INTERVISTA A SALEH MOUSLEM, LEADER DEL PARTITO PYD, «FRATELLO» DEL PKK
di Geraldina Colotti
«Noi lottiamo contro i salafiti». In Siria vivono 2,5 milioni di kurdi, il 12% della popolazione
I kurdi in Siria «hanno ottenuto una loro amministrazione autonoma e proprie istituzioni civili - dice al manifesto Saleh Mouslem - sono capaci di difendersi e di proteggere le altre componenti della regione (armeni, turcmeni, arabi e assiri) con le unità di protezione del popolo. E sono diventati parte dell'equazione e della soluzione politica che si prospetta. Ora nessuno può negare i loro diritti nel futuro della Siria». Mouslem è il co-presidente del Partito dell'Unione democratica (Pyd) che, com'è costume nelle istituzioni politiche kurde, è codiretto da un uomo e da una donna. Creato nel 2003, il Pyd è il ramo siriano del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), il cui leader, Abdullah Ocalan, sconta l'ergastolo sull'isola d'Imrali. Dopo il massacro di circa un centinaio di civili kurdi nel 2004 (attaccati da nazionalisti armati che brandivano ritratti dell'ex presidente iracheno Saddam Hussein, a Qamishlo e in altre città del Kurdistan sudoccidentale), Saleh si rifugia in Iraq. Torna in Siria un mese dopo l'inizio delle rivolte contro il governo di Bashar al Assad, iniziate nel marzo del 2011. Il Pyd ha fatto parte del Coordinamento nazionale per il cambiamento democratico (Cncd), in cui Mouslem ha svolto l'incarico di vicepresidente per l'interno. Nel dicembre del 2012, diversi membri del Coordinamento, riunito al Cairo, hanno però minacciato di abbandonare l'alleanza se non fossero stati allontanati sia il Pyd che il presidente della Cncd per l'esterno, il marxista Haytham Manna: entrambi accusati di essere in dissonanza con l'opposizione più dura a Bashar al Assad.
Qual è la vostra posizione nei confronti del governo siriano?
I kurdi hanno sempre sofferto ingiustizia e oppressione. Non siamo mai stati vicino al potere ma in permanente conflitto col regime. Dal 2004 fino alla rivoluzione siriana, a cui abbiamo partecipato, abbiamo cominciato a organizzarci e a impegnarci nella difesa legittima delle nostre città, ottenendo la liberazione della maggioranza delle nostre regioni il 19 luglio del 2012. Non conduciamo, però, una lotta cieca. Combattiamo da un lato il regime e dall'altro i salafiti sostenuti dalla Turchia, dal Qatar e dall'Arabia saudita. In Siria siamo circa 2,5 milioni, il 10-12% della popolazione. Abbiamo enormi difficoltà quotidiane, ma cerchiamo di mantenere alta la nostra dignità e libertà, contando sull'aiuto dei kurdi nel mondo. Quel che vogliamo è un'amministrazione unica, autonoma e democratica in Siria, senza alcuna frontiera: affinché i kurdi che vivono nelle altre città siriane come Damasco, Homs e Aleppo possano usufruire dei propri diritti legittimi (sociali, culturali, politici e di legittima difesa) ovunque si trovino.
Com'è adesso la situazione in Siria?
Per il momento il governo siriano è fuori dalle nostre regioni, ma siamo esposti agli attacchi brutali dei gruppi salafiti jihadisti come Jabhet al Nusra, che vogliono instaurare un califfato islamico. L'Esercito libero è debole e anzi non esiste attualmente e noi siamo comunque pronti a cooperare con loro in vista di stabilire una Siria democratica, laica e pluralista. Ora il conflitto è tra l'esercito libero e i salafiti, e anche tra l'Esercito libero e le forze armate governative, e tra i salafiti e le forze dell'ordine. Dopo il regime, quelli che contano di più sono i salafiti. Le forze kurde del Pyd sono però più disciplinate e organizzate. Nelle regioni in cui è presente l'opposizione, siamo maggioritari.
Che cosa pensate delle trattative tra Ocalan e Erdogan in Turchia?
Le vediamo in modo positivo, sono passi importanti sia per il popolo kurdo che per quello turco. Siamo uniti da legami di fratellanza e da un progetto di integrazione nazionale con tutte le altre parti del Kurdistan. Noi difendiamo la democrazia e la libertà e in questo modo pensiamo di difendere i valori umanitari per il mondo intero.
mercoledì 9 ottobre 2013
martedì 1 ottobre 2013
Kurdistan - Il PKK ha tenuto l’11° congresso
Il Partito dei
Lavoratori del Kurdistan (PKK) ha tenuto il suo 11° congresso nell’area
di difesa di Medya controllata dalla guerriglia dal 5 al 13 settembre.
