martedì 10 marzo 2009

Salvador - Il paese verso le elezioni

di Riccado Bottazzo, giornalista di Carta

La prima cosa che un giornalista impara in Salvador è che se azzecca la domanda sbagliata lo menano.
Questo, tanto per dirne una, è il clima in cui il paese centroamericano si appresta ad eleggere il presidente. Due i candidati in ballottaggio: Rodrigo Ávila per l’Arena, l’Alianza Republicana Nacionalista, il partito di destra al governo sin dal ’92, data della fine “ufficiale” della guerra civile (in realtà, gli stessi militari di destra che nell’81 hanno fondato l’Arena governavano anche prima dentro le varie giunte golpiste), e Mauricio Funes per l’Fmln, il Frente Farabundo Martí di Liberazione Nazionale, gli ex guerriglieri. La prima tornata elettorale svoltasi a metà febbraio ha visto la vittoria del Frente che ha ottenuto la maggioranza relativa nell’Assemblea Nazionale. Domenica 15 marzo, quattro milioni e 200 mila salvadoregni torneranno alle urne per le presidenziali. I sondaggi, pure quelli più favorevoli all’Arena, danno l’Fmln in vantaggio di perlomeno 6 o 8 punti in percentuale. Come dire: o gli riesce anche stavolta di taroccare le elezioni – pratica per la quale l’Arena ha una spiccata vocazione – o se ne vanno tutti a casa. In galera non c’è speranza, perché, fiutando l’aria, negli ultimi mesi il governo ha approvato tutte le leggi di immunità possibili per i crimini “politici” commessi ai tempi non ancora del tutto tramontati delle squadre della morte (l’Fmln ha denunciato l’assassinio di altri due suoi militati durante le amministrative di febbraio). Immunità concessa anche per eventuali crimini “amministrativi” compiuti dal governo uscente. Secondo l’Fmln, il presidente in carica, Elias Antonio Saca, e i suoi ministri si sarebbero intascati qualche centinaio di milioni di dollari. Una “doverosa operazione di conciliazione nazionale”, l’hanno definita quelli dell’Arena.

Per darvi una idea dell’aria che tira sotto il sole dei tropici, devo scendere sul personale e raccontare della prima – e pure l’ultima, vi assicuro – conferenza stampa dell’Arena cui ho partecipato appena giunto a San Salvador. Protagonisti: una mezza dozzina di rappresentanti del partito di destra, una quindicina di giornalisti tra cui qualche internazionale, un bel pubblico folto ed elegante di signori incravattati e signore ingioiellate che parevano pronti per una convention di Forza Italia. Il tema era “L’Arena, baluardo della democrazia salvadoregna”. La domanda che qui non si deve fare, cui accennavo in apertura, l’ha fatta un collega di una televisione, credo, del Nicaragua, Non ho potuto verificare perché l’han portato al pronto soccorso. La domanda è: “Che rapporto ha il suo partito, l’Arena, con le squadre della morte che hanno insanguinato…” Morta qua, la domanda. Dal pubblico sono volate prima le sedie e poi i tavolini. E non solo contro l’incauto collega della Tv, ma contro tutti i giornalisti presenti. Qui vale il principio: colpirne cento per educarne uno. Dopo l’artiglieria, l’assalto all’arma bianca. Le prime a lanciarsi nella mischia sono state le signore eleganti, una delle quali, una megera ultra sessantenne bionda tinta e con più anelli che dita, ha fatto del suo meglio per cavarmi gli occhi con le unghie smaltate rosso fuoco. Nella rissa da Far West che ne è sorta, tre tizi nerboruti hanno preso di mira con pochi ma professionali colpi il collega tv che, infatti, è stato l’unico a finire all’ospedale. “Se l’è cercata – mi ha detto, finito il casotto un giornalista salvadoregno - ha fatto una domanda stupida che non aveva risposte possibili”. Gli chiedo il perché. “Tu sei italiano, giusto? Chiederesti a Mussolini in che rapporti stava con il fascismo? Orden (l’Organizzazione Democratica Nazionalista: una delle più famigerate milizie paramilitari che ha assassinato, cifra per difetto e che non tiene conto di interi villaggi di indigeni letteralmente spazzati via, più di 75 mila innocenti.ndr) è stata fondata dagli stessi che ora sono dentro l’Arena. Tutti lo sanno e nessuno lo nega. Appena al governo, dopo la fine della guerra civile, l’Arena ha amnistiato tutti i crimini, gli stupri, gli omicidi, le torture, i massacri commessi dalle squadra della morte; i miliziani sono entrati a far parte delle forze regolari, o addirittura hanno creato reparti apposta per loro.

