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venerdì 24 gennaio 2014

Asia - Paradisi cinesi

Le Isole Vergini sono un accogliente rifugio per i capitali più o meno leciti di 22 mila clienti residenti nella Repubblica popolare e a Hong Kong, e di 16mila taiwanesi

di Angela Pascucci

Non era certo un segreto che le Isole Vergini britanniche fossero una delle prime fonti di investimenti diretti in Cina e a Hong Kong e tra le prime destinazioni offshore dei flussi di valuta provenienti dai medesimi luoghi. Fino a pochi giorni fa ci si poteva, ingenuamente, chiedere come mai tanto traffico intorno alle paradisiache isolette. Un report dell’Icij, (International Consortium of Investigative Journalism) diffuso il 21 gennaio scorso ha risposto agli interrogativi: il territorio d’oltre mare britannico (che riceve il 40% del suo giro d’affari dall'area asiatica) è un accogliente rifugio per i capitali più o meno leciti di 22 mila clienti residenti nella Repubblica popolare e a Hong Kong, e di 16mila taiwanesi.


Il rapporto è il frutto di un’inchiesta durata mesi e condotta da una squadra di giornalisti internazionali, tra i quali anche reporter cinesi, alcuni dei quali sono stati costretti a lasciare il lavoro di indagine prima del tempo a causa delle pressioni ricevute dall'alto.

Le rivelazioni più clamorose del rapporto riguardano infatti i nomi di chi ha scelto di portare le proprie ricchezze fuori dalla Cina. Sono nomi eccellenti dell’aristocrazia rossa del Partito comunista che comprendono, fra gli altri, il cognato dell’attuale uomo forte della Cina, il presidente Xi Jinping, il figlio e il genero dell’ex premier Wen Jiabao ( nel 2012 già bersaglio di un’inchiesta condotta dal New York Times sugli ingenti e poco trasparenti affari di famiglia), il primo cugino dell’ex presidente Hu Jintao, la figlia dell’ex premier Li Peng (meglio noto come il “macellaio di Tiananmen” per il suo ruolo nel massacro del 4 giugno 1989), il genero di Deng Xiaoping, venerato architetto delle riforme cinesi, il nipote di uno dei fondatori della RPC, il nipote di un famoso generale dell’Esercito popolare di liberazione etc.

giovedì 12 dicembre 2013

Usa-Cina le relazioni pericolose

di Angela Pascucci

Strana coppia, G2, partnership strategica del XXI secolo, nemici/amici. Le definizioni del rapporto senza precedenti fra Usa e Cina non sono mai state facili e si sono sempre consumate rapidamente, a riprova dell’evoluzione accelerata delle dinamiche che ormai coinvolgono le due potenze su tutto lo scacchiere planetario. La nuova leadership cinese guidata da Xi Jinping chiede oggi agli Stati uniti di prendere atto che la relazione, resa inscindibile dall’economia di mutua dipendenza, deve essere portata a un livello più alto, definito da Pechino “un nuovo tipo di rapporto fra superpotenze”. Washington non ha ancora deciso se e come gli conviene aprire questa nuova fase, che comporta un riconoscimento di portata storica, ma deve prendere atto che non può sottrarsi.

Lo ha dimostrato l’atteggiamento del vice presidente Biden, ritrovatosi il 4 dicembre scorso a Pechino nel frangente drammatico dello scontro sino-giapponese sulla nuova zona di difesa aerea stabilita dalla Repubblica popolare (Rpc) che ingloba un gruppo di isole contese, le Senkaku-Diaoyu, decisione che ha visto gli Usa schierare i propri B52 al fianco dell’alleato giapponese, come da trattati. Neppure una parola è stata proferita sulla questione nella conferenza stampa congiunta finale, seguita ai colloqui durati ben cinque ore fra Biden e Xi Jinping. Ma le dichiarazioni rilasciate avevano l’inquietante sapore delle questioni irrisolte, anche se c’è chi ha voluto vedere in questo silenzio una sorta di “maturità”. Il capo dei capi cinese, dopo aver parlato di un anno in cui i rapporti avevano avuto un buon avvio e “mantenuto un momento di sviluppo positivo”, ha dichiarato che la situazione nella regione e nel mondo sta cambiando, con sfide sempre più pronunciate e punti caldi nell’area che continuano ad accendersi inaspettatamente. “Il mondo nel suo insieme non è tranquillo” ha detto Xi, e Usa e Cina devono assumersi responsabilità importanti per mantenere la pace. 

