mercoledì 2 dicembre 2009

Guerra d’inchiostro e Internet




Articolo di Luis Hernández Navarro su La Jornada – Martedì 1 dicembre 2009

Chiapas: l’altra guerra d’inchiostro e Internet

Nell’aprile del 1995 José Ángel Gurría, allora segretario agli Esteri, dichiarò che lo zapatismo era una guerra d’inchiostro e Internet. Ora, 14 anni dopo, sono i governi federale e del Chiapas ad aver lanciato un’offensiva di disinformazione contro i ribelli, i gruppi che difendono i diritti umani ed i movimenti sociali dissidenti in quello stato.

L’attuale strategia di comunicazione del governo si iscrive nell’arena della “guerra di reti” (netwar). Secondo gli analisti della RAND, Arquilla e Ronfeldt, “Netwar si riferisce al conflitto strettamente legato all’informazioni ad un alto livello tra nazioni o società. Intende tentare di disgregare o danneggiare quello che una popolazione obiettivo sa, o pensa di conoscere su sé stessa ed il mondo che la circonda. Una Netwar può concentrarsi sull’opinione pubblica o d’élite, o entrambe. Può comprendere diplomazia, propaganda e campagne psicologiche, sovversione politica e culturale, discredito o interferenza con media locali, intrusione in reti di computer e database, e attività di promozione di movimenti dissidenti o di opposizione attraverso reti di computer.”

Questo è esattamente ciò che lo Stato messicano ha fatto nelle scorse settimane nello stato meridionale. La lista delle provocazioni è molto lunga: detenzione ed assassinio di oppositori sociali, promozione di una campagna di voci che annunciano una nuova sollevazione armata, tentativo di diffamare lo zapatismo divulgando falsamente una richiesta di appoggio economico delle giunte di buon governo al Congresso locale, liberazione di paramilitari responsabili del massacro di Acteal ed incremento della presenza militare. Tutto questo montato con una campagna sui mezzi di comunicazione per occultare i fatti, nonostante le evidenze. Col governo di Juan Sabines i gruppi di potere tradizionali si sono ricomposti. Cacicchi, finqueros, allevatori e la più marcia nomenclatura politica priista occupano posizioni chiave nell’amministrazione pubblica, nel Congresso locale e a San Lázaro. Molti partecipano ai grandi affari locali associati a personaggi dell’ambito federale. Non importa che questo governatore abbia vinto la presidenza all’Esecutivo dello stato come candidato del Partito della Rivoluzione Democratica (PRD). Lui è uno dei governatori più vicini al Presidente della Repubblica. “Siamo con il Messico ed il suo presidente Felipe Calderón“, ha detto in più di un’occasione.

In Chiapas l’uomo di Los Pinos si trova più a suo agio che in molte altre entità governate dal Partito Azione Nazionale (PAN). Juan Sabines gestisce la vita interna di questa istituzione politica a suo piacimento: toglie e mette dirigenti e candidati. In questo stato il sole azteco è diventato il partito dei paramilitari. La strategia di comunicazione dell’amministrazione statale si muove su due fronti: uno è l’uso intensivo di radio e televisioni per “promuovere” il Chiapas; l’altro è la politica di contrainsurgencia informativa orchestrata a partire dal controllo della stampa locale e la diffusione sui media nazionali delle posizioni dell’amministrazione di Sabines su temi conflittuali presenti nell’entità. Nella versione chiapaneca contemporaneo di “panem et circenses“, quotidianamente si filmano puntate di telenovelas, musicisti devoti registrano dischi ed artisti di successo si pasciano tra siti archeologici, monumenti storici e bellezze naturali.

