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martedì 14 maggio 2019

Brasile - Terrore a Rio de Janeiro: la polizia uccide nelle favelas



La megalopoli del Brasile diventa più pericolosa che mai per la sua stessa popolazione. Ma a far salire il numero di omicidi sono le stesse forze dell'ordine, spronate dal governatore Wilson Witzel - seguace della prima ora del presidente Bolsonaro - che dà loro una sostanziale licenza d'uccidere nelle favelas in nome di una supposta lotta alla criminalità

di Luigi Spera 

L’azione di tiratori scelti impiegati per abbattere sommariamente “sospetti” criminali nelle favelas è passata in pochissimi mesi da urlato slogan elettorale a realtà di terrore per decine di comunità della città di Rio de Janeiro. Il volo radente degli elicotteri da guerra della polizia con mitragliate nel mucchio in direzione di abitazioni e vicoli delle favelas è una scena ricorrente per centinaia di migliaia di cittadini delle aree carenti dello stato di Rio.

Sono gli effetti della deriva autoritaria e militarista imposta alle forze dell’ordine da parte del nuovo governatore dello Stato di Rio de Janeiro, Wilson Witzel.


Rio de Janeiro: record di omicidi della polizia nelle favelas
Wilson Witzel (sinistra) con il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro (via Flickr)
Il primo trimestre del 2019, il primo al potere del nuovo governatore carioca, sostenitore della prima ora del presidente Jair Bolsonaro e ora suo promesso concorrente nella corsa presidenziale del 2022, segna il record assoluto di assassinii commessi dalla polizia: 434. 
In crescita del 17,9 per cento rispetto al 2018. Mai se ne sono registrati tanti dall’inizio della serie storica nel 1998, anno nel quale gli «omicidi conseguenti a intervento della polizia» nel trimestre furono 73. 
E la lista si allunga quotidianamente.

Solo nel fine settimana tra venerdì 3 e lunedì 6 maggio sono state uccise 13 persone: otto nel corso di un intervento della polizia con l’uso di elicotteri nella favela di Maré, quattro nella favela di Borel. Le due più sanguinose stragi dopo quella registrata all’inizio dello scorso febbraio nella favela di Fallet-Fogueteiro, terminata con un bilancio di 13 morti.
In un’intervista di poche settimane prima, il governatore, commentando i crescenti indici di violenza della polizia, aveva affermato di avere «zero preoccupazioni» rispetto all’inquietante aumento degli esiti fatali delle azioni delle forze dell’ordine. 

E sottolineando: «Mi fido della polizia», rivendicando quindi la scelta di aver dato maggiori poteri discrezionali ai vertici militari.

«Quando ho soppresso la Segreteria di Pubblica Sicurezza, l’obiettivo era esattamente quello di dare alla polizia maggiore protagonismo e il potere decisionale».

La guerra al crimine di Witzel: Rio ora è più pericolosa
La novità della politica di «guerra al traffico di droga» basata sulla violenza sommaria e caratterizzata dalla mancanza di indagini, è la sovraesposizione mediatica del governatore. Wilson Witzel non si nasconde, non smentisce. Non temendo ripercussioni o conseguenze per la sua condotta politica e personale, il governatore non ha esitato, per esempio, ad ammettere in pubblico di stare impiegando tiratori scelti contro i trafficanti in maniera arbitraria e segreta, pur trattandosi di un impiego illegale.

Più volte si è fatto riprendere mentre prende parte ad azioni goliardiche militaresche, esercitazioni e azioni violente della polizia. L’ultima in ordine di tempo lo scorso 4 maggio, quando Witzel ha condotto sul campo di un’operazione contro il traffico di droga in una favela di Angra dos Reis in diretta social. Nel video pubblicato su Twitter il governatore è ritratto mentre sorvolando in un elicottero blindato della polizia una comunità annuncia un blitz per «finirla con la criminalità» ad Angra dos Reis.

Governatore di Rio de Janeiro denunciato per violazione dei diritti umani
Dopo cinque mesi di interventi di questo genere, la commissione diritti umani dell’Assemblea legislativa dello stato di Rio de Janeiro (Alerj) ha denunciato il governatore Wilson Witzel all’Onu e all’Organizzazione degli stati americani (Osa) per la sua politica di pubblica sicurezza ascrivibile, secondo la commissione, ai reati di «tortura, crimini contro l’umanità e imposizione arbitraria di pena di morte».

Nella sua relazione, la deputata Renata Sousa del Partito socialismo e libertà (Psol) definisce la politica di Witzel «genocida». «I discorsi del governatore non sono solo controversi, sono irresponsabili. Witzel non si presenta come uno statista, un mediatore di conflitti. Le sue dichiarazioni mostrano che non esiste una politica pubblica a Rio per ridurre gli omicidi. Promuove il contrario».

Favelas a Rio de Janeiro – Foto: a l o b o s (via Flickr)
Accanto ai legislatori dell’assemblea di Rio, si sono schierati anche nove deputati federali, che hanno firmato una dichiarazione durissima contro «la politica omicida che è stata messa in pratica nello stato e divulgata con fervore nelle reti sociali del governatore. Le persone coinvolte in reati devono essere processate e punite in conformità con le leggi dello stato brasiliano. Il governatore di Rio non può, arbitrariamente, istituire la pena di morte, in diretto disprezzo della Costituzione brasiliana, o mettere in pericolo la vita dei residenti delle comunità. La politica adottata da Witzel è incostituzionale, è un crimine contro l’umanità e viola i trattati internazionali firmati dal Brasile, tra i quali la Convenzione di Ginevra e lo Statuto di Roma (istitutivo del Tribunale Penale Internazionale). Questa politica banalizza la violenza e ufficializza la barbarie in uno stato che già vive con un aumento allarmante delle morti derivanti dall’azione della polizia».

venerdì 9 novembre 2018

Brasile - Tra le braccia di Bolsonaro. Genealogia dell’ascesa

Riportiamo una intervista a cura di Giuseppe Orlandini pubblicata su Napoli Monitor che ringraziamo.
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Bruno Cava è docente dei corsi liberi di cinema e di filosofia che ogni anno raccolgono centinaia di persone presso istituzioni quali il Museu da República, la Cinemateca Museu de Arte Moderna e la Casa de Rui Barbosa, a Rio de Janeiro. Partecipa alla rete Universidade Nômade da più di dieci anni, producendo co-ricerca su movimenti sociali e lotte urbane. È editore della rivista Lugar Comum e pubblica in vari siti e blog, tra i quali Open DemocracyThe GuardianLe Monde DiplomatiqueAl Jazeera, e su riviste come le francesi Multitudes e Chimère e la nordamericana South Atlantic Quarterly. Laureato in ingegneria e in filosofia del diritto, ha scritto vari libri, tra cui: A multidão foi ao deserto (São Paulo, Annablume, 2013). Nel 2017 ha lanciato insieme ad Alexandre Mendes il libro A constituição do comum (Rio de Janeiro, Revan). Lo abbiamo raggiunto via mail dopo il risultato del ballottaggio per le elezioni in Brasile, per comprendere più accuratamente le origini della vittoria del candidato dell’estrema destra.
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Con l’elezione di Jair Bolsonaro, quel che con grande approssimazione viene definito il nuovo ciclo politico reazionario globale, in Brasile assume contorni drammatici. Così come per altri contesti, la sua elezione segna la crisi di egemonia della governamentalità neoliberale e la disposizione a dosi misurate di “guerra civile”? Se così è, considerando che la realtà brasiliana già si distingue per un’intensità pronunciata della violenza e del biopotere, quali forme potrà assumere tale esito? Cosa aspettarsi da un governo Bolsonaro?