Che senso aveva allora quella domanda? L’Arena si fa un vanto di tutto quello che ha fatto. Ma nella sala oggi c’erano alcuni degli osservatori degli Stati Uniti venuti a vigilare sulla “democrazia” del nostro paese e delle elezioni. Di fronte a loro, l’Arena non poteva rispondere né sì né no, e così ha fatto cominciare la gazzarra e chiuso in bellezza la conferenza stampa. Il segnale, te ne sei accorto?, l’ha dato quel tipo in piedi dietro il banco dei relatori, alzando il pollice in su”. Scusa, ma neanche tirare le sedie in testa ai giornalisti mi pare quel pulito esempio di democrazia partecipativa dal basso… “Anima candida! Leggiti i giornali di domani”Cosa che ho puntualmente fatto. Tanto la Prensa quanto El Diario de Hoy (i due maggiori e praticamente unici quotidiani del Salvador, che dire che sono al soldo dell’Arena è dire poco) riportano il fatto in fondo alle loro pagine elettorali. Sulla Prensa ci sono pure le foto. Sin dai titoloni risalta, decisa e preoccupata, la posizione di Arena che denuncia su cinque colonne come un gruppo di provocatori infiltrati – probabilmente stranieri ma sicuramente riconducibili all’Fmln - abbiano picchiato un giornalista e attentato, per l’ennesima volta, alla democrazia impedendo il corretto svolgere di una conferenza stampa. I portavoce dell’Alianza Republicana chiudono paventando i pericoli per il Paese se una formazione così palesemente antidemocratica prendesse - dio non voglia – le redini del governo. Segue l’ennesimo invito a votare con “sabiduria” in difesa della libertà. In basso, in un quadrotto, un responsabile dell’Fmln chiede scusa ai giornalisti, si dissocia dal folle gesto precisando comunque che non ci sarebbero prove certe che i picchiatori appartengano al Frente. Evviva la democrazia e la stampa libera! La megera imparruccata ed ingioiellata che mi voleva cavare gli occhi doveva essere, travestita, una di quelle indigene zapatiste che ho incontrato nel caracol de La Garrucha. E io scemo che non l’ho riconosciuta subito.

Grecia - Dalla Selva Lacandona al quartiere Exarchia


di Serena Corsi

Un quadro ricevuto in regalo dall’EZLN, firmato da tutta la comandancia e consegnato ai militanti della cooperativa “Sporos” (seme) durante l’ultimo festival della rabbia degna a San Cristobal de las Casas in Chiapas. E’ stato appendendolo al muro della strada dove tre mesi Alexis e’ stato ucciso da un poliziotto che i ribelli greci, in un atto con centinaia di persone, hanno commemorato il terzo mese dalla morte del giovane, ma anche dall’esplosione popolare che incendiò le strade di Atene per settimane e che tuttora fa da filo conduttore al fermento che si respira in Grecia. “Abbiamo voluto appenderlo qui” racconta Matoula “anziché dentro alla sede della cooperativa perché questo luogo appartiene a tutti i movimenti greci”. Una sorta di comune denominatore che ha dato una svolta alla politica dal basso greca.
“Dicembre”, come viene chiamata popolarmente la rivolta, ha cambiato tutto. “La realtà ha superato la fantasia. Prima non avremmo sognato una partecipazione così alta a manifestazioni politiche”. L’affissione del quadro dell’EZLN, su cui c’è scritto “alla degna e rabbiosa gioventù greca: con rispetto e ammirazione” e’ seguito all’occupazione di un parcheggio dismesso nel cuore di Exarchia. La gente del quartiere vorrebbe farci un parco, e, davanti ai dinieghi dell’amministrazione, sabato e’ passata alle vie di fatto: in poche ore spaccate decine di metri di asfalto, piantati alberelli, fissate panchine. “Questa e’ l’eredità più importante che abbiamo da dicembre”spiega Eugenia. “La gente si sente chiamata in causa su tematiche territoriali, e agisce in modo radicale”. Non e’ la prima occupazione di questo genere: e’ ancora occupato il parco Patision, qualche isolato più a nord. “L’alba di due settimane fa” , racconta Kristos, “gli abitanti si sono svegliati coi bulddozer che distruggevano il parco. Sono venuti all’alba, come ladri, perché il quartiere si era già opposto al diktat del sindaco di sostituire il parco on un parcheggio sotterraneo”.
Dopo gli scontri con la polizia, giunta a proteggere i bulldozer, gli abitanti hanno rioccupato il parco e, da due settimane, si turnano di notte per impedire che la rasa al suolo del parco continui.
Anche l’8 marzo e’ stata occasione di mobilitazione popolare. Manifestazioni, assemblee pubbliche e concerti sono stati dedicati a Costantina Kuneva, una donna che e’ divenuta uno dei simboli della resistenza greca, ’tre volte resistente” come dicono qui: donna, straniera e sindacalista.
Costantina, bulgara, era arrivata in Grecia cinque anni fa per far operare il figlio. Trovo’ lavoro in un’impresa di pulizie, ma le condizioni di sfruttamento la spinsero a fondare il primo sindacato greco delle donne delle pulizie. Le continue minacce dell’impresa in cui lavorava non la fermavano e, a fine dicembre, due sicari la aspettarono sotto casa per rovesciarle dell’acido in gola. Costantina però non e’ morta e ieri in tutta la Grecia si sono moltiplicate le attività per pagare il suo ricovero e quello del figlio.
La società greca è in fermento, e reagisce collettivamente, e con radicalità, alla minaccia della crisi economica.

La morte dell’informazione: i media e la guerra di Gaza [estratto]

"Il postulato democratico è che i media sono indipendenti e hanno il compito di scoprire e di riferire la verità, non già di presentare il mondo come i potenti desiderano che venga percepito” (N.Chomsky)