I visitatori famosi vengono intervistati sui mezzi di comunicazione locali. Anche se formalmente la guerra di carta contro lo zapatismo e contro tutto quello che non vuole sottomettersi alla politica di “concertazione” statale sia condotta dall’Esecutivo locale, parte della strategia è stata tracciata dal governo federale. Diego Cadenas, direttore del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, assicura che, secondo informazioni fidate, nelle riunioni settimanali di gabinetto del governo di Juan Sabines sono sempre presenti i militari. Il più recente anello di questa offensiva informativa è la notizia che le giunte di buon governo abbiano chiesto il “riconoscimento” al Congresso locale ed al governo di Juan Sabines, fatto tanto insolito quanto irreale.

La menzogna governativa ha un obiettivo centrale: delegittimare la lotta zapatista, togliere credibilità alla sua proposta. La manovra è una grave offesa. Nonostante la precarietà in cui le comunità in resistenza vivono da molti anni, hanno respinto sistematicamente qualsiasi tipo di aiuto governativo. La loro dignità non ha prezzo, e l’hanno dimostrato al mondo.

Non è la prima volta nella storia del conflitto che le autorità ricorrono ad una simile montatura. Tra il 1999 ed il 2000, con Roberto Albores Guillén governatore provvisorio dello stato – stretto alleato di Juan Sabines – fu montato uno show teletrasmesso nel quale si annunciava la diserzione di 15.000 zapatisti che consegnavano armi e passamontagna. I disertori erano militanti del PRI, molti di loro paramilitari. Uno dei principali organizzatori di quell’opera buffa era Noé Castañón León, allora titolare del Tribunale Supremo di Giustizia dello Stato che, curiosamente, oggi è segretario del governo chiapaneco.

La guerra d’inchiostro e Internet contrainsurgente ha creato una situazione politica molto delicata in Chiapas. Vediamo quanto i governi continueranno a scherzare col fuoco.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

Sistema idrico obsoleto: un'altra preoccupazione per Gaza.



di Rami Al-Meghari, Striscia di Gaza.

Lungo il confine del campo profughi Al-Shati, ad ovest della città di Gaza, tre siti sono attualmente considerati a rischio. Il pericolo non deriva tanto dalla continua ronda delle navi da guerra israeliane quanto dal fatto che gran parte delle acque sono state contaminate.

Municipalità locali ed autorità per l’ambiente hanno installato diversi cartelli in cui si legge: “E' proibito nuotare o pescare oltre 400 metri ad ovest e 500 metri ad est”. Simili cartelli si leggono in varie località lungo la costa della Striscia di Gaza.

Poiché le autorità municipali non sono state in grado di trattare le acque reflue per l’irrigazione, di modernizzare gli impianti esistenti per il trattamento delle stesse o di promuovere la costruzione di nuovi impianti nella regione, sono state costrette a versare milioni di metri cubi di rifiuti idrici nel mare. E questo ha largamente contribuito a creare il problema ambientale.

Impianti di trattamento obsoleti. “Sfortunatamente, contribuiamo all’inquinamento del nostro mare, principalmente perché siamo sempre più incapaci trattare o disfarci delle acque reflue, e questo un po’ ovunque nella Striscia di Gaza”, ha riferito ad IslamOnline.net (IOL) Monther Shoblak, Direttore generale delle Municipalità costiere per l’utilizzo dell’acqua di Gaza.

In Gaza esistono diversi impianti per il trattamento delle acque reflue ma tutti sono obsoleti e bisogna ristrutturarli. Le autorità locali vorrebbero costruirne di nuovi ma il blocco israeliano sul territorio costiero - che ormai dura da oltre due anni - ha impedito il vitale progetto.

Nel gennaio 2009, quando Israele ha scatenato la sua guerra totale sulla Striscia di Gaza, molte reti idriche - soprattutto nel nord della Striscia di Gaza - sono state del tutto o in parte distrutte. Contaminazione e taglio dei rifornimenti idrici sono state le conseguenze.

In base a quanto sostiene Shoblak, se non si permette l’ingresso di materie prime, necessarie per la costruzione di impianti, l’attuale problema di contaminazione delle acque peggiorerà creando ulteriori problemi per l’ambiente.

