martedì 10 maggio 2011

Messico - La richiesta di pace con giustizia e dignità

Messico - Zocalo Df Conclusione Marcia Nazionale per la paceLa Marcia raggiunge lo Zocalo di Città del Messico
di Matteo Dean

Quando l’insensatezza occupa la vita pubblica,
la poesia ha la ragione.
Dunque, facciamo parlare la poesia
perché tacciano gli insensati.

Un silenzio assordante. È così che si può riassumere la lunga marcia “per la pace con giustizia e dignità” che iniziata lo scorso 5 maggio a Cuernavaca (cento chilometri a sud di Città del Messico) si è conclusa questa domenica nella piazza centrale della capitale messicana. Silenzio, spiega Javier Sicilia, premio nazionale di poesia, giornalista e padre di Juan Francisco, assassinato dai sicari del narcotraffico il 28 marzo scorso; silenzio perché “il nostro dolore è così grande e così profondo, che non vi sono più parole per nominarlo”. Il giorno dopo la straordinaria manifestazione zapatista a San Cristobal de Las Casas in Chiapas, sono Città del Messico ed almeno altre venti città le protagoniste di questa giornata convocata da Javier Sicilia. Cominciata con la partecipazione di meno di mille persone, la marcia è terminata con l’arrivo di almeno 200 mila persone nello zocalo di Città del Messico. Una moltitudine che ha compreso padri e madri, figli e parenti delle oltre 40 mila vittime che la “guerra al narcotraffico” lanciata dall’attuale amministrazione federale messicana di Felipe Calderon; ma anche migliaia tra militanti delle più diverse organizzazioni sociali messicane, giovani, studenti, artisti, migranti, indigeni e molti altri.
Una manifestazione moltitudinaria nel vero senso del termine. Poche volte vi è occasione di vedere i contadini di Atenco, assieme ai migranti della carovana migrante (che ha risalito il Messico dalla frontiera sud “riappropriandosi” del treno merci che ogni giorno trasporta centinaia di migranti privi di documenti esponendoli ad ogni genere di violenza), assieme agli studenti riuniti nell’Assemblea dei Giovani in Emergenza Nazionale, assieme agli indigeni del Municipio Autonomo di San Juan Copala, assieme ai membri della Polizia Comunitaria della Montagna di Guerrero, assieme ai genitori del Movimento 5 Giugno , assieme alle famiglie di Ciudad Juarez, assieme ai parenti delle vittime del feminicidio, assieme ad artisti ed intellettuali di diversa provenienza, assieme alle anime democratiche della Chiesa cattolica, assieme e migliaia di persone non organizzate che però oggi – domenica, quando scriviamo – in piazza ci son volute andare. Le ragioni di questa manifestazione sono molte ed articolate. Ma forse è possibile riassumerle semplicemente raccontando quel silenzio degno che ha accompagnato per oltre quattro giorni la carovana. Un silenzio che si è rotto solo nelle piazze raggiunte dalla carovana. Un silenzio che ha ceduto la parola ai padri ed alle madri delle vittime. O che, in altre occasioni, è stato rotto dall’impossibilità di contenere rabbia e dolore.
Difficile raccogliere tutte queste storie, raccontare tanto vissuto. Eppure, il movimento che oggi è sceso in piazza si è dato pure quest’obiettivo, perché troppe volte assassinati, sequestrati, scomparsi, o le centinaia di corpi che in queste settimane affiorano nelle sempre più numerose fossi comuni diventano numeri. Numeri per riempire le tabelle che il governo offre in pasto alla stampa. Ma che in realtà nascondono vite e speranza stroncate. Sarebbero 40 mila i morti sinora (dal dicembre 2006) di questa “guerra al narcotraffico”. A questa cifra, si aggiungono almeno 10 mila orfani di guerra (secondo altre fonti, questi sarebbero 30 mila), 10 mila migranti sequestrati solo lo scorso anno,  e quasi mezzo milione di sfollati, ovvero gente che è scappata dal proprio quartiere, dalla propria città, dal proprio stato, dal Messico. Numeri che fanno orrore, ma che appunto non servono a descrivere la realtà, anche se il governo si ostina a chiamarli “vittime collaterali”.