La crisi del 2008-09 al Nord è stata letta come un’opportunità per il Sud globale. Gli Stati Uniti e l’Europa occidentale hanno adottato una politica monetaria espansiva, che i governi di Russia, Cina e Brasile hanno interpretato come una chance per investire nell’industrializzazione, stimolare la produzione e l’occupazione. 
Dilma è stata scelta per succedere a Lula perché rappresentava questo nuovo passo: la fase due del “lulismo”. 

Se la crisi della globalizzazione neoliberale veniva letta come divorzio tra capitalismo e democrazia liberale, in Brasile si pensava che ciò consentisse una “fuga in avanti”, lo sbocco verso uno stadio dirigista dello sviluppo. 
L’esperienza sviluppista però è stata un fiasco: una parte dell’investimento si è perso nell’inefficacia dei progetti e nella mancanza di pianificazione, l’altra parte è stata consumata dalla corruzione miliardaria che ha coinvolto il Partito dei Lavoratori (PT)
Nel 2015, dopo essere stata rieletta l’anno precedente, Dilma riconosceva la crisi terrificante che colpiva il paese e chiamava un banchiere della scuola di Chicago per gestire il ministero dell’economia e avviare un aggiustamento fiscale. 
Quando l’anno successivo le strade si sono riempite di milioni di manifestanti, il paese era in bancarotta, con sfrenati tassi di disoccupazione e indebitamento. 
Il governo Temer (2016-18) ha continuato la politica di aggiustamento che Dilma aveva fallito a causa della perdita di sostegno sociale e politico, attraverso alcune riforme, per quanto insufficienti e limitate. 

Oltre alla retorica incendiaria stile Trump, la prima sfida di Bolsonaro è affrontare la crisi fiscale dello stato e realizzare la riforma della previdenza e dei servizi pubblici senza aggravare le tensioni urbane, che sono già un orizzonte visibile in alcune metropoli. 
Il capo economista del presidente eletto è un guru neo-liberale che promette di rivoluzionare il sistema di protezione sociale del paese, unificando le imposte e i regimi pensionistici, arrivando a promettere anche un reddito di cittadinanza di importo pari o superiore alla bolsa familia, marchio di fabbrica del lulismo. 
In questo senso, Bolsonaro non tende a rappresentare l’arrivo di un nuovo tipo di fascismo, un’eccezione sovrana, ma la nuova modulazione di una normalità che è già socialmente fascista (biopotere)
Il Brasile è un paese ultra-violento, con un tasso di omicidi superiore alla somma di tutti i paesi in Europa (inclusa la Russia) e degli Stati Uniti. 
La maggior parte della popolazione vive già in condizioni di paura e ricatti a causa di istanze violente che operano nella zona grigia tra il potere del crimine e il crimine del potere, siano essi narcotrafficanti, milizie parapolitiche o oligarchi mafiosi del territorio. 
Bolsonaro, oltre alla retorica trumpista, è inteso come un giustiziere i cui “eccessi e deliri” sono tollerati in nome della protezione militare di fronte a un male maggiore. Il rischio del fascismo, quindi, non sta in uno Stato Fascista, ma nella risonanza del nuovo presidente con la rete di micro-fascismi già in atto, in un fascismo che è soglia mobile e zona grigia.

I discorsi di odio, le allusioni a un’esplicita volontà di rottura con il regime democratico e con il rispetto dei diritti umani, le terribili dichiarazioni contro gli oppositori, i neri, i poveri, le donne e le LGBTQ, già hanno provocato una escalation di violenza e sono stati ampiamente riportati dalla stampa nazionale ed estera. Tuttavia è necessario comprendere le condizioni di possibilità del fenomeno Bolsonaro. Un certo consenso di sinistra vede nella sua affermazione l’apoteosi del cosiddetto golpismo che, dalle giornate di giugno del 2013, passando per l’impeachement del 2016 e l’arresto di Lula nel marzo di quest’anno, si sarebbe abbattuto sul paese. Al di là di questa teleologia conciliatoria e del paradosso di un golpe che si suggella per via elettorale, qual è una possibile genealogia del fenomeno?

