novanta, il Cile entrò a far parte dell’Asia-pacific economic cooperation, per poi aderire, poco dopo, all'Organizzazione mondiale del commercio; praticamente nello stesso periodo iniziò a partecipare attivamente ai lavori delle Nazioni Unite. 
Nondimeno, il Cile è stato il secondo paese latinoamericano, dopo il Messico (ma il primo dell’America meridionale) a firmare un Accordo di Associazione Economica con l’Unione Europea (entrato in vigore nel 2003), nonché la prima nazione occidentale a siglare un trattato di libero commercio con la Cina (2005), con accordi analoghi anche con Canada, Messico, Stati Uniti, Corea del Sud.

In realtà, ad analisi un po’ più attente e, se vogliamo, “disinteressate”, sono emerse tutte le profonde contraddizioni di questa transición pactada, e, più in generale, dell’evoluzione del processo politico ed economico cileno post-dittatoriale. 

lunedì 7 ottobre 2019

Ecuador - In piazza contro il paquetazo


proteste contro il paquetazo in Ecuador

Il presidente Lenín Moreno sposa le ricette imposte dal Fondo monetario internazionale

Il  1° ottobre scorso, quando Lenín Moreno ha annunciato in televisione il cosiddetto paquetazo, una serie di misure volte ad imporre l’austerity all’Ecuador, a partire dall’eliminazione del sussidio statale sul carburante, probabilmente ha sottovalutato le capacità di rivolta dei suoi concittadini, che tra il 1998 e il 2000 cacciarono prima Jamil Mahuad e poi Lucio Gutiérrez.

Quest’ultimo, per inciso, condivide con Moreno il tradimento dei movimenti popolari, delle comunità indigene e più in generale di quel popolo di sinistra che aveva contribuito all’elezione di entrambi.

La capitale del paese, Quito, è stata teatro di violenti scontri tra gli oppositori del presidente e del suo governo e la polizia. Per frenare la rivolta María Paula Romo, ministra dell’Interno, ha fatto sapere che prorogherà lo stato di assedio per 60 giorni ed ha già escluso un dietrofront del governo per quanto riguarda sia l’aumento del carburante sia il decreto che rende precario il mondo del lavoro tramite una flessibilizzazione selvaggia. Lenín Moreno, in pratica, non ha fatto altro che seguire la strada imposta dal Fondo monetario internazionale. In barba ai sindacati, il presidente ha imposto che la giornata lavorativa cresca fino a 12 ore quotidiane, per la gioia delle imprese, e ha scelto di difendere a spada tratta la dollarizzazione.

Le proteste nelle piazze, unite allo sciopero dei transportistas, lascia pensare che il conflitto sociale sia solo l’inizio di un’ampia ribellione contro un governo che, subito dopo le elezioni, ha deciso di passare armi e bagagli alla destra, anche in campo internazionale, aderendo al Gruppo di Lima, e di farla finita con il correismo, che pur essendosi caratterizzato per notevoli contraddizioni, soprattutto a livello ambientale, aveva permesso al paese di avere un alto profilo sotto molti aspetti, a partire dal buen vivir inserito nella Costituzione, per quanto rimasta più sulla carta che applicata. Alla mobilitazione dei transportistas si sono rapidamente uniti  studenti, sindacati, comunità indigene e tutte le organizzazioni popolari. 

La dollarizzazione ha già provocato effetti nefasti nell’Argentina che, all’inizio del nuovo secolo, si vide costretta a fare i conti con il corralito.

giovedì 26 settembre 2019

Messico - Le zapatiste convocano il Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano

Dal 27 al 29 dicembre 2019 le zapatiste hanno convocato il Secondo Incontro Internazionale delle donne che lottano al Semillero “Huellas del Caminar de la Comandanta Ramona”, del Caracol Torbellino de Nuestras Palabras, della zona Tzots Choj (nella comunità di Morelia, MAREZ (Municipio Autonomo Rebelde Zapatista) 17 de Noviembre.
La convocazione promessa nel 2018 durante il Primo Incontro delle Donne, si accompagna alle nuove iniziative annunciate per il prossimo periodo dall’EZLN come il Festival del cinema Puy Ta Cuxlejaltic e il Festival CompArte de Danza.

