mercoledì 30 giugno 2021

Messico - Europa - Il Viaggio per la Vita: PER FARE COSA?

 

Il Viaggio per la Vita: PER FARE COSA?

Giugno 2021

Una precisazione: molte volte, quando usiamo il termine “los zapatistas – gli zapatisti” – non ci riferiamo agli uomini ma ai popoli zapatisti. E quando usiamo “las zapatistas” – le zapatiste – non definiamo le donne, ma le comunità zapatiste. Dunque, troverai questo “salto” di genere nelle nostre parole. Quando ci riferiamo al genere, aggiungiamo sempre “otroa” per indicare l’esistenza e la lotta di coloro che non sono né uomini né donne (e che la nostra ignoranza in materia ci impedisce di definire – ma impareremo a nominare tutte le differenze -).

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Ora, la prima cosa che devi sapere o capire è che noi zapatisti quando facciamo qualcosa, per prima cosa ci prepariamo al peggio. Partiamo da un finale di fallimento e, in senso opposto, ci prepariamo ad affrontarlo o, nel migliore dei casi, ad evitarlo.

Ad esempio, immaginiamo di essere attaccati, i massacri di rigore, il genocidio travestito da moderna civilizzazione, lo sterminio totale. E ci prepariamo a queste possibilità. Ebbene, per il 1° gennaio 1994 non immaginammo la sconfitta, la prendemmo come una certezza.

Ad ogni modo, forse questo ti aiuterà a capire perché inizialmente eravamo stupiti, titubanti e confusi nell'improvvisare quando, dopo tanto tempo, lavoro e preparazione alla rovina, ci siamo ritrovati… vivi.

È da questo scetticismo che nascono le nostre iniziative. Alcune piccole, altre più grandi, tutte un delirio; le nostre convocazioni sono sempre rivolte “all'altro”, a ciò che va molto oltre il nostro orizzonte quotidiano, ma che riteniamo qualcosa di necessario nella lotta per la vita, cioè nella lotta per l’umanità.

Con questa iniziativa o scommessa o delirio o follia, per esempio, nella sua versione marittima ci siamo preparati al Kraken, ad una tempesta o una balena bianca che avrebbe fatto naufragare l’imbarcazione, ecco perché abbiamo costruito i cayucos – che hanno viaggiato con lo Squadrone 421 su La Montaña fino a Vigo, Galizia, Stato Spagnolo, Europa -.

Ci siamo preparati anche a non essere i benvenuti, per questo prima abbiamo chiesto il consenso per l’invasione, cioè la visita… Beh, di essere i “benvenuti” non siamo ancora del tutto sicuri. Per più di una, uno, unoa, la nostra presenza è a dir poco inquietante, quando non francamente dirompente. E lo capiamo, può darsi che qualcuno, dopo più di un anno di confinamento, trovi quantomeno inopportuno che un gruppo di indigeni di radice maya, molto poca cosa in quanto a produttori e consumatori di merci (elettorali e non), voglia parlare di persona. Di persona! (ricordi che questo prima faceva parte della tua quotidianità?). E, che inoltre, abbia come missione principale quella di ascoltarti, riempirti di domande, condividere incubi e, naturalmente, sogni.

Ci siamo preparati che i malgoverni, da una parte e dall'altra, impediscano o ostacolino la nostra partenza e il nostro arrivo, per questo alcun@ zapatisti erano già in Europa… Opps, non avrei dovuto scriverlo, cancellatelo. Sappiamo che il governo messicano non porrà ostacoli. Resta da vedere cosa diranno e faranno gli altri governi europei – Portogallo e Stato Spagnolo non si sono opposti -.

Ci siamo preparati al fallimento della missione, cioè che diventi un evento mediatico e, quindi, fugace e irrilevante. Per questo accettiamo anzitutto gli inviti di chi vuole ascoltare e parlare, cioè conversare. Perché il nostro obiettivo principale non sono gli eventi di massa – anche se non li escludiamo -, ma lo scambio di storie, conoscenze, sentimenti, valutazioni, sfide, fallimenti e successi.

Ci siamo preparati alla caduta dell’aereo, motivo per cui abbiamo realizzato dei paracadute con ricami colorati affinché invece di un “D-Day” in Normandia (oh, oh, questo significa che lo sbarco aereo sarebbe in Francia?… eh?… a Parigi?!), sia un “Z-Day” per l’Europa del basso, e sembrerà allora che dal cielo piovano fiori come se Ixchel, dea madre, dea arcobaleno, ci accompagni e, con la sua mano e con il suo volo, apra un secondo fronte all'invasione. E più sicuro perché ora, grazie alla Galizia del basso, lo Squadrone 421 è riuscito a installare una testa di ponte nelle terre di Breogán.

In breve, ci prepariamo sempre a fallire… e a morire. Ecco perché la vita, per lo zapatismo, è una sorpresa che va celebrata tutti i giorni, a tutte le ore. E cosa altro c’è di meglio se non con balli, musica, arti.

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In tutti questi anni abbiamo imparato molte cose. Forse la cosa più importante è rendersi conto di quanto siamo piccoli. E non intendo altezza e peso, ma la dimensione del nostro impegno. I contatti con persone, gruppi, collettivi, movimenti e organizzazioni di diverse parti del pianeta ci hanno mostrato un mondo diverso, molteplice e complesso. Ciò ha rafforzato la nostra convinzione che ogni proposta di egemonia e di omogeneità non solo è impossibile, ma è soprattutto criminale.

Perché i tentativi – non di rado nascosti dietro nazionalismi di cartapesta nelle vetrine dei centri commerciali della politica elettorale – di imporre modi e sguardi sono criminali perché cercano di sterminare differenze di ogni genere.

L’altro è il nemico: differenza di genere, razza, identità sessuale o asessuale, lingua, colore della pelle, cultura, credo o miscredenza, concezione del mondo, fisico, stereotipo di bellezza, storia. Contando tutti i mondi che ci sono nel mondo, ci sono praticamente tanti nemici, reali o potenziali, quanti sono gli esseri umani.

E potremmo dire che quasi ogni dichiarazione di identità è una dichiarazione di guerra contro il diverso. Ho detto “quasi” e, in quanto zapatisti, ci aggrappiamo a questo “quasi”.