Al “Congresso finale e della vittoria” per la liberazione del leader
curdo Abdullah Öcalan e del popolo curdo hanno partecipato 125 delegati
dall’estero e dalle quattro parti del Kurdistan.Il Comitato Centrale del PKK ha rilasciato una dichiarazione sui risultati degli otto giorni di congresso che si è svolto con un anno di ritardo a causa del contesto dei pesanti scontri nel 2012.
Il Comitato del PKK ha detto che il congresso si è occupato della recente situazione politica, ideologica e organizzativa nel mondo, nel Medio Oriente, in Turchia e nel Kurdistan e ha prodotto approfonditi dibattiti e decisioni significative, così come modifiche legislative e programmatiche.
Secondo il PKK la modernità capitalista dominante ha causato gravi problemi sociali a livello mondiale nel primo quarto del 21° secolo perché ha fallito nel proporre soluzioni a questi problemi sulla base della democrazia, della libertà e dell’uguaglianza.
venerdì 27 settembre 2013
Grecia - Samaras chiude le università pubbliche
Con l'ultimo provvedimento in materia di Pubblica
Amministrazione, il governo Samaras ha sostanzialmente disposto la
mobilità del 40% del personale,
all'interno delle università. La manovra ha causato conseguenze nefaste
per la prosecuzione delle attività amministrative e didattiche delle
università,
Tutti i Senati accademici ed i Rettori degli otto atenei ellenici hanno dichiarato di non avere un organico sufficiente, arrivando in alcuni casi, come per il Politecnico di Atene, a bloccare direttamente le immatricolazioni e gli esami fino a data da destinarsi.
L'austerity e le imposizioni della Trojka stanno continuando a smantellare il welfare greco e la linea di tendenza è sempre più il tentativo di privatizzazione e esclusione all'accesso dell'istruzione.
Di seguito da atenecalling.org riportiamo un comunicato del personale del Politecnico Metsoviano Nazionale di Atene:
399 licenziamenti – Il Politecnico di Atene sta sanguinando
In una notte, dal Politecnico di Atene (EMP) sono stati licenziati 399 impiegati, metà del suo personale. Con una decisione ministeriale e senza l’approvazione del parlamento (le regole fondamentali della democrazia non si applicano, quando si mettono in atto reati predeterminati), 399 impiegati sono stati messi in mobilità e da lì spinti verso il baratro del licenziamento.
La scusa? Soddisfare il numero di licenziamenti richiesto dalla Troika. 399 persone perdono il loro volto, le loro caratteristiche, la loro vita, si trasformano in numeri. Persone che, ognuno dal proprio posto, facevano quello che potevano per lavorare al meglio, nonostante le difficoltà, in quello che la società greca ammirava e amava: il Politecnico Metsoviano Nazionale.
Ed è per questo che oggi portiamo le maschere. Le maschere della tristezza, della disperazione, le maschere che nascondono centinaia di drammi personali. Ma anche le maschere che non possono nascondere la nostra rabbia e il nostro orgoglio. Né la nostra decisione di lottare fino alla fine per impedire questa misura da incubo della messa in mobilità-licenziamento. Portiamo le maschere per ricordare che se non verrà abolita quella decisione, domani o in un futuro vicino, al nostro posto potrebbe trovarsi chiunque di voi. La “success story” del “recupero” è riuscita a produrre soltanto 2 milioni di disoccupati e non smetterà di procurare tristezza e dolore, se non la fermiamo noi.
Tutti i Senati accademici ed i Rettori degli otto atenei ellenici hanno dichiarato di non avere un organico sufficiente, arrivando in alcuni casi, come per il Politecnico di Atene, a bloccare direttamente le immatricolazioni e gli esami fino a data da destinarsi.
L'austerity e le imposizioni della Trojka stanno continuando a smantellare il welfare greco e la linea di tendenza è sempre più il tentativo di privatizzazione e esclusione all'accesso dell'istruzione.
Di seguito da atenecalling.org riportiamo un comunicato del personale del Politecnico Metsoviano Nazionale di Atene:
399 licenziamenti – Il Politecnico di Atene sta sanguinando
In una notte, dal Politecnico di Atene (EMP) sono stati licenziati 399 impiegati, metà del suo personale. Con una decisione ministeriale e senza l’approvazione del parlamento (le regole fondamentali della democrazia non si applicano, quando si mettono in atto reati predeterminati), 399 impiegati sono stati messi in mobilità e da lì spinti verso il baratro del licenziamento.
La scusa? Soddisfare il numero di licenziamenti richiesto dalla Troika. 399 persone perdono il loro volto, le loro caratteristiche, la loro vita, si trasformano in numeri. Persone che, ognuno dal proprio posto, facevano quello che potevano per lavorare al meglio, nonostante le difficoltà, in quello che la società greca ammirava e amava: il Politecnico Metsoviano Nazionale.