Questo tentativo di analisi critica vuole spiegare in che modo i media italiani, nello specifico la televisione, hanno rappresentato l’attacco militare israeliano alla Striscia di Gaza. Sono state prese in considerazione le edizioni del TG1 e del TG5, i notiziari italiani più seguiti, ma si potrebbe estendere la ricerca ai principali media internazionali e giungere a conclusioni pressoché analoghe. Il principale obiettivo è, prima ancora di illustrare come i media hanno distorto la realtà, mettere i gestori dell’informazione di fronte alle proprie responsabilità per aver avallato l’attacco, fornendone la necessaria copertura e la giustificazione ideologica: questo li rende complici dei crimini di guerra e contro l’umanità commessi durante l’ultima guerra a Gaza. […] Fattore fondamentale nel successo politico-militare israeliano è l’efficacia e l’organizzazione della propaganda, la versione dei fatti israeliana accettata quasi senza critiche e senza riscontri. […] Uno dei primi mezzi propagandistici utilizzati consiste nel definire i termini del dibattito, il contesto, il punto di partenza. Nello stabilire le priorità. […] Il punto di partenza del conflitto viene così fissato dai principali media italiani e internazionali al 19 dicembre, giorno in cui Hamas avrebbe rotto unilateralmente la tregua riprendendo il lancio dei missili. I bombardamenti sulla Striscia di Gaza da parte di Israele iniziati il 27 dicembre vengono quindi definiti dai media come una risposta al lancio dei razzi. La tregua di 6 mesi firmata il 19 giugno 2008 da Hamas e da Israele sanciva come punti principali la fine dell’embargo su Gaza in cambio della cessazione del lancio di missili. Quello che i media hanno deliberatamente ignorato è che Hamas ha quasi scrupolosamente rispettato la tregua, lanciando alcuni razzi solo in risposta ad operazioni militari israeliane. Durante i sei mesi di tregua, 49 palestinesi sono stati uccisi e nessun israeliano. I media non hanno riportato il fatto che Israele non ha mai posto fine all’embargo: 262 palestinesi sono deceduti per la mancanza di adeguate cure mediche[1] e molte persone sono state ridotte alla disoccupazione, alla povertà, alla malnutrizione [2]. La tregua è stata interrotta il 4 novembre dalle forze israeliane con l'uccisione di 6 miliziani di Hamas durante un' incursione aerea e terrestre. […] Accendendo improvvisamente i riflettori il 19 dicembre, presentando la rottura della tregua come una decisione unilaterale di Hamas, la propaganda mediatica può giustificare le azioni israeliane come “reazioni”, e le azioni palestinesi come “attacchi”: i palestinesi sono sempre associati alla violenza, all’aggressività, quasi fosse per naturale vocazione. I palestinesi sono la causa del problema. Gli israeliani invece sono semplicemente costretti a “reagire” per “autodifesa”. Questa cronologia degli eventi non è solo confermata dal quotidiano inglese The Guardian [3] , ma si trova in dettaglio in un rapporto della stessa intelligence israeliana [4]. […]
La mancanza di contesto storico, delle origini e dell’evoluzione del conflitto, è un altro strumento propagandistico di distorsione della realtà. Ogni evento è presentato come avulso dalla storia passata e perfino dalla geografia. La decontestualizzazione porta il telespettatore disorientato ad affidarsi completamente alle notizie, non avendo strumenti di lettura della realtà. […] Nella propaganda dei media non è stato possibile trovare un solo riferimento a chi è l’occupante (Israele) e a chi è sotto occupazione (i palestinesi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza), […] al Muro di annessione, al regime di apartheid messo in piedi, alle continue violazioni del diritto internazionale e delle risoluzioni delle Nazioni Unite da parte dell’occupante[5]. […]
Alla luce di quanto descritto risulta evidente un utilizzo tendenzioso del linguaggio, altro strumento di distorsione della realtà. I Palestinesi attaccano, lanciano razzi, rompono la tregua. Gli israeliani rispondono, reagiscono, si autodifendono. Non è strano e illogico che un esercito occupante si “difenda” e una popolazione occupata “attacchi”? È sensato dire che se i palestinesi lanciano razzi contro i civili israeliani sono “terroristi”, ma se lo fa l’esercito israeliano si tratta di “operazione di sicurezza”? Come mai nessun organo di informazione ha mai menzionato parole chiave del conflitto come “occupazione”, “colonizzazione e colonie”, “detenzioni amministrative”, “apartheid”, “terrorismo di stato”, “violazione del diritto internazionale” ? L’omissione è una colpa. Ancora, una delle ragioni dell’attacco era interrompere il contrabbando di armi dal confine egiziano verso la Striscia. […] Nessuno si è chiesto che è sensato per una popolazione sotto occupazione militare e sotto embargo cercare di reperire armi per resistere all’occupante, come riconosciuto dal diritto internazionale nelle risoluzioni delle Nazioni Unite (diritto all’autodeterminazione ed alla resistenza contro una potenza occupante[6]). Ed è assurdo parlare di “autodifesa” o “reazione” di Israele in un conflitto generato proprio a causa dell’occupazione israeliana, e caratterizzato da una palese sproporzione di forze: uno degli eserciti più potenti del mondo contro militanti mal equipaggiati che utilizzano razzi rudimentali. I notiziari descrivono sempre Hamas (e Hezbollah in Libano) come “organizzazione islamica” (TG1 8 gennaio), “gruppo”, “movimento estremista” (TG5 29 dicembre). Hamas ha il “predominio sulla Striscia” (TG1 27 dicembre), la “tiene in pugno” (TG5 29 dicembre), ma mai "governa legittimamente". Il lettore può ben vedere come cambia la percezione della realtà se ci si riferisce a Kadima, il partito dell’ex premier Olmert, come “organizzazione sionista estremista”, e ad Hamas come “partito democraticamente eletto”. Parlare di organizzazione rimanda ad una condizione fluida, non definita, che non ha certo la legittimità politica e la credibilità di un partito. […]