lunedì 2 dicembre 2013

Cina, Giappone, Usa - Disputa finale?

 di Angela Pascucci

Mai risolta, la disputa fra Cina e Giappone sulle isole Diaoyu/Senkako nel mar della Cina orientale si riaccende periodicamente, ogni volta più infiammata a causa delle crescenti rigidità e intransigenze dei contendenti. Stavolta il gong del nuovo round è stato suonato dalla Cina quando, il 23 novembre scorso, ha annunciato l’istituzione di una nuova zona di difesa del proprio spazio aereo (Adiz, Air Defence Identification Zone), che include le isole contese e si sovrappone alla zona di controllo giapponese e, sia pur in misura minore, quella sud coreana. Con questa decisione Pechino impone a chiunque sorvoli l’area di identificarsi e fornire i propri piani di volo all’aviazione cinese, che in caso di inadempienza attuerà “misure difensive di emergenza”.

Ne è seguita una serie di scaramucce a jet sfoderati, aperta dagli indimenticabili B52 americani, due esemplari dei quali, decollati da Guam, sono stati spediti subito da Washington con un duplice scopo: far capire da che parte della contesa si colloca, in nome dei trattati di sicurezza sottoscritti con Tokyo, e sfidare la reazione cinese, che in questo caso si è limitata a “sorvegliare” l’azione (dichiarando che il sorvolo americano è avvenuto ai limiti dell’area) . 

Attraverso la breccia aperta dagli Usa (che formalmente hanno dichiarato trattarsi di “regolari esercizi” da loro normalmente condotti nell’area) si sono precipitati poi i jet militari giapponesi e anche quelli sud coreani. La Cina ha deciso in tutti questi casi di far decollare a mo’ di controllo un paio di velivoli della propria contraerea ma non ha ancora agito per imporre il rispetto delle nuove regole di identificazione, platealmente e volontariamente violate (anche se gli Usa hanno consigliato alle loro compagnie aeree civili di ottemperare alle richieste cinesi). 

martedì 29 gennaio 2013

Cina - Ambiente, enegia e sviluppo: le contraddizioni insostenibili della "fabbrica del mondo"

Dal sito di GlobalProject riportiamo 
Con Angela Pascucci analizziamo la complessità della devastazione ambientale prodotta dal turbosviluppo cinese. Le scelte della leadership cinese e il futuro del paese per quanto riguarda la produzione di energia, il modello di sviluppo, la gestione del territorio.
I conflitti sociali che emergono in difesa del futuro collettivo si scontrano con l'idea della produzione della ricchezza a qualsiasi costo.
La situazione allarmante di Pechino come specchio della devastazione ambientale del paese
Audio



Pechino in quanto capitale del paese è stata al centro dell'attenzione. In realtà nella nuova ondata di inquinamento metropolitano sono state ben 33 le città che nel centro, nel nord e nell’est della Cina hanno superato i limiti accettabili di particolato, cioè di inquinamento da particelle.
Però a Pechino le punte raggiunte sono state pazzesche, si è arrivati a 400 microgrammi di particolato, secondo i dati ufficiali. Secondo i dati emessi dall'ambasciata americana, che ha un suo sistema di rilevazione, si è arrivati a 800. Bisogna tener presente che secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, 25 microgrammi è il livello accettabile, che già a 100 microgrammi l'aria è insalubre e che a 300 bambini ed anziani devono restare a casa. Si capisce dunque quale shock è stata l'irrespirabilità totale dell'aria per gli abitanti di Pechino. C'era una nebbia fumiginosa che copriva il sole. Certo a Pechino già da molto tempo è difficile vedere il suo famoso cielo azzurro, la città è fortemente inquinata (anche se per la qualità dell’aria rilevata in 149 città cinesi la capitale è risultata al 75esimo posto). Una situazione grave emersa anche in occasione delle Olimpiadi quando sono state applicate misure particolari, come la circolazione a targhe alterne o la chiusura o il trasferimento delle fabbriche più inquinanti.