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Secondo le nostre modalità, i nostri calendari e la nostra geografia, siamo giunti alla conclusione che l’incubo può sempre peggiorare. La pandemia di “Coronavirus” non è l’apocalisse. È solo il suo preludio. Se i media e i social volevano rassicurarci, prima, “informando” sull'estinzione di un ghiacciaio, un terremoto, uno tsunami, una guerra in qualche parte lontana del pianeta, l’omicidio di un altro indigeno da parte dei paramilitari, una nuova aggressione contro la Palestina o il popolo mapuche, la brutalità del governo in Colombia e Nicaragua, le immagini dei campi di detenzione per migranti che vengono da un altro luogo, da un altro continente, da un altro mondo, convincendoci così che questo “succede da un’altra parte”, in poche settimane, la pandemia ha dimostrato che il mondo può essere solo una piccola parrocchia egoista, sciocca e vulnerabile. I diversi governi nazionali sono le cosche che vogliono controllare, con la violenza “legale”, una strada o un quartiere, ma il “capo” che controlla tutto è il capitale.

Ad ogni modo, si sta preparando il peggio. Ma questo lo sapevi già, vero? E se no, allora è ora che tu lo sappia. Perché, oltre a cercare di convincerti che sofferenze e disgrazie saranno sempre estranee (fino a quando non smettono di essere tali e si siedono alla tua tavola, turbandoti il sonno e lasciandoti senza lacrime), ti dicono che il modo migliore per affrontare queste minacce è individualmente.

Questo male si evita allontanandosi da esso, costruendo il tuo mondo a tenuta stagna e rendendolo sempre più angusto fino a che c’è spazio solo per “io, mio, me, con me”. E per questo, ti offrono “nemici” a modo, sempre con un fianco debole e che è possibile sconfiggere acquistando, ascolta bene, questo prodotto che, guarda che coincidenza, per questa unica occasione in offerta e puoi acquistarlo e riceverlo sulla porta del tuo bunker in poche ore, giorni … o settimane, perché la macchina ha scoperto, oh sorpresa, che il reddito dipende anche dalla circolazione della merce e che, se questo processo si ferma o rallenta, la bestia soffre… cosicché è business anche la sua distribuzione e ripartizione.

Ma, in quanto zapatisti, abbiamo studiato e analizzato. E vogliamo confrontare le conclusioni a cui siamo giunti con scienziati, artisti, filosofi e analisti critici di tutto il mondo.

Ma non solo, anche e soprattutto con coloro che, nelle loro lotte quotidiane, hanno subito e avvertito le disgrazie a venire. Perché, per quanto riguarda il sociale, teniamo in grande considerazione l’analisi e la valutazione di chi rischia la pelle nella lotta contro la macchina, e siamo scettici nei confronti di chi, dal punto di vista esterno, opina, valuta, consiglia, giudica e condanna o assolve.

Ma, attenzione, riteniamo che questo sguardo critico “outsider” sia necessario e vitale, perché ci permette di vedere cose che non si vedono nel vivo della lotta e, attenzione, contribuisce alla conoscenza della genealogia della bestia, delle sue trasformazioni e del suo funzionamento.

In ogni caso, vogliamo parlare e, soprattutto, ascoltare chi si mette in mezzo. E non ci interessa il suo colore, taglia, razza, sesso, religione, militanza politica o percorso ideologico, se questo coincide con il ritratto fedele della macchina assassina.

E se, quando parliamo del criminale, qualcuno lo identifica con il fato, la sfortuna, “l’ordine naturale delle cose”, il castigo divino, la pigrizia o l’incuria, lì non ci interessa ascoltare o parlare. Per queste spiegazioni basta guardare le soap opera e andare sui social in cerca di conferme.

Cioè, crediamo di aver stabilito chi è il criminale, il suo modus operandi e il crimine stesso. Queste 3 caratteristiche si sintetizzano in un sistema, cioè in un modo di rapportarsi all'umanità e alla natura: il capitalismo.

Sappiamo che è un crimine in corso e che il suo perseguimento sarà disastroso per il mondo intero. Ma non è questa la conclusione che ci interessa corroborare, no.

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Perché sembra che, anche studiando e analizzando, abbiamo scoperto qualcosa che può o no essere importante. Dipende.

Supponendo che questo pianeta sarà annientato, almeno per come lo percepiamo adesso, abbiamo studiato le possibili opzioni.

Cioè, la nave affonda e lassù dicono che non succede nulla, che è qualcosa di passeggero. Sì, come quando la petroliera Prestige naufragò al largo delle coste europee (2002) – la Galizia fu la prima testimone e vittima – e le autorità imprenditoriali e governative dissero che erano state sversate solo poche gocce di carburante. Il disastro non è stato pagato né dal Boss, né dai suoi sgherri e caporali. L’hanno pagato, e continuano a pagare, gli abitanti che vivono di pesca su quelle coste. Loro e i loro discendenti.

E per “Nave” intendiamo il pianeta omogeneizzato da un sistema: il capitalismo. Certo, potranno dire che “questa non è la nostra nave”, ma il naufragio in corso non è solo di un sistema, ma del mondo intero, completo, totale, anche l’angolo più remoto e isolato, e non solo dei suoi centri di Potere.

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Capiamo che qualcuno pensi, e agisca di conseguenza, che è ancora possibile rattoppare, rammendare, dipingere un po’ qua e là, rimodellare l’imbarcazione. Tenerla a galla anche vendendo la fantasia che siano possibili megaprogetti che non solo non annientano intere popolazioni, ma anche che non colpiscano la natura.

Che ci sono persone che pensano che basti essere molto determinate e darci dentro con il maquillage (almeno fino a quando non passano le elezioni). E che credono che la migliore risposta al reclamo di “Mai più” – che si ripete in tutti gli angoli del pianeta -, siano promesse e denaro, programmi politici e denaro, buone intenzioni e denaro, bandiere e denaro, fanatismo e denaro. Che credano davvero che i problemi del mondo si riducano alla mancanza di denaro.

E il denaro ha bisogno di strade, grandi progetti di civilizzazione, hotel, centri commerciali, fabbriche, banche, manodopera, consumatori, … polizie ed eserciti.

Le cosiddette “comunità rurali” sono classificate come “poco sviluppate” o “arretrate” perché la circolazione del denaro, cioè delle merci, è inesistente o molto limitata. Non importa che, ad esempio, il loro tasso di femminicidi e violenze di genere sia inferiore rispetto a quello delle città. I successi dei governi si misurano dal numero di aree distrutte e ripopolate da produttori e consumatori di merci, grazie alla ricostruzione di quel territorio. Dove prima c’era un campo di grano, una sorgente, un bosco, ora ci sono alberghi, centri commerciali, fabbriche, centrali termoelettriche, … violenza di genere, persecuzione della differenza, narcotraffico, infanticidi, tratta di esseri umani, sfruttamento, razzismo, discriminazione. In breve: c-i-v-i-l-i-z-z-a-z-i-o-n-e.