Dall’Italia partiremo per partecipare al Secondo Incontro delle Donne che lottano e per visitare le comunità zapatiste, continuando il sostegno al Progetto Juntos para el derecho a la salud

Per info padova@yabasta.it e cooperazionerebeldenapoli@gmail.com


Le iniziative proposte dagli zapatisti seguono il comunicato “.. E abbiamo rotto l’accerchiamento”, in cui si annuncia la nascita dei Centri di Resistenza Autonoma e Ribellione Zapatista e di nuovi Caracoles e altri Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti, a dimostrazione del processo di rafforzamento dell’autonomia zapatista
Il lento ma continuo lavoro d’organizzazione nelle comunità zapatiste si è mostrato in grado di “rompere l’accerchiamento” delle mosse compiute nel tempo del governo della 4T (quarta trasformazione), presentato come “del cambiamento” di Andres Manuel Lopez Obrador.

Gli zapatisti negli ultimi comunicati hanno ripercorso il cammino partito nell’ottobre 2016 insieme al Congresso Nazionale Indigeno che ha dato vita al Consiglio Indigeno di Governo. Da allora si è continuato a tessere le reti di relazioni nazionali per rafforzare i percorsi dal basso di resistenza al saccheggio del territorio e alle politiche di sfruttamento, tanto più dopo l’elezione di Amlo.

Se si guarda l’insieme delle politiche del governo di Amlo ci vuole poco per capire che c’è ben poco di cambiamento, nonostante moltissimi l’abbiano votato con la speranza di voltare pagina.

* La costituzione della Guardia Nazionale, nuovo apparato armato che si inserisce in una più generale militarizzazione del paese. Guardia Nazionale per altro dislocata proprio nel Sud Est messicano per il “rafforzamento” del confine in funzione di bloccare l’arrivo di migranti dai paesi centroamericani in transito verso gli Usa.

* La volontà di far marciare mega progetti, ammantati di progresso per le comunità indigene, come il Treno Maya, che verrà costruito partendo dal Chiapas verso lo Yucatan.

* La falsa retorica delle consultazioni popolari, fatte in condizioni che non rispettano minimamente i percorsi di opposizione reale a progetti di sfruttamento del territorio. 
Emblematico quello che è successo in Morelos dove si lotta contro un gasdotto e dove Samir Flores Soberanes, attivista messicano impegnato nelle mobilitazioni è stato barbaramente ucciso, proprio nei giorni della consultazione popolare.

* La pura propaganda riferita ai diritti umani che non sposta niente negli equilibri macabri di violenza ed impunità che continuano ad esistere nel paese. 

Ogni 17 ore circa c’è l’aggressione di un giornalista in Messico, come denuncia Articolo 19.
I dati legati al femminicidio crescono insieme agli episodi di violenza, come denunciato nelle manifestazioni di protesta dell’agosto passato in cui migliaia di donne sono scese in piazza dopo l’ennesimo episodio di violenza da parte della polizia e per denunciare che "Tutti noi, cittadine e cittadini viviamo in costante pericolo, le autorità ci causano la stessa paura della delinquenza organizzata e siamo terrorizzate di vivere in questo paese". 

Mentre continuano le aggressioni, uccisioni o sparizioni di chi lotta, all’interno di una aggressione generalizzata ai popoli indigeni

