Il Confederalismo democratico, però,
resiste!
La situazione che si profila nel
Nord Est della Siria (NES) è un quadro complesso. Gli eventi che si sono
succeduti dal 2011 in poi, hanno distrutto molto del patrimonio culturale ed
etnico della Siria.
Parlando del NES-Nord est della
Siria (più conosciuta come Rojava) non si può fare a meno di parlare di due
fazioni interconnesse tra loro, che agiscono tuttora sul territorio dell’Amministrazione
Autonoma, una è l’ISIS (Daesh) e l’altra la Turchia, guidata dal dittatore
Recep Tayyip Erdogan.
Il conflitto in Siria è una delle
guerre più lunghe mai esistite nella storia di questo secolo. Nel 2013,
in seguito alla Guerra Civile Siriana, si fa strada all’interno del paese l’organizzazione
dello Stato Islamico (Daesh) che, conquistando gran parte della Siria del Nord,
fece diventare la città di Raqqa la sanguinosa capitale dei fondamentalisti. I
civili, e in particolare le donne, furono coloro che più patirono le tremende
pene inflitte dai miliziani di Daesh.
In Siria del Nord Est, nell'ombra di questi tragici scenari, nasceva un piccolo fiore della democrazia, basato
sul paradigma del Confederalismo Democratico, il quale si fonda sui principi
dell’ecologia, parità di genere, uguaglianza etnica e autogestione
economico-sociale del territorio. Questo modello venne teorizzato da Abdullah
Ocalan, presidente del PKK (Partito democratico dei lavoratori del Kurdistan),
detenuto attualmente all’interno del carcere di Imrali in mezzo al mare di
Marmara, dal 1999. Nel 2015 le YPJ (Unità di Protezione delle Donne) e YPG (Unità
di Protezione Popolare) unitamente alle SDF (Forze democratiche Siriane)
sconfissero l’ISIS in Rojava, in particolare nei cantoni di Kobane, Afrin e
Jazira.
Negli anni a seguire il paradigma
è arrivato in Iraq, nella zona di Shengal, a prevalenza Yazida e nella zona del
campo profughi di Makhmour. Lo yazidismo e’ una fede religiosa, diffusa nella
zona del Sinjar iracheno (Shengal in curdo), perseguitata sia dall’ISIS, che da
Ankara, poichè accusata di apostasia e perciò considerata controversa.
In questa zona è ancora in vigore
l’Amministrazione Autonoma basata sul Confederalismo Democratico. Qui Daesh è
stato sconfitto nel 2017 per mano delle milizie di autodifesa di Shengal, le
YBS.
Che ne è stato dell’ISIS dopo la
sconfitta?
Le SDF si sono organizzate per
cercare una soluzione riabilitativa per le affiliate e gli affiliati di Daesh,
creando campi e centri di detenzione appositi per aiutare non solo i miliziani,
ma le cosiddette ‘spose di Daesh’, ovvero le mogli dei terroristi, e i loro
piccoli. Tra questi ultimi, utilizzati come bambini-soldato, vi erano sia figli
dei miliziani, sia bambini sottratti ed educati quindi fin da molto piccoli all'utilizzo di armi, sotto i principi rigidi della Shari’a.
Due dei più importanti tra questi
campi sono: il campo di Hol e il campo di Roj, entrambi si trovano nel Nord Est
della Siria. L’organizzazione di questi campi si fonda sulla divisione delle
detenute e dei detenuti, in base a determinate caratteristiche, allo scopo di
garantire una migliore riabilitazione. Per fare un esempio, vengono separati i foreign
fighters dagli altri detenuti, perché considerati più radicalizzati. L’Amministrazione
Autonoma garantisce però, all'interno di questa gestione dei campi, la possibilità
ai minori di trascorrere la durata della permanenza con le madri.