L’idea è che la popolazione contadina diventi una dipendente di questa “urbanizzazione”. Continuerà a vivere, lavorare e consumare nella sua località, ma il proprietario di tutto ciò che la circonda è un conglomerato industriale-commerciale-finanziario-militare la cui sede è nel cyberspazio e per il quale quel territorio conquistato è solo un puntino sulla mappa, una percentuale di profitto, una merce. E il vero risultato sarà che la popolazione originaria dovrà migrare, perché il capitale arriverà con propri dipendenti “qualificati”. La popolazione originaria dovrà irrigare giardini e pulire parcheggi, locali e piscine dove prima c’erano campi, boschi, coste, lagune, fiumi e sorgenti.

Ciò che si nasconde è che, dietro le espansioni (“guerre di conquista”) degli Stati – siano esse interne (“incorporando più popolazione alla modernità”), sia esterne con alibi diversi (come quello del governo israeliano nella sua guerra contro la Palestina) – c’è una logica comune: la conquista di un territorio da parte della merce, cioè del denaro, cioè del capitale.

Ma capiamo che queste persone, per diventare il cassiere che amministra i pagamenti e i ricavi che danno vita alla macchina, formano partiti politici elettorali, fronti – ampi o ristretti – per disputare l’accesso al governo, alleanze e rotture “strategiche”, e tutte le sfumature in cui sono impegnati lavoro e vite che, dietro piccoli successi, nascondono grandi fallimenti. Una piccola legge lì, un interlocuzione ufficiale qui, una nota giornalistica lì, un tuit qua e là, un like là, tuttavia, per fare un esempio di un crimine globale in corso, i femminicidi sono in aumento. Nel frattempo la sinistra sale e scenda, la destra sale e scende, il centro sale e scende. Come cantava l’indimenticabile malagueña Marisol, “la vita è una lotteria“: tutti (di sopra) vincono, tutti (di sotto) perdono.

Ma la “civilizzazione” è solo un fragile alibi per la distruzione brutale. Il veleno si diffonde (non più dalla Prestige – o non solo da quella nave -) e l’intero sistema sembra voler avvelenare ogni angolo del pianeta, perché distruzione e morte sono più redditizie che fermare la macchina.

Siamo sicuri che potrai aggiungere molti altri esempi. Indicatori di un incubo irrazionale, tuttavia, attivo.

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Quindi, per diversi decenni ci siamo concentrati sulla ricerca di alternative. La costruzione di zattere, cayucos, lance e anche imbarcazioni più grandi (la 6a come improbabile arca), ha un orizzonte ben definito. Da qualche parte si dovrà sbarcare.

Abbiamo letto e riletto. Abbiamo studiato e continuiamo a farlo. Abbiamo fatto analisi prima e ora. Abbiamo aperto il nostro cuore e il nostro sguardo non alle ideologie attuali o passate di moda, ma alle scienze, alle arti e alle nostre storie di popoli originari. Con queste conoscenze e strumenti, abbiamo scoperto che esiste, in questo sistema solare, un pianeta che potrebbe essere abitabile: il terzo del sistema solare e che, fino ad ora, compare nei libri scolastici e scientifici con il nome di “La Terra”. Per ulteriori riferimenti, si trova tra Venere e Marte. Cioè, secondo certe culture, sta tra l’amore e la guerra.

Il problema è che questo pianeta è ormai un cumulo di macerie, veri incubi e orrori tangibili. Poco è rimasto in piedi. Anche la cortina che nasconde la catastrofe è strappata. Allora, come posso dirtelo? Il problema non è conquistare quel mondo e godere dei piaceri dei vincitori. È più complicato e richiede, sì, uno sforzo mondiale: bisogna rifarlo.

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Ora, secondo le grandi produzioni cinematografiche hollywoodiane, l’uscita dalla catastrofe mondiale (sempre qualcosa di esterno – alieni, meteore, pandemie inspiegabili, zombie simili a candidati a qualche carica pubblica -) è il prodotto dell’unione di tutti i governi del mondo (guidati dai gringos)… o, peggio, dal governo degli Stati Uniti sintetizzato in un individuo, o individua (perché la macchina ha imparato che la farsa deve essere includente), che può avere le caratteristiche razziali e di genere politicamente corrette , ma che sul petto porta il marchio dell’Idra.

Ma, lungi da queste finzioni, la realtà ci mostra che tutto è business: il sistema produce la distruzione e ti vende i biglietti per fuggire da esso… nello spazio. E sicuramente, negli uffici delle grandi corporazioni, ci sono brillanti progetti di colonizzazione interstellare… con proprietà privata dei mezzi di produzione inclusa. In altre parole, il sistema viene traslato, nella sua interezza, su un altro pianeta. “All included” si riferisce a chi lavora, a chi vive sopra coloro che lavorano e al suo rapporto di sfruttamento.

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A volte non si limitano a guardare allo spazio. Il capitalismo “verde” si batte per le aree “protette” del pianeta. Bolle ecologiche dove la bestia può rifugiarsi mentre il pianeta guarisce dai morsi (il che richiederebbe solo pochi milioni di anni).

Quando la macchina parla di “un nuovo mondo” o “di umanizzazione del pianeta”, pensa ai territori da conquistare, spopolare e distruggere, per poi ripopolare e ricostruire con la stessa logica che ora tiene il mondo di fronte al baratro, sempre pronta a fare il passo avanti che richiese il progresso.

Potresti pensare che non sia possibile che qualcuno sia così imbecille da distruggere la casa in cui vive. “La rana non beve tutta l’acqua della pozza in cui vive“, dice un proverbio del popolo originario Sioux. Ma se intendi applicare la logica razionale al funzionamento della macchina, non capirai (beh, nemmeno la macchina). Le valutazioni morali ed etiche non servono a niente. La logica della bestia è il profitto. Certo, ora ti chiederai come sia possibile che una macchina irrazionale, immorale e stupida governi i destini di un intero pianeta. Ah, (sospiro), è nella sua genealogia, nella sua stessa essenza.

Ma, tralasciando l’impossibile esercizio di dotare di razionalità l’irrazionale, arriverai alla conclusione che è necessario distruggere questa mostruosità che non è diabolica. Purtroppo è umana.

