venerdì 5 giugno 2009

Gheddafi: al dittatore una laurea honoris causa in diritto

L’Università di Sassari conferirà la laurea honoris causa in diritto al Colonnello Gheddafi. Uno che meriterebbe anni di carcere per le centinaia di omicidi politici di cui si è macchiato il regime in Libia. A dirlo sono i rapporti sulla Libia firmati Amnesty International e Human Rights Watch, che parlano di prigionieri politici, di reati di opinione, di torture e di una diffusa impunità. La notizia ha fatto talmente scandalo che sta girando un appello tra i docenti contro la decisione dell'ateneo di Sassari. Per aderire all'iniziativa, promossa dai Radicali, che sulla questione hanno anche presentato una interrogazione parlamentare, basta scrivere a info@radicali.it. Questa scheda fa parte del kit informativo per la campagna "IO NON RESPINGO": la potete scaricare online, stampare e distribuire durante le vostre iniziativeGheddafi è al potere dal 1969, dopo un colpo di stato, anche se dal 1979 non riveste alcuna carica ufficiale. Dal febbraio 2009 è anche presidente dell’Unione africana. I suoi 40 anni di regime sono macchiati di sangue e gravi restrizioni delle libertà dei 6,3 milioni di cittadini libici. La situazione è in miglioramento, grazie alla spinta riformatrice del figlio primogenito di Gheddafi, Sayf el Islam, che ha fatto rilasciare centinaia di prigionieri politici. Tuttavia la situazione è ancora critica.

PRIGIONIERI POLITICI
Fathi el-Jahmi, attivista politico, arrestato nel 2004 per aver chiesto riforme democratiche e criticato Gheddafi durante alcune interviste televisive. Nel 2005 venne condannato per “tentativo di rovesciare il governo, insulti al colonnello Gheddafi e contatti con le autorità estere”. E nel 2006 venne giudicato mentalmente inabile e trasferito in un manicomio. È morto il 21 maggio 2009, dopo essere caduto in coma.Idriss Boufayed e altri 11 attivisti sono stati condannati a pene dai 6 ai 25 anni di carcere per “tentativo di rovesciare il sistema politico”, “diffusione di false notizie sul regime libico” e “comunicazione con le potenze nemiche”. Erano stati arrestati nel febbraio 2007 per aver organizzato la commemorazione dell’uccisione di 12 persone a Benghazi, durante una manifestazione nel febbraio 2006. La sentenza è stata emanata dalla Corte di Stato della Sicurezza, istituita nel 2007 per casi di attività politiche non autorizzate. Tra ottobre e novembre 2008, nove degli 11 prigionieri sono stati rimessi in libertà.Mohammed Adel Abu Ali, aveva chiesto asilo politico in Svezia nel 2003. Rimpatriato in Libia il 6 maggio 2008, è morto sotto la custodia della polizia. Human Rights Watch sostiene che a ucciderlo sarebbero state le torture a cui venne sottoposto

TORTURA
La tortura è proibita dalla legge in Libia, tuttavia è praticata. Di 32 detenuti libici intervistati da Human Rights Watch nel 2005, 15 erano stati torturati per estorcere confessioni poi utilizzate nei processi. Sarebbe pratica comune incatenare i detenuti per ore al muro, picchiarli con bastonate sulla pianta del piede, e sottoporli a scariche elettriche. Altre sevizie sarebbero le ferite inferte con i cavatappi sulla schiena, la rottura delle articolazioni delle dita, il versamento di succo di limone sulle ferite aperte, il tentato soffocamento con sacchetti di plastica, la privazione del sonno e del cibo, lo spegnimento di sigarette sulla pelle e la minaccia ravvicinata di cani ringhiosi.

IMPUNITÀ
Nel 1996 centinaia di detenuti vennero uccisi dalla polizia durante una rivolta nel carcere di Abu Salim, a Tripoli. A 13 anni di distanza non è mai stata fatta chiarezza sulla vicenda. Né alcuno dei responsabili è stato individuato. E nessuna chiarezza è stata fatta sulle centinaia di oppositori e critici del regime, arrestati e scomparsi negli anni Settanta, Ottanta e Novanta.

Il sito http://www.stopqaddafi.org/ fa addirittura una lista di 343 civili uccisi dai servizi segreti libici dal 1969 al 1994

notizia da http://fortresseurope.blogspot.com

Per maggiori informazioni scaricate il rapporto di Human Rights Watch

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!