martedì 10 maggio 2011

Osama - E' stata una vendetta, non si è fatta giustizia


di Leonardo  Boff [*] ,  
trad. di Antonio Lupo

Chiunque abbia approvato il nefasto crimine terrorista, compiuto da Al Qaeda l'11 settembre 2001 a New York è nemico di se stesso ed è  contro i minimi valori umanitari.
Ma é inaccettabile che uno Stato, il più forte del mondo militarmente, per rispondere al terrorismo si sia trasformato anch'esso in uno Stato terrorista. E' quello che ha fatto Bush, limitando la democrazia e  sospendendo a tempo illimitato alcuni diritti del paese. E ha fatto di più, iniziando due guerre, contro Afganistan e Irak, dove ha devastato una delle culture più antiche dell'umanità e in cui sono state ammazzate più di 100 mila persone, con oltre un milione di rifugiati.

Bisogna ripetere la domanda che  quasi a nessuno  interessa fare: perchè si sono compiuti questi atti di terrorismo?
Il vescovo Robert Bowman, di Melbourne Beach in Florida, che era stato precedentemente pilota di caccia militari durante la guerra in Vietnam, ha risposto con chiarezza, sul National Catholic Reporter, con una lettera aperta al Presidente: ”Siamo bersagli dei terroristi, perchè, in buona  parte del mondo, il nostro Governo difende la dittatura, la schiavitù e lo sfruttamento dell'uomo. Siamo bersaglio dei terroristi perchè ci odiano. E ci odiano perchè il nostro  Governo fa cose odiose”.

lunedì 9 maggio 2011

Primavera tunisina - Il crollo di un paradigma - Parte 1

Primavera tunisina
Parte 1/ Il crollo di un paradigmadi Fabio Merone
Mentre riesplodono le piazze tunisine e in attesa del seminario Euro-med che si svolgerà a Roma giovedì 12 e venerdì 13 maggio, Fabio Merone, attivista di Assopace che da otto anni vive e lavora a Tunisi, ci aiuta a comprendere la rivoluzione permanente che sta segnando il Maghreb. Un primo articolo, a cui ne seguiranno altri e a cui, progressivamente, accompagneremo interviste e cronache di quanto sta accadendo in questi giorni.
Bisogna aver vissuto una dittatura per capire la forza del pensiero unico. Il pensiero è importante, l’ideologia altrettanto. Una dittatura non è un carro armato che ti punta la sua canna davanti al muso per farti tacere. E’ la costruzione di un sistema di pensiero, prima di tutto. Non si pensi che i tiranni non agiscano in base ad una legittimità. Finché esiste un sistema autoritario esiste una società che, nella migliore delle ipotesi, ne è complice.
In Tunisia, per riuscire ad avere una mente critica, dovevi essere studente universitario (preferibilmente di filosofia o di lingua e letteratura o di scienze politiche, o diritto), o per qualche ragione incontrare i gruppuscoli della grande famiglia marxista-leninista, molti dei quali si nascondevano nelle strutture del grande sindacato (UGTT). In quel caso rischiavi però di essere fagocitato dentro un mondo extra-terrestre rispetto alla realtà sociale del tuo paese. E allora se stavi a Tunisi, nella capitale, ti capitava di passare le tue ore libere ad elaborare teorie di dipendenza dei paesi del terzo mondo dal capitale internazionale ed imperialista.
Il tunisino medio viveva di ben altro, e la sua soggettività di classe, di ceto, di sottoproletario o piccolo borghese, si alimentava di cose diverse. La piccola e media borghesia delle città costiere era imbevuta di un proprio mito che andava d’accordo con quello del potere. Potremmo dire, che un’intera classe sociale si era costruita una lettura del mondo, ed il potere, rozzo quanto si voglia, se ne faceva garante. Sfido chiunque a contestare questa interpretazione. La propaganda elabora questa banale ma geniale categoria: “il modello tunisino”.

domenica 8 maggio 2011

Messico - San Cristobal tornano gli zapatisti per partecipare alle giornate della Marcia per la pace