E, naturalmente, tu studi, leggi, confronti, analizzi e scopri che ci sono ottime proposte per uscirne. Da quelle che propongono trucco e parrucco, a quelle che consigliano lezioni di morale e logica per la bestia, passando per nuovi o vecchi sistemi.

Sì, ti capiamo, la vita fa schifo ed è sempre possibile rifugiarsi in quel cinismo così sopravvalutato sui social network. Diceva il compianto SupMarco: “la cosa brutta non è che la vita fa schifo, ma che ti costringano a mangiarla e si aspettano pure che tu l’apprezzi“.

Ma supponi di no, che tu sappia che, in effetti, la vita fa schifo, ma la tua reazione non sia quella di chiuderti in te stesso (o nel tuo “mondo”, che dipende dal numero dei tuoi “follower” sui social network di adesso e a venire). E poi decidi di abbracciare, con fede, speranza e carità, alcune delle opzioni che ti vengono presentate. E scegli la migliore, la più grande, la più famosa, quella vincente… o quella che ti è vicina.

Grandi progetti di nuovi e vecchi sistemi politici. Ritardi impossibili dell’orologio della storia. Nazionalismi sciovinisti. Futuri condivisi in forza di tale opzione che prende il Potere e ci rimane fino a quando tutto non sarà risolto. Il tuo rubinetto perde? Vota per tizio. Schiamazzi nel quartiere? Vota per caio. Il costo dei trasporti, del cibo, delle medicine, dell’energia, delle scuole, dell’abbigliamento, dell’intrattenimento, della cultura è aumentato? Hai paura dell’immigrazione? Ti senti a disagio con persone dalla pelle scura, credi diversi, lingue incomprensibili, stature e carnagioni diverse? Vota per…

C’è anche chi non si discosta dall'obiettivo, ma dal metodo. E poi ripete da sopra ciò che criticava da sotto. Con disgustosi contorsionismi e argomentando strategie geopolitiche, si appoggia a chi si ripete nel crimine e nella stupidità. Si chiede che i popoli sopportino le oppressioni a beneficio della “correlazione internazionale di forze e l’ascesa della sinistra nell'area”. Ma il Nicaragua non è Ortega-Murillo e la bestia non ci metterà molto a capirlo.

In tutte queste grandi offerte di soluzioni nel mortale supermercato del sistema, molte volte non si dice che si tratta della brutale imposizione di un’egemonia, e di un decreto di persecuzione e morte a ciò che non è omogeneo al vincitore.

I governi governano per i loro seguaci, mai per quelli che non lo sono. Le star dei social network alimentano i loro seguaci, anche a costo di sacrificare l’intelligenza e la vergogna. E il “politicamente corretto” ingoia rospi, dopo aver divorato chi consiglia la rassegnazione “per non beneficiare il nemico principale”.

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Lo zapatismo è la grande risposta, un’altra, ai problemi del mondo?

No. Lo zapatismo è tante domande. E la più piccola può essere la più inquietante: E tu, che fai?

Di fronte alla catastrofe capitalista, lo zapatismo propone un vecchio-nuovo sistema sociale idilliaco e con esso ripete le imposizioni di egemonie ed omogeneità ora “buone”?

No. Il nostro pensiero è piccolo come noi: sono gli sforzi di ciascuno, nella sua geografia, secondo il suo calendario e i suoi modi, che consentiranno, forse, di liquidare il criminale e, contemporaneamente, rifare tutto. E tutto vuol dire tutto.

Ognuno, secondo il proprio calendario, la propria geografia, la propria strada, dovrà costruire il proprio percorso. E, come noi popoli zapatisti, inciamperà e si rialzerà, e ciò che costruirà avrà il nome che avrà voglia di avere. Sarà solo diverso e migliore di ciò che abbiamo subito prima, e di ciò che patiamo attualmente, se riconosce l’altro e lo rispetta, se rinuncia a imporre il suo pensiero sul diverso e se finalmente si rende conto che ci sono molti mondi e che la loro ricchezza nasce e risplende nella loro differenza.

È possibile? Non lo sappiamo. Ma sappiamo che, per scoprirlo, si deve lottare per la Vita.

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Allora, cosa veniamo a fare in questo Viaggio per la Vita se non aspiriamo a dettare strade, rotte, destinazioni? Cosa, se non cerchiamo adesioni, voti, likes? Cosa, se non andiamo a giudicare e condannare o assolvere? Cosa, se non invitiamo al fanatismo per un nuovo-vecchio credo? Cosa, se non vogliamo passare alla Storia e occupare una nicchia nel pantheon ammuffito dello spettro politico?

Ebbene, ad essere onesti in quanto zapatisti: non solo verremo a confrontare le nostre analisi e conclusioni con l’altro che lotta e pensa criticamente.

Veniamo a ringraziare l’altro per la sua esistenza. Ringraziare per gli insegnamenti che ci hanno dato la sua ribellione e resistenza. Veniamo a consegnare il fiore promesso. Abbracciare l’altro e gli diremo all'orecchio che non è solo, sola, soloa. Veniamo a sussurrargli/le che valgono la pena la resistenza, la lotta, il dolore per chi non c’è più, la rabbia per il criminale impunito, il sogno di un mondo non perfetto, ma migliore: un mondo senza paura.

E anche, e soprattutto, veniamo a cercare complicità… per la vita.

SupGaleano

Giugno 2021, Pianeta Terra


Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/06/27/la-travesia-por-la-vida-a-que-vamos/

lunedì 21 giugno 2021

Messico - Europa - Siamo arrivati

 

SIAMO ARRIVATI

20 giugno 2021

  Sarebbero le 06:59 - ora del Messico - del 20 giugno 2021, quando, da La Montaña e attraverso un orizzonte nebbioso, è stata avvistata la terra della penisola iberica. Sarebbero le 09:14:45 quando la nave ha gettato l'ancora nella baia di Baiona o Bayona, Galizia, Stato Spagnolo, Europa. Da lì è vicina, "a due passi", la geografia chiamata Portogallo, e un po' a nord-est si vede Vigo. Tutt@ stanno bene. Per ragioni burocratiche ecc. ecc., La Montaña e lo Squadrone 421 rimarranno qui, si pensa,  fino a martedì 22 alle 17:00 - data e ora di Vigo - quando avverrà lo sbarco. La Guardia Civil dello Stato Spagnolo è salita a bordo della nave, ha preso i dati dell'equipaggio e dei passeggeri, ha esaminato i passaporti ed ha effettuato i controlli di routine. Niente da segnalare. Condizioni meteorologiche: nuvoloso, piogge deboli ma frequenti, 15 gradi centigradi.

