Messico - Quegli insegnanti messicani, così diversi dai docenti italiani
di Claudio Dionesalvi
La prima cosa che ci colpì, fu che si poteva parlare coi detenuti, attraverso dei buchi scavati nel muro di cinta.
Le bestiali condizioni di vita, all'interno, rendevano concreta la distopia dell’Edward Bunker di Animal Factory.
Prigionieri erano parenti, amici e compagni delle persone che all'esterno presidiavano giorno e notte il carcere di Oaxaca: insegnanti
e contadini arrestati durante le manifestazioni di quei giorni.
All’epoca, una decina d’anni fa, diedero vita a un vasto movimento
che rivendicava dignitose condizioni lavorative per chi lavorava nelle
scuole e nei campi.
Fa sempre una certa impressione trovare una città circondata da
barricate, aperta ai civili, perfettamente funzionante al suo interno,
eppure interdetta alle divise dello Stato e liberata dai malgovernanti.
Oaxaca è una frequentatissima località turistica del Messico. Quando
entrammo, ci rendemmo subito conto di cosa possa essere un luogo
liberato, retto da una democrazia deliberativa, sottratto alla
prevaricante presenza dei poteri costituiti, gestito in prima persona da
quanti lo abitano. Tornava alla mente la lezione della comune di Parigi
e di infinite altre esperienze di liberazione temporanea e territoriale
delle vite umane dal dominio del capitalismo in tutte le sue forme
storiche e declinazioni possibili.
Quel movimento diede vita alla Asemblea Popular del Pueblos
(APPO) e riscosse la simpatia di docenti, scrittori e lavoratori
agricoli di tutto il mondo. Solidali e partecipi furono soprattutto gli
zapatisti dell’EZLN e in particolar modo le famiglie degli alunni e i promotores culturales delle escuelas autonomas rebeldes, basate su un Altro modo di fare scuola, costruire il presente, sognare il futuro.
Nelle piazze di Oaxaca la gente si incontrava per discutere,
amministrava i beni comuni, ballava e mangiava insieme, organizzava le
manifestazioni del giorno dopo. Ogni tanto la Polizia Federale
Preventiva attuava dei blitz, tentativi di sfondare le barricate o
infiltrarsi. Nella maggior parte dei casi, queste incursioni erano
respinte.
Rimanemmo lì per una giornata intera. Poi ce ne andammo. Insieme ad
altri attivisti dell’associazione Ya Basta, avevamo in programma la
frequenza di un corso sul funzionamento del sistema educativo ribelle in
Chiapas. E lì dovevamo recarci.
Poco tempo dopo, venimmo a sapere che durante una delle ricorrenti spedizioni punitive della polizia contro i planton attuati a Oaxaca, un proiettile esploso da un agente aveva tolto la vita a Brad Will, reporter americano di Indymedia.
Nel giro di poche settimane, poi, la comune fu repressa da arresti,
cariche e tutti gli altri arnesi repressivi che in Messico, come in
qualsiasi altra parte del mondo, i poteri costituiti adoperano per
abbattere le esperienze di ribellione e di democrazia concreta.
In questi giorni, quel movimento, che non si è mai spento
completamente, si sta rifacendo vivo. Gli insegnanti sono tornati a
riprendersi le piazze, nella lotta contro una riforma della scuola
messicana, che somiglia a quella di recente approvata dal governo Renzi.
È triste constatare che, in assenza dei diktat strategici emanati dai
vertici delle minoranze interne al PD e da qualche sindacatino giallo,
la classe docente italiana non si mobilita neanche se la mandano a
lavare i cessi. (Con tutto il rispetto per coloro i quali nelle scuole
già li lavano, pur percependo stipendi da fame).
(foto scattate da Loredana Caruso e Claudio Dionesalvi. Solo quella dell’omicidio di Brad Will è tratta da Indymedia)
Per comprendere meglio le manifestazioni di questi giorni a
Oaxaca, è consigliata la lettura dell’articolo di Luis Hernández Navarro
(“la Jornada”) tradotto e pubblicato su questo blog: