venerdì 17 luglio 2009

La carovana Lifeline 2 entra a Gaza, ma senza aiuti umanitari.



Circa 200 sostenitori del convoglio “Lifeline 2”, guidato dall’ex deputato britannico George Galloway, hanno raggiunto la Striscia di Gaza ieri sera, senza i camion di aiuti che avevano portato dagli Stati Uniti.
Ad accoglierli c’erano il presidente dell’autorità dei passaggi nel governo di Gaza, Ghazi Hamad, e il presidente della Commissione governativa di accoglienza delle delegazioni, Hamdi Shaath, oltre a una folla di cittadini e giornalisti.
La carovana è arrivata con due giorni di ritardo, perché trattenuta al valico di Rafah dagli egiziani.
Fonti palestinesi hanno riferito che Galloway e gli oltre 200 membri del convoglio, hanno attraversato il valico di frontiera, ieri notte, diretti verso la Striscia di Gaza, in base a un accordo tra gli organizzatori del convoglio e le autorità egiziane. Le fonti presso il valico prevedono l'ingresso dei camion nelle prossime ore.
Durante una conferenza stampa tenutasi subito dopo aver attraversato il valico palestinese, il parlamentare britannico ha dichiarato: "Siamo qui per esprimere solidarietà al popolo palestinese. Noi continueremo ad organizzare e inviare le delegazioni di solidarietà dalla Cina, dagli Stati Uniti e dalla Francia per rompere l'ingiusto embargo".
Egli ha confermato di lavorare per far entrare gli aiuti dal lato egiziano di Rafah nei prossimi giorni e non attraverso il passaggio israeliano di Karm Abu Salem, in Israele, sottolineando che gli aiuti comprendono farmaci e attrezzature sanitarie per gli ospedali, materiali per scuole e per asili nella Striscia di Gaza.
Galloway ha confermato che il presidente venezuelano Hugo Chavez guiderà il convoglio "Lifeline 3" per rompere l'assedio di Gaza. Ha poi accusato i paesi arabi di partecipare all'embargo, e ha invitato il presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, "a porre freno al suo appoggio verso lo stato di occupazione israeliano e a guardare la sofferenza della popolazione di Gaza assediata da tre anni, punita per la sua scelta democratica".
Della carovana fa parte anche una nutrita delegazione del movimento Neturei Karta, gli ebrei ortodossi anti-sionisti.

Lo Stato colombiano utilizza l’agenzia di intelligence contro le organizzazioni dei diritti umani