Quel che è certo – e forse possiamo permetterci di segnalare come una prima vittoria del movimento – è il fatto che finalmente il tema della violenza e, soprattutto, dell’insicurezza è stato per il momento sottratto alla destra conservatrice che detiene il potere nel paese. E non parliamo solo della destra al potere. Parliamo soprattutto dei settori benestanti di questa ed altre città, che non si fanno mai vedere, che scompaiono ogni giorno dietro gli alti muri dei loro quartieri-bunker ma che davanti i casi più tragici hanno a volte alzato la voce. Sono loro, quegli stessi settori che oggi negli anni scorsi si sono arricchiti pure chiudendo un occhio davanti agli affari del narcotraffico, che oggi accusano Javier Sicilia ed il movimento che oggi è in piazza di voler “far cadere il governo”. Forte di questo sostegno minoritario sul piano dei numeri, ma strategico sul piano del potere economico e politico, Calderon avverte i manifestanti: “Non dovete dire a noi di smettere con la violenza, ma ai delinquenti”. Rispondono i manifestanti: “Siete voi, classe politica, che avete la responsabilità di frenare la violenza”. È la classe politica messicana, “corrotta e collusa con la criminalità organizzata, che militarizza il tema della pubblica sicurezza, che ha trasformato il Messico in un campo di battaglia, che ha reso i cittadini ostaggi della violenza, che umiliate le istituzioni repubblicane”.
Ma per fortuna, il reclamo della moltitudine che oggi è scesa in piazza non si rivolge solo alla classe politica. E neanche ai narcos che insanguinano il paese con “la complicità dei tre livelli di governo”. La società civile messicana s’interroga e si domanda dove e quando si è cominciata a perdere la dignità. E la risposta se la da sola, guardandosi in faccia, dialogando e lanciando una proposta articolata in sei punti, complessi e che dimostrano il mungo sforzo di mediazione “tra più di cento organizzazioni sociali”.
La proposta si traduce in un documento che il movimento chiama Patto Nazionale. Un documento che – si comprende al leggerlo – riunisce anche le diverse anime di questo movimento. La proposta chiama in causa prima la società civile stessa, convocata a restituire la memoria a quei 40 mila morti e a fare uno sforzo di pressione perché quel 98 per cento di casi ancora irrisolti siano finalmente chiariti dalle autorità competenti. Si esige poi un cambiamento di visione della “pubblica sicurezza”, ovvero che questa non riceva più un punto di vista “militare” ma piuttosto cittadino. In questo senso, quando si parla di militarizzazione della pubblica sicurezza, è importante dire che non si tratta solo dei 90 mila soldati – e marines – dispiegati nelle strade messicane, ma anche il fatto che oltre 500 militari attualmente hanno la licenza di assumere ruoli di comando all’interno delle diverse polizie locali del paese.
Su questo punto, il movimento insiste che la nuova proposta di Legge di Sicurezza Nazionale – che, tra l’altro, darebbe facoltà al presidente di imporre lo stato d’eccezione e di utilizzare l’esercito contro ogni movimento che metta in pericolo la stabilità dello Stato – non deve essere approvata così com’è stata proposta, ma dev’essere oggetto di una discussione plurale. In questo senso, il movimento sta convocando ad un incontro nazionale tra tutte le esperienze di “giustizia autonoma” perché vi sia un confronto ed una proposta “dal basso”. Il Patto Nazionale propone poi di combattere a fondo la corruzione diffusa in seno ai partiti ed al sistema politico, restituendo autonomia al potere giudiziario – in Messico, esiste la figura del Procuratore Generale nominato dal presidente della repubblica – ed esige al Congresso nazionale di eliminare l’immunità parlamentare entro i prossimi sei mesi. Nel documento vi è anche l’esigenza di attaccare realmente la florida economia del narcotraffico e di stabilire politiche precise e verificabili in favore dei giovani che attualmente, in Messico, “hanno solo due prospettive di vita: entrare nelle file dell’esercito o fare il narco”. Infine. Il documento esige che si approvino le riforme necessarie che rendano “la democrazia messicana” una democrazia partecipativa, introducendo la figura delle candidature indipendenti, del referendum popolare – tuttora inesistente nel sistema politico messicano -, la revoca del mandato popolare per i governanti, tra le altre proposte. Il movimento, però, non si ferma alla proposta. Avverte il governo ed il Congresso federale: “Se non ci ascoltate, se farete di testa vostra, avremo solo un modo per obbligarvi: resistenza civile e pacifica”.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!