lunedì 21 novembre 2016

Cile - Dal movimento all’autonomia

Il grande movimento degli studenti emerso in Cile tra il 2011 e il 2013 si è poi diviso in modo netto dando vita ad almeno tre percorsi molto diversi. Il primo ha scommesso sulla riforma avendo considerato la presenza del Partito comunista al governo l’occasione giusta per tagliare finalmente i ponti con un sistema ereditato dalla dittatura. La riforma approvata lo scorso anno, però, non soddisfa nessuno e quella parte di movimento ne ha pagato amaramente il prezzo. Il secondo filone di studenti, quello maggioritario, fino all’estate scorsa ha occupato ancora la scena con manifestazioni visibili e assai combattive che rivendicavano un’educazione pubblica, gratuita e di qualità. Molto presente nei principali centri universitari, anche questa parte vive oggi però una fase di stanca, non avendo la forza di alimentare una presenza di piazza in ogni stagione. Il terzo percorso intrapreso dagli studenti ha scelto di sfuggire alla dinamica delle rivendicazioni da fare allo Stato provando a costruire l’autonomia necessaria a realizzare un’educazione autogestita fuori dalle istituzioni. Si tratta di esperienze non molto visibili e molto diverse tra loro, che mostrano contraddizioni non semplici da risolvere. Costruire un’autonomia educativa è un’impresa quasi impossibile e può comportare il fatto di dover dedicare l’intera vita a questo intento, scrive nel suo reportage Raúl Zibechi, ma fuori c’è il deserto
10403601_484225658380528_8421081524349803735_n
Il Centro de Operaciones Poblacionales Los Areneros (COPLA) nel quartiere San Bernardo alla periferia di Santiago del Cile
di Raúl Zibechi

sabato 19 novembre 2016

Messico - Una storia per cercare di capire. comunicato EZLN

UNA STORIA PER CERCARE DI CAPIRE

17 novembre 2016

Alla Sexta nazionale e internazionale:

A chi simpatizza e sostiene la lotta dei popoli originari:

A chi è anticapitalista:

Compagne, compagni, compagnei:

Sorelle e fratelli:

Questo esteso testo lo abbiamo fatto insieme io e il Subcomandante Insurgente Moisés, portavoce e attuale capo dell’EZLN, consultandoci su alcuni dettagli con alcune delle e dei Comandanti della delegazione zapatista che ha assistito alla prima tappa del V Congresso Nazionale Indigeno.
Sebbene in questa, come in altre occasioni, spetta a me la redazione, è il Subcomandante Insurgente Moisés a leggere, aggiungere o togliere, approvare o rifiutare non solo questo testo, ma tutti quelli che compaiono alla luce pubblica come autentici dell’EZLN. Non poche volte, lungo questi scritti, userò il primo pronome singolare. La ragione di ciò si capirà più avanti. Sebbene la destinataria principale di queste linee sia la Sexta, abbiamo deciso di ampliare i suoi destinatari a chi, senza essere né stare con noi, ha le stesse inquietudini e un analogo impegno. Ecco:

-*-

NEMMENO I NOSTRI INCUBI

Alcuni anni fa, la creatività e l’ingegno di qualche collettivo della Sexta produsse una frase che, con il passare del tempo, venne attribuita allo zapatismo. Sapete bene che siamo contro al copyright, ma non siamo soliti attribuirci né parole né azioni che non siano nostre. Senza dubbio, sebbene non ne siamo gli autori, la sentenza riflette in parte il nostro sentire come zapatisti che siamo.

Inalberata dalla Sexta contro chi, con grossolani ricatti e minacce, attaccava (come ora) lo scetticismo dinanzi al “potere” delle urne elettorali istituzionali, la frase va più in là e definisce i limiti e le carenze di una forma di lotta, quella elettorale:
“I nostri sogni non entrano nelle vostre urne”, si diceva e si dice.

Noi come zapatiste e zapatisti che siamo la sottoscrivemmo allora… e la sottoscriviamo ora. 

Ha la virtù di dire molto con poche parole (un’arte oramai dimenticata). Ma, da questo lato del passamontagna, dal nostro essere ciò che siamo, aggiungiamo: “nemmeno i nostri incubi”. STAMPA IL COMUNICATO

venerdì 18 novembre 2016

Stati Uniti - Sospesi i lavori del gasdotto in territorio Sioux

Il governo degli Stati Uniti ha ordinato la sospensione della costruzione del gasdotto sul territorio della comunità Sioux di Standing Rock nel Dakota decidendo che sono necessarie ulteriori analisi e discussioni sul progetto, in accordo con il Corpo degli Ingegneri dell'Esercito degli Stati Uniti, responsabile di dare  l’autorizzazione ad iniziare i lavori alla società Dakota Access Pipeline.