Colectivo de Abogados José Alvear Restrepo CAJAR, Organizzazione non governativa di difesa dei diritti umani, presenta alla comunità internazionale le ultime scoperte in relazione alle attività illegali di intelligence sviluppate dal DAS, l'organismo di sicurezza e di intelligence più importante dello Stato colombiano, contro le organizzazioni dei diritti umani.
Riconosciamo che tutti gli Stati hanno bisogno di un sistema di intelligence efficace per garantire l’esercizio della sovranità, l’autodeterminazione e la sicurezza della società e dello Stato. Però, tale servizio di intelligence deve essere fondato nel rispetto assoluto dei diritti umani e sui principi che supportano uno Stato democratico e sociale di diritto. In altre parole, le agenzie di intelligence devono sottomettersi alla legge ed alla Costituzione Politica prima che essere strumenti di un governo o di entità alleate o al servizio delle organizzazioni criminali organizzate come i gruppi paramilitari.
Nonostante questo in Colombia la storia ci ha dimostrato che gli organismi di sicurezza dello Stato hanno conferito trattamento da nemici a coloro che dalla società si impegnano per la difesa e la promozione dei diritti umani. Così a partire dal febbraio 2004, si è incrementata sostanzialmente la persecuzione contro le organizzazioni dei diritti umani da parte del DAS. Questa entità ha creato gruppi speciali di intelligence strategica con lo scopo di perseguitare in maniera strutturale le organizzazioni di diritti umani considerandoli “una minaccia o rischio per la sicurezza nazionale”.
In questo contesto, il DAS ha deciso di realizzare attività di intelligence contro il CAJAR attraverso una molto onerosa, prolungata e sofisticata operazione chiamata “OPERAZIONE TRASMILENIO” finanziata sotto la voce SPESE RISERVATE. La menzionata OPERAZIONE TRASMILENIO consiste nella raccolta di informazioni su questa ONG di diritti umani e dei suoi componenti. Nello sviluppo della stessa si sono ricavate informazioni relative alla difesa dei diritti umani, sulla cooperazione internazionale e sulle condizioni finanziarie del CAJAR.
Tra le attività di intelligence realizzate dal DAS contro i membri del CCAJAR, si evidenziano: l’identificazione del loro nucleo familiare, informazioni biografiche, lavorative, economiche e finanziarie; elaborazione di profili politici e psicologici; recupero di impronte digitali, individuazione delle routine e spostamenti, realizzazione di pedinamenti in tutto il paese, così come la vigilanza permanente da punti fissi di osservazione (affittando abitazioni); registrazioni fotografiche e video degli avvocati e delle loro famiglie, così come dei loro posti di residenza e lavoro, intercettazione su grande scala di linee telefoniche, posta elettronica, verifica dei loro movimenti migratori ed elenco dei loro contatti nazionali e internazionali, ecc. Per ottenere queste informazioni hanno cercato i dati nel data base del Programma Ufficiale di Protezione e Difesa, enti pubblici e privati e altri che loro denominano “fonti umani e tecniche” e inclusa il controllo della spazzatura dei luoghi di residenza e degli uffici di lavoro degli avvocati. Vale la pena far presente, che i lavori di intelligence hanno incluso temerarie e infondate accuse contro i membri del CCAJAR, le quali non sono state provate nonostante vari anni di permanente ed esaustiva attività di intelligence illegale e clandestina.
Ci colpisce particolarmente che la tenace persecuzione contra il CAJAR da parte del DAS, concorda sia con le segnalazioni realizzate dal presidente della Repubblica e da alcuni dei suoi più alti funzionari contra questa ONG, sia con le sistematiche minacce e attacchi contro i suoi membri. Per esempio, il pacco ricevuto per posta nel maggio del 2005 alla sua residenza dall’allora presidente del CCAJAR che appariva come inviato dal nonno da un municipio e un indirizzo che corrispondono alla casa dove trascorse la sua infanzia e che conteneva una minaccia scritta contro la sua famiglia e la sua piccola figlia, accompagnata da una bambola decapitata, squartata, bruciata e macchiata con smalto rosso a indicare sangue, dimostra che questo macabro messaggio di minaccia conteneva informazioni ottenute con lavori di intelligence svolti contro questa avvocata da parte del DAS.
Le attività del CAJAR che hanno destato maggiormente l’attenzione dei segugi del DAS sono quelle relative alla rappresentanza in sede legale delle vittime, specialmente il lavoro con la Corte Penale Internazionale, la Commissione e la Corte Interamericana dei Diritti Umani e le Nazioni Unite. Allo stesso modo c’è stato un interesse speciale per le missioni internazionali (ufficiali e non governative) sui diritti umani che hanno visitato il paese. Alcune di esse sono state oggetto di controlli millimetrici e i loro componenti e passaporti filmati e fotografati con chiaro disprezzo per la comunità e gli organismi internazionali. Tutto indica che “tutto ciò che puzzava di diritti umani” si convertiva in obiettivo di intelligence per il DAS che considera i diritti umani ed il lavoro che li rivendica – in se e per sé – come una minaccia istituzionale, scordando che sono i violatori dei diritti umani che fanno perdere prestigio e minacciano lo Stato e non chi fa sentire la propria voce per reclamare verità a giustizia.