domenica 20 gennaio 2013

Cina - Nella Cina del progresso si muore ancora di freddo


In una via di Bijie cinque bambini muoiono di freddo nell'indifferenza generale. L'opinione pubblica insorge, ma la censura cerca di insabbiare tutto.
di Maria Dolores Cabras
C’era un freddo tremendo da sentirsi accapponare la pelle, di quelli che fanno battere i denti e ti scorrono nelle ossa fino a farti impallidire, il 15 novembre scorso a Bijie. Piovigginava e una nebbia densa velava di buio la notte. La temperatura era scesa a picco fino a toccare i 6 gradi centigradi nella città-prefettura della provincia del Guizhou.
Zhonglin, Zhongjing, Bo, Chong e Zhonghong, cinque bambini tra i 9 e i 13 anni, avevano mendicato per tutto il giorno qualche soldo in un sottopassaggio all’ingresso dell’università, poi erano tornati nella grande strada periferica, la Huandong Lu, dove avevano messo su con teloni e stracci un riparo di fortuna per la notte.
C’è chi racconta di averli visti giocare col pallone con indosso giacchette leggere e maglie di cotone, prima che il freddo gli gelasse i piedi e chiazzasse le loro labbra di uno strano colore rosso-bluastro, prima che i cinque bambini scegliessero come nuova tana per la notte un cassonetto per l’immondizia, di due metri per uno. Ci si erano infilati dentro e lì avevano acceso un po’ di carbone. Solo un po’, per riuscire a sentire per l’ultima volta il torpore di casa. L’indomani i cinque ragazzini del Guizhou erano ancora rannicchiati lì dentro, stretti l’uno all’altro senza vita, soffocati dal monossido di carbonio, come ha precisato l’esame autoptico. Prima affamati, poi infreddoliti e infine morti, nella totale e cieca indifferenza di passanti, studenti, professori e perfino dei funzionari che lavorano nei palazzi amministrativi siti nella zona.
È questa la Nuova Cina dello sviluppo tanto celebrata dal Pcc? È possibile che ancora oggi nella seconda economia al mondo, motore della crescita regionale asiatica e globale, i bambini muoiano per il freddo? A chiederselo sono in tanti, le voci della società civile giungono dalla piattaforma dei microblog cinesi che si infiamma per lo sdegno, ma anche dal mondo del giornalismo locale. Li Yuanlong, giornalista del Bijie Daily, ha provato a fornire alcune risposte indagando sulla storia dei cinque bambini, avvicinando le loro famiglie e descrivendo il degrado delle loro misere vite. È riuscito perfino a fotografarne i corpicini e a diffonderne le immagini su internet, e per questo è stato censurato, arrestato e minacciato dalla polizia.

sabato 24 novembre 2012

Cina - Turismo o morte nella Via della Seta


Lo Xinjiang è una delle principali mete del 'turismo rosso'. Strano a dirsi, per una regione martoriata da decine di test nucleari.