Dopo un po', diverse barche a vela con compagn@ dell'Europa ribelle si sono avvicinate per dare il benvenuto... o per verificare se fossero vere le voci che giravano tra i quartieri, i campi e le montagne del mondo che: “gli zapatisti hanno invaso l'Europa”.

A terra, ai piedi di quello che sembra un faro, un altro gruppo gridava qualcosa come “Ci arrendiamo!”… Nah, scherzo. Gridavano Zapata Vive, Benvenut@,… non si capiva bene. Portano striscioni e disegni. Per quanto si riesce a vedere, non ci sono segnali osceni - che potrebbero voler dire che non ci hanno ripudiato... non ancora -. Qualcuno un po' strano solleva un cartello che recita: “Ristorante La Palomita Insurrecta. Brodo galiziano, Empanadas Ídem e Xoubas. Sconti speciali per Invasori@, scarabei e gatto-cani”. Un altro cartello dice "Portami via di qui!" Le persone più prudenti usano gli striscioni come ombrelli.

Il cielo europeo piange commosso. Le sue lacrime si confondono con quelle che bagnano le guance - abbronzate dal sole, dal mare, dall'angoscia e dall'adrenalina - dell'intrepido Squadrone 421. Nei loro passi, nei loro sguardi, nei loro palpiti, i popoli maya - così dirà la leggenda - hanno attraversato l'Atlantico in 50 giorni e 50 notti, nel loro lungo e accidentato viaggio per la vita.

Fuori fa freddo, ma dentro, nella geografia del cuore, qualcosa come un sentimento scalda l'anima. Nelle montagne del sudest messicano il sole sorride e, dall'impianto audio, escono gioiose le prime note di una cumbia.

  Certo, manca lo sbarco, il trasferimento della delegazione aerea, l’organizzazione dell’agenda, gli incontri … e la festa della parola.

Cioè, manca tutto.

SupGaleano.
Giugno 2021

Traduzione “Maribel” - Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/06/20/llegamos/ 


Llegamos from Enlace Zapatista on Vimeo.

venerdì 18 giugno 2021

Messico - Europa - Passaporti negati a@ compagn@ indigeni

Lettera della Commissione Sexta Zapatista al Collettivo “Llegó la Hora de los Pueblos”.

Pubblicata da Camino al andar.

14 giugno 2021

Da: Il Sup Galeano.

11 giugno 2021

Al Collettivo “Llegó la Hora de los Pueblos”.

Messico.

Sorelle, hermanoas e fratelli:

Mando un abbraccio a tutt@… beh, tanti. Volevamo mandarvi un saluto… ok, parecchi e, approfittando del volo di queste parole, chiedervi un aiuto.

Per la Travesía por la Vida Capítulo Europa è stato deciso di rispettare i requisiti legali per poter raggiungere, con il nostro ascolto e la nostra parola, le terre che Marijose ribattezzerà tra pochi giorni. Tra poche ore (prendendo come riferimento il giorno e l’ora in cui vi scrivo – mattina dell’11 giugno 2021 -) questa delirante sfida chiamata “La Montaña” toccherà le terre europee nelle Isole Azzorre, del Portogallo. Lì sosteranno alcuni giorni e poi si dirigeranno verso la destinazione segnata: Vigo, Galizia, Stato Spagnolo. Poi, un gruppo partirà in aereo.

Lo “Squadrone 421” ha i documenti in regola. In altre parole, hanno doppio passaporto: quello ufficiale messicano e il “passaporto zapatista di lavoro” che viene rilasciato dalle Giunte di Buon Governo quando una compagna, compagno o compañeroa lascia il territorio zapatista per andare a svolgere un compito per le nostre comunità. Qui diciamo che va “su commissione”. In altra occasione parleremo del “passaporto zapatista”, ora vorremmo parlarvi di quello ufficiale.

Abbiamo già fatto riferimento, in scritti e discorsi, a quello che chiamiamo “il calendario e la geografia”. Bene, la nostra geografia si chiama “Messico”. E, per noi, comunità zapatiste, questa non è solo una parola. Nel senso zapatista, è una geografia. Quando diciamo che siamo “messicani” sottolineiamo che condividiamo storie con altri popoli originari (come quelli che sono raggruppati nel Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo). Storie, cioè: dolori, gioie, rabbie, umiliazioni, lotte. Ma non solo con i popoli originari di questa geografia, anche con individui, gruppi, collettivi, organizzazioni e movimenti che coincidono con noi, popoli zapatisti, nei sogni e, naturalmente, negli incubi.

Con questo voglio dire che noi, comunità zapatiste, non solo non ci vergogniamo di dire che siamo messicani, ne siamo orgogliosi. Perché questo orgoglio non nasce guardando in alto ed alle loro storielle, ma guardando, ascoltando e parlando con il Messico del basso, le sue vite e le sue morti. Non è fuori luogo raccontare, seppur velocemente, come si vive e lotta in questo Messico. Ognuno ha i suoi modi, le sue storie, le sue sconfitte e vittorie, il suo sguardo e il suo modo di spiegare il suo mondo, il suo guardarsi e spiegarsi. Ma vediamo che c’è qualcosa in comune, una specie di radice, o trama, o spina dorsale… ci deve essere un modo per dirlo in linguaggio cibernetico… una matrice o matrix? Ebbene, è in questa radice comune che ci identifichiamo.

Oh, so che più di uno, unoa, si preoccuperà che quello che sto dicendo è una versione “zapatista” del nazionalismo. No, questo a volte ci infastidisce, altre ci fa arrabbiare, e sempre preoccupare. Non mi riferisco al nazionalismo. Nei nazionalismi si nascondono, ad esempio, disuguaglianze e, attenzione, rapporti criminali. Nei nazionalismi convergono il criminale e la vittima, il Boss e il subordinato. Qualcosa di così perverso come “ti distruggo ma lo faccio per il tuo bene perché siamo compatrioti”. Qualcosa come il significato maligno che viene dato “all’umano”, ad esempio dicendo che sia gli uomini che le donne sono esseri umani. Tralascio il fatto che si dimentica che c’è chi non è né donna né uomo e, essendo senza nome, non è “un essere umano”. In questo significato di “umano” si dimentica il rapporto di dominio tra uomini e donne. Non scriverò un trattato sul patriarcato, la sua genealogia e il suo folle crimine attuale; c’è tra voi chi ne sa di più e lo spiega meglio di me.