Quali scopi persegue il DAS con questa politica ufficiale di persecuzione e repressione contro le organizzazioni dei diritti umani e contro le attività che li fomentano e difendono? Con piena convinzione manifestiamo che il DAS ha realizzato e realizza questi lavori di intelligence contro le organizzazioni dei diritti umani per neutralizzare e sabotare i loro lavori in difesa e promozione dei diritti umani attraverso il terrore che risveglia la sua “intelligence offensiva e strategica” come meccanismo di guerra psicologica. Infatti tra i memorandum e le missioni di lavoro di cui fu incaricato il gruppo G3, spiccavano i pedinamenti a organizzazioni e persone di tendenze oppositrici rispetto alle politiche governative con lo scopo di “restringere o neutralizzare le loro azioni” e negli atti delle riunioni di questo gruppo si sottolinea che queste attività devono condurre alla incriminazione o alla realizzazione di operazioni di intelligence sotto copertura (diverse fase della guerra psicologica, di stratagemma politico, ecc.).

Di conseguenza, quelle azioni cercavano o cercano anche di incriminare arbitrariamente i difensori di diritti umani. La storia ci insegna anche che i rapporti di intelligence sono soliti essere la fase previa di più gravi attacchi contro le vittime di questi generalizzati e sistematici compiti di intelligence, che possono includere attentati contra la vita delle vittime. Senza dubbio, le attività del DAS contro le ONG, mettono in grave rischio la vita dei difensori di diritti umani e minacciano seriamente l’esercizio delle loro legittima attività.

L’utilizzo arbitrario del DAS per portare avanti azioni di intelligence strategica contro le ONG dei diritti umani costituisce la prova più indiscutibile dell’assenza di volontà politica del governo di rinunciare definitivamente alla persecuzione contro i difensori di diritti umani, il che riafferma la politica ufficiale non dichiarata di chiudere spazi e negare garanzie alle organizzazioni di diritti umani, così come di perseguitare sistematicamente i loro componenti. Vale la pena ricordare che la persecuzione ha anche colpito giornalisti, dirigenti politici e sociali, parlamentari e incluso magistrati della Corte Suprema di Giustizia, questi ultimi per aver osato fare giustizia contro personaggi che erano sempre apparsi “intoccabili” e favoriti dall’impunità che offre il potere.

Consideriamo fondamentalmente che le attività di intelligence sviluppate contro il CAJAR e altre ONG di diritti umani furono pianificate, decise ed eseguite al più alto livello all’interno del DAS, in ottemperanza alle direttive dell’alto governo, il quale riceve informazioni periodiche da quei lavori. Infatti, è il potere esecutivo quello che nomina i capi di questa entità, quattro delle quali sono sotto indagine per questi fatti. Inoltre sotto l’amministrazione dell’attuale governo, cariche importanti all’interno della struttura del DAS furono occupate da ex ufficiali dell’Armata, il che ha permesso una crescente militarizzazione di questa entità di natura puramente civile, il che a sua volta facilitò che i difensori dei diritti umani si convertissero nel principale obiettivo od oggetto delle sue azioni di intelligence offensiva e strategica.

Senza dubbio, questa sistematica e generalizzata persecuzione contro le ONG dei diritti umani, costituisce un crimine di lesa umanità alla luce dello statuto di Roma, così come lo ha manifestato in un recente dibattito pubblico il senatore Gustavo Petro.
Storicamente, il CAJAR ha rappresentato le vittime in numerosi casi di gravi violazioni ai diritti umani in cui erano coinvolti funzionari del DAS. Attualmente rappresentiamo le famiglie dei sindacalisti uccisi dai paramilitari, dopo che Jorge Noguera Cotes nella sua condizione di direttore del DAS consegnò a queste organizzazioni criminali un elenco di sindacalisti con lo scopo di farli assassinare. Recentemente, Jorge Aurelio Noguera Cotes, è stato chiamato in giudizio, per l’omicidio dei sindacalisti, così come per associazione a delinquere per la sua alleanza con il paramilitarismo.
Alla luce di quanto sopra, responsabilizziamo unicamente ed esclusivamente l’alto governo nella persona del presidente della repubblica di qualsiasi attacco contro i membri del Colectivo de Abogados José Alvear Restrepo o contro i membri delle loro famiglie.

