venerdì 15 febbraio 2013

Messico - ELLOS Y NOSOTROS. VI.- LAS MIRADAS - Sesta parte

Comunicato dell'EZLN del Sub Comandante Insurgente Moises.

ELLOS Y NOSOTROS.

VI.- Las Miradas. Parte 6: ÉL SOMOS. 
 [lui- siamo]



ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO

14 febbraio 2013

A: le e gli aderenti alla Sexta in tutto il mondo.

Da: Subcomandante Insurgente Moisés.


Il tempo è giunto e così il suo momento. Come il tempo di tutti gli esseri umani, siano essi buone o cattive persone, un@ nasce, arriva e muore, e se ne va. Così è il tempo. Ma c’è un altro tempo in cui un@ può decidere verso dove andare, quando è ormai il tempo di guardare il tempo, cioè quando puoi comprendere la vita, come la vita deve essere qui in questo mondo, e che nessuno può essere padrone del mondo.


Noi siamo nati indigeni e siamo indigeni, arriviamo su questa terra e sappiamo che faremo ritorno, com’è legge. Nel corso della nostra vita ci hanno dato ad intendere che noi indigeni non andiamo bene, abbiamo visto quello che è successo ai nostri tris-trisavol@ negli anni 1521, 1810 e 1910, siamo sempre gli abusati che hanno dato la vita per far salire al potere altri, affinché tornassero a disprezzarci, a derubarci, a reprimerci, a sfruttarci.


Ed abbiamo trovato un terzo tempo. È il luogo dove stiamo, ed è già un bel po’ di tempo che camminiamo, corriamo ed impariamo, lavoriamo, cadiamo e ci solleviamo. Un@ deve riempire il suo nastro da registrare, per riprodurre poi più vite di altri tempi. Sì, a noi hanno lasciato lo zaino pieno di nastri, benché alcuni non ci siano più. Rimane chi va avanti e così avviene ciò che avviene, e manca quello che manca, fino ad arrivare alla fine, e cominciare un altro lavoro di costruzione, dove comincia un’altra nascita di un altro mondo, dove non si permette più che tornino a fotterci e ci sia l’oblio per noi popoli originari, non lo permettiamo più, abbiamo imparato. Vogliamo vivere bene in uguaglianza sia in campagna che in città, dove il popolo della campagna e della città comandino ed obbedisca chi sta al governo, e se non ubbidisce è fuori e si mette un altro governo.


Sì, siamo indigeni, coltiviamo la madre terra, sappiamo usare gli strumenti per ricavare il cibo che dà la madre terra. Siamo di diverse comunità con differenti lingue. La mia lingua madre è il tzeltal, ma capisco anche tzotzil e chol, ed ho imparato il castigliano nell’organizzazione, con le mie compagne e compagni. Ed ora sono quello che siamo e insieme ai miei compagni ho imparato quello che vogliamo per vivere in un mondo nuovo.


giovedì 14 febbraio 2013

Messico - ELLOS Y NOSOTROS. VI.- LAS MIRADAS - Quinta parte



5.- Guardare la notte in cui siamo.

(Dalla luna nuova al quarto di luna crescente)

Molte lune fa: luna nuova, appena spuntata, affacciata per guardare le ombre di sotto, ed allora …

Arriva él-somos [lui-siamo]. Senza bisogno di documenti da consultare o d’appoggio, la sua parola disegna gli sguardi di chi comanda e di chi ubbidisce. Alla fine, guardiamo.

Il messaggio dei popoli è chiaro, breve, semplice, contundente. Come devono essere gli ordini.

Noi, soldat@, non diciamo nulla, guardiamo soltanto e pensiamo: “È una cosa molto grande. Questo non è più solo nostro, né solo dei popoli zapatisti. Nemmeno è soltanto di questo luogo, di queste terre. 

Appartiene a molti luoghi, di tutti i mondi”.

- Bisogna prepararlo – diciamo todas-somos [tutte-siamo], e sappiamo che parliamo di quello, ma anche di él-somos [lui-siamo].

- Verrà bene… ma bisogna prepararsi perché riesca male, come di solito facciamo noi – diciamo todos-somos [tutti-siamo].

- Dunque, bisogna prepararla – ci diciamo todas-somos [tutte-siamo],averne cura, farla crescere.

- – ci rispondiamo todos-somos [tutti-siamo].

- Bisogna parlare con i nostri morti. Loro ci indicheranno il tempo e il luogo – diciamo, ci diciamo todas-somos [tutte-siamo].

Guardando i nostri morti, in basso, li ascoltiamo. Portiamo loro la pietruzza. La portiamo ai piedi della loro casa. La guardano. Li guardiamo guardarla. Ci guardano e portano il nostro sguardo molto lontano, dove non arrivano né i calendari né la geografia. Guardiamo quello che il loro sguardo ci mostra. 

Tacciamo.

Torniamo, ci guardiamo, ci parliamo.

- Bisogna occuparsene a lungo, preparare ogni passo, ogni precauzione, ogni dettaglio… richiederà tempo.

- Bisognerà fare qualcosa perché non ci vedano e poi perché ci vedano.

- Di per sé non ci vedono, o vedono quello che credono di vedere.

- Ma bisogna fare qualcosa… E’ il mio turno.

 - Che él-somos [lui-siamo] si curi di ciò che è dei popoli. Todos-somos [tutti-siamo] ci occupiamo di ciò su cui vigilare, per bene, sommessamente, in silenzio, come si deve.
-*-
  Poche lune fa, pioveva …

- Già fatto? Pensavamo che ci avresti messo più tempo.