Un altro strumento di propaganda utilizzato dai media è la differenziazione dell’informazione (amplificazione – riduzione dei fatti): la diversa copertura mediatica di uno stesso evento in base a criteri razzisti, di retaggio coloniale[7]. Se a essere ferito o a morire è un palestinese, la copertura mediatica sarà largamente minore rispetto a qualsiasi incidente che capiti ad un israeliano. La percezione distorta che ne risulta è di un numero più elevato di violenze subite dagli israeliani rispetto ai palestinesi. Inoltre, i morti israeliani hanno un nome, una storia, una famiglia, il dolore viene esibito e raccontato con maggior minuzia. I morti palestinesi sembrano invece necessarie conseguenze del conflitto, danni collaterali, e raramente vengono umanizzati o ne viene presentato il dolore (i palestinesi “rimangono uccisi”, “muoiono nell’operazione”, insomma sembra muoiano da soli. Altro effetto avrebbe l’utilizzo di termini come “sono stati assassinati”, “massacrati”, “strage di civili”, e così via). In questo modo restano nell’anonimato, rimangono per lo più statistiche senza alcun impatto emozionale sul telespettatore. […] Viene data ampia copertura ad un razzo che colpisce “una villetta”, alle persone “lievemente ferite”, al “panico” ed allo shock che hanno subito gli abitanti. Gli israeliani coinvolti vengono intervistati, le telecamere entrano nelle case, si soffermano sui vetri distrutti, sui quadri di famiglia. I palestinesi non hanno lo stesso diritto: non vengono raccontati lo shock e il panico provati da una popolazione rinchiusa in una prigione a cielo aperto senza possibilità di fuga. […]
La selezione delle informazioni è il principale meccanismo di controllo dell’opinione pubblica: i media decidono i fatti che diventeranno notizie (il criterio ovviamente non è l’onestà intellettuale e professionale, ma quali sono gli interessi in gioco), riportano quelli ritenuti pertinenti all’immagine della realtà che si vuol costruire e scartando quelli che invece la danneggerebbero. Qui la casistica sarebbe infinita, e richiederebbe un lavoro molto lungo, ragion per cui si propone un esempio su tutti. Il presidente del partito fondamentalista “Israel Beitena” Avidgor Lieberman (dopo le ultime elezioni è il terzo partito di Israele), già ministro nel governo Barak, ha dichiarato: “dobbiamo fare esattamente ciò che fecero gli Stati Uniti d’America con il Giappone durante la Seconda guerra mondiale, così non ci sarà bisogno di occupare Gaza”[8]. Un importante politico israeliano incita a lanciare una bomba nucleare su Gaza per annientarla e nessun trova niente da eccepire. I media non riportano neanche la notizia. Immaginate le reazioni che si sarebbero scatenate se a pronunciare questo discorso fosse stato un leader palestinese!
Il giudizio morale muta se applicato ai palestinesi o agli israeliani: gli attacchi palestinesi contro i civili in territorio israeliano sono definiti “terroristici”, mentre l’uccisione di massa dei civili palestinesi viene catalogata come mero dato statistico, danno collaterale di un’operazione di guerra. Spesso le vittime palestinesi vengono inglobate nella conta generica de “i morti del conflitto”, senza ulteriore distinzione[9]. Gli attacchi palestinesi contro i civili israeliani sono illegali, ma non per questo Israele ha il diritto di violare il diritto internazionale umanitario e di commettere crimini di guerra e contro l’umanità con il pretesto della risposta. Quale è il criterio in base al quale i media fanno informazione, raccolgono e presentano le notizie? Nessun media ha mai parlato di “terrorismo di stato”, di “crimini di guerra e contro l’umanità” commessi da Israele, nonostante sia lampante che le azioni israeliane rientrino in questi casi[10]. […]
Un’altra tecnica di distorsione dell’informazione consiste nello scambiare per fatto una opinione. Per dire che Hamas è una organizzazione terroristica ed attribuirle la colpa delle vittime civili, viene presentata la dichiarazione di un esponente politico israeliano (magari seguita da conferme dell’amministrazione statunitense, dell’Unione Europea o di qualche ministro italiano), senza ulteriori repliche[11]. Oppure si sostiene che i guerriglieri di Hamas si nascondono sotto gli ospedali o le lavanderie, citando come fonti l’intelligence o altre fonti israeliane, senza nessun riscontro fattuale o replica da parte palestinese. […]
Altra tecnica di manipolazione dell'informazione è la negazione spudorata della realtà, ovvero qualsiasi morte di palestinesi è colpa di qualcun altro (di Hamas stesso[12]) o risultato involontario di azioni mirate a colpire precisi obiettivi militari. In un articolo pubblicato l’anno scorso Gideon Levy osservava, riferendosi in quel caso ai giornalisti israeliani, “l’esercito israeliano non uccide quasi mai nessuno intenzionalmente, figurarsi se commette un assassinio. Anche quando sgancia una bomba da una tonnellata su una zona di Gaza densamente popolata, provocando la morte di un uomo armato e di 14 civili innocenti tra cui 9 bambini, non si tratta di un'uccisione intenzionale o di un assassinio, ma di un omicidio mirato. Un giornalista israeliano può dire che i militari delle IDF (Israeli Defence Forces) hanno colpito dei palestinesi, o li hanno uccisi, o uccisi per errore, e che i palestinesi sono stati colpiti, o uccisi, o perfino che hanno trovato la morte (come se l'avessero cercata), ma non scriverà mai che sono stati assassinati”.[13] […]
Anche la maggiore caratterizzazione dei politici e dei commentatori israeliani serve l’obiettivo di spacciare come fatti le opinioni e assicurare la prevalenza della prospettiva israeliana su quella palestinese, quasi totalmente assente. Ogni avvenimento o notizia è seguita dai commenti dei politici israeliani, il ministro degli esteri Livni, il primo ministro Olmert, il ministro della difesa Barak, l’intelligence israeliana, i commentatori e i corrispondenti esteri esperti in materia. Tutto viene tratteggiato con minuzia e con un linguaggio pertinente. Le voci dei palestinesi invece sono quasi del tutto assenti, al massimo si riportano brevemente le dichiarazioni sconclusionate di qualche leader di Hamas chiuso in un bunker. Generalmente si parla di “fonti palestinesi”, senza specificare “un nome, un ufficio, un'organizzazione, insomma una qualsiasi fonte a cui attribuire le dichiarazioni” per renderle più credibili.[14]. Un ruolo importante nella distorsione degli eventi lo gioca anche l’utilizzo fuorviante delle immagini: quando si parla di Hamas o di qualche altra faccenda riguardante Gaza, la narrazione è accompagnata da immagini di guerriglieri armati fino ai denti e col viso coperto, di folle in delirio, di gente furiosa, del caos degli scontri, di campi di addestramento e altre immagini che suscitano inquietudine e timore. I leader israeliani vengono invece accompagnati da immagini che li raffigurano in incontri ufficiali, magari insieme a leader esteri.