Il Colectivo de Abogados José Alvear Restrepo, da questo esposto, esige dal governo colombiano e dallo Stato:
1. Lo smantellamento totale del DAS

2. La creazione legale e partecipativa di una commissione integrata da personalità di riconosciuto livello accademico e morale che proponga una nuova entità di intelligence basata nel rispetto totale dei diritti umani, nell’attaccamento ai più cari precetti democratici che governano uno Stato sociale e di diritto, in armonia con parametri internazionali sul tema. La nuova identità dovrà avere salvaguardie legali efficaci per garantire i diritti di cittadinanza, così come meccanismi di monitoraggio civile e parlamentare, riguardo alla sua funzione d’intelligence.

3. La declassificazione immediata di tutti i rapporti di intelligence presenti nel DAS, nelle forze militari e di polizia contro le ONG di diritti umani ed in particolare contro il CAJAR. Questi rapporti devono essere consegnati ai diretti interessati e cancellati dagli archivi ufficiali.

4. Risultati immediati e concreti nelle indagini penali e disciplinari aperte contro i quattro ex direttori del DAS (Jorge Aurelio Noguera Cotes; Andrés Mauricio Peñate; Maria del Pilar Hurtado y Joaquín Polo), così come contro gli altri responsabili di questi atti. Questi risultati ci dovranno essere, nonostante il cambio recente del Procuratore Generale ed il prossimo cambiamento del Fiscale Generale della Nazione.

5. La cessazione immediata e definitiva delle ostilità, persecuzioni, attività di intelligence, minacce e attacchi contro le ONG dei diritti umani e il CCAJAR in particolare, da parte dello Stato e dei suoi organismi di sicurezza.

6. La concessione di tutte le garanzie ai difensori dei diritti umani per lo sviluppo del loro lavoro, così come tutte le misure necessarie per la protezione fisica e psicologica loro e delle loro famiglie.


leggi anche:Che ce ne frega della Colombia? di Dario Ghilarducci

mercoledì 15 luglio 2009

Gli operai minacciano di far saltare un'altra fabbrica se non verranno pagati.

E' la seconda in pochi giorni

Nuovo caso di protesta dei lavoratori francesi che minacciano di far saltare in aria gli impianti. Dopo l'episodio di due giorni fa alla New Fabris di Chatellerault (azienda controllata dalla italiana ZEN e che produce/va componentistica per Peugeot Citroen e Renault) nell'ovest della Francia, un caso analogo è scoppiato alla Nortel France, azienda della regione parigina in fallimento, dove un gruppo di dipendenti in sciopero minacciano di far saltare lo stabilimento con una decina di bombole di gas che sono state già piazzate nei locali, secondo quanto verificato da giornalisti sul posto. "La gente - ha detto uno dei quattro rappresentanti dei lavoratori di Nortel - non ha più niente da perdere, andranno fino in fondo". L'azienda, filiale francese del produttore di componenti per la comunicazione canadese Nortel, ha avviato la procedura di fallimento il 28 maggio: "Se gli amministratori non si assumono le loro responsabilità il sito rischia di saltare", ha avvertito il rappresentante dei lavoratori, dietro anonimato. "Qualora la riunione fra gli amministratori giudiziari francesi e quelli britannici incaricati della procedura di fallimento non fosse costruttiva - ha aggiunto - nessuno controllerebbe più niente". Per il 20 luglio è previsto, da parte del consiglio d'amministrazione, un parere su un piano di tagli, e il motto dei lavoratori di Nortel è: "Se per noi finisce il 20, finirà per tutti". Il rappresentante dei lavoratori afferma che la richiesta è di 100 mila euro per ogni licenziato. Il metodo è analogo a quello dei dipendenti della New Fabris di Chatellerault che due giorni fa hanno minacciato di far saltare la loro fabbrica il 31 luglio se non otterranno indennità di licenziamento di 30mila euro.