“L’assenza di sistemi adatti per il trattamento o lo scarico di acque reflue è causa diretta di contaminazione da nitrato delle acque”, ha affermato.

In base ad un recente rapporto di Amnesty International, le acque di Gaza non sono indicate per consumo umano, in quanto il 90% delle falde acquifere di Gaza è contaminato in più parti dell’enclave costiera.

Shoblak ha spiegato che solo il 70% dei residenti di Gaza hanno dei sistemi di scarico delle acque reflue nelle proprie abitazioni mentre il 30% dipende dall’assorbimento dei pozzi che comporta però l’infiltrazione di acque reflue e la contaminazione delle falde acquifere.

“Gli impianti di trattamento delle acque reflue non funzionano come dovrebbero e hanno una capacità di trattamento del 30%”, ha proseguito Shoblak, dando così una chiara idea di come i danni dell’assedio imposto su Gaza riguardino tutti gli aspetti.

L’avvertimento dell’OMS (WHO). L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha stimato al nord di Gaza la contaminazione di almeno mezzo milione di metri cubi di acqua.

La stessa organizzazione ha sottolineato il deterioramento della qualità della acque negli ultimi anni confermando due tipologie di contaminazione nelle falde acquifere di Gaza: biologica e chimica.

“La situazione è critica, sta colpendo la popolazione e bisogna risolverla. Stiamo analizzando la questione della contaminazione delle acque alla luce della guerra su Gaza”, ha affermato Mahmoud Daher, portavoce dell'Oms a Gaza.

Daher ha dichiarato a Islam online che il 70% delle acque analizzate lo scorso anno presentavano del nitrato ben oltre gli standard previsti dall'Oms. “Non possediamo statistiche precise sugli effetti immediati di contaminazione biologica o di malattie derivanti”.

“Tuttavia, molte cliniche dell'Unrwa (l'Agenzia Onu per i profughi palestinesi in Medio Oriente) hanno incontrato molti casi di epatite e di altri tipi di malattie causate dalle acque”, sostiene Daher.

Traduzione per Infopal di Elisa Gennaro

La resistenza prevede che si aggraverà la crisi

Sui risultati elettorali

Porfirio Lobo dice che questo giovedì strapperà la discussione per un gran accordo nazionale Continua l'incoerenza nell'indice di astensionismo in Honduras; va da 37 al 65%. Ex candidato: ai golpisti non interessa l'elezione; volevano solo una cifra da esibire al mondo.

Benché il presidente virtuale eletto del Honduras, Porfirio Pepe Lobo, dica che Manuel Zelaya è già storia, non lo sono i suoi rumorosi seguaci. Bandita la sua presenza per le strade la domenica (quelli che hanno osato uscire sono stati minacciati o direttamente bastonati), gli zelayisti escono a mostrare il dito, in una carovana veicolare enorme, che per varie ore ha girato per le strade della capitale . Non siamo golpisti, neanche terroristi!, gridano, mentre mostrano il dito medio, libero dell'inchiostro usato per segnare gli elettori.

Non votiamo, non votiamo!, gridano dalla carovana, strettamente controllati dalla polizia e l'esercito, molto vicini al hotel dove Pepe Lobo si riunisce per molto tempo con un paio di centinaia di giornalisti nazionali e stranieri per fare quello che meglio sa: ribattere a domande senza perdere il suo sorriso Colgate.

La crisi politica del paese è tema del passato, o meglio, un tema di Roberto Micheletti, Manuel Zelaya ed il Congresso. Non è problema del presidente che prenderà la carica tra 58 giorni. Così più o meno continua Lobo a tessere le sue risposte, benché non respinga nessuna domanda e perfino scherzi con i giornalisti, sia che gli facciano domande dure, sia che gli servano da tappeto, come la maggioranza dei colleghi honduregni.