Messico - Convocazione del Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO
CONVOCAZIONE DEL
SECONDO INCONTRO INTERNAZIONALE DELLE DONNE CHE LOTTANO
Settembre 2019
Alle donne che lottano in tutto il mondo:
Sorella, compagna, donna che lotta:
Ti salutiamo da donne, indigene e zapatiste, quali siamo.
Forse ricordi che nel Primo Incontro ci eravamo dette che dovevamo restare vive. Ma vediamo che la mattanza e la sparizione di donne continuano. Di tutte le età e di tutte le condizioni sociali. Ci uccidono e ci fanno sparire perché siamo donne. Inoltre, ancora ci dicono che è colpa nostra per come ci vestiamo, perché andiamo dove andiamo, perché a quell’ora e in quel posto. E poi, tra i malgoverni non manca chi, uomo o donna, se ne esce con la stupidaggine di dire che allora non dobbiamo uscire di casa. Secondo questo pensiero, le donne devono restare rinchiuse nelle proprie case, non devono uscire, non devono studiare, non devono lavorare, non devono divertirsi, non devono essere libere.
È evidente che il sistema capitalista e patriarcale è come un giudice che ha detto che siamo colpevoli di essere nate donne e pertanto la nostra punizione per questo crimine è la violenza, la morte o la sparizione.
Costa molto, sorella e compagna, metterlo in parole, perché è una malvagità enorme a cui non può essere dato un nome. E se ora si dice “femminicidio” o come la chiamino, non cambia nulla. Le morti e le sparizioni continuano.
E poi le nostre famiglie, le nostre amicizie, i nostri conoscenti devono lottare perché non ci ammazzino o ci facciano sparire un’altra volta, quando lasciano impuniti i colpevoli o dicono che siamo state sfortunate o, peggio ancora, dicono che ce la siamo cercata.
Scusa, sorella e compagna, ma questa è una grande stupidaggine. Dobbiamo ancora lottare contro la discriminazione in casa, per strada, a scuola, sui luoghi di lavoro, sui mezzi pubblici, con conoscenti e con sconosciuti, e poi dicono che cerchiamo la morte. No, ma ci violentano, ci uccidono, ci squartano, ci fanno sparire.
Quelli che parlano così sono maschilisti o donne con la mentalità maschilista.
-*-
Dunque, compagna, sorella, siccome l’accordo che abbiamo fatto nel Primo Incontro era restare vive, ora dobbiamo rendere conto di che cosa abbiamo fatto o non abbiamo fatto per rispettare questo accordo.
Per questo convochiamo questo Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano con un solo tema: la violenza contro le donne.
E questo tema diviso in due parti: Una di denuncia ed un’altra su che cosa facciamo per fermare questo massacro contro di noi.
Quindi, ti invitiamo, sorella e compagna, a riunirci e tirare fuori tutta la nostra rabbia e dire chiaramente tutto quello che stanno facendo ovunque.
Quello che vediamo è come spezzettano il nostro dolore: una violentata in un posto, una percossa in un altro, una desaparecida lì, una assassinata più là.
Fanno così perché noi pensiamo che sia un problema che riguarda un’altra donna in un’altra parte del mondo, che non ci riguarda, che non è così grave, che i malgoverni lo risolveranno.
Ma non è così, invece ci tocca da vicino, è grave, molto grave, e i malgoverni non fanno niente, fanno solo vuote dichiarazioni che perseguiranno non gli assassini, i violentatori, i sequestratori, ma le donne che con rabbia hanno rotto le vetrine o imbrattato una pietra.
Questo è il sistema capitalista patriarcale, sorella e compagna. Le cose stanno così, vale più un vetro o una parete imbrattata che la vita di una donna.
Questo non può continuare, davvero.
Senti, anni fa, prima della nostra sollevazione e l’inizio della guerra contro l’oblio, qua nelle proprietà valeva più un pollo che la vita di un indigeno. Non si può credere? Sì, così dicevano i padroni. Ora a noi donne dicono di peggio, perché piagnucolano e si scandalizzano per un vetro rotto ed una scritta sul muro che dice la verità.
La verità è che non solo ci violentano, assassinano e ci fanno sparire. Sì, anche questo, ma non dobbiamo comportarci come se non succedesse niente, ben educate e obbedienti.
Ci attaccano talmente tanto che sembra che sia un affare del sistema. Se ci sono più donne assassinate o scomparse o violentate, ci sono più profitti. Forse è per questo che la guerra contro le donne non si arresta. Perché, è incredibile che ogni giorno ci siano donne sparite o assassinate ovunque, mentre il sistema va avanti tranquillamente, felice, preoccupato solo dei soldi.