Ed è per questo che oggi portiamo le maschere. Le maschere della tristezza, della disperazione, le maschere che nascondono centinaia di drammi personali. Ma anche le maschere che non possono nascondere la nostra rabbia e il nostro orgoglio. Né la nostra decisione di lottare fino alla fine per impedire questa misura da incubo della messa in mobilità-licenziamento. Portiamo le maschere per ricordare che se non verrà abolita quella decisione, domani o in un futuro vicino, al nostro posto potrebbe trovarsi chiunque di voi. La “success story” del “recupero” è riuscita a produrre soltanto 2 milioni di disoccupati e non smetterà di procurare tristezza e dolore, se non la fermiamo noi.
Ecuador - Chevron salvata dal Tribunale internazionale dell'Aja
Intanto il presidente Correa si prepara ad allargare la frontiere dello sfruttamento petrolifero
Qualcuno l'ha definito come il più
grande danno ambientale della storia, superiore ai disastri BP nel
Golfo del Messico e ai danni della prima Guerra del Golfo nel
Persico.
Sappiamo per certo quello che ci dicono
i fatti e le sentenze: in Ecuador la Texaco è stata responsabile di
oltre 16,8 milioni di barili dispersi nella foresta amazzonica, con
oltre 1 milione di ettari disboscati, danni incalcolabili alla
vegetazione, inquinamento delle falde acquifere e danni alla salute
di diverse generazioni. Dopo un lungo iter, nel Novembre 2012, la
Corte di Sucumbios in Ecuador ha condannato la Chevron (che intanto
nel 2001 ha acquistato la Texaco) a pagare 9 miliardi di dollari alle
popolazioni colpite dai danni dell'estrazione petrolifera, che sono
diventati 18 per il rifiuto della compagnia di chiedere pubbliche
scuse.
La Chevron, da anni ormai fuori dal
paese, si è sempre opposta alla sentenza adducendo vari motivi,
dalla corruzione della corte, all'interferenza fraudolenta del
presidente Correa. Il 17 Settembre 2013 un tribunale della Corte
Internazionale di Giustizia dell'Aja dà ragione agli esposti di
Chevron-Texaco contro la Repubblica dell'Ecuador. In particolare
viene riconosciuto la non perseguibilità della multinazionale. La
TexPet(Texaco) è ritenuta libera da ogni responsabilità per i danni
ambientali e sociali, come sembrerebbe trasparire
dall'interpretazione degli accordi commerciali del 1995 e del 1998.
La Corte, riunita in sezione separata, ha dato un giudizio che
rimette in discussione la sentenza del Tribunale ecuadoriano. La
Chevron, tramite il vice-presidente Hewitt Pate, ha subito emesso un
comunicato in cui si dichiara la controversia conclusa, e proprio
grazie “all'eminente tribunale internazionale che dichiara
illegittima la sentenza” possono dirsi innocenti e tentare di
riabilitare il nome della compagnia. In particolare dal loro sito si
nota come oltre a presunti contributi alla pace nel Delta del Niger e
opere benefiche di vario tipo, viene vantato il successo nella causa,
dimenticando però di menzionare gli enormi danni all'ambiente che
comunque hanno provocato.
giovedì 19 settembre 2013
Grecia - Alba Dorata dalle aggressioni all'assasinio politico
Un omicidio politico mirato che spera nella violenta reazione della piazza per rafforzare il governo voluto della Troika
di Argiris Panagopoulos
L'allenamento
dei neonazisti di Alba Dorata con omicidi e aggressioni contro immigranti pakistani ed indiani è
finito.
Da ieri sera Alba Dorata ha fatto la sua prima vitima tra i
greci.
Il 34enne rapper antifascista Paulos Fyssas è stato
assassinato barbaramente da un killer di Alba Dorata ieri notte nel
quartiere Amfiali di Keratsini, vicino a Pireo. Un quartiere popolare
ed operaio, colpito pesantemente dalla crisi.
Paulos ha resistito per venti minuti ai
colpi dopo l'agguato. L'ambulanza è arrivata quasi mezz'ora dopo la
chiamata, per trasportarlo all'ospedali di Nikaia, dove i medici
hanno constatato la sua morte.
Per il padre di Paulos non c'è dubbio
che il colpo che ha ricevuto suo figlio è un azione di professionisti,
come gli hanno confermato anche i medici, mentre gli amici di Paulos
insistono che i neonazi avevano organizzato l'aggressione mentre stavano guardando una partita di calcio in una caffeteria di
Keratsini.
Agghiaccianti sono le
dichiarazioni degli amici di Paulos sulla presenza e la passività
della polizia durante l'aggressione, visto che erano già nella
zona e sul posto con parecchi poliziotti,
volanti e moto.
I neonazi hanno aspettato Paulos e i suoi
amici alle loro macchine e hanno cominciato ad aggredirli.
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BOICOTTA TURCHIA
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Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.
La lucha sigue!