Il riconoscimento si determinerà a poco a poco

Il riconoscimento della comunità internazionale? A poco a poco l'andiamo risolvendo. La restituzione del presidente Zelaya? "È un tema che i due, Micheletti e Zelaya, hanno accettato, firmato, che lo decida il Congresso ... Per me è un caso risolto. Non ho niente a che vedere.”

Un collega brasiliano chiede risposta ad una domanda semplice:

-E' stato un colpo di stato, si o no?

-Preferisco non dirlo. Non farò niente che divida ancora di più l'Honduras.

Ore prima, Manuel Zelaya si riferisce a lui, senza nominarlo, sulla risposta negata nel definire se, per lui, quello successo il 28 di giugno è stato un colpo di Stato: Non risponde perché ha paura dei militari, gli manca il coraggio per esprimersi.

Benché risponda misuratamente alle domande di spagnoli, brasiliani, cileni e dominicani sulle relazioni con i loro rispettivi paesi, fra le righe Lobo esprime qual'è l'unico riconoscimento che gli importa. Ci sono negli Stati Uniti un milione di honduregni i cui invii di denaro sono la principale entrata nazionale, senza contare che 40% delle esportazioni honduregne è al paese del nord, (l'alleanza militare, l'altra parte della relazione più importante del Honduras, non è menzionata dal vincitore delle elezioni).

Per questo motivo è strano che risponda con le stesse superficialità, e gettando la pallina ai liberali, quando La Jornada gli ricorda che questa mattina il sottosegretario del Dipartimento di Stato, Arturo Valenzuela, ha detto che i seggi sono stati solo un passo avanti, ma non sufficiente nella soluzione del conflitto honduregno.

Una Assemblea Nazionale Costituente? Non è prioritaria ed inoltre è stata posta solo per rispondere all'aspirazione personale di una rielezione. Il virtuale presidente eletto evita di dire che lui stesso ha presentato una proposta di Assemblea Costituente quando Zelaya promuoveva la sua.

Benché dica di avere parlato con molti presidenti che gli hanno promesso riconoscimento, si rifiuta di dire chi sono.

In linea con lo sport nazionale di convocare dialoghi che non conducono a nessun parte, come ha fatto Micheletti durante cinque mesi, Lobo annuncia che questo giovedì spingerà la discussione di un grande accordo, un documento che sarà il piano della nazione. Il punto di partenza, afferma, saranno documenti elaborati in anni passati dalla Conferenza Episcopale, la Confraternita Evangelica ed altro fatti durante la conduzione di Victor Meza, ministro del Governo di Zelaya.

Un altro collega spagnolo gli chiede di definire l'umanesimo cristiano che proclama: rispetto alla persona umana, solidarietà, sussidiarietà e bene comune, appunta, accompagnati da libero mercato con responsabilità sociale, non quello che predica il neoliberalismo.

Lobo si congeda, che dopo la notte del suo trionfo ha avuto, come prima attività mattiniera, una riunione con il comando unito delle forze armate, guidato dal generale Romeo Vásquez, esecutore del colpo di Stato.

Il mistero della partecipazione

Assemblea mattiniera del Fronte di Resistenza. Facciamo un appello ai governi e movimenti sociali democratici ed onesti del mondo a respingere i risultati della farsa elettorale ed ad ignorare il preteso governo che si stabilirà a partire dal 27 di gennaio del 2010.

La presenza è maggiore che nelle ultime settimane, e l'ambiente, di festa.

Il fronte ripete che la farsa elettorale montata dall'oligarchia è stata un fallimento totale ed indica l'astensionismo nel 65%.

La domenica, chiusi i tavoli di votazione, e dopo di una lunga attesa derivata da un difetto tecnico, la Corte Suprema Elettorale, TSE, ha terminato dando due cifre sulla partecipazione ai seggi. Una, basata nei suoi dati preliminari, ha fissato l'astensionismo al 37%. Un'altra, del Consorzio Facciamo Democrazia, composto da organismi civili e religiosi, ha dato il 53% all'astensionismo, qualcosa di coerente con la tendenza al ribasso che si registra ogni quattro anni.

