È probabile che l'operazione che ha portato all'eliminazione di bin  Laden sia il frutto di un accordo tra Washington e Islamabad riguardo al  futuro dell'Afghanistan. Osama vivo avrebbe messo in difficoltà i suoi  ex-amici.
Il raid delle forze speciali americane che ha  condotto all’uccisione di Osama bin Laden a una sessantina di chilometri  da Islamabad ha richiesto sicuramente l’autorizzazione e la  cooperazione delle autorità pakistane. Non è quindi inutile porsi il  problema delle condizioni sulla base delle quali il Pakistan ha  accettato di consegnare al proprio destino il leader storico di al  Qaida, permettendo tra l’altro all’opinione pubblica mondiale di farsi  un’idea più precisa di quanto limitata fosse la collaborazione di quel  paese alla campagna contro il terrorismo internazionale scatenata dagli  Usa dopo l’11 settembre.
    Il prezzo chiesto per tradire Osama non deve  essere stato basso e sicuramente non è stato di natura economica. Non  esclusivamente, per lo meno. Bin Laden era troppo importante perché la  sua morte possa essere remunerata da un compenso economico, per quanto  grande.
Con tutta probabilità, per ottenere il trionfo che  rende ora più agevole al presidente Obama percorrere la via di una  sostanziale riduzione delle forze militari statunitensi schierate in  Asia Centrale, Washington deve aver messo sul piatto una ben più pesante  contropartita, che tra l’altro soddisferebbe anche alcuni obiettivi  importanti dell’amministrazione Obama. Tutto induce a ritenere che sia  stata raggiunta un’intesa sul futuro politico dell’Afghanistan,  prevedendo probabilmente il riconoscimento a Islamabad del diritto a  ristabilirvi la propria influenza predominante, magari assumendosi, da  sola o in associazione con la Cina, il compito di garantire che da Kabul  e dintorni non possano più scaturire in futuro nuove minacce alla  sicurezza internazionale.   
Vale la pena di ricordare come negli ultimi due anni,  se non di più, il Pakistan sia stato già coinvolto in una serie di  esercizi pre-negoziali finalizzati allo stabilimento di contatti tra le  parti e all’esplorazione dei margini di trattativa disponibili per  trovare una soluzione che ponga fine al conflitto in corso in  Afghanistan. Ed è altresì noto il fatto che a Islamabad abbiano iniziato  da qualche tempo a guardare con occhi nuovi anche i membri più  autorevoli della Commissione creata dal governo di Kabul per aprire un  tavolo di confronto con i maggiori tronconi della guerriglia che infesta  buona parte del territorio afghano.
Ma è nell’ultimo mese che si sono prodotti gli  eventi più significativi. Il 15 aprile la capitale afghana è stata  raggiunta da una missione pakistana composta dal premier Gilani, dal  capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale Parvez Kayani, e dal  direttore dell’Isi, Shuja Pasha. Nella circostanza la trojka avrebbe  raccomandato al presidente Hamid Karzai di iniziare a prendere le  distanze da Washington e a considerare, tra le altre cose, l’ipotesi di  cercare una tutela alternativa presso Pechino. 
Risale invece a tredici giorni più tardi l’annuncio della sostituzione a settembre dei due massimi interpreti del surge  afghano voluto da Washington: il segretario alla Difesa, il  repubblicano Robert Gates, e il generale David Petraeus, noti entrambi  per la loro contrarietà ad operare riduzioni significative delle forze  americane dislocate in Afghanistan.
La morte di Osama s’inserisce perfettamente in questo mosaico,  perché è il successo del quale gli Stati Uniti avevano bisogno per  iniziare a immaginare un’uscita onorevole dal pantano afghano. La  reazione del pubblico americano, sceso nella notte a festeggiare il  successo ottenuto ad Abbottabad con modalità che ricordano da vicino le  esaltazioni generate dalle grandi vittorie militari del passato, la dice  lunga sul valore simbolico dell’eliminazione di bin Laden. Sappiamo che  allo sceicco del terrore non è stata lasciata via di scampo e che la  missione dei Navy Seals non prevedeva la sua cattura in vita: anche  questo deve essere stato un riguardo nei confronti del Pakistan, posto  che Osama avrebbe potuto, affrontando un processo pubblico, creare molti  imbarazzi ai suoi protettori degli ultimi dieci anni.
Rimane da chiarire in che modo gli americani intendano adesso tutelarsi rispetto al rischio che i pakistani, una volta impadronitisi del potere a Kabul con i loro proxy  - magari in un quadro costituzionale che contempli inizialmente la  sopravvivenza politica di Karzai - disattendano successivamente gli  accordi.
È però difficile che su questo specifico punto  possano giungere risposte in tempi ragionevolmente rapidi. Una  possibilità, comunque, è che gli Stati Uniti abbiano in ogni caso  previsto di mantenere in Afghanistan una presenza militare minima e non  invasiva, ma all’occorrenza facilmente espandibile. L’amministrazione  Obama continua a escluderla, ma sarebbe una misura del tutto  ragionevole. In alternativa, rimarrebbe sempre percorribile il  perseguimento di un nuovo equilibrio regionale di potenza, assecondando  le naturali inclinazioni di India, Iran e Russia a contrastare la  supremazia di Islamabad a Kabul, e magari imponendo anche una  ristrutturazione su basi federali dello Stato afghano.
Per quanto riguarda le prospettive del jihadismo internazionale,  la fine di Bin Laden non aggiunge molto all’evidente crisi in cui è  caduto il movimento, a corto di idee e capacità di eseguirle, ora  minacciato anche dagli effetti del grande sommovimento che sta  sconvolgendo il mondo arabo. Potranno esserci senz’altro dei colpi di  coda; ma il mito di un’idra capace di scatenare una rivoluzione  integralista per disarcionare la monarchia saudita e restaurare il  califfato sembra definitivamente tramontato.
Più di 500, 40, 30, 20, 10 anni dopo
ALLERTA ROSSA E CHIUSURA CARACOLES
BOICOTTA TURCHIA
Viva EZLN
 Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.  
La lucha sigue!
 

 