All'interno del campo di Hol la
situazione è nettamente più complessa rispetto a Roj, poiche’ al suo interno ci
sono numerosi conflitti e violenze, dovute dalla difficoltà da parte dei
responsabili del campo di deradicalizzare gli ex affiliati e le ex affiliate
dello Stato Islamico. Sono avvenute anche diverse esecuzioni interne fra ex
appartenenti a Daesh, causate dall'estremismo ancora vivo negli stessi.
Nel campo di Roj si trovano
prevalentemente donne e minori, dunque la situazione appare piu’ facilmente
gestibile, tuttavia anche la conduzione di quest’ultimo risulta difficile anche
per la mancanza di infrastrutture funzionanti in seguito ai continui attacchi
dell’esercito turco nei confronti dell’Amministrazione.
All'interno di questi campi si
assiste ad un ulteriore fatto rilevante: i foreign fighters stanziano in
questi luoghi, poiché i loro paesi di appartenenza rifiutano il loro
rimpatrio. Ad oggi la percentuale dei returnees rientrati in patria, si
aggira solo intorno al 30%.
Oltre a questi da segnalare è il
centro di Huri, situato a Qamishlo. Qui bambini e adolescenti processati e
condannati per aver combattuto con l’ISIS, seguono un processo di riabilitazione
in cui, i responsabili del centro, cercano di fornire loro sia un’istruzione di
base, sia la possibilità di esprimersi in attività creative e sportive. Per
quanto possibile, lo sviluppo del centro cerca di allontanarsi dall'idea di
prigione.
I campi non sono gli unici luoghi
dove sono in atto contrasti interni, un luogo simile è Idlib, questa è una città
situata in Siria del Nord Ovest.
Idlib non è un nome scelto
casualmente. Questo luogo è considerabile come una terra di nessuno, dove non
solo si trovano i miliziani di Daesh fuggiti, ma sono presenti anche membri di gruppi
terroristici affiliati ad Al Qaeda, appoggiati dal governo turco e
statunitense, tuttora considerati “ribelli” contro il governo di Bashar
al-Assad, che è sostenuto invece dalla Russia, maggiormente dopo l’entrata in
vigore del Caesar Syrian Civilian Protection Act, embargo che grava pesantemente sull'economia siriana approvato nel 2019 ed entrato in vigore nel 2020. In
questo modo si è generata una simil guerra fredda sul territorio medio-orientale.
A Idlib, una sorta di Gaza in
territorio siriano, troviamo un’inaudita violenza, dovuta a questa convivenza
tra cellule terroristiche, che porta i civili a pagarne lo scotto maggiore.
Gran parte delle aree della zona rimangono inabitabili, ciò comporta un
incremento dei profughi e, tuttora, la città rimane una zona limbo molto
pericolosa.
I cosiddetti ribelli della zona di
Idlib sono sotto il controllo turco, il cui l’esercito è il secondo della NATO,
che controlla vari gruppi di mercenari siriani e alcune cellule dormienti di
Daesh, che insieme attaccano costantemente l’amministrazione autonoma della
Siria del Nord Est, l’ultimo esempio è quello dell’attacco al carcere di Al- Sina’a,
nel quartiere di Ghiweiran ad Al- Hasakah, attacco contrastato dalle SDF forze
di autodifesa del NES), ma che ha generato molti morti sia tra i prigionieri
che tra i guerriglieri e le guerrigliere curde.
Nel 2018 ricordiamo la presa di
Afrin per mano turca, attraverso l’operazione ‘Ramoscello d’Ulivo’. Qui dopo la
liberazione dall’ISIS da parte delle forze curde è arrivata l’occupazione
turca, ancora in corso e che rappresenta il chiaro disegno del progetto
espansionistico del califfato di Erdogan, che mira ad espandere la sua egemonia
in Siria ed Iraq e a cancellare l’esperimento democratico dei territori nel
NES. In questo territorio la “pax turca” ha comportato lo sfollamento forzato
di almeno 300 mila residenti e la loro sostituzione con popolazioni arabe e
turcomanne, spesso
di provenienza da zone come Idlib. L’occupazione è gestita territorialmente da
milizie islamiche e praticata con estorsioni, rapimenti, incarcerazioni
arbitrarie. Il
tutto ampiamente noto alle forze della “coalizione occidentale” che in Iraq e
in NES hanno ancora delle truppe sul campo. Evidenziamo che questa situazione è
nota alla comunità internazionale come dettagliati rapporti ONU
dimostrano.