"Mentre queste discussioni stanno accadendo, la costruzione non può essere fatta né sopra né sotto il terreno che costeggia il Lago Oahe che appartenente al Corpo", è scritto in un comunicato del Corpo degli Ingeneri.

La società Dakota Access Pipeline intende costruire un oleodotto sotto il fiume Missouri e il lago artificiale Oahe, che sono fonti di acqua potabile per la tribù, che si è opposta alla costruzione dei 1866 km di oleodotto per la minaccia di perdite e contaminazione dei suoli.

I Sioux chiedono che il gasdotto passi lontano dalle terre che considerano sacre e che circondano i loro insediamenti.

"Milioni di persone rimangono letteralmente e spiritualmente con noi a Standing Rock, e quindi hanno la nostra più profonda gratitudine", ha detto il capo della tribù, Dave Archambault, in un comunicato.

Detto questo, i dirigenti aziendali hanno denunciato la decisione del Corpo degli Ingegneri che non ha alcuna "giustificazione legale o di fatto."

"Questa azione è politicamente motivata a scapito di una società che ha fatto molto di più per rispettare le regole imposte", ha detto il presidente di Energy Transfer Partners, Kelcy Warren, in una dichiarazione assicurando che il processo è stato una "farsa" che "invia un messaggio terribile dello stato di diritto".

Altri gruppi indigeni nel nord degli Stati Uniti insieme agli attivisti si sono uniti nella difesa del territorio Sioux, rifiutando la costruzione del gasdotto e accompagnando la tribù nelle loro azioni e proteste fin dall'inizio del conflitto con l’impresa.

Le proteste, fino a poco tempo pacifiche, si sono trasformate nelle ultime settimane in scontri con la polizia, le autorità e i lavoratori del gasdotto, che hanno portato a centinaia di arresti.

Lunedì scorso le proteste si sono diffuse nella capitale del North Dakota, Bismarck, dove circa 500 manifestanti si sono riuniti all'esterno dell'edificio sede della capitale dello stato.

Celebrità, politici e ambientalisti si sono uniti alla causa e hanno partecipato alle manifestazioni che hanno avuto luogo in tutto il paese.

giovedì 17 novembre 2016

Naomi Klein: l’effetto Trump sul clima

A Marrakesh continuano le iniziative dei movimenti per la giustizia sociale ed ambientale in occasione della Conferenza sul Clima dell’Onu, nel frattempo gli scienziati affermano che il 2016 sarà l’anno più caldo mai registrato. 

Quanto influiranno le scelte del neo presidente americano Trump nel surriscaldare l’intero pianeta?


Ce lo spiega Naomi Klein , autrice di "Una rivoluzione ci salverà", in un suo articolo per The Nation

La presidenza di Donald Trump potrebbe significare letteralmente la fine del loro mondo

Le nazioni delle isole come Kiribati scompariranno se Trump andasse avanti con i suoi programmi di energia.


di Naomi Klein

Nel preciso momento in cui Donad Trump teneva il suo discorso di accettazione, ero in una stanza gremita da un migliaio di persone a Sidney, Australia, e stavo ascoltando Maria Tiimon Chi-Fang, la massima attivista delle isole dello stato di Kiribati.
Avevo inviato tutto il giorno e-mail che avevano come oggetto “è la fine del mondo” ed improvvisamente mi sono sentita imbarazzata dal privilegio di questa iperbole.

Noi tutti abbiamo bisogno di prepararci a combattere
Se Trump facesse ciò che ha detto e facesse tornare indietro l’insufficente progresso climatico, conquistato sotto Obama, ispirando le altre nazioni a fare lo stesso, le nazioni e le culture di Chi-Fang scomparirebbero quasi sicuramente sotto le onde. Letteralmente, la fine del loro intero mondo.
Chi-Fang parla di come i negoziati di Parigi sul clima siano stati un momento raro di speranza. Non era un testo perfetto, ma le nazioni delle isole hanno combattuto e vinto, una coraggiosa battaglia per includervi un linguaggio che rifletta il bisogno di mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1.5 gradi centigradi. “Non abbiamo dormito”, ha detto al pubblico.

