Certe notizie anche se in superficie sono più difficilmente visibili,  rispetto ad altre che devono emergere da 700 metri di crosta terrestre.  A ricordarci questa banale, ma non meno importante condizione  mediatica, sono proprio i 33 minatori intrappolati nella miniera San José a Copiapó,  in Cile diventati, loro malgrado, gli attori principali di un  operazione di riscatto dalle viscere della terra che occupa le prime  pagine di tutti i notiziari mondiali da quasi un mese. I loro messaggi  sono stati largamente diffusi e confortano sulle loro condizioni di  vita, proponendo agli spettatori televisivi globali drammatiche immagini  di volti provati  dal lavoro e dalla precarietà della condizione.  Alcuni messaggi, prima che visivi, sono stati cartacei e proprio il neo  presidente del governo cileno, Sebastián Piñera,  gli  ha esibiti davanti alle telecamere mondiali, appostate sulla bocca della  miniera, per dimostrare la vicinanza del governo ad una classe  lavoratrice che in Cile occupa oltre 800mila addetti, molti dei quali emigrati dal Perù o dalla Bolivia e  comunque rappresentanti sociali delle classi più povere. Tra questi  molti sono rappresentanti dei popoli originari del continente: Mapuche, Quechua o Aymarà.
Scripta Manent
Tra le missive esibite davanti alle telecamere, avide di notizie sulla salute degli intrappolati del sottosuolo, pare non abbiano avuto modo di palesarsi alcune che, evidentemente, contestavano il governo. I minatori, in due fogli di carta inizialmente censurati, si mostrano solidali con la battaglia civile intrapresa, oramai da quasi cinquanta giorni, da alcuni prigionieri mapuche in sciopero della fame e contestano le parole del premier chiedendogli per iscritto di "Stare zitto!".
Trentatrè minatori sotterrati hanno così la pretesa di rendere visibile una battaglia civile che prosegue dalla dittatura di Augusto Pinochet (1973-1990) e intrapresa a luglio da 32 prigionieri politici, vittime di una "legge speciale antiterrorista" che in Cile discrimina i popoli originari Mapuche e annienta le loro legittime richieste di riconoscimento. La lettera propone il parallelismo tra le due tragiche storie e riporta: "Liberate i Mapuche, da 41 giorni in sciopero della fame".
Questo grande esempio di fratellanza scaturito da 700 metri di profondità dovrebbe fare arrossire chi, il 30 agosto, nella giornata internazionale del detenuto "desaparecido", dimentica facilmente le ingiustizie ancora presenti nella "esemplare" democrazia cilena e rifiuta di confrontarsi con una storia, forse ancora troppo recente e addomesticata, intessuta di sparizioni (oltre 900 quelle denunciate nel solo 2009), violenze e detenzioni arbitrarie proprio a carico spesso dei rappresentanti del Popolo Mapuche, un tempo unica popolazione ad avere riconosciute le loro terre come uno Stato autonomo dalle corone spagnole, e ora bollati come terroristi e perseguitati a colpi di leggi speciali e violenza poliziesca.
Scripta Manent
Tra le missive esibite davanti alle telecamere, avide di notizie sulla salute degli intrappolati del sottosuolo, pare non abbiano avuto modo di palesarsi alcune che, evidentemente, contestavano il governo. I minatori, in due fogli di carta inizialmente censurati, si mostrano solidali con la battaglia civile intrapresa, oramai da quasi cinquanta giorni, da alcuni prigionieri mapuche in sciopero della fame e contestano le parole del premier chiedendogli per iscritto di "Stare zitto!".
Trentatrè minatori sotterrati hanno così la pretesa di rendere visibile una battaglia civile che prosegue dalla dittatura di Augusto Pinochet (1973-1990) e intrapresa a luglio da 32 prigionieri politici, vittime di una "legge speciale antiterrorista" che in Cile discrimina i popoli originari Mapuche e annienta le loro legittime richieste di riconoscimento. La lettera propone il parallelismo tra le due tragiche storie e riporta: "Liberate i Mapuche, da 41 giorni in sciopero della fame".
Questo grande esempio di fratellanza scaturito da 700 metri di profondità dovrebbe fare arrossire chi, il 30 agosto, nella giornata internazionale del detenuto "desaparecido", dimentica facilmente le ingiustizie ancora presenti nella "esemplare" democrazia cilena e rifiuta di confrontarsi con una storia, forse ancora troppo recente e addomesticata, intessuta di sparizioni (oltre 900 quelle denunciate nel solo 2009), violenze e detenzioni arbitrarie proprio a carico spesso dei rappresentanti del Popolo Mapuche, un tempo unica popolazione ad avere riconosciute le loro terre come uno Stato autonomo dalle corone spagnole, e ora bollati come terroristi e perseguitati a colpi di leggi speciali e violenza poliziesca.
Tratto da: Peace reporter
