venerdì 24 aprile 2009

"Hamas"- L’intervista all’autrice, Paola Caridi

Cosa si nasconde dietro Hamas? Perchè un movimento islamista ha guadagnato così tanto consenso in una società ritenuta tendenzialmente laica come quella palestinese? E perchè non è scomparso quando tutta la comunità occidentale ha deciso di isolarlo dal resto del mondo? A queste domande cerca di rispondere Paola Caridi nel libro Hamas. Cos’è e cosa vuole il movimento islamista.
Giornalista per la redazione di Lettera 22 e storica, autrice di Arabi Invisibili (sempre edito per la Feltrinelli), la Caridi ha vissuto al Cairo e poi a Gerusalemme da dove ha seguito negli ultimi sei anni le vicende palestinesi. Nato come movimento di resistenza all’occupazione israeliana, Hamas è passato attraverso il terrorismo e gli attentati suicidi, ha sfidato l’autorità di Yasser Arafat, è sopravvissuto all’eliminazione fisica di gran parte dei suoi dirigenti. Nel 2006 e’ arrivato al governo dell’Autorita’ nazionale palestinese (Anp) democraticamente eletta dalla maggioranza dei palestinesi. Perche’ ha vinto? ’’La prima risposta - scrive Paola Caridi -, quella piu’ difficile, la piu’ provocatoria ma anche la più circostanziata dai fatti e dagli studi, è che Hamas non è un movimento terrorista, bensì un movimento politico che ha usato il terrorismo, soprattutto in una particolare fase della sua storia ormai ventennale’’.
Ascolta l’intervista all’autrice [ audio ]