Può essere che se continuiamo a restare vive, a non essere violentate, gli affari crollino. Bisognerebbe analizzare se mentre sale il numero di donne violentate nel mondo, salgono anche i profitti dei capitalisti. Tante picchiate, tante scomparse, tante assassinate, uguale a tanti milioni di dollari o di euro o della moneta che sia.
Perché sappiamo bene che il sistema risponde solo a ciò che colpisce il suo profitto. E sappiamo bene anche che il sistema fa profitti dalle distruzioni e dalle guerre. Pensiamo che le violenze che subiamo, le nostre morti, siano un guadagno per il capitalista. E le nostre vite, le nostre libertà, la nostra tranquillità, siano una perdita di denaro per il sistema.
Allora vogliamo che tu venga e che faccia la tua denuncia. Non perché l’ascolti un giudice o un poliziotto o un giornalista, ma perché ti ascolti un’altra donna, altre donne, molte donne che lottano. E così, compagna e sorella, il tuo dolore non sia solo, ma si unisca con altri dolori. E da tanti dolori che si uniscono non esce solo un dolore molto grande, ma esce anche una rabbia che è come un seme. E se questo seme cresce in organizzazione, allora il dolore e la rabbia si fanno resistenza e ribellione, come diciamo qua, e la smettiamo di sperare che a noi non tocchi la disgrazia, ma ci mettiamo a fare qualcosa, primo per fermare questa violenza contro di noi, poi per conquistare la nostra libertà in quanto donne.
Questa è la nostra esperienza nella nostra storia come donne, come contadine, come indigene e come zapatiste.
Nessuno ci darà la pace, la libertà, la giustizia. Dobbiamo lottare, sorella e compagna, lottare e fregare il Prepotente.
L’invito a discutere della Violenza contro le Donne non è solo per denunciare, ma anche per dire che cosa si fa o che cosa si è fatto o che cosa si può fare per fermare questi crimini.
Sappiamo, perché l’abbiamo sentito e visto negli interventi del Primo Incontro, che ci sono molte forme o modi di lottare delle donne. Sappiamo che alcune dicono che è meglio il loro modo piuttosto che la maniera di altre. Sta bene che si discuta anche senza essere pienamente d’accordo.
Ma il problema che vediamo noi zapatiste, è che per poter discutere e litigare tra noi su chi è più femminista, per prima cosa dobbiamo essere vive. E ci stanno ammazzando e facendo sparire.
Quindi l’invito a questo incontro è su un solo tema: Violenza contro le donne, diviso in due parti: denuncia e proposte su come fare per fermare questa guerra.
Non è che dobbiamo concordare di lottare tutte nello stesso modo, perché ognuno ha i suoi modi, le sue geografie ed i suoi tempi. Ma dobbiamo ascoltare i diversi modi, perché ci daranno idee su come fare, su cosa è utile o no.
Il sistema vuole che gridiamo solo di dolore, di disperazione, di angoscia, di impotenza.
Ora si tratta di gridare insieme ma di rabbia, di coraggio, di indignazione. Ma non ognuna per conto suo, spezzettate come quando ci violentano, ammazzano e fanno sparire, ma unite, benché ognuna nel suo tempo, il suo luogo ed il suo modo.
E chissà, compagna e sorella, che impariamo non solo a gridare di rabbia, ma trovare anche il modo, il luogo ed il tempo per gridare un mondo nuovo.
Sorella e compagna, per come stanno le cose, per poter essere vive, dobbiamo costruire un altro mondo. Il sistema è arrivato fino a questo: possiamo vivere solo se lo ammazziamo. Non sistemarlo un poco, o fare buon viso, chiedergli di comportarsi bene, che non sia così cattivo. No. Distruggerlo, ammazzarlo, farlo sparire, che non rimanga niente, nemmeno la cenere. Così la vediamo noi, compagna e sorella, o il sistema o noi. Così lo vuole il sistema, non noi in quanto donne.
Ti invitiamo dunque il 26 dicembre 2019 come giorno di arrivo. I giorni 27, 28 e 29 dicembre 2019, sono i giorni degli incontri, per parlarci ed ascoltarci. Il 29 dicembre 2019 sarà il giorno di chiusura.
Il luogo è il Semillero che ora si chiama “Huellas del Caminar de la Comandanta Ramona”, del Caracol Torbellino de Nuestras Palabras, della zona Tzots Choj (nella comunità di Morelia, MAREZ 17 de Noviembre), lo stesso luogo del Primo Incontro.
L’arrivo è nel caracol dove saranno consegnati i cartellini di riconoscimento ed il programma e da dove le compagne choferas ti porteranno al Semillero dove non sarà permesso l’ingresso agli uomini, che siano buoni o regolari, nessuno. Cioè, gli uomini non potranno neppure sbirciare da lontano la nostra riunione perché il Semillero è protetto dalle montagne.