Partenza CIDECI7 maggio 2011, San Cristobal de las Casas, Chiapas
Dopo 8 anni gli zapatisti tornano a sfilare per le strade di San Cristobal. In 20 o 30 mila sono partiti dal Cideci, il Centro Indígena de Capacitación Integral che si trova in periferia e hanno marciato fino alla piazza di fronte la Cattedrale nel centro della città, come risposta all'appello lanciato da Javier Sicilia e dalla Red por la Paz y la Justicia e per aderire alle mobilitazioni di questi giorni contro la “guerra di Calderόn”. Una marcia silenziosa, imponente che ha bloccato la città. Ad aprire il lungo corteo c'erano proprio i compagni e le compagne giunti all'alba dalle loro comunità.
Tantissimi dai cinque Caracol,  tutti con  passamontagna o paliacate; poi la società civile chiapaneca e gli aderenti alla Otra Campagna. Un fiume di persone a colorare il grigio della periferia. Tra i tanti anche uno striscione di un collettivo  di appoggio ai prigionieri politici, e alle loro famiglie e poi ancora quello della comunità di Acteal che ha sfilato con 45 croci nere con sopra scritti i nomi dei martiri del massacro perpetrato dai paramilitari di "Paz y Justicia" nel 1997.Centinaia gli striscioni, i cartelli che nel silenzio gridavano “Basta alla guerra di Calderόn”, “Basta sangue” e “Estamos hasta la madre!” come dire “non ne possiamo più”, lo slogan con cui sono state lanciate le mobilitazioni. Infatti le proteste (domani ci sarà una grande manifestazione a Città del Messico) sono state promosse per denunciare come la guerra ai narcos –  che fa una media di 40 morti al giorno in Messico – voluta da Calderόn, stia insanguinando il paese, imponendo nei fatti uno stato d'assedio. Stato d'assedio che colpisce, oltre alla vita di molti messicani innocenti, chi si oppone al governo, i movimenti sociali  e soprattutto gli zapatisti.
Arrivato nella piazza centrale il corteo si ferma ad ascoltare il Comandante David che legge  un comunicato del Sup.
TESTO DEL DISCORSO DELL'EZLN
L'AUDIO DEL MESSAGGIO DELL'EZLN LETTO DAL COMANDANTE DAVID

mercoledì 4 maggio 2011

Osama ucciso dal patto Usa-Pakistan sul futuro di Kabul

È probabile che l'operazione che ha portato all'eliminazione di bin Laden sia il frutto di un accordo tra Washington e Islamabad riguardo al futuro dell'Afghanistan. Osama vivo avrebbe messo in difficoltà i suoi ex-amici.
Il raid delle forze speciali americane che ha condotto all’uccisione di Osama bin Laden a una sessantina di chilometri da Islamabad ha richiesto sicuramente l’autorizzazione e la cooperazione delle autorità pakistane. Non è quindi inutile porsi il problema delle condizioni sulla base delle quali il Pakistan ha accettato di consegnare al proprio destino il leader storico di al Qaida, permettendo tra l’altro all’opinione pubblica mondiale di farsi un’idea più precisa di quanto limitata fosse la collaborazione di quel paese alla campagna contro il terrorismo internazionale scatenata dagli Usa dopo l’11 settembre.
Il prezzo chiesto per tradire Osama non deve essere stato basso e sicuramente non è stato di natura economica. Non esclusivamente, per lo meno. Bin Laden era troppo importante perché la sua morte possa essere remunerata da un compenso economico, per quanto grande.
Con tutta probabilità, per ottenere il trionfo che rende ora più agevole al presidente Obama percorrere la via di una sostanziale riduzione delle forze militari statunitensi schierate in Asia Centrale, Washington deve aver messo sul piatto una ben più pesante contropartita, che tra l’altro soddisferebbe anche alcuni obiettivi importanti dell’amministrazione Obama. Tutto induce a ritenere che sia stata raggiunta un’intesa sul futuro politico dell’Afghanistan, prevedendo probabilmente il riconoscimento a Islamabad del diritto a ristabilirvi la propria influenza predominante, magari assumendosi, da sola o in associazione con la Cina, il compito di garantire che da Kabul e dintorni non possano più scaturire in futuro nuove minacce alla sicurezza internazionale.

lunedì 2 maggio 2011

Italia - 6 maggio - Il nostro sciopero generale

Lo sciopero generale contro la Confindustria e il governo del prossimo 6 maggio ha bisogno di una spinta sociale straordinaria. Troppi fattori gli giocano contro, facendo precipitare il nostro paese in quella «terra di nessuno» caratterizzata dalla crisi senza conflitto per il cambiamento. La politica dei partiti di «opposizione» è tornata ad essere riversa nei suoi giochi, troppo appassionata al futuro degli eletti piuttosto che a quello degli elettori. Il governo d'altro canto, sempre più espressione di autoritarismo e arroganza, può vivere in relativa tranquillità grazie al fatto che la partita, il campo di gioco, la durata del match sono saldamente nelle sue mani, al riparo da quell'idea di alternativa all'esistente che dovrebbe dare sostanza, concretezza, alla lotta per la democrazia contro le oligarchie che detengono il potere.
Lo sciopero dunque, per aumentare la sua efficacia dev'essere capace di rompere questo schema. Noi crediamo che solo il suo divenire sociale, cioè un fatto di grande partecipazione popolare, di grande intensità e forza, un evento concreto che segni un ulteriore tappa nel protagonismo di lavoratori e lavoratrici, di studenti e ricercatori, di chi non ha lavoro e reddito, possa rimettere al centro del dibattito pubblico i nodi su cui è necessario battersi e vincere, per poter parlare di cambiamento. Il caso Fiat sta riesplodendo, e con esso il solito ricatto del metodo Marchionne - lavoro in cambio di diritti e democrazia - ed esso ci mostra ancora una volta come il terreno del lavoro, qualsiasi esso sia, oggi coincide con quello della precarietà, che non è «affare dei giovani». Il famigerato «collegato lavoro», che proprio dalle scorribande di Marchionne prende ispirazione, si sta applicando sistematicamente, come nuovo strumento di ridefinizione delle relazioni industriali piramidali, e la volontà dell'impresa non è minimamente negoziabile.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!