sabato 21 marzo 2009

"Restiamo umani" - Intervista a Vittorio Arrigoni

Intervista con l’autore

Cari Hermanos,
il nostro adagio "Restiamo umani", diventa un libro.
E all’interno del libro il racconto di tre settimane di massacro, scritto al meglio delle mie possibilità, in situazioni di assoluta precarietà, spesso trascrivendo l’inferno circostante su un taccuino sgualcito piegato sopra un’ambulanza in corsa a sirene spiegate, o battendo ebefrenico i tasti su di un computer di fortuna all’interno di palazzi scossi come pendoli impazziti da esplosioni tutt’attorno.
Vi avverto che solo sfogliare questo libro potrebbe risultare pericoloso, sono infatti pagine nocive, imbrattate di sangue, impregnate di fosforo bianco, taglienti di schegge d’esplosivo. Se letto nella quiete delle vostre camere da letto rimbomberanno i muri delle nostre urla di terrore, e mi preoccupo per le pareti dei vostri cuori che conosco come non ancora insonorizzate dal dolore.

Mettete quel volume al sicuro,
vicino alla portata dei bambini,
di modo che possano sapere sin da subito di un mondo a loro poco distante, dove l’indifferenza e il razzismo fanno a pezzi loro coetanei come fossero bambole di pezza.
In modo tale che possano vaccinarsi già in età precoce contro questa epidemia di violenza verso il diverso e ignavia dinnanzi all’ingiustizia. Per un domani poter restare umani.

I proventi dell’autore, vale dire Vittorio Arrigoni, me medesimo, andranno INTERAMENTE alla causa dei bambini di Gaza sopravvissuti all’orrenda strage, affinché le loro ferite possano rimarginarsi presto (devolverò i miei utili e parte di quelli de Il Manifesto al Palestinian Center for Democracy and Conflict Resolution, sito web: http://www.pcdcr.org/eng , per finanziare una serie di progetti ludico-socio-assistenziali rivolti ai bimbi rimasti gravemente feriti o traumatizzati ).

Nonostante offerte allettanti come una tournee in giro per l’Italia con Noam Chomsky, ho deciso di rimanere all’inferno, qui a Gaza. Non esclusivamente perché comunque mi è molto difficile evacuare da questa prigione a cielo aperto (un portavoce del governo israeliano ha affermato :"e’ arrivato via mare, dovrà uscire dalla Striscia via mare"), ma soprattutto perché qui ancora c’è da fare, e molto, in difesa dei diritti umani violati su queste lande spesso dimenticate.

Non avremo certo gli stessi spazi promozionali di un libro su Cogne di Bruno Vespa o una collezione di lodi al padrone di Emilio Fede, da qui nasce la mia scommessa, sperando si riveli vincente.

Promuovere il mio libro da qui, con il supporto di tutti coloro che mi hanno dimostrato amicizia, fratellanza, vicinanza, empatia. Vi chiedo di comprare alcuni volumi e cercare di rivenderli se non porta a porta quasi, ad amici e conoscenti, colleghi di lavoro, compagni di università, compagni di volontariato, di vita, di sbronza. E più in là ancora, proporlo a biblioteche, agguerrite librerie interessate ad un progetto di verità e solidarietà. Andarlo a presentare ai centri sociali e alle associazioni culturali vicino a dove state.

Si potrebbero organizzare dei readings nelle varie città, (io potrei intervenire telefonicamente, gli eventi sarebbero pubblicizzati su Il Manifesto, sui nostri blog e aggiro per internet) e questo potrebbe essere anche una interessante occasione per contarsi, conoscersi, legarsi. Non siamo pochi, siamo tanti, e possiamo davvero contare, credetemi.

Il libro lo trovate fin d’oggi nelle edicole con Il Manifesto, e fra due settimane nelle librerie.

Confido in voi,
che confidate in me,
non per i morti
ma per i feriti a morte di questa orrenda strage.