venerdì 26 ottobre 2018

Brasile - Le comunità quilombas in lotta contro una seconda schiavitù



Durante gli anni della schiavitù americana a migliaia furono deportati da diverse zone dell’Africa per lavorare nelle piantagioni e nelle industrie della zona del Salvador. Tre milioni furono gli africani impiegati dagli schiavisti brasiliani: per ogni schiavo che arrivava in Nord America, dodici erano pronti a sbarcare nei porti brasiliani. Col tempo questi ultimi, nonostante le le logiche schiaviste volte ad evitare la formazione di piccole comunità nelle riserve, hanno costituito la nervatura del sistema di lavoro delle colonie e, in termini demografici, sono andati a costituire circa la metà della popolazione in loco.
Le condizioni erano durissime, i tassi di mortalità incredibilmente alti. Si trattava di luoghi inaccessibili ai colonizzatori bianchi, dove i fuggitivi vivevano di sussistenza, replicando usanze e riti ereditati dal passato africano.
Questo fino al 13 maggio 1988, quando in Brasile venne formalmente abolita la schiavitù, ma per le comunità di schiavi originari dell’Africa questa data rappresenta solo l’inizio di una seconda segregazione.
Dal 14 maggio per loro non c’è stato un piano di politiche pubbliche integrative, nessun livello di sanità garantito, niente cibo. Tutto ciò fino al 2002 quando il Presidente Lula avviò, attraverso il decreto 48/87, la procedura di riconoscimento delle comunità nel Paese. Nati dagli schiavi che fuggivano dalle proprietà dei negrieri i quilombas ad oggi riconosciuti in Brasile sono circa 5mila. Distribuiti su tutto il Paese, ma prevalentemente organizzati nella zona del Rio Paraguacu (Salvador), i quilombas incontrano ancora oggi numerose difficoltà.
La prima, secondo il difensore dei diritti umani Ananias Vian, è il mancato riconoscimento della storia di queste comunità che non viene menzionata nei libri scolastici, scritti con visione eurocentrica e colonizzatrice. Proprio per questo è stato avviato un progetto per la realizzazione collettiva di un testo paradidattico che riconosca la storia delle comunità afro. Il libro si chiama Rapporto antropologico di contestualizzazione storica e geografica della comunità ed è stato scritto nell’ultimo anno da una squadra di antropologi, storici e geografi per ricostruire l’origine e lo sviluppo di questa comunità antica e in attesa di riconoscimento.
Questo è lo strumento che ci permetterà di ottenere quanto ci spetta di diritto, è il primo passo di una strada che dobbiamo continuare a percorrere insieme
Una sorta di carta d’identità, tappa fondamentale per vedere certificati la propria esistenza e soprattutto l’accesso alla terra che il gruppo rivendica.
In loco, infatti, la cultura afrobrasiliana non solo non viene riconosciuta, ma viene anche apertamente messa al bando dalle numerose comunità religiose di evangelisti presenti nella zona che arrivano a bollare come culti diabolici le tradizioni locali.
Come spiega Leonardo di Blanda di COSPE Brasil, onlus attiva localmente con diversi progetti, i problemi non si esauriscono sul piano culturale, ma si manifestano trasversalmente su tutti gli aspetti della vita dei quilombas, a partire dalle terre su cui questi vivono.
Con l’abolizione della schiavitù le comunità afrobrasiliane si sono trovate a vivere dove prima venivano sfruttate, senza nessun documento di passaggio di proprietà. I quilombas hanno quindi nel tempo avviato dei processi di autocertifiazione molto lunghi ed onerosi che vengono spesso ostacolati dal fenomeno dei grilleiros, persone che rivendicano con titoli fittizi la proprietà sulle terre, il più delle volte parenti dei vecchi schiavisti della zona.

mercoledì 24 ottobre 2018

Brasile - L'urgenza di cercare nuove strade

Ele Nao, femministe manifestano contro Bolsonaro. Foto Medium
di Raúl Zibechi

La schiacciante votazione che ha ricevuto Jair Bolsonaro al primo turno delle elezioni brasiliane, che lo colloca alle porte della presidenza, è però una buona opportunità affinché, come persone di sinistra, riflettiamo sulla necessità di percorrere nuove strade. Non basta, pertanto, limitarsi a denunciare quello che già sappiamo: il carattere militarista, autoritario e di ultra-destra del candidato. È necessario spiegare perché mezzo paese lo vota e che implicazioni comporta per il progetto di emancipazione.

Il Brasile vive una profonda frattura di classe, di genere e di colore della pelle che si manifesta in maniera nitida nei partiti della destra, i quali hanno delineato i loro obiettivi in modo chiaro e trasparente: vogliono installare una dittatura mantenendo il sistema elettorale. La sinistra crede in una democrazia inesistente, basata su una impossibile conciliazione delle classi. Se Bolsonaro è fascista, come dicono il PT e i suoi intellettuali, dobbiamo ricordare che non è mai stato possibile sconfiggere il fascismo, votando. È necessaria un’altra strategia.

L’altra è la frattura geografica: un paese diviso tra un sud ricco e bianco e un nord povero e nero/meticcio. Il fatto curioso è che tanto il PT che i principali movimenti sociali sono nati nel sud, dove hanno avuto alcuni governi statali e municipali. Quella regione è adesso l’epicentro della profonda svolta a destra, con chiaro contenuto razzista e machista.

Dobbiamo spiegarci le ragioni per le quali le élite e le classi medie abbienti hanno prodotto questa fenomenale svolta, disertando dal loro partito preferito, la socialdemocrazia di Fernando Henrique Cardoso, per Bolsonaro. Hanno abbandonato la democrazia e conservano appena le elezioni, come maschera della dominazione.

La ragione principale la spiega in una interessante intervista il filosofo Vladimir Safatle. “Il Brasile arriva al 2018 con due delle sue maggiori imprese che sono pubbliche, così come due delle maggiori banche. Per di più, con un sistema sanitario che copre 207 milioni di persone, gratuito e universale, qualcosa che non possiede alcun paese con più di 100 milioni di abitanti”. Safatle aggiunge che le università non sono solo per le ricche minoranze  e conclude che “il Brasile arriva ai nostri giorni in una situazione molto atipica dal punto di vista del neoliberalismo”.

L’autoritarismo è il modo per imporre l’agenda necessaria al sistema finanziario, all’agro-business e alle compagnie minerarie affinché possano continuare ad accumulare ricchezza in un periodo di crisi sistemica. Non lo possono fare senza reprimere i settori popolari e criminalizzare i loro movimenti. Per questo Bolsonaro convoca i militari e la polizia e si permette di minacciare l’attivismo sociale, con modi molto simili a quelli della ministra della Sicurezza argentina Patricia Bullrich, che accusa i movimenti sociali di mantenere rapporti “molto stretti” con il narcotraffico, quando tutti sappiamo che è la polizia quella che lo protegge.

Il razzismo, la violenza anti-LGBT e l’odio verso la sinistra da parte delle classi medie brasiliane, mostrano il volto occulto del paese con la maggiore disuguaglianza del mondo. Non vogliono perdere i propri privilegi di colore, di genere, di posizione geografica e di classe. Poco gli importa che vengano assassinate più di 60 mila persone ogni anno, nella stragrande maggioranza giovani, neri, poveri, perché sanno che quello è il prezzo per mantenere i loro privilegi.

Marielle Franco, una delle principali voci di opposizione all’occupazione militare di Rio assassinata nel marzo di quest’anno. Foto Resumen.cl
Davanti a questo scenario, le sinistre non devono continuare ad aggrapparsi a una strategia che è stata delineata per altri tempi, quando il dialogo di classe era ancora possibile. Nel precedente mezzo secolo siamo passati dalla strategia della lotta armata alla strategia puramente elettorale. Entrambe hanno in comune l’obiettivo di prendere il potere e concentrano tutte le loro batterie in quella direzione.

martedì 27 marzo 2018

Brasile - Perché hanno deciso di uccidere Marielle

La profonda indignazione popolare, in Brasile e nel mondo, ha impedito la manovra dei media nazionali volta puntualmente a far annegare l’esecuzione di Marielle Franco nel generico pantano dell’insicurezza. Alcuni giorni prima dell’assassinio della femminista, una sua consulente era stata avvicinata da un uomo che le aveva chiesto in tono minaccioso se lavorasse con la consigliera Franco, quella che aveva denunciato il comportamento del battaglione della Polizia Militare di Río de Janeiro nel quartiere di Acarí, considerato il più letale dello Stato. L’esecuzione di Marielle, così come la totale consegna degli enormi problemi della sicurezza della città Río de Janeiro nelle mani dei militari, è allo stesso tempo un laboratorio, che serve a misurare la reazione popolare alla repressione, e una minaccia per intimidire chi resiste alle nuove politiche