- Vero, ma è andata così.

- Ora però stai bene attento a quello che ti chiediamo: Vogliono che tornino a guardarli?

- Lo vogliono, si sentono forti, sono forti. Dicono che questo è di tutti, di tutte, di nessuno. Sono pronti, sono pronte, dicono.

- Ma, ti rendi conto che non ci guarderanno solo quelli che sono come siamo, ma anche i Prepotenti di ogni parte che odiano e perseguono quello che siamo?

- Sì, lo mettiamo in conto, lo sappiamo. E’ il nostro turno, il tuo turno.

- Bene, mancano solo il luogo e la data.

- Qui – e la mano indica il calendario e la geografia.

- Lo sguardo che provocheremo con questo non sarà più di pena, di compassione, di carità, di elemosina. Ci sarà allegria in coloro che sono come siamo, ma rabbia e odio tra i Prepotenti. Ci attaccheranno con ogni mezzo.

- Sì, gliel’abbiamo detto. Si sono guardati ma hanno detto: “Vogliamo guardare e guardarci con quelli che siamo, anche se non sappiamo né sanno che sono quello che siamo. Vogliamo che ci guardino. Siamo preparati, siamo preparate per i Prepotenti, siamo pronti, siamo pronte”.

- Allora, quando, dove? – si mettono sul tavolo calendari e mappe.

 - Di notte, quando si avvicina l’inverno.

- Dove?

- Nel loro cuore.

- Tutto pronto?

- Sì, pronto.

- Ok.

Ognuno al suo posto. Solo una stretta di mani. Non c’è stato bisogno d’altro.
-*-
  Alcune notti fa, la luna svelata e slavata …

Ecco. Ci sono quello che guardiamo. La parte successiva toccherà ad altri sguardi. Tocca a te – diciamo a él-somos [lui-siamo].

- Sono pronto – dice él-somos [lui-siamo].

Todos-somos [tutti-siamo] assentiamo in silenzio, come facciamo di solito.

- Quando?

- Quando i nostri morti parlano.

- Dove?

- Nel loro cuore.
-*-
Febbraio 2013. Notte. Luna crescente. La mano che siamo scrive:

“Compagnie, compagne e compagni della Sexta:

  Vogliamo presentarvi uno dei molti lui(él) che siamo, il nostro compagno Subcomandante Insurgente Moisés. Egli vigila la nostra porta e con la sua parola parliamo anche i tutti e tutte che siamo. Vi chiediamo di ascoltarlo, cioè, di guardarlo e così guardarci. (…)

 (continua…)

 Da qualunque luogo in qualunque mondo.

SupMarcos
Pianeta Terra
Febbraio 2013

 P.S. CHE AVVERTE E FORNISCE QUALCHE PISTA: Il testo che apparirà nella pagina elettronica di Enlace Zapatista il 14 febbraio, giorno in cui noi zapatisti, e zapatiste onoriamo e salutiamo le/i nostr@ mort@, è principalmente per i nostri compagni, compagne e compagnie della Sexta. Il testo completo potrà essere letto solo con una password (per la quale sono state fornite diverse piste e che può essere facilmente dedotta) che è già stata inviata per posta elettronica a chi abbiamo potuto. Se non l’avete ricevuta e non indovinate la soluzione, la si può trovare leggendo con attenzione questo testo ed il precedente – “Guardare e comunicare” -), dovete solo mandare una e-mail dalla pagina web, ed al mittente sarà inviata la password. Come abbiamo già spiegato in precedenza, i media liberi sono liberi di pubblicare o no il testo completo secondo il proprio giudizio autonomo e libertario. La stessa cosa vale per ogni compagna, compagno e compagnie della Sexta di qualunque geografia. Il nostro desiderio non è altro che farvi sapere che è a voi che ci rivolgiamo e, in maniera molto particolare, a chi di voi vuole mettersi sull’altro lato del ponte del nostro sguardo.

martedì 12 febbraio 2013

Messico - ELLOS Y NOSOTROS. VI.- LAS MIRADAS - Quarta parte

La traduzione in italiano della quarta parte di ELLOS Y NOSOTROS. VI.- LAS MIRADAS - 

4.- Guardare e comunicare.

Vi racconto qualcosa di molto segreto, ma non andate a spifferarlo in giro… oppure sì, insomma, vedete voi.

Nei primi giorni della nostra insurrezione, dopo il cessate il fuoco, giravano molte voci sull’ezetaelene. Ovviamente, si era sollevato il circo mediatico che la destra normalmente scatena per imporre silenzio e sangue. Alcuni degli argomenti usati allora sono gli stessi utilizzati adesso, il che dimostra quanto poco moderna sia la destra e quanto paralizzato il suo pensiero. Ma non è questo l’argomenti di adesso, e nemmeno lo è quello della stampa.

Vi dico che all’epoca si disse che quella dell’EZLN era la prima guerriglia del XXI° secolo (già, noi che per seminare usavamo ancora la pala, che della coppia di buoi – senza offendere – sapevamo solo per sentito dire, e che avevamo visto il trattore solo in fotografia); che il supmarcos era il guerrigliero cibernetico che, dalla selva lacandona, lanciava nel cyberspazio i proclami zapatisti che facevano il giro del mondo; e che utilizzava la comunicazione satellitare per coordinare le azioni sovversive che si realizzavano in tutto il mondo.