Gli organi di comunicazione di massa hanno il potere di controllare e manipolare l’opinione pubblica. Avendo la capacità di influenzare la percezione che abbiamo del mondo e della realtà che ci circonda riescono, in modo subdolo o palese, a creare le giustificazioni ideologiche per difendere determinati interessi politici ed economici. La realtà presentata dai media non è mai neutrale, ma riflette quasi sempre l’ideologia e gli interessi dei gruppi egemoni. Guardando un telegiornale è importante tenere in mente le parole di Noam Chomsky: “la propaganda sta alla democrazia come il manganello sta ad una dittatura”[15].
Enrico Bartolomei Casco Bianco presso l’Alternative Information Center
[1] In Barghouti M., Palestine’s Guernica and the Myths of Israeli Victimhood, 29 December 2008 . (http://www.huffingtonpost.com/mustafa-barghouthi/palestines-guernica-and-t_b_153958.html). Si consultino anche i rapporti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (http://www.emro.who.int/palestine) e del Palestinian Center for Human Rights (www.pchrgaza.org).
[2] Si veda: United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs, Gaza Humanitarian situation report – The impact of the blockade on the Gaza Strip, 15 December 2008 (http://www.ochaopt.org/documents/ocha_opt_gaza_situation_report_2008_12_17_english.pdf ), e WFP/UNRWA/FAO, Joint Rapid Food Security Survey In The Occupied Palestinian Territory, May 2008 (http://www.un.org/unrwa/publications/pubs08/RapidAssesmentReport_May08.pdf).
[3] Si veda The Guardian, http://www.guardian.co.uk/world/2008/nov/05/israelandthepalestinians .
[4] Di seguito stralci tratti rapporto dell’intelligence israeliana (corsivi miei) “Intelligence and Terrorism Information Center at the Israel Intelligence Heritage & Commemoration Center IICC - The Six Months of the Lull Arrangement: in the field it had been seriously eroded since November 4. In the six months the arrangement was in force, […] Hamas was very careful to maintain the ceasefire. […]The escalation and erosion of the lull arrangement, November 4 to the time of this writing, December 17: On November 4 the IDF carried out a military action […] . Seven Hamas terrorist operatives were killed during the action. In retaliation, Hamas and the other terrorist organizations attacked Israel with a massive barrage of rockets […]”.
Fonte: http://www.terrorism-info.org.il/malam_multimedia/English/eng_n/html/hamas_e017.htm .
[5] La IV Convenzione di Ginevra del 1949 assicura una protezione minima ai civili durante le guerre o le occupazioni militari e costituisce il fondamento del diritto umanitario internazionale. La Convenzione proibisce l'annessione unilaterale di un territorio (articolo 47), la costruzione di insediamenti su un territorio occupato (articolo 49), l'omicidio intenzionale di civili (articoli 146-147), la tortura (articoli 31-32, 146-147), le pene collettive (articolo 33) e la distruzione di proprietà senza valide ragioni militari (articoli 53, 146-147).
[6] Il diritto all'autodeterminazione dei popoli è stato formalmente riconosciuto dalla Dichiarazione dell'Assemblea delle Nazioni Unite del 1960 sull'assicurazione dell'indipendenza ai paesi e popoli coloniali; il diritto all'autodeterminazione del popolo palestinese in particolare è stato riconosciuto dalla Risoluzione 3236 dell'Assemblea delle Nazioni Unite nel 1974. Si veda anche la nota 6.
[7] Si veda Said E., Orientalism, Pantheon Books, New York 1978. Trad. it. Orientalismo, Bollati Boringhieri, Torino 1991. E idem, La questione palestinese. La tragedia di essere vittime delle vittime, Gamberetti, Roma 1995.
[8] Si veda Ma’an News Agency, http://www.maannews.net/en/index.php?opr=ShowDetails&ID=34924 .
[9] TG5 8 gennaio: “sono ormai quasi novecento le vittime nei diciassette giorni di conflitto” e TG5 12 gennaio “quasi 900 le vittime ne i17 giorni di conflitto a Gaza” .
[10] Si veda ad esempio Richard Falk (ebreo americano, Relatore speciale delle Nazioni Unite per i Diritti umani nei Territori e professore emerito di Diritto internazionale all'Università di Princeton), “Israel’s War Crime”, The Nation, 29 Decembre 2008. Scrive Falk:“Gli attacchi aerei israeliani sulla Striscia di Gaza rappresentano una grave e massiccia violazione del Diritto internazionale umanitario come è stato definito dalla Convenzione di Ginevra, sia riguardo agli obblighi della Forza di Occupazione che ai requisiti delle leggi di guerra. Tali violazioni includono: La punizione collettiva: l’intera popolazione di un milione e mezzo di persone che vivono nell’affollata Striscia di Gaza viene punita per le azioni di pochi militanti. Il colpire i civili: gli attacchi aerei sono diretti contro le aree civili di uno dei più affollati tratti di territorio del mondo, di certo l’area più densamente popolata del Medio Oriente. Una risposta militare sproporzionata: gli attacchi aerei non solo hanno distrutto ogni ufficio di polizia e di security del governo eletto a Gaza, ma hanno ucciso e ferito centinaia di civili”. Reperibile su http://www.thenation.com/doc/20090112/falk .
[11] TG1 27 gennaio: Frattini dice che l’unica alternativa è ripristinare la tregua “che il terrorismo di Hamas ha violato”, o il TG1 del 25 gennaio, il commissario UE Luis Michel “ha detto che Hamas è una organizzazione terrorista, parole in sintonia con quelle pronunciate dal vice-Presidente della Commissione Europea Tajani” per il quale Hamas “non può essere un interlocutore della comunità internazionale”.
[12] TG1 del 27 dicembre: “gli obiettivi militari e gli arsenali di Hamas e delle milizie palestinesi si trovano in mezzo alle case in una zona densamente popolata”. Come fa il Tg1 ad ottenere tante informazioni se non è presente dentro la Striscia? Da quale fonte le attinge? Può dimostrarle? Evidentemente i media italiani (e non solo) operavano sotto la supervisione delle forze militari israeliane che erano in grado di modificare ogni aspetto degli eventi.
[13] Levy G., “Le parole per non dirlo”, Internazionale, 736, 21 marzo 2008.
[14] Idem.
[15] Chomsky N., Media Control, cit.