Gli uomini possono restare nel caracol ad aspettare mentre ci riuniamo noi donne, ma solo se sono accompagnati da una donna che si renda responsabile che non facciano stronzate. Questo posto lo chiameremo “misto”, cioè potranno restarci uomini e donne che lo vorranno.
In questo luogo, dove possono stare gli uomini, forse potrebbe presentarsi una commissione di donne zapatiste proveniente dal luogo dell’incontro per raccontare loro quello che si sta denunciando nel Semillero, perché si sappia ovunque. E che provino un po’ di vergogna perché lo raccontino ad altri uomini, e dicano loro la cosa principale, cioè che non ci aspettiamo che capiscano, o che si comportino bene, e la smettano con le stronzate, ma che in primo luogo ci organizziamo per difenderci, e poi per cambiare tutto, Tutto, TUTTO.
Vi diciamo un’altra cosa, compagne sorelle, stiamo rivedendo quello che non abbiamo fatto bene nel Primo Incontro. Per questo vogliamo farlo nello stesso luogo, per vedere se possiamo correggere i nostri errori.
Un’altra cosa di cui ci siamo rese conto del Primo Incontro è che nel processo di registrazione e programmazione c’è stato un certo favoritismo nei confronti delle osservazioni che erano più in linea con il pensiero di coloro che hanno collaborato con la registrazione e la programmazione, e che alcune donne e attività erano state escluse. Ciò è accaduto perché chi collaborava alla registrazione e alla programmazione ha dato priorità alle attività di quelle che la pensavano allo stesso modo e quindi non c’era tempo o spazio per le altre.
Quindi, perché non accada che alcune donne valgano più di altre, faremo tutto noi donne indigene zapatiste, dall’inizio alla fine, cioè dalla registrazione alla programmazione.
Non l’abbiamo mai fatto, ma non siamo mai state nemmeno choferas e lo abbiamo imparato. Forse verrà male ed il programma non sarà perfetto, ma è perché stiamo imparando e non perché alcune donne ci stanno simpatiche perché la pensano come noi, mentre altre ci piacciono meno.
Quindi, ci stiamo organizzando e suddividendo i compiti affinché tutto sia completamente organizzato da noi. Così, quando tu manderai la tua mail (ti diremo poi l’indirizzo di posta elettronica e quando cominceranno le iscrizioni), saprai che sarà una di noi, donne indigene zapatiste, che aprirà la tua mail e riporterà il tuo nome e la tua organizzazione, gruppo o collettivo se ne hai, o solo individuale; e ti risponderemo affinché tu sappia che il tuo nome sarà nella lista. E se nella tua mail dirai che farai qualcosa, lo metteremo nel programma. Per questo ti chiediamo che quando ti registrerai, lo farai in lingua spagnola, perché la nostra lingua è di radice maya e sappiamo un po’ di spagnolo, ma di altre lingue del mondo non ne sappiamo niente. E se ci sbagliassimo e non registrassimo il tuo nome, non c’è problema, perché ti potrai registrare al tuo arrivo e ti daremo il tuo cartellino del Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano.
Dunque, ora conosci luogo e data. Così ti puoi già organizzare per venire o mandare qualcuno o incaricare qualcuno che ti racconti quello di cui abbiamo parlato. Così, benché sei lontano, saprai che il nostro dovere di donne che lottano è che non si spenga la luce che ti abbiamo dato. Perché non è solo per illuminare, ma può servire anche per bruciare il maledetto sistema capitalista patriarcale.
Per ora è tutto, sorella e compagna. Presto ti daremo l’indirizzo di posta elettronica e ti diremo quando comincerà la registrazione. Ma sai già la cosa più importante: i giorni 26, 27, 28 e 29 dicembre 2019, nello stesso luogo del Primo Incontro, che è da dove ti scriviamo queste parole e da dove ti mandiamo un abbraccio, cioè…
Dalle montagne del sudest messicano.
Coordinamento delle Donne Zapatiste per il
Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano:
Zona Selva-Fronteriza:
Marisol
Yeni
Mirella
Neri
Yojari
Arlen
Erica
Mariana
Mayder
Cleyde
Evelin
Alejandra
Nayeli
Zona Altos de Chiapas:
Yessica
Zenaida
Lucía
Teresa
Fabiola
Flor
Gabriela
Lidia
Fernanda
Carla
Ofelia
Zona Selva Tzeltal:
Dalia
Rosalinda
Marina
Carolina
Alejandra
Laura
Ana
Cecilia
Julia
Estefanía
Olga
Eloisa
Zona Tsots Choj:
Gabriela
Elizabeth I
Maydelí I
Elizabeth II
Guadalupe
Leydi
Lauriana
Aliz
Ángeles
Maydelí II
Karina
Jhanilet
Fabiola
Mariela
Daniela
Yadira
Yolanda
Marbella
Elena
Elissa
Zona Norte de Chiapas:
Diana
Ximena
Kelsy
Jessica
Ana María
Marina
Valentina
Yadira
Elizabeth
Messico, Settembre 2019