Honduras - Il rischio della normalizzazione

Si intensifica la repressione

A 15 giorni dal colpo di stato il paese centroamericano non fa più notizia.

Fin dal primo giorno del colpo di stato militare, la politica mediatica del governo spurio ha cercato di dare al paese un’immagine di assoluta normalità. Le enormi marce e le proteste sarebbero quindi una semplice espressione di qualche matto che non vuole accettare la nuova realtà. La manovra normalizzatrice, della quale sembra fare parte il processo di mediazione che si sta svolgendo in Costa Rica sotto le ali del dipartimento di Stato nordamericano, e l’assenza dei mezzi informativi, potrebbero aprire le porte ad una forte repressione contro le organizzazioni popolari che continuano a chiedere la ricomposizione dell’ordine istituzionale.
Dopo le condanne internazionali, la grande aspettativa per il tentativo del presidente Zelaya di ritornare in patria e il fallimento del processo di mediazione in Costa Rica, i principali mezzi informativi hanno abbandonato il paese. I telefoni non suonano più come prima e le agenzie internazionali non battono molte notizie sull’Honduras.
Le continue mobilitazioni delle organizzazioni sociali, popolari e sindacali non fanno oramai notizia e per i media internazionali che continuano a seguire le vicende da vicino, la situazione è diventata molto pericolosa.
Durante la serata di sabato 11 luglio, i giornalisti di TeleSur e del canale Venezolana de Televisión, VTV, sono stati arrestati e poi obbligati a rimanere in albergo senza potere svolgere il loro lavoro informativo. Hanno inoltre denunciato che la polizia ha intimato loro di andare subito all’aeroporto “perché qui non hanno nulla da fare e non c’è niente da informare”.
Di fronte alle grandi mobilitazioni indette dalle organizzazioni popolari, come quelle che si sono svolte durante il fine settimana in memoria del giovane Isis Obed Murillo e nel parco centrale di Tegucigalpa, e la caduta di interesse da parte dei media, i dirigenti del Fronte Nazionale Contro il Colpo di Stato hanno avvertito della possibilità di un incremento dell’ondata repressiva.
Nella notte di sabato 11 luglio, l’attivista del Bloque Popular ed ex dirigente sindacale del settore tessile e della FUTH, Róger Bados, è stato assassinato da sconosciuti davanti a casa sua a San Pedro Sula, nel nord del paese. La paura che si vive in queste ore è che questo omicidio possa essere il preludio a un piano assassino contro i quadri intermedi delle organizzazioni popolari, con l’obiettivo d’infondere il terrore tra la gente.
Mentre la comunità internazionale sembra non volere passare dai discorsi e proclami ai fatti concreti, rigidamente legata agli esiti di un processo di mediazione che non ha futuro e che dipende visibilmente dall’ambiguità del governo nordamericano, abbiamo dialogato con Carlos H. Reyes, segretario generale del Sindacato dei Lavoratori dell’Industria delle Bevande e Simili, STIBYS, e membro del Comitato Esecutivo Mondiale della UITA.

Sono stati 15 giorni di resistenza e lotta. Giorni molto difficili in cui la popolazione ha saputo rispondere al colpo di stato e alla repressione. Come valuti questo sforzo?
La lotta politica del movimento popolare ha avuto cambiamenti qualitativi molto importanti. Se non fosse esistito un Coordinamento Nazionale di Resistenza Popolare, che è stata la colonna vertebrale di tutto questo movimento di resistenza, non sarebbe stato possibile sviluppare tutte queste azioni di lotta e resistenza. Abbiamo potuto superare la sorpresa del colpo di stato e la paura per la repressione scatenata dal governo “de facto”, convocare la più grande manifestazione nella storia del paese, e tutta una serie di altre attività che hanno visto una grande partecipazione da parte della gente.