L’obbiettivo dei 1.5 gradi ha dato a Kiribati e ad altre isole che rischiano di andare sotto il livello del mare una possibilità concreta di sopravvivenza. Però noi sappiamo che per raggiungere questo obiettivo, o anche il più mite di 2 gradi, significherebbe che non dobbiamo più sfruttare neanche un singolo pezzo delle nuove infrastrutture per l’estrazione dei combustibili fossili. Siamo già oltre il nostro budget di carbone, anche solo con i combustibili fossili attualmente in produzione.

Donald Trump, nel suo piano “100 giorni per rendere l’America di nuovo grande”, presentato alla fine di ottobre, ha chiarito che intende afferrare il carbone nello stesso modo aggressivo con cui si vanta di prendere le donne.

Ecco alcuni punti del suo piano immediato:

Consentire il proseguimento dell’oleodotto Keystone XL.
Togliere le restrizioni sulla produzione di combustibili fossili
Cancellare i "miliardi di dollari da pagare ai programmi di cambiamento climatico ONU


Questo significa: riscaldare il pianeta più velocemente possibile, e bruciare l’insignificante giubbotto di salvataggio che è stato gettato alle popolazioni che soffrono di più. Infine perchè non ci sia nessun dubbio su cosa intendeTrump, ha già designato Myron Ebell, membro del Competitive Enterprise Istitute negazionista/climatico e anti-scienziato, come incaricato di trasformare l’Environmental Protection Agency (Agenzia di protezione ambientale).

Questo è solo una parte della posta in gioco se Trump farà ciò che ha promesso di fare.

Non possiamo lasciarlo fare.
Fuori dagli Stati Uniti, abbiamo bisogno di iniziare a chiedere sanzioni economiche di fronte a questa illegalità nel non rispettare i trattati. Nel Nord America, dove il carbone che Trump vuole liberare è al momento sepolto, noi tutti abbiamo bisogno di essere pronti e se volete sapere a cosa andremo incontro, date un’ occhiata ai fatti di Standing Rock.


Tratto daThe Nation

domenica 13 novembre 2016

Messico - La nuova agenda degli zapatisti

Ocosingo, Chiapas. 21 de diciembre de 2012. Miles de indigenas del Ejercito Zapatista de Liberacion Nacional procedientes de La Selva Lacandona, esta mañana en la cabecera municipal de Ocosingo en el estado mexicano de Chiapas marchan y se concentran en la plaza central de manera pacfica y en total silencio. FOTO: Moysés Zúñiga Santiago.La proposta del Congresso Nazionale Indigeno e dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale continua a far discutere con intensità. Era certamente questo uno dei primi obiettivi di chi l’ha formulata. Così come non poteva sorprendere l’Ezln il fatto che quella decisione sarebbe poi stata semplificata, strumentalizzata, ridotta alla sua parte sensazionalista: la candidatura di una donna indigena alle presidenziali del 2018, sminuendo, per esempio, il fatto che debba esser solo la portavoce di un Consiglio Indigeno di Governo non eletto nelle urne. S’è scritto, com’era facile prevedere, anche molto di più: l’idea che le conseguenze dell’arrivo della tormenta, segnalata dalla “sentinella” Galeano nell’aprile 2015, siano già tanto gravi da richiedere un “attacco” per rovesciare il potere dal basso è diventata, nei media, il suo esatto contrario: la convinzione che finalmente gli zapatisti hanno capito che per cambiare il mondo bisogna prendere il potere. La follia evidenziata da queste reazioni, scrive Gustavo Esteva, convinto sostenitore della complessa e niente affatto lineare scelta zapatista, merita di essere sottoposta ad analisi come malattia sociale. E’ di natura religiosa. La reazione principale consiste nel predicare certi dogmi democratici: un insieme di credenze mantenute contro ogni esperienza e ragione. Alla base c’è una convinzione circolare: che il percorso elettorale sia l’unico che consente di farsi carico degli apparati statali e che questi sono indispensabili per fare ciò che è necessario. Si riconosce, inevitabilmente, che il cammino elettorale non è un esercizio libero e chiaro della volontà generale, bensì uno spettacolo tortuoso, corrotto e manipolato. Tuttavia si insiste, contro ogni esperienza, sul fatto che nel 2018 alla fine vincerà un candidato di quella che si continua a chiamare “sinistra”. E ancor più si insiste sulla favola che recita un antico e consunto copione: una volta conquistato il controllo della macchina statale, la si farà ballare con la musica chiesta dal popolo. Che fantasia!

.di Gustavo Esteva

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!