Sì, si dicevano queste cose, ma… compas, già alla vigilia della sollevazione, il “potere cibernetico zapatista” che avevamo era un computer con ancora gli enormi floppy disk con sistema operativo DOS versione meno uno punto uno. Imparammo ad usarlo con un vecchio tutorial, non so se ancora ne esistono, che ti diceva che tasto premere ed una voce, con accento madrileno, ti diceva “Molto bene!“; e se sbagliavi ti diceva “Molto male, idiota, ritenta!“. Oltre ad usarlo per giocare a pacman, l’abbiamo utilizzato per la “Prima Dichiarazione della Selva Lacandona”, che abbiamo riprodotto con una di quelle vecchie stampanti a punto d’inchiostro che faceva più rumore di una mitragliatrice. La carta era a flusso continuo e si inceppava in ogni momento, ma avevamo la carta carbone e riuscivamo a stamparne 2 ogni qualche ora. Abbiamo fatto un sacco di stampe, credo 100. Sono state distribuite ai 5 gruppi di comando che, ore dopo, avrebbero preso le 7 città dello stato sudorientale messicano del Chiapas. A San Cristóbal de Las Casas, che toccò a me prendere, la piazza arresa alle nostre forze, abbiamo incollato ai muri col nastro adesivo le nostre 15 copie. Sì, lo so che i conti non tornano e che sarebbero dovute essere 20, ma le 5 mancanti chissà dov’erano finite.

Bene, quando ci ritirammo da San Cristóbal, all’alba del 2 gennaio 1994, la nebbia umida che copriva il nostro ripiego, staccò i proclami dai freddi muri della superba città coloniale ed alcuni restarono sparsi per le strade.

Anni dopo qualcuno mi raccontò che mani anonime avevano strappato alcuni di questi proclami che conserva gelosamente.

Poi vennero i Dialoghi della Cattedrale. Io allora avevo uno dei quei computer portatili e leggeri (pesava 6 chili senza la batteria), marca La Migaja, 28 ram, voglio dire 128 kilobyte di ram, hard disk da 10 mega, cioè poteva contenere t-u-t-t-o, ed un processore velocissimo che, quando lo accendevi, potevi andare a preparare il caffè, tornavi ed ancora potevi riscaldare per 7 volte il caffè prima di poter cominciare a scrivere. Una figata di macchina. In montagna, per farla funzionare usavamo un trasformatore di corrente collegato alla batteria di un’auto. Poi, il nostro dipartimento di alta tecnologia zapatista progettò un sistema che faceva funzionare il computer con batterie “D”, ma pesavano più del computer e, sospetto, centrino qualcosa con la morte del PC dopo una fiammata, quella sì molto vistosa, ed un fumo che scacciò le zanzare per 3 giorni di seguito. Il telefono satellitare col quale il Sup comunicava con “il terrorismo internazionale“? Un walkie-talkie con portata massima di 400 metri su terreno piano (dovrebbero esserci ancora delle foto del “guerrigliero cibernetico“, già!). Internet? Nel febbraio del 1995, quando l’esercito federale ci inseguiva (e non esattamente per un’intervista), il PC portatile finì nel primo torrente che guadammo, ed i comunicati di quell’epoca si facevano con una macchina da scrivere meccanica prestataci dal commissario ejidale di una di quelle comunità che ci proteggevano.

Questa era la potente attrezzatura ad alta tecnologia che possedevano allora i “guerriglieri cibernetici del XXI° secolo“.

Mi dispiace davvero se, oltre al mio già malconcio ego, distruggo alcune illusioni che sono poi nate da lì, ma era così, proprio come ve lo sto raccontando.
Infine, poco dopo, venimmo a sapere che…

Un giovane studente del Texas, USA, forse un “nerd” (come direste voi), aprì una pagina web che chiamò solo “ezln“. Quella fu la prima pagina web dell’ezln. E questo compa cominciò a “caricare” tutti i comunicati e le lettere che venivano diffusi sulla stampa scritta. Persone di altre parti del mondo che sapeva della sollevazione attraverso foto, immagini video registrate, o attraverso notizie giornalistiche, cercavano lì la nostra parola.

Non abbiamo mai conosciuto quel compa. O forse sì.

Forse qualche volta è venuto in terre zapatiste, come uno dei tanti. Se ci è venuto, non ha mai detto: “sono quello che ha fatto la pagina dell’ezln“. Neanche: “grazie a me sanno di voi in molte parti del mondo“. Tanto meno: “sono qui affinché mi ringraziate ed a prendere omaggi“.

Avrebbe potuto farlo, ed i ringraziamenti sarebbero stati sempre pochi, ma non l’ha fatto.

Forse non lo sapete, ma c’è anche gente così. Gente buona che fa le cose senza chiedere niente in cambio, senza farsi pagare, “senza chiasso”, come diciamo noi zapatist@.

Poi il mondo ha continuato a girare. Sono arrivati compas che ne sapevano di computer e sono state fatte altre pagine web fino a quelle di adesso. Cioè col maledetto server che non funziona come dovrebbe, neanche se gli cantiamo e balliamo “quella del moño colorado” a ritmo di cumbia-corrido-ranchera-norteña-tropical-ska-rap-punk-rock-ballata-popolare.

Anche noi senza tanto chiasso, ringraziamo quel compa: che gli dei tutti e/o il supremo nel quale crede o dubiti o diffidi, lo benedicano.