Un abbraccio grande come il Mediterraneo che separandoci, ci unisce. Restiamo umani.
vostro mai domo
Vik

"Questo libro è un progetto verità", ci spiega Vittorio che abbiamo raggiunto a Gaza, "dato che si dice che la verità è la prima vittima di ogni guerra, in effetti a Gaza è stato così. Un progetto affinchè si venga sapere cosa di tragico è avvenuto e perchè una cosa del genere non si ripeta più".
- [ audio ]

Link
Blog di Vittorio Arrigoni

venerdì 20 marzo 2009

"Così a Gaza abbiamo ucciso civili"

Pubblicati su Haaretz. Disprezzo per i palestinesi, culto della forza fisica, regole d'ingaggio super-elastiche, "piombo fuso"

Racconti shock dei soldati israeliani

E il ministero della Difesa apre un'inchiesta

da "La Repubblica"


Racconti shock dei soldati israeliani "Così a Gaza abbiamo ucciso civili"
GERUSALEMME - Eccoli i racconti di guerra, l'ultima, combattuta per tre settimane nella Striscia di Gaza. Racconti che non si vorrebbero mai sentire. Perché non soltanto non c'è niente di eroico, ma c'è molto di raccapricciante e di moralmente rivoltante, in un tiratore scelto che spara su una madre e i suoi due bambini che hanno sbagliato strada, perché così vogliono le regole d'ingaggio, o in un soldato che fa fuoco su una vecchia che cammina smarrita, o su altri giovani in divisa che abusano della loro forza per danneggiare, deturpare, offendere una popolazione civile palestinese che, in fin dei conti, viene considerata tutt'uno con il nemico combattente.

Questo e molto altro ancora lo si è appreso non dalla propaganda palestinese, ma dai racconti dei diretti interessati, decine di allievi dell'accademia Yitzhak Rabin, convenuti lo scorso 13 febbraio per discutere le loro esperienze nell'ambito dell'Operazione "Piombo fuso". Racconti duri, pesanti come macigni, capaci creare molto imbarazzo ai vertici delle forze armate. Al punto che il procuratore militare, quasi a voler bilanciare l'inevitabile scalpore con un gesto rassicurante, ha deciso di rendere pubblica la decisione di aprire un'inchiesta.

È stato Haaretz a svelare i contenuti di quella riunione. Ma il merito di aver fatto scattare l'allarme su tutto ciò che queste testimonianze implicano, va al direttore del programma pre-militare dell'accademia, Danny Zamir, che, sentiti i resoconti fatti dai giovani ma già esperti allievi, s'è rivolto direttamente al Capo di Stato maggiore, Gaby Ashkenazy.

"C'era un casa con dentro una famiglia - ricorda il comandante di una piccola unità di fanteria - . Ordinammo alla famiglia di stare tutti in una stanza. Poi ce ne andammo e arrivò un nuovo plotone. Dopo alcuni giorni venne l'ordine di rilasciare la famiglia. Avevamo messo un tiratore scelto sul tetto. Il comandante rilasciò la famiglia, dicendo loro di andare verso destra, ma dimenticò di avvertire il tiratore scelto che quella gente veniva liberata e che era tutto ok, e non avrebbe dovuto sparare". Anziché a destra, la madre coi due figli prende a sinistra. Il cecchino li vede avvicinarsi alla linea che, secondo quanto gli era stato detto, nessuno avrebbe dovuto oltrepassare. Così "ha sparato subito, uccidendoli".

"Non credo - continua la testimonianza - che si sia sentito troppo male. L'atmosfera generale, da quello che ho capito parlando coi miei uomini, era, come dire, che le vite dei palestinesi sono molto, molto meno importanti delle vite dei nostri soldati".

Regole d'ingaggio assai elastiche, "disprezzo sfrenato", culto della forza fisica, il pregiudizio che "i palestinesi sono tutti terroristi", questa la miscela esplosiva che ha portato agli eccessi che le organizzazioni umanitarie hanno denunciato come crimini di guerra. Un'accusa che Israele ha respinto, ribattendo che le perdite tra i civili palestinesi sono state causate dal fatto che i miliziani di Hamas si facevano scudo della popolazione che affolla i centri abitati, nel cuore dei quali, però, l'esercito israeliano non ha esitato ad adoperare una potenza devastante.

Qui tuttavia non si parla né di bombe al fosforo né di altri micidiali ordigni sconosciuti. Si parla, per quanto possa sembrare fuori logo trattandosi di una guerra, di morale. Non è un caso che il ministro della Difesa, Ehud Barak, si sia precipitato a ribadire che l'esercito israeliano "è la forza armata più morale che esista al mondo". Aggiungendo che, al massimo, quelli da chiarire sono "episodi individuali".