È possibile riferirsi all’umanità senza cadere nella trappola dell’uguaglianza ipocrita? Noi pensiamo di sì, ed è riferendo l’umanità alle scienze e alle arti. Ma non solo. Anche a sentimenti, pensieri e proposte di fondo: il senso della giustizia, della morale e dell’etica (che il defunto compagno Don Luis Villoro spiegherebbe meglio di quanto io possa anche solo tentare di fare), la fraternità ed altre cose che non dettaglierò (ma voi sentitevi liberi di farlo). Ad esempio, io aggiungerei la danza – musica e canzoni incluse -, e il gioco, ma fate caso a me.

Insomma, di dettaglio in dettaglio si presenteranno le differenze, le distanze, i disaccordi. Ma, in senso inverso, si potrebbe trovare qualcosa in comune: è ciò che noi chiamiamo “umanità”.

Quindi, quando diciamo che i popoli zapatisti sono “messicani” e che siamo orgogliosi di esserlo, ci riferiamo a quella matrice comune con l’altro che lotta in questa geografia intrappolata tra il Rio Bravo e il Suchiate, con il morso dato dal mare d’oriente e la curva allungata che il mare di occidente ha forgiato alla cintola, e incluso il braccio solitario che costeggia il “Mare di Cortez”. Aggiungete la storia vera, quella delle geografie limitrofe e…

Bene, basta storie. Il punto è che la nostra delegazione aerea è in fase di rilascio dei passaporti. E dico “fase di rilascio” per delicatezza, perché è come l’inferno, che si alimenta in silenzio fino ad essere considerato “normale”.

Perché si scopre che le nostre compagne, compagni e compañeroas soddisfano tutti i requisiti richiesti, effettuano il pagamento dovuto, si spostano dalle loro comunità agli uffici del Ministero degli Esteri e, pure con la pandemia e tutto il resto, prendono appuntamenti, fanno la fila, aspettano il proprio turno e… a loro viene negato il rilascio del documento.

Gli ostacoli del governo supremo e della sua ignorante burocrazia, stolta e razzista sono oltraggiosi.

Perché si potrebbe pensare che sia solo burocrazia, che hai avuto la sfortuna di imbatterti in qualcuno che pensa di avere il Potere perché sta dietro uno schermo, una scrivania, un ufficio. Ma no, è anche altro e si potrebbe sintetizzare così: razzismo.

Le ragioni? Ebbene, ce n’è una fondamentale e, naturalmente, i suoi derivati: nel governo c’è un’atmosfera di isteria mal celata. In accordo con il suo impegno con il governo degli Stati Uniti di fermare il flusso di migranti dal Centro America, per i governi federale, statale e municipale tutto ciò che non è biondo, con gli occhi chiari e viene da più a sud di Puebla, è centroamericano. Per le autorità governative schizofreniche, la prima cosa che fa un centroamericano è: presentare il certificato di nascita, la credenziale INE (Ente Nazionale Elettorale) o i documenti di identità con fotografia (che è un documento ufficiale perché rilasciato dal municipio), e di origine nel capoluogo ufficiale, il certificato di battesimo, i certificati di nascita dei genitori o dei fratelli/sorelle maggiorenni, copie del loro INE, certificati del municipio autonomo e della Giunta di Buon Governo, testimoni oculari con identificazione ufficiale, e così via. Fatto tutto questo, la loro richiesta del documento a cui ogni messicano ha diritto per uscire ed entrare dal territorio nazionale, è respinta.

Sì, si presentano tutti questi documenti ma il problema è che, agli occhi della burocrazia del Ministero degli Esteri, ciò che conta è il colore della pelle, il modo di parlare, il modo di vestire e il luogo di provenienza. “A sud della metro di Taxqueña, tutto è Centro America“.

Tanto bla, bla, bla di diritti e di riconoscimento delle nostre radici, eccetera – inclusi ipocriti perdoni chiesti sulla terra da distruggere –, ma la popolazione originaria, o indigena, continua ad essere trattata come straniera nella propria terra. E peggio ancora a Città del Messico, che dovrebbe essere “progressista”. Lì una signora, una burocrate del Ministero degli Esteri, ha respinto la credenziale INE con un dispregiativo “questa è inutile, serve solo per votare“, ed ha chiesto alla compagna, che ha più di 40 anni, residente nella Selva Lacandona, il suo diploma di scuola superiore per dimostrare che non fosse guatemalteca. La compagna ha detto: “ma io vivo della terra, sono una contadina, non ho un’istruzione secondaria“. La burocrate, altezzosa e arrogante: “beh, non studiate perché non lo volete“. “Ma io vengo dal Chiapas”, insiste la compagna. “Non m’importa. Vediamo cosa succede”, risponde la burocrate.

La burocrazia governativa si eccita maltrattando gli indigeni? L’arroganza è il suo afrodisiaco? “Sono qui, tesoro, oggi ho ribaltato una fottuta india, ed ho molta voglia“, diranno facendo l’occhiolino con civetteria.

Per verificare se fosse razzismo e non solo burocrazia, abbiamo mandato un compagno “bianco e barbuto” a richiedere il passaporto. Glielo hanno dato lo stesso giorno e senza chiedere altro che il certificato di nascita, il documento d’identità con foto e la ricevuta del pagamento, che sono i requisiti legali.

E non solo: il Ministero degli Esteri trattiene il pagamento effettuato da tutt@ i/le compagn@ a cui viene negato il passaporto con pretesti e requisiti che non sono nemmeno sul suo sito web. Deve essere molto dura l’austerità se devono sottrarre i soldi agli indigeni.

A un compagno (di più di 60 anni) hanno chiesto: “Non è che vuoi andare negli Stati Uniti a lavorare?” Il compa ha risposto: “No, lì sarà per un’altra volta. Adesso andiamo in Europa”. Il funzionario, quale Tribunale Elettorale Federale, se ne è lavato le mani e lo ha mandato a un altro sportello. Lì gli hanno detto: “È molto lontano e il viaggio è costoso, non puoi avere i soldi perché sei indigeno. Devi portare l’estratto conto della tua carta di credito. Avanti un altro”. Ad una compagna hanno detto: “Vediamo, canta l’inno“. E la compagna ha intonato “ya se mira el horizonte“. Repinta. Mi ha detto triste: “credo che sia perché l’ho cantata con un ritmo cumbia e non come corrido ranchero. Ma la cumbia è più allegra. I corridos rancheros parlano solo di massacro di donne. Se ti chiami “Martina” o “Rosita”, allora vale”.