Traduzione “Maribel” – Bergamo

martedì 17 settembre 2019

Messico - Verso il Puy Ta Cuxlejaltic, il CompArte di Danza ed il Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano.


Dal quaderno di appunti del Gatto-Cane: 

Verso il Puy Ta Cuxlejaltic, il CompArte di Danza ed il Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano.

Nel 1993, 26 anni fa, le donne zapatiste elaborarono la “Legge Rivoluzionaria delle Donne”. In uno dei suoi comma, segnalavano il loro diritto a studiare… “e perfino essere choferas” [autiste – N.d.T.], come narrò il defunto SupMarcos in una lettera pubblica ricordando, 25 anni fa, la nascita di quella legge ed il ruolo che ebbero nella sua creazione la scomparsa Comandanta Ramona e la Comandanta Susana. Forse in un’altra occasione si racconterà il perché di questa aspirazione delle donne indigene zapatiste. Adesso, in esclusiva, la Commissione Sexta dell’EZLN vi presenta alcuni spezzoni o cortometraggi o trailer di uno dei documentari che L@s Terci@s Compas mostreranno, in Prima assoluta, in data indefinita. Procediamo, dunque.

“…E PERFINO ESSERE CHOFERAS

Documentario girato, in tutti i sensi, completamente nelle montagne del Sudest Messicano nell’anno 2019. Realizzato, diretto e prodotto dalle donne zapatiste, questo documentario raccoglie alcune scene della preparazione delle compagne choferas zapatiste. Durata indefinita. Formato non so. Classificazione Z (come deve essere). Non si vedrà su Netflix, né su Amazon Prime, né Tv Apple, né su HBO, né su Fox, né … su quali altre?… Beh, quelle. Nemmeno nei cinema. Solo nei Caracol Zapatisti… Anche nel Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano? Metto così?… ok, ma non metto la data né il posto?… Oh, dunque… È che protesteranno perché lasciamo la suspense… Almeno diamo una pista… no, non nel senso di guida, ma di un’idea. Dicembre?… di questo anno?… Pronto?… Pronto?… Pronto?… Tristi@?… Se ne sono andate, ma vi dirò che non sembravano tristi… avevano qualcosa nello sguardo, una specie di sfida, di scommessa, di ribellione, di zapatismo. Nota: Nessun maschio è stato maltrattato nella realizzazione di questo documentario…, beh, sì, ma è stato colpito solo il suo ego… Ah, ed alcuni sono caduti mentre fuggivano da una compagna che si era arrabbiata per qualcosa che le stavano dicendo… No, io no, io guardavo da lontano, non mi ha raggiunto nessuna randellata… ahia...