di Maria Dolores Cabras

Qual è la nuova frontiera del 'turismo rosso' della Cina? Non è la Città Proibita di Pechino, né l’avveneristico quartiere Pudong di Shanghai, non è la Xi’an incantata dell’Esercito di Terracotta dell’imperatore Qin Shi Huang e neppure la zona archeologica di Dazu con i suoi santuari rupestri. La nuova attrazione turistica cinese si trova nel punto più lontano in assoluto dalla costa, nel mezzo del polo eurasiatico dell’inaccessibilità, nella provincia autonoma dello Xinjiang.
Una terra antica che per millenni ha ospitato gli insediamenti di popolazioni giunte da ogni confine dell’Asia, dai nomadi indoeuropei alle genti di lingua iranica, turca e proto-mongola. Che la provincia nordoccidentale fosse un confine strategico non è una novità: le autorità centrali lo ribadirono già nel 1884, quando quella regione oltre la Grande Muraglia fu ufficialmente inglobata nell’Impero di Mezzo e battezzata proprio con il nome Xinjiang, che significa 'nuova frontiera'. In Cina tutti lo sanno: se “lo Xinjiang è perduto, la Mongolia è indifendibile e Pechino è vulnerabile”. I vecchi orientamenti cinesi non sono cambiati. Nell’ultimo ventennio il governo ha concentrato i propri sforzi in quell’area pianificando un’intensa campagna per lo sviluppo, focalizzata su “ristrutturazione e cambio di crescita economica, costruzione di infrastrutture e protezione dell’ambiente”, come ha affermato l’Ufficio del Consiglio di Stato. Nel documento programmatico sullo Sviluppo e Progresso nello Xinjiang emanato nel 2009 si registra una crescita media annua regionale più alta del 10,6 per cento rispetto al 2000, favorita dall’incremento della produzione industriale, soprattutto nel settore petrolchimico e del carbone.
Anche il sistema infrastrutturale è stato rinvigorito con la costruzione di 8 autostrade nazionali, 66 interprovinciali e più di 600 a livello di contea. Inoltre è stato rinforzato il sistema di comunicazione aerea, 114 percorsi di volo interni e internazionali si irradiano da Urumqi e collegano 70 città cinesi ed estere e 12 prefetture nello Xinjiang. Tuttavia, per accelerare lo sviluppo della periferia il governo centrale punta sulle risorse turistiche regionali e, strano a dirsi, più su quelle antropiche e artificiali che su quelle naturali della desolata piana desertica, che nel 2008 ha ospitato oltre 22 milioni di visitatori. L’agenzia di stampa governativa Xinhua di recente ha annunciato che Pechino è pronta a spendere circa 1 milione di dollari per bonificare l’ex sito atomico di Malan nel Lop Nur e trasformarlo in una meta di 'turismo rosso', per rispondere al crescente interesse dei cinesi “per la storia e la visita alle ex basi rivoluzionarie”.
Quale memoria storica si può ritrovare nel Lop Nur? I ripari sotterranei dai raid aerei che si snodano per mille metri di lunghezza, i laboratori, i dormitori della base nucleare dove è stata detonata la prima bomba atomica cinese nel 1964, un dato di grande importanza nazionale. Il sito dello Xinjiang era il centro focale del segretissimo Progetto 596, avviato nel giugno 1959 nel pieno della crisi sino-sovietica e che ha portato la Cina a diventare la quinta potenza nucleare. Dal 1964 al 1996 ci sono stati almeno 46 test nucleari nella distesa del grande lago salato di Lop Nur. Il Dott. Enver Tohti, oncologo uiguro, era solo un bambino quando nel 1973 vide scomparire per tre giorni il sole e la luna, il cielo velarsi del color della terra e una strana polvere discendere come pioggia sui villaggi e la gente. Gli dissero che quella pioggia proveniva da Saturno e solo quando lungo la Via della Seta passò la morte seppe che quell’acquerugiola di fango era polvere radioattiva.
Leucemia, linfomi maligni, danni e malformazioni fetali, malattie degenerative, demenza e disabilità psichica: le cartelle cliniche hanno dimostrato che il tasso di malati di cancro nella regione è il 30-35 per cento più alto rispetto alla media nazionale. Questo è l’effetto degli esperimenti nucleari che hanno contaminato acqua, suolo e sangue della popolazione locale, gli uiguri. Secondo una stima non ufficiale sarebbero almeno 200 mila le vittime e 1,5 milioni i colpiti dal materiale radioattivo.
Nel 2008 la Xinhua ha riferito l’intenzione del governo di sovvenzionare segretamente le cure dei militari coinvolti nei test atomici, ma non è riservato lo stesso trattamento alla popolazione civile, per lo più senza assistenza sanitaria. Rispetto a Chernobyl il livello di plutonio liberato nell’aria è 6 milioni di volte più alto, eppure dell’impatto devastante che il nucleare ha avuto sullo Xinjiang non se ne è parlato abbastanza e tantomeno se ne parlerà ora che è diventata un’area turistica. A Pechino rassicurano che i programmi nucleari sono stati sospesi già dal 1996, ma gli uiguri lanciano l’allerta ai turisti e denunciano la compravendita di scorie nucleari provenienti da altri Paesi, poi sotterrate nel sottosuolo. Visto da questa provincia ferita, il costo umano della nuova frontiera del turismo rosso cinese sembra immenso.

martedì 13 novembre 2012

Cina - I segreti della corte di Xi Jinping


Lo chiamano il "principe rosso" di Zhongnanhai. Presto guiderà la Cina. Ma la sua immagine è oscurata dall'immenso patrimonio famigliare.
di Maria Dolores Cabras
Xi Jinping, il suo nome inizia a diventare familiare: negli ultimi mesi è rimbalzato continuamente nelle pagine di cronaca politica dei più importanti quotidiani internazionali, che così titolavano: "Xi jinping il nuovo leader cinese", "Xi Jinping, il futuro presidente". E ancora "Dove è finito Xi?", si chiedevano tutti preoccupati quando a settembre ha snobbato alcuni incontri bilaterali importanti, come quello con il segretario di Stato americano Hillary Clinton.
Con il XVIII congresso del Partito Comunista Cinese (Pcc) ora in corso tutto lascia pensare che a ereditare la carica di segretario generale del partito il prossimo 15 novembre, e quella di presidente della Repubblica Popolare Cinese da Hu Jintao nel marzo 2013, sia proprio lui, il tecnocrate Xi, l’uomo destinato a guidare la Nuova Cina nei prossimi anni. Ha 59 anni ed è un 'taizi', un principino rosso, come vengono appellati i rampolli degli alti dirigenti cinesi, la 'casta aristocratica' di Zhongnanhai. È infatti il figlio di Xi Zhongxun, eroe e valoroso compagno di Mao Zedong nella Lunga Marcia, ed è cresciuto con un tenore di vita molto agiato, almeno fino a quando la sua famiglia è caduta in disgrazia e suo padre è stato arrestato. Durante la Rivoluzione Culturale sua sorella Xi Heping si è suicidata e lui stesso ha dovuto subire un processo di rieducazione 'per imparare dalle masse', in esilio in un piccolo villaggio rurale nello Shaanxi.