Si profila un incremento della repressione?
I golpisti sentono che non hanno potuto dominarci e che c’è ancora una forte resistenza e quindi hanno cominciato a lanciare segnali che indicano la loro intenzione di incrementare il livello repressivo. Domenica 5 luglio è stato assassinato il giovane Isis Obed Murillo, mentre ieri hanno ucciso l’ex dirigente sindacale della FUTH ed attivista del Bloque Popular, Róger Bados. Hanno chiuso vari programmi radio che gestiscono le organizzazioni femministe ed abbiamo saputo che ieri la polizia ha fatto irruzione nell’hotel dove alloggiavano i giornalisti di TeleSur e della televisione venezuelana, ordinando loro di andarsene dal paese. Consideriamo che tutti questi avvenimenti facciano parte di una politica repressiva implementata per spaventarci e per porre fine alla resistenza.

Che progetti avete per questa settimana?
Continueremo con le manifestazioni e le marce e per giovedì e venerdì abbiamo previsto due azioni molto importanti. Sarà comunque una settimana molto difficile. Il processo di mediazione in Costa Rica è ormai fallito e noi abbiamo sempre detto che non era questa la via per risolvere la crisi nel nostro paese. La soluzione passa necessariamente dal riuscire a mantenere la lotta interna e dal risolvere la contraddizione che si sta vivendo negli Stati Uniti. Da una parte il governo nordamericano denuncia il colpo di stato e firma la risoluzione dell’Organizzazione degli Stati Americani, ma dall’altra il potere economico e politico dell’estrema destra sostiene il governo golpista di Micheletti. Bisogna rompere questa contraddizione e proprio oggi una delegazione del Fronte Nazionale Contro il Colpo di Stato è partito per gli Stati Uniti e si riunirà con vari senatori per discutere su questa situazione.

Il governo vuole far credere alla popolazione ed al mondo che la situazione in Honduras è tranquilla e che non sta succedendo nulla. Una minore presenza dei media potrebbe facilitargli questa opera normalizzatrice?
In molti casi i mezzi d’informazione stanno andando via perché vengono intimoriti e questo dimostra che stiamo entrando in una fase in cui si vuole occultare ciò che sta accadendo e che effettivamente c’è stato un colpo di stato. Il caso di TeleSur è emblematico. Bisogna denunciarlo a livello internazionale e su questa base, i mezzi informativi devono ritornare nel paese perché tutto sta ad indicare che ci sarà un forte aumento della repressione.

Che prospettive ci sono di potere mantenere la mobilitazione nelle strade?
Noi continueremo a chiedere di ristabilire l’ordine istituzionale e per fare ciò è necessario il ritorno del presidente Manuel Zelaya. Oltre a chiedere ai paesi che hanno condannato il colpo di stato di adottare misure concrete contro questo governo, è importante che i compagni e le compagne delle organizzazioni popolari centroamericane facciano azioni alle frontiere con il Nicaragua, El Salvador e Guatemala. Chiediamo anche alle organizzazioni latinoamericane di manifestare davanti alle ambasciate dell’Honduras nei loro paesi. La lotta sarà permanente.
La Uita ha dato priorità assoluta a quanto è successo in Honduras ed ha espresso la sua totale solidarietà con il processo di resistenza delle organizzazioni popolari e sindacali.

In che modo vi sembra sarebbe più utile continuare questa azione?
La presenza della Uita durante tutti questi giorni ha permesso al movimento sindacale mondiale di rimanere informato in modo obiettivo su quanto stava accadendo in Honduras, facendo capire che la resistenza continua. Qui c’è un problema di fondo: in Honduras è un delitto difendere gli interessi dei lavoratori, è un delitto lottare per avere conquiste sociali. È per questo motivo che abbiamo sostenuto molte cose del governo Zelaya, perché stava lavorando in questa direzione ed in un paese di estrema destra come il nostro, tutto ciò vuole dire essere considerati dei delinquenti. Tuttavia, continuiamo a lavorare e a lottare, e crediamo che la cosa migliore sia che la Uita continui a portare questo messaggio nel mondo. Siamo di fronte ad una dittatura selvaggia e c’incamminiamo verso una maggiore repressione da parte di quei settori delle Forze Armate che durante gli anni 80 si sono macchiati dei peggiori crimini.
di Giorgio Trucchi