Non la pensano così, invece, i protagonisti dei racconti. A parte alcuni casi di fuoco senza avvertimento contro civili, un comandante descrive alcuni episodi di vandalismo. "Scrivere "morte agli arabi" sui muri (delle case occupate), prendere le foto di famiglia e sputare su di esse soltanto perché lo puoi fare, credo che questa sia la cosa più importante per capire quanto le forze armate israeliane siano precipitate sul piano della morale".

mercoledì 18 marzo 2009

Intervista a Esperanza Martinez, presidente di Acción Ecológica

Rappresaglia del governo ecuadoriano contro la ONG ecologista
Lunedì 9 marzo, attraverso un decreto ministeriale, il governo ecuadoriano ha tolto la personalità giuridica ad Accion Ecologica, un’associazione riconosciuta a livello nazionale e internazionale che da più di 20 anni lotta in difesa della natura e dell’ambiente. Senza alcuna motivazione formale, il governo ha deciso di chiudere l’associazione, sostenendo che non ha rispettato i fini per i quali era stata costituita, quando invece, leggendo lo statuto, è evidente che Accion Ecologica ha sempre lavorato rispettando i propri fini, per questo la decisione del governo è un chiaro atto di censura e rappresaglia nei confronti di un’organizzazione che ha sempre denunciato le devastazioni provocate dall’estrazione petrolifera e, attualmente, mineraria. Esperanza Martinez, presidente di Accion Ecologica, denuncia ai nostri microfoni questo grave fatto e chiede di sottoscrivere l’appello a sostegno dell’organizzazione.
L'intervista di Ya Basta! con la traduzione [ audio ]

Istanbul: due attiviste dei movimenti dell’acqua espulse dal paese

Le attiviste dell’organizzazione internazionale International Rivers, che dentro il Centro congressi che ospita il Quinto Forum Mondiale dell’Acqua hanno aperto lunedì 16 marzo uno striscione per dire no alle dighe, sono state oggi espulse dalla Turchia e rimpatriate nei rispettivi Paesi.
Il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, assieme alle organizzazioni e alle reti internazionali che partecipano al Forum Alternativo dell’acqua, esprimono il loro sdegno nei confronti dell’iniziativa del governo turco e dei partecipanti al Foro ufficiale, che si sono rifiutati di prendere le distanze da un fatto così grave.
La vicenda delle due attiviste espulse segue inoltre di poche ore la brutale repressione della polizia verso il corteo di 300 persone che la mattina del 16 marzo manifestava contro l’apertura dei lavori del Forum dell’Acqua, e il conseguente arresto di 17 cittadini turchi, rilasciati nella giornata di ieri.
Le due attiviste Payal Perek e Ann – Kathrin Schneider, entrambe di International Rivers, lunedì 16 marzo sono entrate regolarmente con il loro pass da 500 euro durante i lavori del Quinto Forum Mondiale e hanno srotolato uno striscione con la scritta: “No risky dams”, “no alle dighe pericolose”, slogan che hanno ripetuto anche a voce.
Le due sono state immediatamente arrestate e rimpatriate per reato d’opinione. Il comunicato ufficiale rilasciato qualche ora dopo, parla di “magnanimità del governo turco", che altrimenti prevede l’incarcerazione minima di un anno per questo tipo di trasgressioni.
Payal Parek, statunitense, poco prima di lasciare la Turchia ha detto:” Le grandi dighe portano con sé bugie e di danni. Continuano a costruire dighe con rischi inaccettabili per le persone e per il pianeta”. Ann - Katrine Schneider : “La diga di Llisu, nel sudest della Turchia è il simbolo delle politiche sull’acqua e l’energia che distruggono le comunità e l’ambiente”. Entrambe, poco prima di partire, hanno fatto un appello ai partecipanti al WWF, quello di "interprendere soluzioni più avvedute e trasparenti, che sono già attuabili".
Anche Maude Barlow, Senior Advisor on Water Issues” per l’Onu dice: "Quello che è successo è l’esempio della debolezza dei gruppi economici presenti all’interno del Forum Sociale dell’acqua. Rispetto a Città del Messico, il Consiglio dell’acqua si sente assediato, i movimenti hanno preso maggiore coscienza e consapevolezza. E’ paradossale – continua Maude - che il Water Forum, presentato come un foro democratico aperto a tutti, chieda l’accredito di 500 euro per poter accedere e poi rispedisce a casa chi tira fuori uno striscione”.