giovedì 8 novembre 2012

Cina - Si è aperto a Pechino il XVIII Congresso del Partito Comunista

La Cina che verrà

Il Congresso del PCC deciderà la nuova leadership destinata a guidare la potenza economica mondiale al tempo della crisi

Una singolare coincidenza ha voluto che le elezioni presidenziali Usa si sovrapponessero al fatidico 18esimo Congresso del Pcc cinese, imponendo paragoni schiaccianti. Da una parte la contesa incerta fino all'ultimo voto, dall'altra il grande rito preparato da mesi in segrete stanze che cambia faccia, in senso proprio, all'apparato del Partito-stato cinese. Eppure gli effetti dell'esteso cambio della guardia che in Cina installerà al potere la Quinta Generazione di leader destinati a condurre la seconda potenza economica mondiale fino al 2020, potrebbero essere anche più vasti di quelli prodotti dalla riconferma di Obama alla Casa bianca. Come sia, una nuova fase si apre su entrambe le sponde del Pacifico.
I cinesi conoscono solo alcuni nomi dei personaggi che li governeranno, almeno di quelli candidati alla leva più potente, il Comitato permanente del Politburo, ma ignorano del tutto dove quel gruppo ristretto di uomini (l'unica donna in lizza è già sparita) li condurrà. Il che aggiunge inquietudine e timore alla consapevolezza che, come ormai tutti affermano, a destra come a sinistra, quei capi dovranno cambiare la rotta economica e politica del paese per risolverne gli enormi problemi. A moltiplicare l'apprensione si aggiunge la constatazione generale che il discredito e la sfiducia che i cinesi nutrono nei confronti della propria classe politica hanno ormai raggiunto livelli allarmanti. In buona compagnia mondiale, si dirà. Ma, per dirla con Tolstoj, se le famiglie felici si assomigliano, ogni famiglia infelice lo è a modo suo. 
Solo un terzo di operai e contadini
Nessuno nega che l'era di Hu Jintao e Wen Jiabao ormai agli sgoccioli ha messo la Cina nell'orbita delle grandi potenze mondiali: in quello che Il Quotidiano del popolo esalta come il «decennio glorioso» l'economia è quadruplicata, il paese è diventato il primo esportatore mondiale, il primo detentore di riserve valutarie del pianeta e non è solo retorica scrivere, come fa l'organo ufficiale del Pcc, che «mai la Cina ha ricevuto tanta attenzione dal mondo e mai il mondo ha avuto tanto bisogno della Cina». Anche il Partito comunista è cresciuto nel frattempo. Oggi ha oltre 82 milioni di iscritti dei quali solo un terzo è costituito da operai e contadini, rappresentando così a suo modo l'articolazione sociale indotta da oltre 30 anni di riforme e aperture che hanno costruito il «mercato con caratteristiche cinesi». Ma la percezione diffusa di questa organizzazione capillare, che ha dato prova di enormi capacità di trasformazione anche ideologica, è di un'isola elitaria, che seleziona severamente le richieste di appartenenza avanzate dai molti che vorrebbero accedervi per i vantaggi e i privilegi che offre il farne parte. Un'isola circondata dal mare ribollente di una società cinese sempre più frammentata e polarizzata, per interessi e aspettative, e che in nulla rispecchia l'insieme «armonioso» che il Pcc vorrebbe rappresentare al proprio interno. 
Quante sono le rivolte sociali?