Hanno dovuto leggere la lettera perché li hanno finanziati i gringo, ma l'hanno letta con vergogna, dice Carlos H. Re magi, il sindacalista che ha ritirato la sua candidatura indipendente alla presidenza.

Facciamo Democrazia tra i cui membri si trovano organismi cattolici ed evangelici, riceve consulta tecnica dell'Istituto Nazionale Democratico, NDI, ed appoggio finanziario dell'Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID).

Queste disparità non impediscono che il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti dica che i seggi sono stati negli standard internazionali e si congratuli con il vincitore.

Porfirio Lobo la fa ancora più grande, nonostante che il parere tra i giornalisti stranieri nella sua conferenza sia che la partecipazione sia stata squallida. Lobo dice che ha votato il 72% degli elettori, e inoltre: se si tolgono gli honduregni che vivono negli Stati Uniti che sono nella lista elettorale, la partecipazione supererebbe la barriera dell'80%, il doppio di quattro anni fa, quando egli ha perso nelle urne contro Zelaya.

Non c'è maniera di sapere il dato reale, semplicemente perché nessun organismo internazionale qualificato ha accettato di osservare le elezioni. Pertanto bisogna rimanere col dato di curati e pastori (53% di astensione), o con quello di Pepe Lobo, (28%). Questa disparità (28 -53), deve essere quello che il Dipartimento di Stato considera standard internazionali.

Di questi discorsi ne abbiamo fin sopra i capelli; abbiamo perso cinque mesi senza ottenere assolutamente niente, dice Carlos Humberto Reyes, il candidato presidenziale indipendente che si è ritirato prima delle elezioni, sulla convocazione a tutti gli onduregni del politico nazionalista.

Reyes, la cui fotografia è stata ghigliottinata della scheda elettorale quando ha annunciato il suo ritiro, dice che ai golpisti non importava chi vinceva questa elezione, bensì avere una cifra per esibirla al mondo.

Reyes sa che la comunità internazionale non avrà unanimità rispetto al Honduras. Questo, in ogni caso, non importa ai golpisti. A quella gente l'unica cosa che interessa è il governo degli Stati Uniti, le altre nazioni non li preoccupano molto.

Il leader della resistenza vede avanzare l'aggravamento dalla crisi, perché il governo che seguirà, dice, vuole incrementare le imposte e svalutare la moneta. E lì seguirà la guerra.

La resistenza continua, dicono i suoi leader, ora anche preoccupati di organizzare il loro braccio elettorale, sicuri come sono che quelli che hanno fatto il golpe lo hanno fatto per rimanere al potere.

Durante l'assemblea, il dirigente campesino Rafael Alegría fa un elenco degli abusi della dittatura: interferenze al Canale 36 di Televisione e Radio Globo, presidio militare a Radio Uno e minacci a Radio Progresso. Parla anche di 48 detenuti in San Pedro Sula, quando la polizia ha disperso una marcia la domenica.

Nella stessa linea, Amnesty International, AI, denuncia il caso di Jensys Mario Umanzor Gutiérrez, visto per ultima volta l'alba della domenica a bordo di una pattuglia ed il cui destino si ignora. AI ha accompagnato domenica agli avvocati che hanno tentato di interporre un ricorso di habeas corpus, si sono trovati con tutti gli uffici giudiziali chiusi.

A mezzogiorno di questo lunedì, un'organizzazione locale di diritti umani ha trovato 14 minorenni di età detenuti nel comando metropolitano numero 3, in questa città. I giovani sono stati catturati perché si trovavano a conversare, in gruppi maggiore di quattro, vicino ai centri di votazione della domenica.