La Turchia è la principale
responsabile della situazione difficile in Siria del Nord Est e non solo,
nell’ultimo anno ha utilizzato armi chimiche come il fosforo bianco sulle
montagne del Kurdistan siriano ed iracheno, ha
devastato ospedali e infrastrutture con droni di ultima generazione finanziati
dai paesi occidentali, ha messo embarghi e costruito muri come quello che va da
Derik a Kobane, fatto per chiudere la popolazione all'interno e poterla
attaccare. Un altro atto impunito della Turchia è la gestione inammissibile
dell’acqua nei territori iracheni e siriani. Questi due Stati hanno contratti
con la Turchia per le forniture di acqua derivante dai due fiumi della
Mesopotamia. In pochi anni Ankara ha abbassato le forniture da 700 metri cubi a
300 metri cubi di acqua per Siria e Iraq e costruito numerose dighe per
ostruirne il passaggio. La resistenza della popolazione locale non si è fermata,
si sono organizzati attraverso l’utilizzo di pozzi per il recupero dell’acqua,
come quello di Elok, nei pressi di Serekaniye.
Dal 2011 ad oggi possiamo contare
7.000.000 di profughi, che dalla Siria vanno verso l’Europa, la Giordania e Iraq. All'interno del panorama mediorientale, il NES rimane la più stabile autonomia
democratica, che gestisce terra, risorse, autodifesa e lavoro. Negli anni si
sono stabilizzati servizi, scuole, università e multietnicità, per
questo la situazione nel NES è ancora più difficile, poiché si trova nel mezzo
di un teatro di guerra tra Stati Nazione.
Questi non hanno alcun interesse nell'accettare l’autodeterminazione del nord-est della Siria per vari motivi:
-
la Russia non vuole perdere le sue basi militari
in Siria;
-
l’Iran (che appoggia la Russia) non vuole a sua
volta perdere le basi in Siria;
- la Turchia desidera allargare la sua dominazione
geopolitica e i suoi interessi all'interno del territorio siriano e iracheno;
- la coalizione internazionale non interviene per
non generare una tensione al suo interno e con la Russia, specialmente in
questo periodo già ricco di tensioni dovute alla guerra in atto sul territorio
Ucraino;
- l’Unione .Europea chiude tutte e due gli occhi
di fronte alla violazione dei diritti umani ritenendo questa un male minore
rispetto al controllo del flusso dei migranti garantito dalla Turchia, anche se
è stata la stessa Turchia ad averlo in gran parte generato.
In conclusione, possiamo vedere
come le potenze e gli stati nazione ostracizzino non solo le Amministrazioni
Autonome del Kurdistan, ma mirino a distruggerne il paradigma politico e
sociale. Questa guerra come descritta dal titolo si può considerare infinita, ma
infinita è anche la resistenza che la contrasta, per questo è importante
informarsi correttamente su quello che succede per averne un quadro d’insieme
che ne rappresenti la complessità, le sfide e le speranze. D’altra parte molti
altri territori del medio-oriente sono connotati da una molteplicità di popolazioni
con proprie tradizioni, religioni, culture e il modello del NES rappresenta una
alternativa alla barbarie del predominio di una sulle altre, per questo è
necessario non dimenticarsene e continuare a sostenere queste popolazioni ed il
paradigma che caratterizza e da’ forza alla loro esistenza e resistenza.
Serkeftin.
Marianna Lucarini e Francesca Pastore di
Staffetta Sanitaria Roma
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