Sinopsi versione Apocalittica: Un virus creato nei laboratori degli Iluminatti si è diffuso nelle montagne del Sudest Messicano. Per qualche strana ragione, colpisce solo le trasgreditrici della legge degli autoproclamati zapatisti. Il virus le induce a fare cose fuori da ogni ragione e logica, si ribellano, si oppongono e vogliono ricoprire incarichi e lavori che dovrebbero essere esclusivi degli uomini. In questo documentario si raccolgono le prove di questa indisciplina e si vede fino a che punto le zapatiste vogliono essere libere e, da non credere, perfino essere choferas, ma vi pare? Non ci si capisce più.

Sinopsi versione “Nessun lieto fine”: Un gruppo di donne indigene zapatiste si dicono e proclamano “basta!” e si ribellano e vogliono essere libere e perfino essere choferas. Un gruppo di intrepidi e valorosi uomini dei partiti politici decidono di sfidarle burlandosene e minacciandole di ricacciarle in cucina e a fare bambini. Le trasgreditrici delle leggi patriarcali (e stradali) li affrontano. I maschi perdono, le donne vincono. Sì, è così, per questo dico che non c’è nessun lieto fine.

Sinopsi versione “Hanno continuato” (da un’intervista inedita con un chofer maestro di choferología): Bene, i maestri hanno detto che avrebbero insegnato a guidare solo i veicoli che chiamano “estaquitas” [pick-up – N.d.T.] perché sono quelli più usati nei villaggi, ma le compagne hanno detto no, che volevano conoscere anche la meccanica. Non c’è stato modo, quindi anche la meccanica. E fin qui tutto ok. Ma lo scandalo è stato quando hanno voluto anche il Guardián e la Guardiana, che sono due camion di 6 tonnellate. “Camionzote”, li chiamano le compagne. E con questo, Roma brucia! come diceva il defunto, perché 6 tonnellate non sono per tutti. Perfino i choferes uomini evitano di guidare veicoli di più di 3 tonnellate, perché non sono mica giocattoli. Bene, abbiamo pensato, sarà sufficiente se imparano ad avviarlo. Ma niente da fare, hanno proseguito fino alla manutenzione dei camion. No, non si sono accontentate. Ora vogliono imparare a guidare camion a rimorchio, di quelli che portano i tronchi di alberi. Ma dove lo andiamo a prendere un camion a rimorchio? Nemmeno per sogno. E se poi vogliono imparare a guidare furgoni o TIR? (…) Ah, sì servirebbero perché dobbiamo trasportare materiali per i caracoles. Dicono che faranno il festival del cinema e le compagne faranno il loro incontro con le altre donne. E dicono un CompArte speciale di danza e quelle cose lì. No, io so solo ballare quella del moño colorado, ma non è cosa mia saltare come un cervo o indossare tutù di tulle. E poi ti raccontano una storia ma solo attraverso la danza. Non so neppure zompettare, o sì, ma solo nel fango quando il cerchione si impantana e non puoi fare altro che saltare e prenderlo a calci. Sì, ecco Las Tercias che girano un film sulle choferas e dicono che vogliono che sia allegro, con battute spiritose, perché altrimenti il film viene molto triste mentre la ribellione è allegria, dicono. Allora bisogna fare qualcosa come degli scontri. Ehi? No, quello della compagna che viene addosso a noi uomini con l’auto non era previsto, credo che la compagna pensasse ad uno scherzo e si è lanciata contro di noi. Siamo scappati ma non per l’auto, ma perché abbiamo visto lo sguardo della compagna chofera e si vedeva che era arrabbiata, ma la cosa strana è che sorrideva. Le compagne sono molto “altre”.

Sinopsi versione “fottuti uomini”: Bene, risulta che in questo secondo corso, le compagne ci hanno detto che nei loro villaggi, quando fanno pratica con l’auto della comunità, a volte quelli dei partiti gridano loro parolacce. Allora ci hanno detto a noi e ai maestri di choferólogias di fare come quelli dei partiti, di gridargli contro parolacce. Sì, per allenarsi anche a questo. Cioè, dovevamo recitare, così ci hanno spiegato la Teresa ed il Cochiloco.