Oggi la giustizia è stata assente in Honduras, ha detto a La Jornada, la domenica, Javier Zúñiga, che guidava una delegazione di Amnesty International. Un ingrediente in più dentro gli standard internazionali, è da supporsi.

La carovana continua quando cala la notte. Arrampicata nella parte posteriore di una pick up, viaggia Olga Marina, una signora cinquantenne, robusta, che non si perde una sola attività della resistenza. E non solo perché è zelayista, bensì perché porta sempre con sé la sua scatolina di gomme da masticare e sigarette da vendere. Di quello vive. "Qui stiamo ... con le mani pulite!", grida Olga Marina, e mostra le mani, lasciando vedere anche, nell'avambraccio destro, le cicatrici del giorno di agosto in cui un poliziotto, la lanciò contro un filo spinato. Adesso mi rimarranno per sempre, dice con una risata e si perde verso il centro, al grido di “che ha Mel che la borghesia non può con lui".


Gaza Freedom March


Da tutto il mondo per rompere l'assedio

Ad un anno dalla aggresione a Gaza, la striscia continua ad essere chiusa in ognuno dei suoi lati: Egitto e Israele.

E' stato lanciato un appello internazionale per costruire una grande iniziativa per rompere il blocco di Gaza.

L'Associazione Ya Basta partecipa alla: GAZA FREEDOM MARCH Sito ufficiale

Traduzione in italiano e info Vai al Sito

La Marcia sarà una grande occasione per affermare il diritto della popolazione civile di Gaza ad essere libera.

Segui gli aggiornamenti sul sito di GlobalProject e su Ya Basta Napoli.

Appello Internazionale per la Gaza Freedom March

L'assedio israeliano di Gaza è una flagrante violazione del diritto internazionale che ha portato alla sofferenza di massa. Gli Stati Uniti, l'Unione Europea, e il resto della comunità internazionale sono complici.

La legge è chiara. La coscienza dell'umanità è scossa. Eppure, l'assedio di Gaza continua. È giunto il momento di agire! Il 31 dicembre 2009 concluderemo l'anno marciando al fianco del popolo palestinese di Gaza in una manifestazione nonviolenta per rompere il blocco illegale.

Il nostro scopo in questa marcia è rompere l'assedio di Gaza. Chiediamo che Israele ponga fine al blocco. Chiediamo anche all'Egitto di aprire la frontiera di Gaza a Rafah. I palestinesi devono avere la libertà di viaggiare per motivi di studio, di lavoro, e di cura e anche di ricevere visitatori provenienti dall'estero.

Essendo noi una coalizione internazionale, non spetta a noi sostenere una soluzione politica specifica a questo conflitto. Eppure la fiducia nella nostra comune umanità ci spinge a chiedere a tutte le parti di rispettare e sostenere il diritto internazionale e i diritti umani fondamentali per porre fine all'occupazione militare israeliana dei territori palestinesi del 1967 e per perseguire una pace giusta e duratura.

La marcia potrà avere successo soltanto se risveglierà la coscienza dell'umanità.

Vi invitiamo tutti ad unirsi a noi.

La Coalizione internazionale per la fine dell'assedio illegale di Gaza

Freedom March
Dichiarazione di Contesto

Amnesty International ha descritto il blocco di Gaza come una "forma di punizione collettiva di tutta la popolazione di Gaza, una flagrante violazione di obblighi di Israele nel quadro della quarta convenzione di Ginevra." Human Rights Watch ha chiamato il blocco una "grave violazione del diritto internazionale". Il Relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei territori occupati palestinesi, Richard Falk, ha condannato l'assedio israeliano di Gaza che rappresenta un "crimine contro l'umanità".

L'ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter ha detto che la gente di Gaza viene trattata "come animali", e ha chiesto di "porre fine all'assedio di Gaza" che sta privando "un milione e mezzo di persone delle necessità della vita."