Non sappiamo che cosa sia stato di questo compa. Forse è un Anonymous. Forse continua a navigare in rete cercando una nobile causa da appoggiare. Forse è disprezzato per il suo aspetto, forse è diverso, forse i suoi vicini, i suoi colleghi di lavoro o di studio lo guardano male.

O forse è una persona normale, una delle milioni che percorrono il mondo senza che nessuno se ne accorga, senza che nessuno le guardi.

E forse questa persona riesce a leggere quello che sto raccontando, e leggere quello che ora le scriviamo:

Compa, ora qua ci sono scuole, dove prima cresceva solo l’ignoranza; c’è cibo, poco ma dignitoso, dove sulle tavole era la fame la sola invitata quotidiana; e c’è sollievo dove l’unica medicina per il dolore era la morte. Non so se te l’aspettavi. Forse lo sapevi. Forse hai visto qualcosa nel futuro in quelle parole che hai rilanciato nel cyberspazio. O forse no, forse l’hai fatto solo perché sentivi che era tuo dovere. Ed il dovere, noi zapatiste e zapatisti lo sappiamo bene, è l’unica schiavitù che si abbraccia per volontà propria.

Noi abbiamo imparato. E non mi riferisco ad imparare l’importanza della comunicazione, o conoscere le scienze e le tecniche dell’informatica. Per esempio, al di fuori di Durito, nessuno di noi è riuscito nella scommessa di fare un comunicato twit. Di fronte ai 140 caratteri non solo sono un incapace, cadendo e ricadendo nelle virgole, (le parentesi), i puntini di sospensione… ci metto un sacco di tempo e non mi bastano i caratteri. Credo che sia improbabile che un giorno ci riesca. Durito, per esempio, ha proposto un comunicato che al limite del twit dice:

123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 1234567890

Ma il problema è che il codice per decifrare il messaggio occupa l’equivalente di 7 tomi dell’enciclopedia “Le Differenze”, che l’umanità intera sta scrivendo da quando ha iniziato il suo doloroso cammino sulla terra, e la cui edizione è stata vietata dal Potere.

No. Quello che abbiamo imparato è che là fuori, lontano o vicino, c’è gente che non conosciamo, che forse non ci conosce, che è compa. E lo è non perché ha partecipato ad una marcia di appoggio, ha visitato una comunità zapatista, porta un paliacate rosso al collo, o ha firmato un appello, una lettera di adesione, un carnet da membro, o come si chiami.

Lo è perché noi zapatiste, zapatisti, sappiamo che così come sono molti i mondi che abitano il mondo, molte sono le forme, i modi, i tempi e i luoghi per lottare contro la bestia, senza chiedere né aspettarsi niente in cambio.

Ti mandiamo un abbraccio, compa, dovunque tu sia. Sono sicuro che puoi risponderti alla domanda che uno, una, si fa quando comincia a camminare: “ne vale la pena?”.

Sappi che in una comunità o in un quartiere, un ufficio di computer zapatista si chiama “él”, così, con le minuscole. Sappi che, quando qualche persona invitata, entrando nell’ufficio e notando il cartello chiede chi sia questo “él”, noi rispondiamo: “non lo sappiamo, ma lui sì”.

Bene. Saluti e, sì, credo ne sia valsa la pena.

Da eccetera, eccetera.

Noi, zapatiste, zapatisti dell’ezetaelene punto com punto org punto net o punto come si chiami”.
-*-
E tutto questo capita a proposito, perché forse avete capito che confidiamo molto sui media liberi e/o libertari, o come si chiamino, e sulle persone, gruppi, collettivi, organizzazioni che hanno i propri modi per comunicare. Persone, gruppi, collettivi, organizzazioni che hanno le proprie pagine elettroniche, i loro blog, o come si chiamino, che danno spazio alla nostra parola e, ora, alle musiche e alle immagini che l’accompagnano. E persone o gruppi che forse non hanno nemmeno un computer, ma anche conversando, o con un volantino, o un periodico murale, o tracciando un graffito o un quaderno o su un autobus, o in un’opera teatrale, un video, un compito scolastico, una canzone, una danza, un poema, una tela, un libro, una lettera, guardano le lettere che il nostro cuore collettivo disegna.

Se non ci appartenete, se non siete nostri organici, se non vi diamo ordini, se non vi comandiamo, se siete autonomi, indipendenti, liberi (vuol dire che vi comandante da sol@), o come si dica, allora, perché lo fate?

Forse perché pensate che l’informazione è un diritto di tutt@, e che ognuno ha la responsabilità di cosa fare o disfare di questa informazione. Forse perché siete solidali e sentite l’impegno di appoggiare in questo modo chi lotta, anche se con altri modi. Forse perché sentite il dovere di farlo.

O forse per tutto questo ed altro.

Voi lo sapete. E sicuramente l’avete scritto nella vostra pagina web, nel vostro blog, nella vostra dichiarazione di principio, nel vostro volantino, nella vostra canzone, sulla vostra parete, nel vostro quaderno, nel vostro cuore.

Cioè, parlo di chi comunica e con altri comunicano quello che sentono nel nostro cuore, ovvero, ascoltano. Di chi ci guarda e si guarda pensandoci e si fa ponte ed allora scopre che le parole che scrive, canta, ripete, trasforma, non sono degli zapatisti, delle zapatiste, che non lo sono mai state, che sono sue, e di tutti, e di nessuno, e che sono parte di uno spartito che chissà dov’è, ed allora scopre o conferma che quando ci guarda mentre l@ guardiamo, sta toccando e parlando di qualcosa di più grande per cui non c’è ancora definizione nel vocabolario, e che non appartiene ad un gruppo, collettivo, organizzazione, setta, religione, o come si chiami, ma comprende che la tappa per l’umanità ora si chiama “ribellione“.