Attacco al DTP

Proteste e mobilitazioni in Turchia dopo la vasta operazione di arresti condotta contro il partito filo curdo DTP. I commenti sulla stampa turca, le reazioni della società civile. Il caso di Pınar Selek
Il 14 aprile scorso la polizia turca ha avviato un’operazione contro il DTP (Partito democratico del popolo) su ordine della procura generale di Diyarbakır. Le incursioni delle forze dell’ordine nelle sedi del partito filo-curdo, in abitazioni e posti di lavoro, realizzate simultaneamente in 12 province del sud est, si sono estese successivamente anche in altre località e sono ancora in corso. Il bilancio attuale delle operazioni è di circa 300 fermi di cui 51 mutati in arresti. La maggior parte dei detenuti appartiene al quadro dirigenziale del partito. Figurano tra questi tre vicedirettori generali, diversi membri del consiglio amministrativo centrale e dell’assemblea legislativa del partito, diversi vicesindaci ed ex sindaci. Ma ci sono anche Ebru Günay e Şinasi Tur, due degli avvocati di Abdullah Öcalan, diversi attivisti, e il direttore della rete televisiva Gün di Diyarbakır. L’operazione si sarebbe basata su prove di intercettazioni telefoniche registrate negli ultimi quattro anni. L’accusa comune per tutti è di aver eseguito “azioni illegali” per conto del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan). A meno di un mese dalle ultime elezioni amministrative, in cui il DTP ha raccolto un vasto consenso popolare nel sudest ottenendo la gestione di otto province, l’operazione appare come un tentativo di delegittimare il peso politico assunto da questo partito nel processo di risoluzione della questione curda. Il sistema adottato è quello di associare il DTP all’ “organizzazione terroristica” PKK, anche se non è mai stato un mistero che il DTP e il PKK siano tra essi legati. L’unico esito prevedibile di un tale intervento è quello di togliere alla popolazione curda la poca fiducia rimasta nei confronti delle “aperture” e garanzie offerte dal governo nei loro confronti. Il DTP chiede al governo turco un terreno legislativo e politico affinché il PKK si metta in condizione di abbandonare le armi e chiede che quest’ultimo venga considerato, assieme al leader Öcalan, imprigionato a İmralı da dieci anni, quale interlocutore per affrontare e risolvere la questione curda. Chiede in particolare per il leader curdo una condizione carceraria accettabile, il riconoscimento con garanzia legale dell’identità curda e una vasta legge di amnistia. Il PKK sarebbe in questo caso disposto a deporre le armi. Quest’ultimo infatti aveva già dichiarato come segno di buona disposizione un cessate il fuoco unilaterale fino al prossimo primo giugno. In reazione all’operazione effettuata contro il DTP, il leader del PKK Murat Karayılan ha però annunciato che la tregua sarà interrotta. Intanto, in attesa che a maggio si realizzi a Arbil in Iraq una conferenza internazionale con i rappresentanti curdi della Turchia, dell’Iraq, dell’Iran e della Siria, il co-leader del DTP Ahmet Türk si è recato a Londra per dar voce alle posizioni del proprio partito di fronte ai parlamentari britannici e ad alcune organizzazioni di società civile, mentre tra il 27 e il 30 aprile l’altra co-leader, Emine Ayna, sarà a Strasburgo e parlerà al Parlamento europeo. Entrambi chiedono che alla conferenza di Arbil partecipino anche dei deputati europei come osservatori. Le proteste contro gli arresti non sono mancate. A Diyarbakır il 15 aprile sono scese in piazza un migliaio di persone. Il sindaco della città Osman Baydemir – che martedì è stato condannato a 10 mesi di carcere assieme al sindaco di Batman Nejdet Atalay per “aver fatto propaganda a favore dell’organizzazione terroristica PKK” chiamando i membri del PKK “guerriglieri” in un discorso tenuto nel 2008 – rivolgendosi alla folla ha detto: “Siate certi che ormai non temiamo più le stragi, la morte e la prigione. Molti dei nostri amici che sono stati fermati sono stati in carcere per 10, 20 anni. Appartiene al passato il tempo in cui temevamo il carcere. Ma le madri curde e turche continuano a seppellire i loro figli, ed è questo che ci spaventa. Noi a questo ormai diciamo basta”. Più di venti organizzazioni civili, sindacali e alcuni partiti politici si sono radunati ad Ankara davanti alla sede centrale del DTP. A Istanbul trecento persone hanno manifestato a Beyoğlu. Oltre duecento accademici, artisti, scrittori, sindacalisti e attivisti per i diritti umani hanno firmato inoltre una dichiarazione congiunta definendo l’accaduto “un attacco antidemocratico contro un partito presente in parlamento” e “un segno di intolleranza e mancanza di rispetto nei confronti della volontà democratica manifestata nuovamente dalla popolazione curda in occasione delle elezioni amministrative”. I firmatari hanno chiesto il “rilascio immediato dei detenuti del DTP” invitando “chiunque voglia una soluzione pacifica e democratica alla questione curda a essere solidali con il DTP che presenta un’importante possibilità in questo senso”. Alcune critiche sono arrivate anche dai quotidiani: Oral Çalışlar, analista di Radikal, critica le posizioni del capo di Stato maggiore İlker Başbuğ e del premier Erdoğan che non accettano “la legittimità di una politica basata sull’identità” e sottolinea che, nonostante le ultime affermazioni di Başbuğ per cui “La Repubblica turca” sarebbe stata “fondata dalla popolazione della Turchia” e non dai ”turchi”, la visione del generale non riesce a svincolarsi dall’idea che “le differenze etniche possano esistere solo come dimensione culturale”. Ahmet Altan invece ha scritto su Taraf che “seppur il PKK dovesse essere costretto ad abbandonare le armi cedendo all’insistenza della comunirà internazionale, il ‘problema’ permarrebbe e domani si ripresenterebbe sotto un’altra forma. È necessario costruire una Turchia che accetti l’esistenza dei curdi, che arrivi a metabolizzare la loro uguaglianza con i turchi. Allora ci sarà la pace”. L’impegno per la pace è stata la scelta anche di Pınar Selek, sociologa che da anni partecipa a progetti a favore degli emarginati, collaboratrice di diverse organizzazioni civili pacifiste e per i diritti umani. A 27 anni, nel 1998, assieme ad altri imputati, è stata incarcerata per due anni e mezzo con l’accusa di aver collocato nel mercato delle spezie a Istanbul una bomba, causando la morte di sette persone e un centinaio di feriti. Durante gli anni di reclusione ha scritto un libro intitolato “Barışamadık” (“Non siamo riusciti a rappacificarci”) in cui tratta con acutezza delle iniziative contro la guerra in Turchia, delle radici e della storia del mancato raggiungimento della pace negli anni, evidenziando come prevalga anche tra alcuni pacifisti l’ideologia che “non riesce a rappacificarsi” con l’antimilitarismo. Precedentemente all’esplosione Pınar, per le sue ricerche, aveva anche intervistato i membri del PKK, cosa che l’ha portata a essere interrogata dalla polizia e anche in tribunale, già prima dell’esplosione. Successivamente i due eventi sarebbero stati fusi e Pınar è stata processata solo per l’esplosione. Il tribunale l’ha assolta per due volte “per mancanza di prove” perché gli esperti hanno verificato che l’esplosione non poteva essere dovuta a una bomba, ma ad una fuga di gas. Lo scorso marzo, tuttavia, la cassazione ha accolto l’appello della procura ed ha annullato l’ultima decisione di assoluzione, dando prova di un accanimento esclusivo nei suoi confronti. Pınar sarà di nuovo processata con l’accusa di separatismo e di essere membro del PKK. La pena richiesta è di 36 anni di reclusione. Molti amici le sono vicini e hanno dichiarato la loro solidarietà. Se nel futuro della Turchia ci sarà la pace dipenderà anche da come la giustizia deciderà su di lei.
scrive Fazıla Mat

giovedì 23 aprile 2009

Striscia di Gaza, l'assedio trasforma i bambini in mendicanti.