Uno dei principali esperti a livello mondiale di Gaza, Sara Roy dell'Università di Harvard, ha detto che le conseguenze dell'assedio "provocano innegabilmente una situazione di sofferenza di massa, che è creata in gran parte da Israele, ma con la complicità attiva della comunità internazionale, in particolare gli Stati Uniti e l'Unione Europea".

La legge è chiara. La coscienza dell'umanità è scossa.

I palestinesi di Gaza hanno esortato la comunità internazionale ad andare oltre le parole di condanna.

Eppure, l'assedio di Gaza continua.

La difesa del diritto internazionale

L'assedio illegale di Gaza non avviene nel vuoto. E 'uno dei tanti atti illeciti commessi da Israele nei territori palestinesi occupati militarmente nel 1967.

Il muro e gli insediamenti sono illegali, secondo la Corte internazionale di giustizia dell'Aia.

La demolizione di case e la distruzione indiscriminata delle terre agricole sono illegali.

La chiusura e il coprifuoco sono illegali.

I blocchi stradali e i checkpoint sono illegali.

La detenzione e la tortura sono illegali.

L'occupazione stessa è illegale.

La verità è che se il diritto internazionale fosse applicato l'occupazione finerebbe.

La fine della occupazione militare iniziata nel 1967 è una condizione fondamentale per instaurare una pace giusta e duratura. Per oltre sei decenni, al popolo palestinese sono stati negati il diritto alla libertà, all’ autodeterminazione e all’ uguaglianza. Alle centinaia di migliaia di palestinesi costretti ad abbandonare le loro case con la creazione di Israele nel 1947-48 sono ancora negati i diritti riconosciuti loro dalla risoluzione ONU 194.

Fonti d'ispirazione

La Gaza Freedom March trae ispirazione da decenni di anni di resistenza non violenta palestinese, dalla sollevazione popolare di massa della prima Intifada agli abitanti dei villaggi in Cisgiordania che attualmente resistono al furto di terre attuato con la costruzione dal muro annessionista di Israele.

Trae ispirazione dalla stessa gente di Gaza, che ha formato una catena umana da Rafah a Erez, ha demolito la barriera di confine che separa Gaza dall'Egitto, e ha marciato verso i sei posti di blocco che separa la Striscia di Gaza occupata da Israele.

La Gaza Freedom March trae ispirazione anche dai volontari internazionali che hanno difeso gli agricoltori palestinesi durante durante il periodo raccolta nei campi, dagli equipaggi delle navi che hanno sfidato il blocco di Gaza via mare, e dai conducenti dei convogli che hanno consegnato gli aiuti umanitari a Gaza.

Ed è ispirato da Nelson Mandela che ha detto: "Ho camminato nella lunga strada verso la libertà. Ho cercato di non vacillare; ho fatto passi falsi lungo il percorso. Ma ho scoperto che, dopo aver scalato una grande collina, ci sono ancora molte altre colline da scalare. Non oso indugiare, per il mio lungo cammino non è finita. "

Si da ascolto alle parole del Mahatma Gandhi, che chiamò il suo movimento “Satyagraha “cioè “aggrapparsi alla verità”. Noi ci aggrappiamo alla verità che l'assedio israeliano di Gaza è illegale e disumano.

Gandhi ha detto che lo scopo dell'azione nonviolenta è quello di "accelerare" la coscienza dell'umanità. Attraverso la Gaza Freedom March, l'umanità non solo deplorerà la brutalità israeliana, ma interverrà per fermarla.

La società civile palestinese ha seguito i passi di Gandhi e Mandela. Proprio come i due leader, ha invitato la società civile internazionale a boicottare i prodotti e le istituzioni dei propri oppressori. Associazioni, sindacati e movimenti di massa palestinesi nel 2005 hanno lanciato un appello che invita tutte le persone di coscienza a sostenere una campagna nonviolenta di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni fino a quando Israele non rispetterà pienamente i suoi obblighi di diritto internazionale.