Foto tratta da Kaos en la Red

di Silvia Adoue*

I passi precedenti

A questo punto, in tutto il mondo si sa che Marielle Franco aveva 38 anni. Che era nera. Che era nata nella favela di Maré. Che era femminista. Che aveva una figlia adolescente e una moglie. Che si era laureata in sociologia. Che aveva terminato il suo master facendo una ricerca sulla politica di installazione nelle favelas delle Unità di Polizia Pacificatrice. Che per molti anni era stata consulente del deputato Marcelo Freixo, del Partito Socialismo e Libertà, colui che aveva indagato il modo di agire delle “milizie” che controllano e lucrano su quei territori e agiscono come sicari. Che, candidata per il medesimo partito, divenne la quinta consigliera più votata della città di Río de Janeiro con più di 46 mila voti, dei quali 16 mila erano del suo quartiere. Che tanto lei come Marcelo Freixo si occupavano specialmente della sicurezza pubblica, e della violenza della polizia.



Nella sua dissertazione del master, Marielle scrisse che le Unità di Polizia Pacificatrice, distaccamenti installati nei territori a partire dal 2008, ben lontane dal combattere la criminalità, rafforzano il modello di “Stato Penale”: “Il segno più emblematico di questo quadro è l’assedio militarista nelle favelas e il crescente processo di incarceramento, nel suo senso più ampio”. Per lei, quella politica:

“per il discorso della ‘insicurezza sociale’, applica una politica diretta alla repressione e al controllo dei poveri [… per] contenere gli insoddisfatti o ‘esclusi’ dal processo […] sempre più collocati nei ghetti delle città e nelle prigioni.”

Il mese passato, il governo federale è intervenuto militarmente nello stato di Río de Janeiro, nel settore della sicurezza pubblica, con la giustificazione di mettere fine al narcotraffico. L’argomento non sembrava convincente, giacché altri stati presentavano una maggiore incidenza di azioni di organizzazioni dedite a quella pratica. Il contesto è di bancarotta delle casse dello stato di Río, con impiegati pubblici che da mesi non ricevono il salario. Durante il carnevale, c’è stata una proliferazione di murghe di quartiere e di Scuole di Samba ufficiali che hanno criticato il governo, per la sua controriforma del lavoro, e i grandi mezzi di comunicazione poiché manipolano l’opinione pubblica. Il governo aveva bisogno di una “agenda” che gli permettesse di guadagnare tempo per approvare la controriforma della previdenza, regolata, come le altre controriforme, per tutti i paesi della nostra regione.

Ricordiamo il ruolo da protagonista che ebbe l’Esercito brasiliano nell’intervento militare ad Haiti, agendo nella repressione delle aree urbane. La rete di organizzazioni comunitarie dello stato temeva che, così come era avvenuto nel passato, invece di combattere il narcotraffico, l’intervento straripasse in maggiore truculenza contro la popolazione della periferia. Il governo annunciò di istituire ordini di perquisizione collettivi, che abbracciassero grandi aree delle favelas. Dovette retrocedere, la proposta non ha consistenza legale. Il comandante dell’Esercito, generale Eduardo Villas Bôas, giunse a dire che era necessario che i militari avessero una garanzia che in futuro non sorgesse una “nuova commissione della verità”, che indagasse il loro modo di agire durante questa azione a Río de Janeiro.

Durante le settimane che precedettero la sua esecuzione, Marielle, come era affettuosamente chiamata la consigliera, stava denunciando le pratiche del 41° Battaglione della Polizia Militare di Río de Janeiro nel quartiere di Acarí, considerato il più letale dello stato. Dopo l’assassinio, molti dirigenti comunitari di Acarí e di altri quartieri hanno dovuto cautelarsi, perché sono minacciati. A Río de Janeiro, solo nel primo trimestre del 2017, ci sono stati 577 casi di morte di civili in “atti di resistenza”, qualcosa come “scontri” creati, figura che è considerata un eufemismo per “esecuzioni”. È il crimine che è più cresciuto nello stato relativamente al primo semestre dell’anno precedente: 45%. Marielle era diventata anche relatrice della Commissione della Camera Municipale che sarebbe servita come osservatorio dell’intervento militare.



Alcuni giorni prima della sua esecuzione, una consulente della consigliera era stata avvicinata da un uomo che le chiese con tono minaccioso se lavorasse con Marielle Franco. La settimana precedente, un consigliere che aveva avuto il suo mandato annullato, poiché apparteneva alle “milizie”, entrò nella Camera Municipale senza autorizzazione né con un consistente motivo. E la notte di mercoledì scorso l’attuale marito dell’ex-moglie di questo consigliere fu giustiziato in un ristorante. Nessuno darebbe molta importanza a questi episodi se la medesima notte di mercoledì non avessero giustiziato Marielle.

La rotta delle munizioni

martedì 13 settembre 2016

Quel che ci dice oggi il Sudamerica

1416095665_195366_1416095826_album_normalL’avanzata delle destre in Brasile segna una tendenza che investe l’intero Sudamerica. Non è un ritorno al passato, come dice chi piange la perdita delle “conquiste” dei governi progressisti. Per comprenderla, bisogna guardare più alla britannica May o a Hillary Clinton che non alle vecchie dittature. Il suo successo è stato favorito dalla crescita di una cultura attenta solo ai consumi e tesa ad allontanare la gente dalla politica, i leader progressisti l’ hanno incentivata sempre e senza esitazioni. La nuova destra non ha rispetto per la democrazia né scrupoli per la legalità, è guerrafondaia e disposta a radere al suolo nazioni intere, come, d’altra parte, è stato fatto in mezza dozzina di paesi asiatici e mediorientali. Si affacciano, tuttavia, nuove e impreviste resistenze. Quello che si profila, in Brasile e altrove, è un imminente scontro di treni tra los de arriba y los de abajo, tra chi sta sopra e chi sotto
 di Raúl Zibechi

mercoledì 20 aprile 2016

Brasile - Guardare il Brasile dell’impeachment contro la presidente Dilma Rousseff ...

.. per riflettere sul referendum sulle trivelle. Può servire?