Lo stesso a Città del Messico: due compagne di lingua tzeltal, della Selva Lacandona. Camminano dal loro villaggio fino a dove si prende un camion de redilas fino alla capoluogo municipale; da lì con i mezzi pubblici fino a San Cristóbal de Las Casas; da lì un altro a Tuxtla Gutiérrez; da lì un altro per Città del Messico; pagano il passaporto per validità 10 anni “perché viaggiare per il mondo richiederà tempo“; si presentao in un ufficio della SRE (Ministero degli Esteri); si mettono in fila con la mascherina, lo schermo e a distanza di sicurezza; entrano e presentano i loro documenti; fanno loro una foto; aspettano fuori di essere chiamate per la consegna del passaporto; le chiamano e dicono a una di loro “una lettera del tuo cognome è sbagliata” e “tuo fratello ha un altro cognome materno”; quella del fratello: “questi fottuti uomini sono così e mio padre era un bastardo“; quella della lettera “è che la persona che ha fatto il verbale non conosce la differenza scritta tra la “s” e la ‘z'”; in entrambi i casi le/i funzionar@: risate di scherno e: “devi tornare indietro e portare più prove che sei messicana“; le compagne: “ma io vivo in Chiapas”; quella del SRE: “non rilascio niente finché non porterai quello che ho chiesto“. Le compagne tornano indietro, arrivano nella loro città e raccolgono ulteriori prove del loro essere messicane. Nuovo viaggio a Città del Messico. Nuovo appuntamento, fila con mascherina, schermo, distanza di sicurezza. Sportello. L’alta funzionaria del Ministero degli Esteri: “ora bisogna aspettare di verificare che siete messicane“. Le compagne: “ma ho portato tutto quello che mi avete detto”. La SRE: “ma dobbiamo verificare che le carte siano veritiere, poi chiederemo all’anagrafe del tuo comune e del tuo stato”. Le compagne: “Quanto tempo ci vuole?” La SRE: “10 giorni o un mese, te lo faremo sapere”. Le compagne aspettano 10 giorni e niente. Loro tornano. Passa un mese e niente. Altri 30 giorni e niente. Tornano a Città del Messico. Stesso viaggio. La SRE: “Non hanno risposto, aspettate ancora”.

E le due compagne aspettano. Hanno iniziato le pratiche a marzo ed è il mese di… giugno.

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Se avete tempo, fate questo: immaginate di essere nati con la pelle scura, di essere di origine indigena e di provenire da qualche stato del sud-est messicano. Ora controllate i requisiti per ottenere il passaporto: certificato di nascita, identificazione ufficiale con foto, o diploma professionale, o titolo professionale, o tessera militare assolto, o credenziale dell’Istituto Nazionale Pensionati, o credenziale dell’assistenza medica di un istituto di sanità pubblica; e ricevuta di pagamento.

E anche se possiedi uno o tutti questi requisiti, se hai la pelle scura, parli in modo diverso e ti vesti “come la India María” (parole testuali di un’impiegata del SRE), dovrai affrontare qualcosa tipo: “no, devi portare i voti della scuola materna, elementare, media, superiore – CCH (Colegio de Ciencias y Humanidades) no, quelli sono casinisti -, diploma, corso di specializzazione personale presso NXIVM, e una lettera di buona condotta del preside”.

Non c’è molto da dire sul INE. Impegnato com’era il grande capo Tatanka (il buon Jairo Calixto dixit – oh, oh, sì, anche io leggo la stampa gossip -) a fingere di essere una persona perbene, e Murayama ad abbaiare, non si sono nemmeno accorti che i loro “uffici” In Chiapas erano chiusi da prima del 1° febbraio, nonostante fosse stato detto che dal 1° al 10 febbraio si poteva avere accesso senza appuntamento. Così, abbiamo perso l’opportunità di mandare molti più delegati su La Montaña. E INE ha ribadito l’atteggiamento razzista che aveva dimostrato nei confronti di Marichuy.

E penso che, tra le tante interviste che hanno rilasciato e concesso ai media, neo-conservatori e neoliberisti, per difendere la “loro indipendenza” (già), non si sono accorti che la credenziale INE è anche un documento di identità ufficiale e, negandolo o ostacolandolo, negano quel diritto a qualsiasi cittadin@, alla “cittadinanza”, o qualunque cosa significhi.

Il paradosso di tutto questo è che questi indigeni a cui vengono negati la credenziale INE ed il passaporto, lottano anche per la vita di questi burocrati che credono di servire “la Nazione Messicana” rifiutando a loro piacimento dal loro piccolo trono dietro uno sportello, solo per il piacere di dire “no” a chi considerano inferiore perché ha un altro colore della pelle, un’altra lingua, un’altra cultura, un altro modo, e i cui antenati erano in queste terre molto prima che i creoli diventassero indipendenti dagli Iberici e li sostituissero nell'oppressione dei popoli originari.

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Quindi l’aiuto che vi chiediamo è di parlare tra di voi per vedere se si può fare qualcosa. Ad esempio: dare lezione di vergogna ai burocrati del SRE; dire al signor Marcelo Ebrard che capiamo che a causa dell’austerità non abbia i soldi per la sua campagna elettorale del 2024, ma che rubare agli indigeni i soldi per il passaporto e tenerseli senza dare loro il documento, beh, come posso dirglielo senza essere volgare? … è da mascalzoni. O forse li vuole per comperarsi gli impermeabili modello “Neo di Matrix”? O, con i soldi trattenuti per i passaporti negati seguano un corso di genere, tolleranza e inclusione. Oppure si comprino dei libri di storia in modo da capire quale è il luogo dei popoli originari in questa geografia.

Siamo messicani, qui ci è toccato nascere, vivere, lottare e morire. È così. Se fossimo capitati nell’Unione Americana, o in Belize o Guatemala, Honduras o El Salvador, Costa Rica o Nicaragua, saremmo lo stesso orgogliosi di quelle geografie… e denunceremmo i loro rispettivi governi per essere burocrati, razzisti e ignoranti, che è quello che facciamo con quello attuale in Messico e il suo “Ministero degli Esteri”.

Ad ogni modo, non riesco a pensare a molte altre opzioni, ma voi forse sì. Vedete voi e fatecelo sapere.

Intanto vi mandiamo (todoas, tutte e tutti) un grande abbraccio che, seppur a distanza, non è meno sincero e fraterno.