(Nota: lo speaker si riferisce all’attrice Dolores Heredia e all’attore Joaquín Cosío, nei loro ruoli in Capadocia y El Infierno, rispettivamente. Le/gli zapatisti si riferiscono a chi interpreta dei personaggi al cinema non con i propri nomi veri. Nel primo festival del cinema, a novembre del 2018, la Teresa e il Cochiloco hanno avuto tempo e modo di parlare in privato con le insurgentas e gli insurgentes mentre si ingozzavano di tamales de tuluc. Hanno risposto a tutte le domande. Quello di cui hanno parlato con la Teresa sulle donne, solo loro lo sanno. La cosa certa è che si sono finiti tutti i tamales, non me ne hanno lasciato nemmeno uno. Fine della nota.)

Allora ci hanno parlato di come si recita, cioè che non è reale quello che si fa, ma è come se lo fosse. E così abbiamo fatto. Alcuni compas hanno fatto perfino gli ubriachi, ma era una recita. Già, ma quando la compagna scende col bastone, che sia recita o no, via e scappare, perché metti che la compagna si dimentica che non è reale e che siamo compagni. Io ho detto di usare un cartone o una rivista piegata, ma hanno preso un tubo di ferro. E questo fa male Eh? Io ho visto che erano contente di poterlo fare. Non più in teoria, ma lo hanno dimostrato nella pratica. Ora il problema è nei loro villaggi. Immaginate che la merce arriva su un camion guidato da una donna. Quelli dei partiti restano zitti e le compagne gli gridano “fottuti uomini!”. Eh? No, noi siamo compagni, gli altri sono i fottuti uomini. Non è lo stesso.

Sinopsi versione “Filtrazione”: Senti, non scriverlo, ma noi compagni maestri eravamo nei guai perché si è presentato il caso di dover cambiare il filtro. Ed una compagna, tutta bella nel suo nagua [costume tradizionale – N.d.T.] l’ha fatto in un minuto. Allora siamo andati a cambiare il filtro ad un camion della Giunta. Porca miseria, eravamo in 6 e dopo mezz’ora non ci siamo riusciti. Siamo andati a chiedere aiuto alle compagne. Per fortuna che ce l’abbiamo fatta, ma che pena. E peggio sarebbe se questo uscisse nel film che stanno facendo Las Tercias.
-*-








-*-
Qualche recensione sulla stampa specializzata:

“Niente da fare, noi maschietti abbiamo perso, again. Ma torneremo, anche se ogni volta saremo di meno. Se ieri eravamo migliaia, oggi siamo un piccolo contingente che cerca di impedire l’inevitabile”. Il SupMarcos (da 3 metri sotto terra), nella sezione cultura della rivista inedita “El Pozol Agrio”.

Non tutto è perduto. Nutriamo ancora la speranza che le compagne Tercias non finiscano di montare il documentario in tempo per il secondo festival Puy Ta Cuxlejaltic. Cosa direbbero Pedro Infante e José Alfredo Jiménez?! Per non parlare del defunto SupMarcos. Che peccato”. Il SupGaleano nella sezione “Palomeros del Mundo, Uníos!” dell’esclusiva rivista specializzata in cinema, “Questo film l’ho già visto”.

In fede.

Il Gatto-Cane al volante… qual’è il freno e l’aceleratore?… Ops!… Via!

Tempo dopo…

La insurgenta Erika: “Compagno Subcomandante Insurgente Moisés, dalla Giunta avvertono che si sono scontrati il Guardián e la Guardiana, e che non si sa chi li ha fatti sbattere uno con l’altro, la Guardiana ha sbattuto contro il Guardián e l’ha ammaccato”.

Il SupMoy: “Dov’è il SupGaleano?”

La Erika: “È corso via col Gatto-Cane. Io credo che sono stati loro perché li ho visti, avevano lo sguardo colpevole”.

Nel frattempo, in cima alla Ceiba…

Il SupGaleano al Gatto-Cane: “Te l’avevo detto prima di mettere in folle. Adesso ci manca solo che si metta a piovere”.

Il Gatto-Cane al SupGaleano: “Guau, miau, grrrr”.

E cominciò a piovere, forte, come se le nubi gridassero alla terra:

Sveglia!

Sono le montagne del Sudest Messicano, è Chiapas, è Messico, è Latinoamerica, è il mondo, è settembre 2019 e, sì, piove.


Traduzione “Maribel” – Bergamo

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!