Forse, prima di fare “click” e decidere di mettere nei vostri spazi la nostra parola vi domandate: “ne vale la pena?”. Forse vi domandate se non starete contribuendo a far stare marcos su una spiaggia europea a godersi il clima mite di quei calendari in quelle geografie. 

Forse vi domandate se non sarete al servizio di un’invenzione della “bestia” per ingannare e simulare la ribellione. Forse vi rispondete da sol@ che la risposta alla domanda “ne vale la pena?” devono darla le/gli zapatist@, e che facendo “click” sulla tastiera, sulla bomboletta spray, sulla matita, la chitarra, il cidi, la macchina fotografica, ci state impegnando a rispondere ““. Ed allora fate “click” su “upload” o “subir” o “caricare” o sull’accordo iniziale o sul primo passo-colore-verso, o come si chiami.

Forse non lo sapete, anche se credo sia evidente, ma ci fate un favore. E non lo dico perché la nostra pagina a volte “cade”, come se si lanciasse nel vuoto da un ponte e non ci fosse nessuna mano amica ad alleggerire la caduta che, se sul cemento, fà molto male qualunque sia il calendario e la geografia. Lo dico perché riguardo alla nostra parola ci sono molti che non sono d’accordo e lo manifestano; ce ne sono altrettanti che non sono d’accordo ma non si prendono il disturbo di dirlo; ci sono pochi che sono d’accordo e lo manifestano; ce ne sono di più di questi pochi che sono d’accordo e non lo dicono; e c’è una grande, immensa maggioranza che non ne sa niente. E’ a questi ultimi che vogliamo parlare, cioè, guardare, cioè, ascoltare.
-*-
Compas, grazie. Lo sappiamo. Ma siamo sicuri che, anche se non lo sapevamo, voi lo sapete. E, noi zapatist@ crediamo, si tratta esattamente di questo, di cambiare il mondo.

(continua…)

Da qualunque angolo in qualunque mondo.

SupMarcos

Pianeta Terra

Febbraio 2013

P.S.- Sì, forse nella lettera a lui, c’è una pista per la prossima password.

P.S. CHE CHIARISCE ANCHE SE SUPERFLUO. – Non abbiamo un account di twiterfacebook, né posta elettronica, né numero telefonico, né casella postale. Quelli che appaiono nella pagina elettronica sono della pagina, questi compagni ci appoggiano e ci mandano quello che ricevono, così come loro mandano quello che inviamo. Per il resto, siamo contrari al copyright, cosicché chiunque può avere il suo twiter, il suo facebook, o come si chiami, ed usare i nostri nomi, benché sia chiaro che non siamo noi né ci rappresentano. Ma, come mi hanno detto, la maggioranza di questi chiarisce che non sono chi si suppone sia. E la verità è che ci diverte immaginare la quantità di insulti e commenti che hanno ricevuto e riceveranno, originalmente diretti all’ezetaelene e/o a chi scrive ora.

sabato 9 febbraio 2013

Messico - ELLOS Y NOSOTROS. VI.- LAS MIRADAS - Terza parte


LORO E NOI
VI – Guardare

3.- Qualche altro sguardo.


uno: Un sogno in questo sguardo.
Una strada, una milpa, una fabbrica, una valle, un bosco, una scuola, un negozio, un ufficio, una piazza, un mercato, una città, un campo, un paese, un continente, un mondo.
Il Capo è gravemente ferito, la macchina rotta, la bestia esausta, il selvaggio rinchiuso.
A niente sono serviti i cambi di nome e di bandiere, le botte, le prigioni, i cimiteri, il flusso di denaro attraverso le mille arterie della corruzione, i “reality show“, le feste religiose, gli annunci a pagamento, gli esorcismi cibernetici.
Il Capo chiama il suo ultimo scagnozzo. Gli mormora qualcosa all’orecchio. Lo scagnozzo esce ed affronta la folla.
Dice, domanda, chiede, esige:
Vogliamo parlare con lui …”
Un dubbio, la maggioranza di chi gli sta di fronte sono donne.
Si corregge:
Vogliamo parlare con la …
Altro dubbio, non è piccolo il numero di altr@ che si trova davanti.
Si ricorregge:
Vogliamo parlare con chi è al comando”.
Nel silenzio generale si avvicinano un@ anzian@ ed un bimb@, si fermano di fronte a lui e, con voce innocente e saggia, dicono:
Qui tutte e tutti comandiamo”.
Lo scagnozzo trema, come trema la voce del Capo nel suo ultimo grido.
Lo sguardo si sveglia. “Che strano sogno“, dice tra sé. E, senza che importi il calendario e la geografia, la vita, la lotta, la resistenza proseguono.
Dello strano sogno ricorda solo alcune parole:
Qui tutte e tutti comandiamo”.