Afghanistan: morto militare italiano

La "missione di pace" sempre più in guerra

Le stragi di civili aumenteranno

Un paracadutista della Folgore è morto e altri tre sono rimasti feriti ieri a circa 50 chilometri a nordest di Farah, quando una pattuglia della Folgore e del Primo Reggimento Bersaglieri è stata attaccata con un ordigno esplosivo posizionato lungo la strada. L'esplosione dell'ordigno ha coinvolto il primo mezzo della pattuglia e il soldato deceduto è morto per le ferite riportate, subito dopo essere stato trasportato all'ospedale militare di Farah. "Nell'esplosione altri tre parà sono rimasti feriti", ha dichiarato il maggiore Marco Amoriello, della forza Isaf. "Nessuno dei tre feriti è in pericolo di vita".
E’ facile ipotizzare che questo fatto accrescerà l’impegno militare italiano in termini di un maggior coinvolgimento nelle operazioni di guerra. Regole d’ingaggio e armamenti saranno al centro della discussione politica del governo, e tradotto questo significa maggiore impiego dei militari italiani nelle uccisioni, bombardamenti, rastrellamenti.
Il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi appena appresa al notizia si è messo in contatto con il sottosegretario Gianni Letta a Palazzo Chigi, ha ribadito la necessità e l'importanza della missione “di pace” in Afghanistan per la stabilità di un'area strategica.
"Il presidente della Repubblica rileva che "sappiamo tutti come il teatro afgano stia diventando tra i più duri e più rischiosi. Tuttavia, continuare l'impegno in Afghanistan - sottolinea Napolitano - va "nell'interesse di ciascun paese che è sempre esposto ai colpi del terrorismo internazionale e lo sarà finchè non saremo riusciti a sradicare alcune centrali e a rimuovere alcune cause". Sempre in Afghanistan, un elicottero si è schiantato a sud, nel distretto di Sangin, nella provincia di Hemand, dove le forze americane e britanniche hanno lanciato una massiccia offensiva contro i talebani. Sei persone che erano a bordo - tutti contractor al servizio delle truppe dell'Isaf - sono morte insieme con un bambino investito a terra dai rottami dell'elicottero. I talebani hanno rivendicato l'abbattimento dell'elicottero Chinook. La tensione è crescente nel Paese in vista delle elezioni presidenziali del 20 agosto, per garantire le quali le forze internazionali hanno inviato sul campo ulteriori rinforzi. L'offensiva, in particolare statunitense e britannica, si concentra nella valle di Helmand, bastione dei talebani e centro mondiale della produzione di oppio. Si tratta di uno dei dieci distretti in mano ai ribelli dove al momento è difficile prevedere condizioni per un regolare svolgimento del voto presidenziale, come chiesto a più riprese dalla commissione elettorale afghana. Nell'area sono stati schierati quattromila marines Usa e 800 soldati di Sua Maestà che, coadiuvati dall'esercito afghano, hanno dato vita ad una delle più imponenti operazioni militari del dopoguerra. Centinaia le persone uccise dall'inizio delle operazioni, anche se non esiste una stima precisa delle vittime, né tantomeno di quali siano tra loro civili e quali combattenti. Ma vi sono pochi dubbi sul fatto che questa massiccia operazione di guerra stia provocando una strage tra la popolazione. Con il militare italiano ucciso oggi, sale a 196 il numero di soldati stranieri che hanno perso la vita nel Paese dall'inizio dell'anno, secondo le stime del sito icasualties.org. Per la Gran Bretagna, che conta 184 morti dall'inizio delle operazioni nel 2001, si tratta di un bilancio peggiore del conflitto in Iraq: nei sei anni dell'operazione rimasero uccisi 179 soldati di Sua Maestà.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!