mercoledì 29 agosto 2018

Messico - L’ultima mantecada sulle montagne del sudest messicano

(Racconto letto al termine del CompARTE PER LA VITA E LA LIBERTÀ 2018 nel Caracol di Morelia, Torbellino de nuestras palabras, montagne del sudest messicano.)

L’ULTIMA MANTECADA
SULLE MONTAGNE DEL SUDEST MESSICANO.

Forse è stato per una serie di eventi aleatori, senza legame apparente tra loro che la tragedia si è sviluppata.

O forse si è trattato di una semplice coincidenza, un caso sfortunato. Come se il destino avesse alimentato le voci sulla sua esistenza lanciando i pezzi di un puzzle sulle teste rotte di umani e macchine.

O per caso la Tormenta (che lo zapatismo insiste nel segnalare e che, come per tutto quello che dice, nessuno più nota) si era imbattuta in uno “spoiler“, un piccolo anticipo di quello che si avvicinava. Come se, nel software incoerente con cui sembra funzionare la realtà, fosse apparso un avviso urgente, un “warning” inavvertito, un segno che avrebbe potuto essere rilevato ed interpretato solo dalle più avvezze vedette che, negli angoli del mondo, sono impegnate a scrutare orizzonti che, tanto lontani, neanche appaiono come variabile nelle frenetiche statistiche del sistema mondiale. Dopo tutto, le statistiche servono per segnalare tendenze che cancellano drammi quotidiani. Che cosa è, dopo tutto, l’omicidio di una donna? Un numero. Una più è una meno. Le statistiche diranno che ci vogliono altri più numeri di questi omicidi “di genere” per incidere su una tendenza: quella della cavalcata fuori controllo del sistema verso l’abisso scivolando su sangue, fango, macerie, merda, distruzione. All’orizzonte? La guerra. Sul sentiero percorso? La guerra. Perché nel sistema capitalista la guerra è l’origine, la strada e il destino.

Infine, forse il delirio. Questo è solo un racconto e bisogna fare attenzione che in esso non si infilino riflessioni tendenziose, cattive idee, pensieri malsani, oziosi cavilli, provocazioni.

Chi qualche volta ha avuto la sfortuna di guardare un film col defunto SupMarcos, racconta che era insopportabile. Beh, non era solo insopportabile in quel frangente, ma ora sto parlando di guardare un film. Bastava che nel film saltasse fuori un’arma da fuoco perché il defunto mettesse in “pausa” e partisse in una lunga ed oziosa dissertazione su precisione, energia, portata, potere di fuoco e le brevi o lunghe parabole che un proiettile tracciava nella sua rotta verso “l’obiettivo”. Poco importava che in quel momento di pausa la trama si svolgesse, o che chi stava guardando il film si angustiasse senza sapere se l’eroe (o l’eroina, non dimenticare l’equità di genere) si salvava o no. No, lì si manifestava l’inutile spreco di erudizione: “quella è una carabina M-16, calibro 5,56 mm NATO, chiamato così per distinguere le munizioni fabbricate dai paesi dell’Alleanza Atlantica del Nord da quelle del Patto di Varsavia, ed eccetera, eccetera”. Certo, la compagnia cinefila non sapeva che cosa fare: se dimostrava interesse, il defunto poteva dilungarsi; se, invece, mostrava indifferenza, il defunto poteva interpretare la cosa come una sua non chiarezza di spiegazione e si sarebbe dilungato ancora di più, arrivando, chiaramente, alla guerra fredda. Ed allora il SupMarcos si sentiva obbligato a spiegare che il termine “guerra fredda” era un ossimoro, un’arguzia del sistema per ovviare alla morte e distruzione che avevano segnato quell’epoca. Proseguiva quindi con la “quarta guerra mondiale” e così via fino a che i popcorn si raffreddavano od erano diventati un impasto di mais in salsa “Valentina”.

Beh, sto già diventando uguale a lui. La questione era che se il SupMarcos assisteva alla proiezione, bisognava poi vedere il film o le serie due volte: una per subire le interruzioni, l’altra per capire la trama. Per questo dico che un racconto è un racconto e non una discussione politica. Anche se Difesa Zapatista usi la “discussione politica” per occultare le prove della “violenza di genere” che, sotto forma di ceffoni, applica allo stoico Pedrito, il bambino che, senza saperlo né volerlo, assume il ruolo di nemesi della bambina e del suo indefinibile gatto-cane.