C’era una volta la storia di un paese balzato ai primi posti delle classifiche internazionali per la crescita, la sua sigla era l’inizio di BRICS .. ovvero di nuove (India, Cina e Sudafrica) e vecchie (Russia) potenze che nella globalizzazione affermavano il proprio ruolo nel mercato mondiale, con PIL in crescita costante. Il paese è il Brasile.
Ma era un altro tempo, un’altra epoca. Ora le crescite vertiginose sono solo un ricordo. Mentre si conferma come il "mercato dei soldi" sovrasta enormemente le cosiddette "economie reali".
Un dato, illustrato in un articolo per Il Manifesto di Luigi Pandolfi, lo spiega chiaramente "nel 2014 il valore dell’economia finanziaria a livello mondiale ha toccato la cifra astronomica di circa un trilione di dollari (mille mila miliardi) contro un Pil globale (ricchezza materiale prodotta) di soli 78 bilioni (75 mila miliardi). Un rapporto di 13 a 1".
E’ questo tempo, quello del capitalismo finanziario del mercato unico globale, nel quale oggi il Brasile occupa la cronaca per l’apertura da parte della Camera dei deputati di un procedimento di impeachment nei confronti della presidente Dilma Rousseff, il cui mandato scade nel 2018. Adesso la parola passa al Senato.
Il paese è spaccato da un lato i sostenitori di Dilma e gli esponenti della maggioranza insieme a movimenti sociali importanti come i Sem Terra gridano al colpo di stato, dall'altro gli oppositori di ogni variante, sostenuti da poteri forti, che vedono l’occasione per dare il colpo finale alla storia partita con la presidenza di Lula.
E’ nei mutamenti globali, nell'assestarsi post crisi del capitalismo finanziario, che possiamo vedere le cause dei cambiamenti nel gigante brasiliano.
Le politiche di Lula prima, nella passata fase della globalizzazione dei mercati, e di Dilma poi, si basavano sulla possibilità di far marciare insieme una crescita basata su esportazioni di materie prime, come minerali ferrosi, agrobusiness spinto anche con l’uso di OGM, come il caso della soia, commercio con potenze come la Cina, con iniziative di redistribuzione sociale, puntando sulla crescita interna. Senza dimenticare il petrolio.

domenica 1 marzo 2015

Brasile - Impeachment della destra per Dilma e dichiarazioni di Stedile

Intervista a  J.P. Stedile tratta da Carta Capital del 27.02.2015

Lei è tra quei rappresentanti dei movimenti sociali che si sentono traditi dal governo di  Dilma Rousseff?

No, sono tra quelli che hanno fatto la campagna per la rielezione per garantire i cambiamenti che migliorino le condizioni di vita del popolo. Aspetto da tempo che la presidente e il suo governo capiscano il mandato delle urne.

Come può la presidente recuperare la fiducia dell’elettorato che ha scelto di mantenere il PT al potere per altri quattro anni?

Purtroppo, il governo Dilma ha cominciato male, ha dato segnali di accettazione delle pressioni della destra e dell’agenda neoliberista.
Ha sbagliato nel formare un governo con rappresentanti conservatori e annunciare tagli dei diritti dei lavoratori.
Ha sbagliato ad accettare il progetto di legge che apre al capitale straniero l’area della sanità.
Ha sbagliato nel rinviare l’assunzione di un atteggiamento più incisivo e dimettere la direzione della Petrobras, installare una commissione della società per un’audizione e salvare l’impresa dal furore di chi vuole privatizzare l’accesso al pre-sal.
Tutto questo porta alla perdita della base sociale che aveva appoggiato Dilma al secondo turno.
Spero che il governo recuperi credibilità. Da parte nostra ci mobiliteremo per il cambiamento di queste misure sbagliate.

martedì 28 ottobre 2014

Brasile - Sem Terra e senza Tetto programmano sempre maggiori mobilitazioni nel 2015

I principali gruppi di Senza Terra e di Senza Tetto nel paese si stanno già organizzando per intensificare le mobilitazioni nel 2015. Sia il Movimento dei Lavoratori Senza Terra (MST) che il Movimento Senza Tetto (MTST) non hanno dichiarato sostegno a nessun candidato al primo turno, ma hanno dichiarato che avrebbero votato per Dilma Rousseff (PT) al ballottaggio, contro Aecio Neves (PSDB), considerato una minaccia per le conquiste del periodo precedente.
di Camilla Veras Mota do Valor   (traduzione Antonio Lupo)

Per Gilmar Mauro, coordinatore nazionale del MST, l'esaurimento del modello di crescita in cui " guadagnano sia i lavoratori che i padroni" - inaugurato dal PT e difeso in parte anche nel discorso elettorale del candidato tucano - e la composizione più conservatrice del Congresso neoeletto, dove il gruppo legato all'agribusiness da gennaio 2015 avrà 273 deputati e senatori (il 33% in più rispetto alla legislatura precedente), deve stimolare l'attività dei movimenti sociali. "Il prossimo governo dovrà scegliere chi perderà , e abbiamo bisogno di lottare perché non siano i lavoratori."

Il programma d'azione comincerà ad essere discusso entro la fine dell'anno.

sabato 22 marzo 2014

Brasile - “Trasformare trasformandosi” - intervista a Gilmar Mauro leader dei Sem Terra

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"Cambiate tutto, rovesciate il tavolo, costruite nuove forme, sperimentateCosì è nato il movimento”.


di Raúl Zibechi
“La nostra maggior vittoria è stata aver costruito un’organizzazione di contadini che ha riscattato la storia della lotta per la terra, è durata tanto tempo, ha mantenuto l’unità interna ed è diventata un punto di riferimento, anche internazionale”, così riflette, a mo’ di bilancio, Gilmar Mauro, dirigente storico di uno dei maggiori movimenti sociali del mondo (Carta Capital, 10 febbraio del 2014).

Tra il 10 e il 14 febbraio il Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra  (Mst) ha tenuto il suo sesto congresso a Brasilia, forse il più importante dei suoi trenta anni, perché questa volta il doveva definire nuove rotte. Tra i 12 e i 15 mila delegati hanno partecipato all'incontro, che si è distinto, com'è abituale nel movimento, per la solida organizzazione, basata sulla disciplina e il lavoro collettivo, ma anche per il carattere festoso, la mistica che si è manifestata lungo tutto l’evento con canzoni, rappresentazioni e performance che hanno dato quel tocco di emozione che si è convertito in segno di identità dell’organizzazione contadina. Un enorme accampamento autogestito, con tutti i servizi a carico del movimento, ha accolto i delegati.
Prima di concludere il sesto congresso, i delegati hanno marciato fino al Palazzo di Planalto, dove ci sono stati scontri con la polizia. Una nutrita delegazione del Mst è stata ricevuta da Dilma Rousseff giovedì 13 febbraio. Di fronte all'ampia lista di richieste insoddisfatte presentata dai Sem terra, che accusano il governo di aver concesso insediamenti al minor numero di contadini dal tempo della fine della dittatura, la presidente ha risposto con un laconico: “Dateci tutte le informazioni che potete su ciò che si sta facendo male, faremo dei cambiamenti”.