La Gaza Freedom March trae anche ispirazione dal movimento dei diritti civili negli Stati Uniti.

Se Israele svaluta la vita dei palestinesi allora noi internazionali dobbiamo sia interporre i nostri corpi per proteggere i palestinesi dalla brutalità israeliana che testimoniare personalmente la disumanità con la quale i palestinesi si confrontano ogni giorno.

Se Israele sfida il diritto internazionale allora le persone di coscienza devono inviare corpi civili nonviolenti da tutto il mondo per applicare la legge della comunità internazionale a Gaza. La Coalizione internazionale, per porre fine all'assedio illegale di Gaza, invierà contingenti provenienti da tutto il mondo a Gaza per ricordare l'anniversario del sanguinoso assalto israeliano durato 22 giorni dal dicembre 2008 al gennaio 2009.

La Gaza Freedom March non vuole assumere alcuna posizione rispetto alla politica interna palestinese. Si schiera solo con il diritto internazionale e il primato dei diritti umani.

La marcia è un altro anello nella catena di resistenza nonviolenta e di opposizione al totale disprezzo di Israele nei confronti del diritto internazionale.

I cittadini del mondo sono chiamati ad unirsi ai palestinesi il 31 gennaio per rompere l'assedio disumano di Gaza.

Conoscenza pulita

Il taglio di CO2 e la questione del lavoro cognitivo transnazionale


Il diario di bordo di Paolo Do - Shanghai (Cina)

Dopo la recente visita di Obama in Asia e la ratifica del mancato taglio delle emissioni di CO2, quale futuro si prospetta per il vertice di Copenhagen e per il successo delle energie verdi e rinnovabili?

La questione climatica dopo i recenti accordi tra Usa e Cina, mette di fatto al centro la questione dei saperi, della cooperazione e della ricerca a livello transazionale, sottolineando la importanza del cosiddetto ‘transfer tecnologico’ legato a conoscenze e tecnologie.

Nei protocolli d'intesa di questo inedito G2, l'elemento chiave della discussione riguarda proprio le risorse necessarie alla ricerca per la produzione di energia pulita: a ben guardare non si tratta d'altro che di costruire un mercato per saperi legati alle energie rinnovabili tra le due sponde del Pacifico.

Cosa vuol dire aprire un tale spazio in Cina? Cosa vuol dire usare lo strumento del mercato per tagliare le emissioni di CO2?

Innanzitutto, significa partire dalla questione della proprietà intellettuale, come condizione di possibilità, e della salvaguardia dei diritti di copyright e brevetti, come base per la cooperazione tra Cina e America: oggi è questa la pre-condizione per poter parlare di rivoluzione verde e di sviluppo tecnologico.

Green revolution vuol dire investire sulla conoscenza, l'innovazione, la gestione di nuova forza lavoro ‘qualificata’ e, quindi, sulla cooperazione transnazionale.
Da un lato, il problema in Cina consiste nella sostenibilità ambientale della sua crescita che può causare una seria destabilizzazione politica interna, dall`altro il bisogno di nuove fonti energetiche in grado di nutrire una domanda crescente. Questo la Cina lo sa bene, gli Usa anche. Dentro questo spazio si é aperto un nuovo terreno strategico, un nuovo fronte laddove, dentro la questione delle energie rinnovabili e della svolta verde, l`elemento cognitivo diviene il vero campo di battaglia.

“Presidente del pacifico”, come si è autoproclamanto Obama, non è una dichiarazione neutra: è piuttosto l'affermazione del rafforzamento di quei dispositivi di proprietà, anzitutto intellettuale, e di governance del lavoro cognitivo a livello globale. Il presidente del pacifico diventerà anche quello di Copenhagen?
Da questo punto di vista il meeting europeo di dicembre assume uno spessore ancora più complesso, e la partita in gioco diventa ancora più grande.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!