Da qualche luogo del Pianeta Terra.

Il Sup Galeano.

P.S.- Tra poche ore vi manderò un testo per la sezione sportiva della vostra pagina web… Come?! Non avete una sezione sportiva? Lascia stare Ebbene, “quid pro quo“, dare e avere, con questo testo inaugurate la “sezione sportiva” e in cambio, ci date una mano nella suddetta faccenda. Oh, lo so, siete in debito. Ma potreste, non so, mandare qualche euro ai cechi in Europa… o, meglio ancora, accompagnarci e, come dice il termine, condividere, oltre a uno spazio accogliente in un centro di detenzione per migranti, parole, ascolti, sguardi e… sapete nuotare?

Testo originale: https://www.caminoalandar.org/post/carta-de-la-comisi%C3%B3n-sexta-zapatista-al-colectivo-lleg%C3%B3-la-hora-de-los-pueblos

Traduzione “Maribel” – Bergamo

sabato 12 giugno 2021

ISOLE AZZORRE, PORTOGALLO, EUROPA

 

ISOLE AZZORRE, PORTOGALLO, EUROPA

11 giugno 2021

(Nota: calendario e tempo nella geografia del Messico).

Con il suo faccino incipriato, rinnovato e il ponte pulito, risistemate le vele – dopo aver lasciato Cienfuegos, Cuba – il 16 maggio La Montaña si è diretta ad Oriente. Ha costeggiato la spiaggia di Las Coloradas e, con la Sierra Maestra alla sua sinistra, è stata nuovamente accompagnata dai delfini convocati da Durito Stahlkäfer, che ha imprecato quando sono passati davanti all’aberrazione statunitense di Guantanamo. Di fronte ad Haiti le balene hanno salutato il suo passaggio e Durito e il Gatto-Cane sono sbarcati sull’isola di Tortuga adducendo qualcosa su un tesoro sepolto… o da seppellire. A supporto della squadra di supporto, Lupita, Ximena e Bernal hanno vomitato fraternamente, anche se credo avrebbero preferito supportare in altro modo. A Punta Rucia, Repubblica Dominicana, La Montaña si è tenuta a riposo e cauta a causa dei forti venti contrari. Il 24 maggio, all’alba e a vele spiegate (“per non spaventare il vento”, ha detto il capitano Ludwig), La Montaña si è diretta a nord. Ora sono state le orche a salutare La Montaña che lasciava le acque dei Caraibi. Tra il 25 e il 26 maggio, la nave schizofrenica – lei crede di essere una montagna – ha aggirato le Bahamas e il 27 si è diretta a Nordest, in mare aperto, Duc in Altum.

Il 4 giugno, superato il cosiddetto Triangolo delle Bermude, l’imbarcazione e il suo prezioso equipaggio si sono rivolti al sole che si affacciava ad oriente. Tra il 5 e il 9 giugno hanno navigato dove la leggenda colloca la superba Atlantide.

Sarebbero state le 22:10:15 del 10 giugno quando, tra le nebbie dell’alba europea, dalla coffa de La Montaña si riusciva ad intravedere la montagna sorella, Cabeço Gordo, sull’isola di Faial nell’arcipelago delle Azzorre, regione autonoma della geografia chiamata Portogallo, in Europa.

Sarebbero state le 02:30:45 dell’11 giugno quando la vista, “a due passi”, delle rive del porto di Horta ha inumidito gli occhi della nave e dell’equipaggio. Sulle montagne delle Azzorre erano le 07:30 del mattino di questo giorno. Sarebbero state le 03:45:13 quando una lancia dell’autorità portuale di Horta si è avvicinata a La Montaña per indicare dove avrebbe dovuto ancorare. Sarebbero state le 04:15:33 quando la nave avrebbe gettato l’ancora davanti alle altre montagne. Sarebbero state le 08:23:54 quando la barca della Capitaneria di Porto ha prelevato l’equipaggio da La Montaña per portarlo a terra per il test molecolare Covid (PRC), riportandolo poi sulla nave in attesa dei risultati. In ogni momento “l’Autorità Marittima” nel porto di Horta si è comportata con cortesia e rispetto.

L’equipaggio, passeggeri compresi, gode di ottima salute, “animato e felice, senza litigi, pettegolezzi o risse. (Nello Squadrone 421) si prendono cura l’un@ dell’altr@”.

È ora di informare chi altro, a parte l’equipaggio della Stahlratte e dello Squadrone zapatista 421, ha navigato in questo tratto. Per documentare il viaggio via mare ci sono María Secco, cineasta-fotografa indipendente, e Diego Enrique Osorno, reporter indipendente. Come squadra di supporto della delegazione zapatista c’è Javier Elorriaga.

Secondo gli usi e costumi zapatisti, queste 3 persone hanno dovuto, oltre a coprire le loro spese, presentare l’autorizzazione scritta delle loro famiglie, partner e prole. I documenti sono stati consegnati al Subcomandante Insurgente Moisés. Mogli, mariti, madri, figli e figlie hanno scritto e firmato le autorizzazioni di proprio pugno. Ho dovuto leggerle. C’è di tutto, dalle riflessioni filosofiche ai disegni dei bambini, alla richiesta precisa di una bimba di portarle una balena. Nessuno ha chiesto scarabei o cani-gatto, il che non so se sia un affronto o un sollievo. Nelle lettere infantili si scorge l’orgoglio che il padre o la madre dipendessero da un loro permesso (il classico zapatista: “le anatre sparano ai fucili”). Immagino che avrete l’opportunità di conoscere gli sguardi di María e Diego, i loro aneddoti, le riflessioni e l’apprezzamento del loro essere “in prima fila” (entrambi fanno cinema) in questo delirio. Altri sguardi sono sempre i benvenuti e rigeneranti.

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Quando la notizia si è diffusa nelle montagne del Sudest Messicano, le comunità zapatiste hanno inviato un messaggio all'equipaggio della Stahlratte, attraverso il loro capitano: “Grazie, siete fantastici”. Stanno ancora cercando di tradurlo in tedesco.

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Riflessione: il motto delle Azzorre è “Antes morrer livres que em paz sujeitos” (Meglio morire liberi che oppressi in pace).

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In lontananza, ad oriente, le colonne d’Ercole – che un tempo erano il limite del mondo conosciuto – guardavano stupite una montagna che arriva da occidente.

In fede.

SupGaleano.
11 giugno 2021

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/06/11/islas-azores-portugal-europa/

Video: https://vimeo.com/embed-redirect/561981756

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!