venerdì 7 febbraio 2014

Brasile - Scontri a Rio durante la protesta contro l’aumento dei prezzi dei mezzi pubblici

Almeno sette persone sono rimaste ferite, una in modo in grave, la sera del 6 febbraio negli scontri tra i manifestanti e la polizia a Rio de Janeiro, in Brasile. Le violenze sono avvenute durante una protesta contro l’aumento dei prezzi del trasporto pubblico alla stazione centrale.
Gli scontri sono avvenuti alle 18 (ora locale) e sono rimasti coinvolti anche diversi pendolari. Gli agenti hanno lanciato gas lacrimogeni, mentre gli attivisti hanno tirato pietre e bombe molotov.
La persona ferita gravemente è un cameraman della televisione brasiliana Band. L’uomo, colpito alla testa da un ordigno esplosivo, si trova attualmente in ospedale. Almeno ventotto manifestanti sono stati arrestati, scrive la Folha de São Paulo.

Alcune immagini girate sul posto dal sito A Nova Democracia.



Da più di un anno in Brasile sono in corso manifestazioni contro la corruzione e le spese eccessive del governo per organizzare i mondiali di calcio del 2014, in programma dal prossimo 12 giugno.
Una protesta simile a quella di Rio era scoppiata alla fine di maggio a São Paulo, quando i politici locali hanno annunciato l’aumento delle tariffe dei mezzi pubblici. Dopo settimane di proteste, l’aumento è stato cancellato.
La settimana scorsa il sindaco di Rio, Eduardo da Costa Paes, ha annunciato l’aumento del 9 per cento dei biglietti dell’autobus, che entra in vigore il 7 febbraio. A quel punto è stata organizzata una protesta di Passe livre, un movimento a favore del trasporto pubblico gratuito, di fronte alla chiesa di Candelária.

La manifestazione inizialmente è stata pacifica. Poi il corteo si è spostato verso la stazione centrale, dove sono cominciati gli scontri.

tratto da Internazionale

lunedì 16 dicembre 2013

Brasile - Desalojo dell'Aldeia Maracanã

Il governatore Cabral manda i Choque a sgomberare lo storico luogo degli indigeni accanto allo stadio di Rio de Janeiro. I preparativi per i Mondiali 2014 si fanno sempre più imponenti. 

I preparativi per i Mondiali di Calcio 2014 sono già iniziati da molto tempo in Brasile, soprattutto a Rio de Janeiro. All'insegna della gentrificazione e speculazione urbana, la governance carioca ha deciso nelle giornate di ieri e oggi [15-16 dicembre] di portare a termine uno dei compiti che durante lo scorso anno, grazie alle resistenze e ai movimenti sociali deflagrati in tutto il Paese, non era riuscita a realizzare: sgomberare l'Aldeia Maracanã, storico luogo ospitante il museo e l'università indigena situato proprio al lato dell'ormai celeberrimo stadio. Il grande evento, prima della Confederation Cup e adesso dei Mondiali ha imposto un ampliamento dello stadio di Maracanã la cui estensione interessa appunto anche lo spazio dell'Aldeia. 
Con la complicità e la connivenza reciproche la Camara Municipal, il Governo di Cabral e le varie organizzazioni sportive vogliono cancellare tutta la storia ricca di eventi di liberazione dalle forme di schiavitù e subalternità, a cui gli indigeni erano costretti per secoli, rappresentati da quel luogo simbolico. 
La comunità indigena è sempre stata protagonista delle mobilitazioni per l'autodeterminazione e la giustizia sociale, lottando con forza contro i tentativi di esproprio delle loro terra, tramite cui avevano piena sovranità alimentare e indipendenza dal lavoro sfruttato del latifondo, e riuscendo spesso a connettersi ad altri percorsi di rivendicazione.
Proprio per tutti questi motivi, una prima mobilitazione degli indigeni coalizzati con i vari movimenti di lotta per la casa era riuscita a rioccupare l'Aldeia dopo il primo violentissimo sgombero, creando al suo interno una sorta di acampada permanente con anche funzione abitativa, visto che alcuni indigeni vi hanno sempre continuato a vivere durante gli ultimi anni.

giovedì 25 luglio 2013

Brasile - Divieti, controlli e commissioni speciali - la paranoia sicurezza tra visita del Papa e proteste.

In occasione della visita del Papa il Paese si ritrova con i riflettori internazionali puntati addosso. E scoppia il caos sicurezza, a cui si aggiunge la paura di manifestazioni e proteste che si traduce in controlli, divieti, repressione.

In Brasile è caos sicurezza. All'indomani dell'arrivo del Papa a Rio e in preparazione della prima messa pubblica che dovrebbe avere luogo oggi al santuario dell'Aparecida le discussioni rimbalzano tra chi riporta e sottolinea mancanze ed errori nell'imponente sistema di sicurezza messo in campo per garantire l'incolumità del Pontefice, e chi cerca di placare gli animi e tranquilizzare gli allarmisti in piena “psicosi sicurezza”. Tutto ciò in uno scenario a tratti surreale in cui, in preda ad un'agitazione dovuta in parte anche al timore di azioni e manifestazioni come quella di ieri a Laranjeiras che potrebbero inficiare la prestigiosa “facciata pubblica” costruita ad hoc, la Policia Militar blinda luoghi di culto, passa allo scanner preti e seminaristi, procedendo a registrazioni e controlli dei precedenti penali dei dipendenti dei seminari, predispone più di 5000 uomini – di cui 2200 dell'Esercito – a presidiare luoghi, strade, percorsi.
Durante le situazioni pubbliche perquisizioni e controlli per essere sicuri che la visita del Papa non venga turbata dalla vista di cartelli con slogan di protesta “che possono recare offesa all'integrità del Pontefice e della Nazione”. Minacce di “soffocare immediatamente” altre proteste e manifestazioni. Il come lo possiamo ben immaginare, dato che tutti noi abbiamo ancora davanti agli occhi le immagini della repressione messa in atto nell'ultimo mese e, più recenti, degli scontri di ieri davanti al palazzo del governo, gli arresti, le inquietanti voci riguardo l'utilizzo di proiettili veri da parte della BOPE.
Ma non solo aumenti del personale di polizia, rinforzi e controlli. È di ieri la comunicazione ufficiale, pubblicata nel Diario Oficial, della costituzione da parte del governatore dello Stato di Rio Sergio Cabral, di una Commissione Speciale per le Indagini su Atti di Vandalismo compiuti durante Manifestazioni Pubbliche (CEIV), composta da membri dell'Ufficio di Sicurezza, della Policia Civil, della Policia Militar e del Pubblico Ministero.