A pagare il prezzo delle dure condizioni di vita e della difficile situazione economica che sta vivendo la Striscia di Gaza sotto assedio sono anche i bambini, in particolare quelli di Gaza. Per poter sopravvivere insieme alle loro famiglie (per chi ha ancora una famiglia), i piccoli palestinesi sono costretti a fare i venditori per strada e nei mercati.
Il corrispondente di Infopal.it ha incontrato decine di loro: molti hanno accettato di farsi intervistare, altri hanno rifiutato per l’imbarazzo. Vediamo qui di seguito alcune testimonianze.
Ahmad, dieci anni, vende prezzemolo al mercato di az-Zawiyah. È un bambino come tutti gli altri della sua condizione: vestiti strappati, capelli spettinati, viso stanco. Ha dovuto lasciare la scuola, ma spera di poterci andare ancora, come i suoi coetanei; intanto, va a lavorare al mercato ogni mattina, per tornare a casa la sera. Ha riassunto la sua esperienza in poche parole: ‘"l-hayaa sa‘ba!" (‘La vita è difficile!’). I suoi sogni? Avere un vestito nuovo e un cellulare.
Baha, con il suo instancabile sorriso, vende invece mais, e a quasi tutte le domande risponde subito: "La a‘rif" (‘Non so’), come se volesse fuggire dalla realtà. Noi però abbiamo insistito nel chiedergli delle sue speranze in questa vita, e lui finalmente ha risposto: "Fare l’insegnante, perché l’insegnante non si stanca come noi, va a scuola la mattina e torna a mezzogiorno, mentre io vengo al mercato ogni giorno alle otto del mattino e torno a casa la sera: qualche volta mi lavo, altre dormo direttamente tanto sono stanco, senza nemmeno cenare".
Proseguendo il giro, assistiamo a una scena triste, per certi versi difficile da comprendere: un uomo, apparentemente di tutto rispetto, sta fermo a un lato della strada, mentre in un angolo, vicino a lui, scorgiamo un bambino dall’aspetto di mendicante, ma che vende le sigarette alle macchine di passaggio. Cosa c’entra l’uomo con il bambino? ci siamo chiesti. L’amara realtà è che l’uomo è il padre del bambino, e continuamente gli domanda: "Cosa hai venduto? Dammi i soldi! Cerca di vendere ancora di più!".
Ecco come il bisogno ha spinto un padre e un figlio a una misera vita, fatta solo di sopravvivenza.
Infopal

Francia - Operai della Continental assaltano la Prefettura

Più di 200 operai della Continental (multinazionale tedesca di pneumatici) martedì scorso 21 aprile hanno assaltato e danneggiato i locali dell’ufficio della Prefettura di Compiègne dopo che il tribunale di Sarreguemines (dipartimento della Moselle) ha respinto la richiesta di annullare o bloccare momentaneamente la chiusura della fabbrica di Clairoix causando così il licenziamento di 1.120 operai entro il 2010. Appena avuta la notizia della decisione del tribunale motivata da vizi di forma nella richiesta, è scoppiata la protesta. Gli operai hanno distrutto i computer, rovesciato tavoli e carte, causando anche seri danni alla proprietà. Subito dopo un ufficio nei pressi della fabbrica di Clairoix è stato danneggiato da altri operai scontenti dalla decisione del giudice (video).
Giovedì 23 aprile la protesta si sposterà ad Hannover. Qui si sono dati appuntamento gli operai delle fabbriche della Francia e della Germania per manifestare la loro rabbia davanti alla sede centrale della multinazionale dei pneumatici. Gli stessi dipendenti della fabbrica di Clairoix a marzo durante i primi scioperi avevano prima lanciato uova ai dirigenti, impedendo una riunione e poi, alcuni giorni dopo, impiccato dei manichini con le facce dei dirigenti. (video)

Il servizio di France 2

Grave episodio contro i manifestanti NO G8

Un autobus di manifestanti, proveniente da Napoli e diretto a Siracusa, per prendere parte al controvertice del G8 ambiente, è stato fermato dalle forze dell’ordine appena sbarcato a Messina. La pretesa avanzata era quella d’identificare e perquisire tutti i partecipanti, riproponendo una forma di schedatura politica, volta ad inasprire il clima di tensione creato ad arte dal governo. Emblematico è l’attacco preventivo portato avanti dall’attuale governo, che si colloca in un quadro politico ben più ampio di repressione di ogni forma di dissenso, dal diritto di sciopero a quello di manifestazione. Al rifiuto dei manifestanti soltanto una delle partecipanti e l’autista sono stati identificati ed il mezzo è stato perquisito; solo dopo aver subito ulteriori minacce e provocazioni, i dimostranti hanno ripreso il loro viaggio verso Siracusa. Riteniamo quest’episodio molto grave, alla vigilia di una delle scadenze italiane del G8, poiché tende ad incrementare una politica di repressione di ogni minima forma di dissenso sociale e politico.
Le compagne e i compagni della Campania

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!