venerdì 6 marzo 2009

Israele non autorizza l’ingresso della carovana "La linea della vita" attraverso il valico di Rafah


Gaza – Infopal.
Fonti ben informate hanno detto che Israele ha comunicato ufficialmente all’Egitto il proprio rifiuto di far passare, attraverso il valico di Rafah, la carovana denominata La linea della vita, proveniente dalla Gran Bretagna, diretta verso Gaza e guidata dal deputato George Galloway. Ne ha invece richiesto il dirottamento verso il passaggio di Karm Abu Salem, controllato dalla stessa Israele. Gli israeliani intendono infatti assicurarsi che la carovana non trasporti armi, munizioni o altro materiale vietato dalle autorità di occupazione, che avranno il diritto, come gestori del valico, d’impedire il passaggio di qualsiasi materiale non consentito.
La carovana è composta da 300 attivisti di diverse associazioni per i diritti umani con cittadinanza britannica, la maggior parte dei quali ha origini arabe e islamiche, oltre a 12 ambulanze , 100 camion carichi di cibo, medicine e altro materiale e un peschereccio.
Il consigliere Mahmud al-Khudari, vicecapo del Tribunale, e il presidente del Comitato Popolare per rompere l’assedio imposto sul popolo palestinese, hanno invitato gli abitanti di Alessandria a uscire per accogliere la carovana, il cui arrivo all’ingresso di as-Sallum era previsto per ieri.
La carovana, partita lo scorso 14 febbraio da Londra, una settimana fa era giunta in Libia dalla Tunisia, dopo aver attraversato Belgio, Francia, Spagna, Marocco e Algeria e prima di raggiungere l’Egitto, da dove avrebbe dovuto proseguire verso la Striscia di Gaza attraverso il valico di Rafah.
La carovana durante il suo percorso ha riscosso un grande successo. Al suo passaggio in Marocco è stata accolta dal re del Mohammad VI; in Algeria, che per la prima volta da anni ha aperto la frontiera con il Marocco, è stata accolta dal Ministro degli Esteri algerino; in Tunisia le autorità hanno offerto l’albergo ai membri della carovana e hanno garantito loro il carburante necessario per le loro vetture.
Il deputato britannico George Galloway, nel febbraio del 2006, era stato trattenuto all’aeroporto del Cairo per 15 ore, seduto su una sedia di ferro, perché il suo nome compariva nella lista delle persone alle quali non era consentito l’ingresso in Egitto. Dopo l’intervento di una qualche parte politica, era stato autorizzato a entrare nel paese.