lunedì 8 luglio 2013

Brasile - 11 Luglio: riprendersi San Paulo

Giovedì 11 prossimo a San Paulo ci si aspetta non meno di trecentomila persona alla marcia organizzata da sindacati e movimenti.

di Ivan Grozny

Finita la Confederation Cup si sono momentaneamente spenti i riflettori sul Brasile. Non sarà un periodo lungo visto che dal 22 al 29 luglio 2013, a Rio de Janeiro si terrà la XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù. Con la presenza del primo Papa latinoamericano della storia. 
Un altro grande evento, insomma. 
Chi pensa che il movimento in Brasile stia attraversando una fase di stallo sbaglia di grosso. Anzi, sono previste nuove manifestazioni. Giovedì 11 prossimo a San Paulo ci si aspetta non meno di trecentomila persona alla marcia organizzata da sindacati e movimenti. 
Si fermano tra gli altri  lavoratori dei mezzi pubblici, quelli del settore edile e siderurgico. Tra le principali rivendicazioni la riduzione dell'orario di impiego settimanale, da portare a 40 ore, le condizioni da rendere più sicure e l'adeguamento delle pensioni. Questo per quanto riguarda le questioni strettamente legate al mondo del lavoro. E ricordiamo che aderiscono allo sciopero sia dipendenti pubblici che privati.
Ma sul tavolo non ci sono solo questo tipo di questioni. Chi scenderà in piazza coi lavoratori porterà in strada altri temi. E cercherà di farlo nel luogo simbolo: l'Avenida Paulista che è il cuore della città. Solo la violenza della polizia, il 13 giugno, ne fermo l'accesso al corteo. Qualche giorno dopo invece fu una vera e propria invasione. Di gente, di idee.
Si chiede ad esempio che venga fermata la svendita delle risorse del Paese a beneficio di multinazionali. L'America Latina e non solo è piena di storie di territori devastati dalla ferocia di chi di fronte al lauto guadagno non si fa alcuno scrupolo. Pensiamo a questo proposito cosa accade con il petrolio, di cui il Brasile è ricco. Per non parlare di quanto accade in Amazzonia. Interessante come la questione economica si intrecci con quelle ambientali, invece. Un aspetto da evidenziare visto che dimostra una certa maturità, non solo dei movimenti, riguardo temi a dire poco vitali.
Si chiede poi la riduzione del prezzo dei biglietti dei trasporti. Che sia urbano o extraurbano. I brasiliani usano moltissimo autobus e corriere, e i prezzi non sono così bassi come potremmo immaginare. Insieme alla richiesta di investire in salute ed istruzione è uno dei punti cardine delle lotte. C'è anche chi auspica più sicurezza ma allo stesso tempo c'è anche chi si augura invece che l'ordine pubblico non sia più gestito dalla polizia militare. La questione sicurezza in Brasile è un paradosso di cui abbiamo già parlato tempo fa, ma sarà interessante tornarci. Infine si chiede ancora, e questa sì che è una battaglia di lungo corso, la riforma agraria.
Insomma, la partita è appena cominciata, e non è la fine di un torneo che ne determina l'epilogo. 
Chiudiamo con un fatto accaduto a San Paulo, dove in una delle favela della città, Heliopolis, un incendio si è portato via una quarantina di abitazioni. Ci sono stati feriti da ustioni e soprattutto ora famiglie che già avevano difficoltà economiche enormi si trovano senza nulla. Questo accade a Sao Paulo, una delle città più ricche del Paese. Un episodio come questo ci da la cifra di quanto sia complicato raccontare una realtà così anche tragicamente difforme, dove la richiesta di diritti fa il paio con una esigenza vera di miglioramento della condizione di vita delle persone. 

giovedì 4 luglio 2013

Brasile - Intervista a Michael Hardt

“In Brasile chi protesta rifiuta la rappresentanza politica e sogna una democrazia reale"

Tratto da “Folha de Sao Paulo”


Spesso considerate dei punti di debolezza delle manifestazioni lanciate dal Movimento Passe Livre(MPL), delle rivendicazioni diffuse e l'assenza di un leader possono essere invece viste come punti di forza di queste proteste.
"Lo Stato non può quindi semplicemente arrestare i capi e facendo ciò distruggere il movimento. Né può cooptare i leader che andrebbero perciò a disciplinare le masse .”
La "moltitudine", in questo senso, non può essere contenuta."
L'affermazione è di Michael Hardt, professore alla Duke University (USA) e autore, con Antonio Negri, dei libri "Impero" (2000) e "Moltitudine" (2004).
Di ispirazione marxista, "Impero" è diventato rapidamente una sorta di Bibbia dei movimenti che cercano alternative alla globalizzazione. Considerato una delle produzioni accademiche più influenti e controverse degli ultimi dieci anni.