due: Un altro sguardo da un altro calendario e un’altra geografia.
(frammento di una lettera ricevuta nel quartiere generale dell’ezetelene, senza data)
“Saluti Compas.
(…)
La mia opinione è che è stato tutto una figata. Ma, non nego che tutto questo è in retrospettiva. Sarebbe molto facile dire che capii perfettamente il silenzio e che nulla mi sorprese. Falso, anch’io mi sono spazientito del silenzio (naturalmente non ha niente a che vedere con quello che si dice che gli zapatisti non parlvano, io ho letto tutte le denunce). La questione è che alla luce dei fatti avvenuti, e che stanno avvenendo, naturalmente la conclusione è logica: siamo nel mezzo dell’iniziativa più audac, degli zapatisti, per lo meno dall’insurrezione. E questo riguarda tutto, non solo con la situazione nazionale, ma io credo anche internazionale.
Permettimi di raccontare quello che io ho capito di quello che, secondo me, è stato il fatto più significativo dell’azione del 21 [di dicembre 2012]. Ci sono naturalmente molte cose: l’organizzazione, lo sforzo militante, la dimostrazione di forza, la presenza dei giovani e delle donne, etc. Ma, quello che più mi ha impressionato è stato che avevano delle tavole di legno e una volta arrivati nelle piazze installavano dei palchi. Intanto si raccontava quello che succedeva, molti media privati, ed alcuni dei media liberi, speculavano sull’arrivo dei leader zapatisti. E non si rendevano conto che i leader zapatisti erano lì. Che erano le persone che salivano sul palco e dicevano, senza parlare, siamo qui, siamo questi, e questi saremo.
Il palco è toccato a chi doveva starci. Nessuno ha notato, credo, che è proprio lì, in questo fatto, in una noce, il significato profondo di un nuovo modo di fare politica. Che rompe con tutto il vecchio, l’unico modo veramente nuovo, l’unico che vale la pena di avere [illeggibile nell'originale] “secolo XXI”.
L’anima plebea e libertaria di quello che nella storia sono stati momenti congiunturali, qui si è costruito senza grandi voli teorici. Piuttosto con una pratica sotterranea. Ha già troppi anni per essere considerata solo un evento. È ormai un processo storico sociale lungo e solido sul terreno dell’auto organizzazione.
Alla fine, hanno rimosso il loro palco, tornato ad essere tavole di legno, e tutti dovremmo provare un po’ di vergogna ed essere più modesti e semplici e riconoscere che qualcosa di inaspettato e nuovo sta di fronte ai nostri occhi e che dobbiamo guardare, tacere, ascoltare ed imparare.
Un abbraccio a tutt@. Spero che, per quanto possibile, stiate bene.
El Chueco.”

tre: “Istruzioni su cosa fare nel caso che … vi guardino”
Se qualcuno vi guarda, e vi accorgete che…
Non vi guarda come se foste trasparenti.
Non vuole convincervi per il sì o per il no.
Non vuole cooptarvi.
Non vuole reclutarvi.
Non vuole guidarvi.
Non vuole giudicarvi-condannarvi-assolvervi.
Non vuole usarvi.
Non vuole dirvi cosa potete o non potete fare.
Non vuole darvi consigli, raccomandazioni, ordini.
Non vuole rimproverarvi perché non sapete, neanche perché sapete.
Non vi disprezza.
Non vuole dirvi quello che dovete fare o non dovete fare.
Non vuole comprarvi la vostra faccia, il vostro corpo, il vostro futuro, la vostra dignità, la vostra volontà.
Non vuole vendervi qualcosa…
(un tempo condiviso, un televisore lcd in 4D, una macchina super-ultra-iper-moderna con pulsante di emergenza istantaneo (attenzione: non confondetevi col pulsante di espulsione, perché la garanzia non comprende amnesia per ridicoli mediatici), un partito politico che cambia ideologia ad ogni cambiar di vento, un’assicurazione sulla vita, un’enciclopedia, un ingresso vip allo spettacolo o rivoluzione o sfilata di moda, un mobile a piccole rate, un piano di telefonia mobile, un’iscrizione esclusiva, un futuro regalato dal leader generoso, un alibi per arrendersi, vendersi, tentennare, un nuovo paradigma ideologico, etc.).
Dunque…
Primo. – Escludete che si tratti di un depravato o depravata. Potete essere la/il più sporc@, brutt@, cattiv@ e volgare che ci sia, ma, ognuno possiede quel tocco sexy e provocante che può risvegliare le più basse passioni di chiunque. Mmh… bene, sì, una pettinata non sarebbe male. Se non si tratta di un(a), depravat@, non scoraggiatevi, il mondo è rotondo e gira, e andate sotto (in questa lista, si capisce).
Secondo. – Siete sicuri che guarda proprio voi? Non starà guardando il cartellone pubblicitario dei deodoranti alle vostre spalle? O, non sarà che sta pensando (chi vi guarda, si capisce): “E’ così che sono quando non mi pettino?”. Se avete scartato anche questo, proseguite.
Terzo. – Ha la faccia da poliziotto che deve racimolare la mazzetta da portare al suo superiore? Se sì, correte, siete ancora in tempo a non farvi prendere. Se no, passate al punto successivo.
Quarto. – Restituitegli lo sguardo, con piglio severo. Uno sguardo misto a collera, mal di pancia, fastidio elook da assassin@ seriale può essere utile. No, così sembrate stitic@. Ritentate. Ok, passabile, ma continuate a fare esercizio. Ora, non fugge spaventat@?, non distoglie lo sguardo?, on vi si avvicina esclamando “ehi@! Non ti avevo riconosciuto! Ma con quella faccia…”? No? Ok, continuate.
Quinto. – Ripetete i passi primo, secondo, terzo e quarto. Possono esserci delle falle nel nostro sistema (è fatto in Cina). Se arrivate sempre a questo punto, passate al punto seguente:
Sesto. – Avete molte probabilità di esservi imbattuti in qualcuno della Sexta. Non sappiamo se congratularci o farvi le condoglianze. In ogni caso, è su vostra decisione e responsabilità quello che seguirà a questo sguardo.