Abbiamo bisogno di aiuto



Le testimonianza dirette dei profughi dal campo di Patrasso

La voce di Yasser sembra venire da un altro pianeta: “aiutateci, abbiamo bisogno di qualcuno che lotti per i nostri diritti”. Haji, il referente della comunità afghana nel campo-slum di Patrasso ci racconta della rivolta di lunedì scorso. Da due giorni, ormai, le migliaia di afghani di cui abbiamo raccontato alcune delle storie sono asserragliati dentro il campo. La polizia si tiene a distanza ma è ovunque. Loro hanno paura ad uscire, sono terrorizzati dagli uomini in divisa ma anche dalla popolazione greca che lo scorso due marzo si è unita ai poliziotti nella carica, completa di gas lacrimogeni, che dopo molte ore di guerriglia ha disperso la manifestazione spontanea di questi profughi privati di ogni diritto. Erano al porto, come ogni giorno nel tardo pomeriggio, cercando di imbarcarsi su una nave diretta in Italia, nella speranza di ottenere una protezione internazionale che in Grecia, contro ogni legge nazionale e comunitaria, viene del tutto negata. Anche se ai porti dell’Adriatico respingono quasi indiscriminatamente, non hanno altra scelta che continuare a provarci. È l’unico modo per uscire dal limbo, rischiare la propria vita per ritrovare una qualche forma di dignità di esseri umani. Quel pomeriggio, uno di loro era quasi riuscito a nascondersi dentro uno dei tir in partenza, ma qualcosa è andato storto ed è caduto. I testimoni raccontano che il mezzo pesante che era alle sue spalle invece di fermarsi ha accelerato. I suoi compagni lo hanno creduto morto, vedendolo riverso nel suo sangue e privo di sensi. La rabbia è esplosa e hanno iniziato a lanciare pietre contro il tir. Poi, in un attimo, è successo tutto. Sono arrivate le associazioni di solidarietà con i migranti di Patrasso, ma anche i gruppi organizzati che da sempre sono contro di loro. Gli scontri sono cessati solo a notte inoltrata. La Grecia, membro dell’Unione europea, viola tutti i giorni i diritti di questa gente. A settembre 2008 è stata addirittura formalmente sospesa la ricezione delle istanze di asilo. Eppure, ciascuno di questi giovanissimi ragazzi, molti sono minorenni e alcuni sono bambini, ha alle spalle una storia da inferno. Una storia, anzi, composta da tanti inferni. Le bombe e l’arruolamento forzato in Afghanistan, le violenze della polizia iraniana, la prigione turca, i centri di detenzione in Grecia, i respingimenti di massa dall’Italia. Il ragazzo investito adesso è in ospedale e dicono sia in coma. Nessuno, dei suoi compagni, però, ha potuto verificare di persona il fatto che sia ancora in vita. Venticinque tra gli afghani che si trovavano al porto quel 2 marzo sono stati arrestati e di loro non si ha più alcuna notizia.

L’intervista integrale a Yasser. [ audio ] (ita) [ audio ] (eng)

L’intervista a Haji, referente della comunità afghana del campo. [ audio ] (ita) [ audio ] (farsi)


Trascrizione dell’intervista a Yasser
Il mio nome è Yasser.
Ciao Yasser, ti ricordi di me? Ero a Patrasso qualche settimana fa...
Sì certo, mi ricordo...

Vorremmo che tu ci raccontassi che cosa è successo negli ultimi due giorni.
Potresti dirmi qualcosa su quello che è successo al Porto di Patrasso ma anche su che cosa sta succedendo adesso? Dove sei adesso?
Adesso io sono nel campo.

Cosa mi dici del campo in questo momento? Siete circondati?
C’è la polizia non è molto vicina ma è qui intorno. Il campo è circondato dalla polizia.

E loro non vi lasciano andare fuori?
E’ difficile per noi andare fuori.

Perché si stanno comportando in questo modo?
Non lo so ma penso che sia per l’incidente di qualche giorno fa. Da quando c’è stato l’incidente la polizia ha circondato il campo e noi abbiamo paura ad andare fuori perché la polizia è qui.
Puoi raccontarci qualcosa di più su quello che è successo due giorni fa al porto?
Sì, questo ragazzo stava cercando di salire sopra un camion, nascondersi, è arrivato un altro camion e lo ha investito. Sanguinava dalla sua bocca ed è stato colpito anche molto forte sulla testa. Dopo qualche minuto noi pensavamo che questo ragazzo fosse morto, in realtà poi è stato portato in ospedale e il dottore adesso dice che non è morto, però è in coma. Nessuno di noi però lo ha più visto, non siamo sicuri di quello che gli sta succedendo.

Ma perché voi vi siete arrabbiati così tanto in quel momento al porto?
Perché anche noi siamo essere umani, anche noi abbiamo dei diritti umani. Nessuno deve ucciderci in questa maniera e poi non è la prima volta. L’anno scorso un altro autista ha ucciso un altro ragazzo al porto. Ogni giorno la polizia al porto ci picchia e lo fa anche per strada, ma noi siamo esseri umani, abbiamo bisogno dei diritti umani.

Quindi è la normalità, la polizia si comporta così normalmente? E’ sempre violenta con voi?
Sì lo è. Ma adesso c’è anche il problema della comunità greca perché anche dei cittadini greci sono venuti l’altra notte al porto con la polizia per attaccarci.

Perché succede questo?
Io non lo so perché succede, non so perché sono arrabbiati con noi. Non facciamo nulla di male, non gli abbiamo fatto niente, semplicemente la sera proviamo ad entrare in porto. Eppure moltissime persone greche sono venute con la polizia quella notte per attaccarci mentre la polizia ci tirava addosso i gas lacrimogeni. Non erano una o due persone. Erano molte.

Potresti spiegare perché ogni notte voi cercate di raggiungere l’Italia passando per il porto di Patrasso? Qual’è il problema in Grecia per voi?
In Grecia per noi è una situazione difficilissima perché non è possibile ottenere l’asilo, non possiamo nemmeno avere un lavoro. Non possiamo fare niente e allora cerchiamo di venire in Italia per chiedere l’asilo, per trovare un posto dove stare.

Tu hai provato a chiedere asilo in Grecia?
Non io ma altre persone qui ci hanno provato, ma se chiedi asilo qui ti dicono solo che sei un bugiardo.

Cosa cambia se chiedi asilo?
L’avvocato ci ha spiegato che l’asilo lo danno meno dell’1% delle volte. La realtà è che qui è impossibile ottenere l’asilo politico.

Il primo giorno che sei arrivato in Grecia ti hanno rinchiuso dentro un centro di detenzione o no?
No io sono venuto direttamente a Patrasso, già lo sapevo che dovevo provare ad andare avanti nel mio viaggio.

Quindi ogni notte voi andate al porto e provate a nascondervi sopra i tir che partono per l’Italia?
Sì, tutte le notti.