In “Moltitudine", gli autori hanno sviluppato il concetto di una forma di organizzazione politica plurale, democratica e orizzontale, non governata da leader o comitati centrali.
Inoltre, questa forma di organizzazione politica non cerca di rappresentarsi per forza come un gruppo unito e omogeneo, anche se non è vero che è del tutto spontanea o disorganizzata.
Inutile dire che il MPL e le manifestazioni scoppiate in tutto il Brasile nelle ultime settimane sembrano possedere queste caratteristiche.
Per questo motivo, Hardt afferma di seguire le proteste "con grande interesse ed entusiasmo."
Secondo lui, questo tipo di manifestazione - la moltitudine - rifiuta sempre, come fa il MPL, i canali politici tradizionali.
Entra in una piccola fetta di tempo e di spazio, per creare relazioni più democratiche. Tuttavia essa è stata finora in grado di apportare trasformazioni durature all'interno della società.
"Questa è la prossima sfida", dice Hardt.
Lei nota delle analogie tra le mobilitazioni in Brasile e quelle che si sono verificate di recente in altri Paesi?
Il legame più evidente è che le richieste provengano dalla città.
In molti casi ha preso la forma di rendere uno spazio pubblico comune, come una piazza o un parco, ma in Brasile, almeno in principio, la scintilla è stata determinata dall'aumento del costo dei trasporti.
Ma, dal mio punto di vista, il fattore più importante che collega queste esperienze è il rifiuto della rappresentanza politica e la domanda di "democrazia reale", come lo chiamavano gli Indignados in Spagna. Vale a dire, un piano di azione politica democratico più pieno e più partecipativo.
Vi è una differenza significativa, però. Mentre in altri paesi c'è stata una situazione di crisi economica, in Brasile (e forse Turchia), le proteste si sono verificate in un contesto di espansione economica.
L'idea di "folla" è stata delineata in "Impero" e sviluppata in "Moltitudine". Dopo di che ci sono state molte altre mobilitazioni. Hanno avuto un impatto sulla sua teoria?
Sì , Io e Toni Negri abbiamo seguito da vicino questi potenti movimenti sociali degli ultimi anni. E' notevole come il numero crescente di rivolte e proteste abbiano preso la forma di "moltitudine".
Siamo consapevoli, tuttavia, che questi movimenti sono di fronte a grandi sfide che li attendono.
Ancora più importante, per me, è la necessità per loro di creare forze politiche durevoli ed efficaci.
Questa moltitudine, in altre parole, è riuscita a creare belle relazioni democratiche all'interno dei confini di una piazza per un paio di mesi. Tuttavia, non sono ancora state in grado di espandersi nello spazio e nel tempo per trasformare la società in un modo duraturo.
La folla ha bisogno di migliorare la sua organizzazione. Questa è la prossima sfida.
Questi due libri sono stati scritti prima dell'era dei social media. Adesso è cambiato qualcosa?
I social media - Facebook, Twitter e altre piattaforme - sono state utilizzati in modo efficace dai movimenti negli ultimi anni perchè il decentramento di questi mezzi di comunicazione corrisponde all'agire di questi movimenti nella rete. Ma la tecnologia è solo uno strumento. Quello che rimane centrale è l'organizzazione sociale e politica.
Le proteste in Brasile non hanno leaders né dimostrano unitarietà. Come si possono interpretare istanze così diverse, a volte anche contraddittorie?
Pluralità e differenza sono le condizioni di base di qualsiasi processo democratico. La democrazia non esige che tutti siano d'accordo, o men che meno, seguano un leader. Piuttosto, la democrazia ci impone di creare relazioni orizzontali tra pari e una cooperazione anche e soprattutto nelle diversità.
Dovremmo tutti imparare dalle esperienze di questi movimenti, in termini di relazioni democratiche e di forme orizzontali di autogoverno.
In che termini questa moltitudine può rappresentare un agente politico?
Questi movimenti esercitano certamente un potere "destituente", vale a dire che hanno il potere di rovesciare i governi e indebolire le strutture tradizionali di governance, anche i governi di sinistra.
Ma hanno anche bisogno di sviluppare elementi costituenti capaci di generare nuove e durature forme di vita.
La scommessa o l'ipotesi che pone il concetto di moltitudine è che per agire politicamente non è necessario avere un'unità e un'organizzazione gerarchica.
I movimenti devono dimostrare, in altre parole, che una soggettività politica variegata e democratica è in grado di trasformare radicalmente il processo politico e creare nuove relazioni sociali.
Come potrebbe succedere ciò?
In Brasile, la rivendicazione iniziale si è trasformata in qualcosa di completamente diverso, e queste richieste considerate facenti parte di agende politiche di sinistra sono state sostituite da altre considerate perlopiù di destra.
Il prezzo del trasporto pubblico è stato solo l'innesco per una più ampia serie di rivendicazioni che non sono solo economiche, ma anche politiche. Adesso i movimenti hanno bisogno di acquisire potere e la maturità di combattere le provocazioni e gli interventi della destra.
Ora, un outsider, come me, non può analizzare questo aspetto in maniera adeguata. È necessario essere all'interno del movimento per poterne parlare di più.
Come si può negoziare con un movimento senza leader e con rivendicazioni così ampie?
Il rapporto tra lo Stato e la moltitudine è asimmetrico. Lo Stato, ovviamente, è infinitamente più forte, anche se i due soggetti hanno diverse forme, essendo lo stato centralizzato, e la moltitudine, distribuita.
In un certo senso, questo può essere un vantaggio per la moltitudine.
Lo Stato non può quindi semplicemente arrestare i capi e facendo ciò distruggere il movimento. Né può cooptare i leader che andrebbero perciò a disciplinare le masse .
La moltitudine, in questo senso, non può essere contenuta.
Ma, come ho detto, per essere efficace ed avere effetti permanenti, la moltitudine ha bisogno di trovare il modo di organizzare le differenti parti che la compongono e creare nuove forme di cooperazione.
Le manifestazioni del Brasile si avvicinano di più all'idea di moltitudine rispetto ai movimenti su cui vi siete basati per sviluppare la vostra teoria?
Il concetto di 'moltitudine' è stato sviluppato negli ultimi dieci anni attraverso la pratica e la teoria dei movimenti. Dal movimento no global (come le proteste di Seattle negli Stati Uniti nel 1999) a Piazza Tahrir (Egitto), attraverso gli Indignados (Spagna ) e Occupy Wall Street (USA), hanno vissuto uno sforzo progressivo per formare strutture di autogoverno,come l'assemblea generale, che consentirebbe ad una folla molto più diversificata di prendere decisioni politiche.
Particolarmente interessante per me sono state le esperienze dei movimenti sociali indigeni in Bolivia nel 2000 e nel 2003 (le cosiddette guerre di acqua e gas), che sono state teorizzate da intellettuali boliviani, mentre la moltitudine ha lottato per trovare all'interno di una rete orizzontale che univano soggetti diversi, andando dai lavoratori alle questioni riguardanti le minoranze.
Le mobilitazioni in Brasile si pongono in linea con questa tradizione emergente, e che io spero si possa espandere ulteriormente.
In Brasile, si è registrato un record di depredazione e tentativi di invasione di edifici pubblici, come palazzi dei governi e delle assemblee legislative. Anche questo è un elemento ricorrente?
Molti dei movimenti più forti degli ultimi anni sono stati diretti contro la natura non democratica di tutto il sistema politico attuale, sostenendo che le loro affermazioni di rappresentanza sono false. Nelle piazze occupate a Madrid e Barcellona nel 2011, per esempio, hanno cantato "non ci rappresentano".
E 'abbastanza logico, quindi, che i movimenti in Brasile si concentrano sulle forme locali di governo pubblico. Essi esprimono una critica alla politica come esiste oggi e denunciano quanto essa li escluda. I movimenti cercano di concepire la politica futura, una politica più democratica.
Ci sono prove che questi movimenti non verranno catturati dalla politica tradizionale? Questo è successo più volte in passato.
Naturalmente non vi è alcuna garanzia che tali movimenti non saranno recuperati dalle forze politiche tradizionali. Gli occupanti sono stati spazzati via da piazza Tahrir, da Puerta del Sol (Madrid) da Zuccotti Park (New York), dal parco Gezi (Istanbul) - ma gli effetti delle loro proteste sono vivi e, come abbiamo visto, movimenti simili continuano a nascere.
Mi auguro che le recenti proteste possano servire per aprire nuove possibilità democratiche in Brasile. E ho la certezza che, anche se può sembrare che questi movimenti siano rifluiti e gli attivisti non siano più per le strade, ci riusciranno. 
Traduzione a cura di Anna Irma Battino e Teresa Gregorin

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!