quattro: Uno sguardo in una postazione zapatista.
(calendario e geografia imprecisati)
Il SupMarcos: Sbrigati perché il tempo sta finendo.
La insurgenta di sanità: Senti Sup, il tempo non finisce, finiscono le persone. Il tempo viene da molto lontano e segue la sua strada fino láaaaaa, dove non riusciamo a vederlo. E noi siamo come pezzetti di tempo, cioè, il tempo non può procedere senza di noi. Noi facciamo che il tempo proceda, e quando noi finiamo arrivo un altro che lo manda avanti, fino che si arriva dove si deve arrivare, ma non vediamo dove arriva ma altri lo vedranno se arriva con tutto a posto o se improvvisamente non ha avuto la forza di arrivare ed allora bisogna spingerlo un’altra volta, fino a che arrivi giusto.
(…)
La capitana di fanteria: Perché ci hai messo tanto?
La insurgenta di sanità: Stavo facendo lezione di politica al Sup, lo stavo aiutando a spiegare bene che bisogna guardare lontano, fino a dove non arriva né il tempo né lo sguardo.
La capitana di fanteria: Ah, e allora?
La insurgenta di sanità: Mi ha punito perché mi sono attardata coi lavori e mi ha mandato in posta.
(…)
cinque: Estratto da “Appunti per guardare l’Inverno”.
(…)
E sì, tutt@ sono saliti sul palco col pugno in alto. Ma non hanno guardato bene. Non hanno guardato lo sguardo di quegli uomini e donne. Non hanno visto che, quando erano lì sopra, volgevano lo sguardo in basso e guardavano le loro decine di migliaia di compagni. Cioè, si sono guardati. Là in alto non hanno visto che ci guardavamo. Là in alto non hanno capito, né capiranno niente.
(…)
sei: Inserite qui il vostro sguardo (o il vostro pensiero).
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(Continua…)
Da qualunque angolo di qualunque mondo.
SupMarcos
Pianeta Terra
Messico, Febbraio 2013

Messico - ELLOS Y NOSOTROS. VI.- LAS MIRADAS - Seconda parte


LORO E NOI
VI – Guardare 2
2.- Guardare ed ascoltare dal/in basso.

Possiamo ancora scegliere dove e da dove guardare?  

Possiamo, per esempio, scegliere tra guardare quelli che lavorano nelle catene dei supermercati, lamentando a@ lavorator@ di essere complici della frode elettorale, e fare scherno dell’uniforme arancione che sono obbligati ad indossare le/gli impiegat@, oppure guardare l’impiegata che, dopo avere consegnato il conto…?

/ La cassiera si toglie il grembiule arancione borbottando per la rabbia che le monta nel sentirsi dire di essere stata complice della frode che ha portato al Potere l’ignoranza e la frivolezza. Lei, donna, giovane o donna matura o madre o nubile o divorziata o vedova o madre celibe o in attesa o senza figli o quello che sia, che inizia a lavorare alle 7 del mattino e se ne va alle 4 del pomeriggio, chiaro, se non ci sono straordinari da fare, e senza contare il tempo che ci vuole per arrivare da casa al lavoro e ritorno, e poi occuparsi della scuola o della casa, dei “lavori-propri-del-suo-sesso-che-si-possono-svolgere-con-un-tocco-di-civetteria”, ha letto in una delle riviste che si trovano di fianco alla cassa, un giorno che non c’era molta gente. Lei, che si suppone sia tra quelli che salveranno, è solo questione di un voto e poi, tatàn, la felicità. “Per caso i padroni indossano un grembiule arancione?”, dice tra sé irritata. Lei sistema un po’ il disordine propositivo col quale riesce a lavorare per non farsi riprendere dal direttore. Esce. Fuori l’aspetta il suo compagno. Si abbracciano, si baciano, si toccano con lo sguardo, camminano. Entrano in un internet-caffè o cyber caffè o come si dice. 10 pesos l’ora, 5 la mezz’ora…/

- Mezz’ora – dicono, facendo mentalmente i conti di quanto hanno in tasca-tempo-autobus-percorso.

- Dai Roco, non essere tirchio – dice lui.

- Va, pero en la quincena te caes, si no a mí me cae el dueño y tú vas a ser el que me fíe.

- Va, pero será cuando tengas móvil, wey, porque estoy de lavacoches.

- Beh, amico, lavatela – dice el Roco.

I 3 ridono.

- La 7 - dice il Roco.

- Dai, cerca - dice lei.

Lui inserisce un numero.

- No – dice lei -, cerca quando è iniziato tutto.

Navigano. Arrivano a quando sono un poco più di 131. Parte il video.

- Sono degli snob – dice lui.

- Calmati avanguardia rivoluzionaria. Sei fuori di testa se giudichi le persone per il loro aspetto. A me, che ho la pelle chiara, mi chiamano biondina e snob, e non vedono che non arrivo a metà mese. Bisogna guardare la storia di ognuno e quello che fa, stupido – dice lei, accompagnando l’argomentazione con una botta in testa.

Continuano a guardare.

Guardano, non parlano, ascoltano.

- Gliele hanno cantate in faccia a Peña Nieto… sono forti, si vede che hanno le palle -, dice lui.

- E le ovaie, stupido – e parte un’altra botta in testa.