Ma adesso dopo l’incidente che cosa credete che succederà a Patrasso?
Ancora non lo sappiamo. La polizia è qui e ci circonda ma nessuno di noi sa esattamente che cosa sta per succedere. Abbiamo paura per la nostra vita. E’ da due giorni che siamo asserragliati dentro il campo senza uscire.

Avete paura della polizia ma anche dei cittadini greci ormai?
Ognuno di noi sta ritardando l’uscita dal campo perché non sappiamo cosa può succedere. Adesso abbiamo paura anche semplicemente di andare per strada adesso.

Quanti anni hai tu?
Io ho 19 anni.

Qual’è l’età media nel campo?
Quasi tutti hanno meno di 20 anni.

Quanti siete adesso nel campo?
Più di mille.

Che cosa puoi dirci della vita nel campo?
La vita qui è pessima. Noi viviamo all’inferno.

C’è qualcosa che vorresti chiedere al governo greco e a quello italiano?
Al governo greco io non chiederei niente perché so che non ci aiuterà mai. Al governo italiano invece chiederei di aprirci le porte perché qui la vita è come in guerra. Gli direi che noi siamo rifugiati, non siamo venuti qui per fare del male a qualcuno, siamo venuti qui soltanto per vivere, per avere una vita migliore, per sopravvivere. Gli direi, per favore aprite le porte. Lo sapete come viviamo. In questi ultimi tempi molti giornalisti sono venuti qui e vi hanno raccontato che cosa succede a Patrasso. Non possiamo più vivere in questa maniera.

Hai voglia di raccontarci un po’ della tua vita? Di spiegarci perché sei un rifugiato?
Io sono un rifugiato perché nel mio paese c’è la guerra, ma nella mia situazione personale non è soltanto questo il problema. Io ho anche una storia personale diversa perché un giorno quando io sono tornato a casa ho trovato mia padre che aveva ucciso mia madre. A quel punto io ho ucciso mio padre. Tutta la mia famiglia è contro di me, non avevo altra scelta che scappare via.

Dentro il campo tutti voi avete delle storie personali così difficili?
Sì, tutti noi abbiamo storie così.

Ma tu hai provato a raccontare a qualcuno la tua storia lì in Grecia?
No, non ci provo nemmeno, soltanto due miei amici conoscono questa storia, non l’ho detto a nessuno.

Tu pensi che questa sera proverete di nuovo ad andare dentro al porto?
Io non andrò e come me anche molti altri qui al campo. C’è molta paura in giro. Se adesso la polizia ci arresta dopo l’incidente, chissà cosa ci farà...

Ma di solito cosa succede quando la polizia vi arresta al porto?
Ci portano al commissariato e ci lasciano lì 24 ore senza acqua né cibo.

Ma vi picchiano?
E’ normale che ci picchino, loro ci picchiano prima, loro urlano contro di noi, ci insultano, abusano di noi.

Grazie mille Yasser, ti promettiamo di far ascoltare le tue parole. Siamo con voi nella vostra battaglia per i vostri diritti.
Grazie, noi abbiamo bisogno di qualcuno che combatta per i nostri diritti, abbiamo bisogno di aiuto.

L’ultima domanda: voi state organizzando delle manifestazioni per i prossimi giorni?
Sì so che se ne stanno organizzando alcune ma non so ancora precisamente cosa faremo.

Ci sono organizzazioni greche che vi danno solidarietà?
Sì, sono venuti e ci hanno chiesto di fare una manifestazione con loro. Io non sono sicuro se la faremo, ma forse sarà la settimana prossima. Ci sono dei gruppi, non è che ci aiutino moltissimo, speriamo.

Tu pensi che sia importante fare una manifestazione in questo momento?
Sì io penso di sì, non so cosa pensino gli altri 1.000, ma io penso di sì.

Ma durante i disordini dell’altro giorno, tu c’eri?
Sono arrivato dopo 5 minuti e quando ci hanno lanciato i lacrimogeni c’ero. Hanno arrestato 25 persone del campo e noi adesso non sappiamo dove siano, nessuno sa più nulla di loro.

Ci sono anche dei minorenni?
Sì sicuramente ci saranno anche dei minorenni.

Trascrizione dell’intervista a Haji
Erano le 4 del pomeriggio quando un ragazzo che si chiama San e ha 17 anni ha provato a uscire dal porto salendo dietro a un camion. Ma è arrivato un altro camion ed è rimasto schiacciato fra i due mezzi. A questo punto i ragazzi che erano lì vicino se la sono presa con questi camionisti e sono iniziati gli scontri. I ragazzi hanno lanciato sassi sui vetri del camion e poi anche qualche greco si è messo a litigare con i ragazzi che protestavano e gli scontri si sono allargati ed è intervenuta la polizia coi gas. Quando ho visto questa situazione sono andato dai ragazzi con un mio amico greco e abbiamo promesso loro che noi saremmo andati a vedere come stava San che era stato ricoverato in ospedale. Siamo andati in 4 all’ospedale e abbiamo scoperto che il ragazzo era in coma e i medici volevano operarlo: non è stato quindi possibile vederlo. Sono passati quasi tre giorni e non sappiamo niente, nemmeno suo fratello ha potuto vederlo, i dottori dicono ancora che sia in coma e che devono operarlo perché ha ferite alla testa e alle braccia. Per quasi dodici ore è stata come una guerra contro i migranti da parte della polizia. In questa situazione un gruppo di fascisti ha provato ad incendiare il campo e tutta la gente dentro ha dovuto uscire perché la situazione era molto pericolosa.
Questa intervista è stata fatta da Basir ad Haji nel campo di Patrasso

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