Dove eravamo? Ah, sì, nel perché di quello che vi racconterò più avanti.

Il fatto è che, quell’alba, confermò ciò che temevo: erano finite le mantecadas [briosche-merendine N.d.T.]. Tutte. Perfino la riserva strategica (destinata a far fronte alla prevedibile apocalisse zombi, ad un’invasione extraterrestre o alla caduta di un meteorite) era a zero.

Che cosa era successo? Perché, come nelle tragedie greche e nei corrido messicani, non succede niente fino a che succede.

Doña Juanita, trincerata nelle cucine del CIDECI, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico, era in sciopero: niente tamales, niente cuche (maiale, in Chiapas), niente tacos e salse, niente intrugli ricchi di carboidrati, grassi e colesterolo. E, oh disgrazia, niente mantecadas. Adesso solo cibo sano, cioè verdure, verdure e ancora verdure. Niente di niente. 

sabato 25 agosto 2018

Messico - 300. Terza e ultima parte - UNA SFIDA, UNA AUTONOMIA REALE, UNA RISPOSTA, DIVERSE PROPOSTE, E QUALCHE ANEDDOTO SUL NUMERO “300”


 Terza ed ultima parte: UNA SFIDA, UNA AUTONOMIA REALE, UNA RISPOSTA, DIVERSE PROPOSTE, E QUALCHE ANEDDOTO SUL NUMERO “300”. Subcomandante Insurgente Moisés, SupGaleano

E poi cosa viene?

Remare controcorrente. Niente di nuovo per noi, nosotroas, zapatiste, zapatisti.

Noi lo vogliamo ribadire – ci siamo consultati con le nostre comunità -: qualunque caposquadra deve essere contrastato, chiunque; e non solo chi propone una buona amministrazione ed una corretta repressione – cioè, questa lotta alla corruzione ed il piano di sicurezza basato sull’impunità -; anche chi dietro sogni avanguardisti vuole imporre la sua egemonia ed omogeneizzarci.

Non cambieremo la nostra storia, il nostro dolore, la nostra rabbia, la nostra lotta, per il conformismo progressista ed il suo correre dietro al leader.

Forse qualcuno lo dimentica, ma noi non dimentichiamo che siamo zapatisti.

E riguardo alla nostra autonomia – con la faccenda che sì la si riconosce, o no non la si riconosce -, noi abbiamo fatto questo ragionamento: l’autonomia ufficiale e l’autonomia reale. Quella ufficiale è quella riconosciuta dalle leggi. La logica sarebbe questa: hai un’autonomia, ora la riconosco in una legge e quindi la tua autonomia dipende da questa legge e comincia a non mantenere più le sue forme, poi, quando ci sarà un cambio di governo, allora devi appoggiare il governo “buono” e votare per lui, promuovere il voto per lui, perché se arriva un altro governo abolirà la legge che ti protegge. Quindi diventiamo i peones dei partiti politici, come è successo con i movimenti sociali in tutto il mondo. Non importa più quello che si sta facendo nella realtà, quello che si sta difendendo, ma quello che la legge riconosce. La lotta per la libertà si trasforma così nella lotta per il riconoscimento legale della lotta stessa.

-*-

Abbiamo parlato con i nostri capi e capi. O piuttosto con le comunità che ci danno il passo, la direzione e la destinazione. Con il loro sguardo guardiamo a ciò che sta arrivando.

Ci siamo consultati ed abbiamo detto: bene, se noi diciamo questo, che cosa succede?

Rimarremo da soli, ci diranno che siamo marginali, che stiamo rimanendo fuori dalla grande rivoluzione… dalla quarta trasformazione o dalla nuova religione (o come vogliano chiamarla) e dovremo remare un’altra volta controcorrente.

Ma non c’è niente nuovo, per noi, nel rimanere soli.

Allora ci siamo chiesti, bene, abbiamo paura di restare soli? Abbiamo paura di restare nelle nostre convinzioni, di continuare a lottare per esse? Abbiamo paura che chi era a favore, ci si metta contro? Abbiamo paura di non arrenderci, di non venderci, di non cedere? Ed alla fine abbiamo concluso: insomma, ci stiamo domandando se abbiamo paura di essere zapatisti.

Non abbiamo paura di essere zapatisti e continueremo ad esserlo.

È così che ci siamo fatti una domanda e ci siamo risposti.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!