- Ehi, mia regina, ti denuncio per violenza in famiglia.

- Sarà violenza di genere, stupido – e giù un’altra botta in testa.

Finiscono di guardare il video.

Lui: – E’ così che cominciano le cose, con pochi che non hanno paura.

Lei: – Oh sì, invece, hanno paura, ma la controllano.

- Mezz’ora! – grida Roco.

- Sì, andiamo.

Lei sorride.

- E adesso perché ridi?

- Niente, mi sono ricordata – gli si avvicina di più – di quando hai detto “in famiglia”. Non è che vuoi che siamo una famiglia?

Lui, senza esitazione:

- Calma, piccola, poi è tardi, lo faremo, però senza troppe botte, meglio i baci, e più in basso e a sinistra.

- Non prendermi in giro! – un’altra botta – E niente “mia regina”, non siamo contro la dannata monarchia?

Lui, prima della botta di rigore: – Ok, mia… plebea.

Lei ride. Dopo pochi passi, dice:

- Credi che gli zapatisti ci inviteranno?

- Bè, se il Vins è mio amico e ha detto che lui è suo amico del cuore perché l’ha fatto vincere 
nel mortal kombat, alle macchinette, non dobbiamo fare altro che dire che siamo della banda del Vins e delle streghe – dice lui entusiasta.

- E potrei portare mia mamma?

- Certo, parlando di streghe, e con un po’ di fortuna potrebbe restare incastrata nel fango la futura suocera – dice ritraendo la testa aspettandosi la botta che non arriva.

Lei, arrabbiata:

- E che diavolo ci potranno dare gli zapatisti se sono così lontani? Magari uno stipendio migliore, mi faranno rispettare, faranno smettere gli stronzi di guardarmi il sedere per strada, e il bastardo del padrone di toccarmi con qualsiasi pretesto? Mi daranno i soldi per pagare l’affitto, per comprare i vestiti ai miei figli? Abbasseranno il prezzo dello zucchero, dei fagioli, del riso, dell’olio? Mi daranno da mangiare? Affronteranno la polizia che tutti i giorni molesta e deruba quelli del quartiere che vendono dischi pirata dicendo che è per non denunciarli al signor o signora Sony…?

- Non si dice “pirata”, ma “produzione alternativa”, mia reg… plebea. E non prendertela con me che siamo uguali.

Ma lei è ormai partita e niente la ferma più:

- E a te, ti restituiranno il lavoro allo stabilimento, dov’eri già qualificato non so in che cosa? A cosa valgono gli studi, i corsi di formazione e tutto il resto, perché poi quello stronzo del padrone si porti via l’impresa non so dove, e il sindacato e lo sciopero, e tutto quello che hai fatto, per poi finire a lavare automobili? O come il tuo amico del cuore, il chompis, che gli tolgono il lavoro e fanno sparire il padrone perché non possa difendersi ed il governo col suo ritornello di sempre che è per migliorare i servizi e il livello mondiale e la madre del morto e per caso hanno abbassato le tariffe, no sono più care, e la maledetta luce che se ne va via in ogni momento e il bastardo di Calderón che fa lezione di senza-vergogna dai gringos, che sono i veri maestri di questo schifo. E mio papà, che dio l’abbia in gloria, che voleva passare dall’altra parte, non per fare il turista, ma per fare un po’ di soldi, di grana, di denaro, un salario per mantenerci quando eravamo bambini e mentre attraversava la linea l’ha preso la migra come fosse un terrorista e non un onesto lavoratore e non ci hanno ridato neanche il corpo e c’è quello stronzo di Obama che sembra avere il cuore del colore del dollaro.

- Dai, frena, mia plebea.

- È che ogni volta che mi ricordo mi fa rabbia, tanto darsi da fare e alla fine si prendono tutto quelli che stanno sopra, ci manca che privatizzino le risate, anche se non credo, perché di queste ce ne sono poche, ma le lacrime sì, queste abbondano e loro diventano ricchi… sempre più ricchi. E poi arrivi tu con la storia degli zapatisti di qua e gli zapatisti di là, e in basso e a sinistra e l’ottava…

- La Sexta, non l’ottava – la interrompe.

- Quello che è, e questi tizi sono lontani e parlano uno spagnolo peggiore del tuo.

- Su, non essere cattiva.

Lei si asciuga le lacrime e sussurra: – Maledetta pioggia che mi rovina il trucco, ed io che mi ero sistemata per piacerti.

- Ehi, ma tu mi piaci di più senza niente…. addosso.

Ridono.

Lei, seria: – Bene, ok, ma dimmi, questi zapatisti ci salveranno?

- No, mia plebea, non ci salveranno. Questo ed altro lo dovremo fare noi.

- E allora?

- Ci insegneranno.

- Cosa ci insegneranno?

- Che non siamo soli.

Lei tace per un momento. Poi, improvvisamente:

- E né sole, stupido – altra botta in testa.

L’autobus è stracolmo. Vediamo il prossimo.

Fa freddo, piove. Si abbracciano, non per non bagnarsi, ma per bagnarsi insieme.

Lontano qualcuno aspetta, c’è sempre qualcuno che aspetta. E mentre aspetta, con una vecchia matita e in un vecchio e sgualcito quaderno, tiene il conto del guardare in basso che si vede da una finestra.

(continua…)

Da qualunque angolo di qualunque mondo.

SupMarcos
Pianeta Terra
Febbraio 2013

Testo originale al link di Enlace Zapatista

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!