Medvedev annuncia un programma di investimenti nel riarmo

di Astrit Dakli
Alla fine, la vera «misura anticrisi» del governo russo, al di là di tanti discorsi, è stata messa sul tavolo ieri dal presidente Dmitrij Medvedev: un grande programma di riarmo – o meglio di riammodernamento delle forze armate – che comporterà nei prossimi anni massicci investimenti in una serie di industrie chiave per l’economia nazionale, con considerevoli effetti indotti. Niente cifre, per carità (in fondo si tratta di segreti militari): si parla solo di una quarantina di miliardi di dollari di nuovi investimenti nel periodo 2009-2011, ma è evidente che il discorso pronunciato ieri dal leader russo con toni un po’ generici è il riassunto di complesse considerazioni politiche, strategiche ed economiche circa la situazione generale del paese e i rischi che esso si trova di fronte.
Ovviamente, Medvedev è partito dalla giustificazione diretta che deve star dietro a un programma di riarmo: la minaccia esterna, in questo caso rappresentata ancora una volta dalla Nato e dai suoi «perduranti» programmi di espansione lungo i confini della Federazione russa. La Nato si vuol allargare, la Nato ammoderna le sue tecnologie, la Nato ci preme – dice Medvedev – e noi dobbiamo dunque rispondere ammodernando le nostre strutture, migliorando la tecnica e la logistica, ecc. Inoltre, continua, ci sono problemi ancora del tutto irrisolti di «terrorismo» e di «instabilità delle regioni adiacenti» alla Russia: leggi, strisciante guerriglia armata nelle repubbliche nord-caucasiche appartenenti alla Federazione e revanscismo aggressivo negli stati indipendenti tipo Georgia o Azerbaigian. Anche rispetto a questa doppia minaccia, l’opportunità di rendere più moderno, efficace ed incisivo il funzionamento della macchina militare russa è evidente.En passant, il leader russo ha fatto una considerazione assai insolita: ha detto che la breve e pur vittoriosa guerra dell’agosto scorso con la Georgia «ha evidenziato dei problemi che vanno affrontati e risolti». Ha confermato cioè la sensazione che gli osservatori meno prevenuti avevano provato nei giorni del conflitto: quella di una forte difficoltà logistica dell’esercito russo (che impiegò davvero troppo tempo per arrivare nei punti dove era necessaria la sua presenza) accompagnata da un pesante deficit di efficienza della forza aerea (troppi aerei abbattuti dai georgiani ed evidente insufficienza degli apparati di puntamento elettronici) e da un inspiegabile non-uso dell’elicottero come mezzo di trasporto rapido. Se vogliamo andare anche oltre nelle interpretazioni, si potrebbe dire che forse difficoltà e problemi dei russi erano stati ben individuati e previsti dai georgiani (o meglio dai loro protettori americani) nei mesi precedenti la guerra, al punto da incoraggiare l’attacco sferrato da Tbilisi: Mikheil Saakashvili, in altre parole, potrebbe aver pensato davvero di poter vincere quella guerra, sapendo dai suoi protettori quali erano i problemi russi e puntando sulla rapidità e sulla sorpresa per sfruttarli fino in fondo. Cosa che non è andata troppo lontana dalla realtà, in effetti: se i georgiani fossero stati più efficienti e rapidi nell’azione, per i russi reagire senza ricorrere a bombardamenti massicci su Tbilisi sarebbe stato molto molto più difficile, ci sarebbe stata una sorta di «fatto compiuto» molto complicato da rovesciare, anche politicamente.Tornando a Medvedev e al suo programma di riarmo, va notato che tutti i discorsi sulla «preparazione al combattimento» e sulla «nuova, moderna abilità» si riferiscono soprattutto alle componenti elettroniche e digitali dei sistemi d’arma, alle nanotecnologie, ai motori, ecc. Insomma ai settori industriali che da tempo Medvedev sostiene di voler rilanciare.
Non a caso negli ultimi mesi c’è stato un insolito susseguirsi di notizie, normalmente tenute nascoste o comunque non esibite dai vertici militari, a proposito di difficoltà e problemi nell’hardware dell’aviazione (nel controllo su 200 Mig 29, il pezzo forte dell’aviazione da guerra russa, ben 90 sono risultati difettosi al punto da essere inidonei al volo) e di altri settori militari.
Oggi il presidente ha sottolineato soprattutto la necessità di aggiornare e modernizzare anche il «braccio» nucleare strategico, sempre potentissimo ma a forte rischio di obsolescenza soprattutto nel comparto dei sommergibili d’attacco: non a caso sempre ieri è stato annunciato l’inizio dei collaudi di un sommergibile atomico di nuova generazione, lo Yurij Dolgorucki, e la prossima adozione di un nuovo missile, lo Ss-24.
Articolo pubblicato sul Manifesto del 18 marzo 2009

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!