martedì 3 luglio 2012

Cina - L'esercito al centro dello scontro di potere nel PC Cinese


In questi tempi agitati dall'imminente cambio della guardia al vertice, gli echi della lotta interna al Partito comunista cinese (Pcc) continuano ad arrivare sotto forma di trame degne di spy stories, aspetto che ne rende ancora più difficile la verifica.
L'ultima arriva dal britannico Sunday Times che domenica scorsa, citando come fonte Qianshao, rivista di Hong Kong considerata affidabile per i suoi agganci politici dentro il Pcc , riportava nei dettagli la vicenda di uno scontro avvenuto nella notte del 19 marzo scorso a Pechino, tra soldati dell'Esercito popolare di liberazione (Pla) e agenti della Polizia del popolo. A ridosso della caduta in disgrazia del capo del Pc di Chongqing, Bo Xilai, annunciata il 15 marzo, si erano diffuse voci di un golpe tentato da uno dei suoi più potenti alleati, Zhou Yongkang, capo della sicurezza interna nazionale, con 800mila paramilitari della Polizia del popolo ai suoi comandi. Boato emerso dal gran polverone sollevato dallo scandalo politico più destabilizzante degli ultimi 30 anni, e subito smentito.
Ma qualcosa di grave accadde davvero quella notte, secondo Qianshao. Non un tentativo di golpe ma probabilmente uno scontro preventivo a scopo intimidatorio, nato dai timori del presidente Hu Jintao che la fazione alleata di Bo potesse reagire all'epurazione politica. Timori rafforzati, secondo la rivista, dal viaggio di Xi Jinping a febbraio negli Usa, dove al futuro capo dei capi cinese era stato riferito che il gruppo di Bo era potente e temibile.

venerdì 15 giugno 2012

Cina - Di contadini e di rivoluzioni


di Gabriele Battaglia
Tutto nasce da Wukan, il villaggio del Guangdong dove nei mesi scorsi l’intera comunità ha lottato e vinto contro la sacra alleanza di funzionari locali e palazzinari che volevano espropriarla dei terreni. Una storia simile a mille altre, in un Paese dove gli “incidenti” – rivolte, jacquerie, repressione e vittime – sono ormai quasi 100mila ogni anno. Ma a Wukan, la popolazione è riuscita a scongiurare la repressione dura e pura, dimostrando che la propria lotta non intendeva destabilizzare il Paese, attaccare il partito o la struttura fondamentale dello Stato. Era una protesta radicale, irriducibile, ma non “politica”, bensì molto pratica.
“Gli appelli degli abitanti del villaggio di Wukan nascono dalla preoccupazione per il proprio sostentamento, non da qualche forma di astio contro il partito o il sistema politico cinese”, scrive Ou Ning – poliedrico “lavoratore della cultura” (come ama definirsi) basato a Pechino ma originario di un piccolo villaggio proprio del Guangdong – in un articolo che vede nel caso Wukan una pietra miliare: qui, infatti, si assiste secondo lui all’ingresso sulla scena di nuovi, inediti, protagonisti e alla dimostrazione che l’autogoverno delle comunità rurali non è necessariamente sinonimo di caos.
Abbiamo già incontrato e intervistato Ou, per Inside Beijing, un progetto di E il Mensile sulla capitale cinese. Ma oggi la sua mente sembra lontana dalla metropoli: vaga nelle campagne, che da un po’ di tempo sono tornate al centro della sua riflessione politica, prima ancora che culturale.
“Spero che più gente lasci la città per tornare in campagna, in modo che si crei un rapporto più intimo tra queste due realtà”, ci confessa.

mercoledì 23 maggio 2012

Cina - Il caso di Chen e i cambiamenti politici della Cina


di Francesco Sisci
Sulla delicata vicenda del dissidente cieco Pechino è riuscita a prendere decisioni creative in tempi rapidissimi, abbandonando il tradizionale metodo del consenso. Hu Jintao ora ha più influenza: cambierà gli assetti del potere?

Tutti gli articoli sulla vicenda di Chen e di Bo Xilai

PECHINO - Il caso dell'avvocato dissidente cieco Chen Guangcheng, che all'inizio di maggio è sfuggito agli arresti domiciliari per rifugiarsi nell'Ambasciata degli Stati Uniti nel corso di un dialogo strategico tra Cina e Usa, ha una caratteristica particolare: Washington e Pechino hanno raggiunto due accordi per la sorte di Chen in meno di 48 ore. È un evento senza precedenti.
 Per la leadership cinese, vincolata al metodo del consenso, è difficile prendere decisioni veloci, ma questa volta è successo - proprio come in occasione del terremoto del Sichuan nel 2008, quando poche ore dopo il disastro il primo ministro Wen Jiabao fu inviato nell'area colpita.
Giungere a una decisione (in questo caso, mandare Chen a studiare a Tianjin) e poche ore dopo ripensarci e uscirsene con un'idea innovativa (non l'esilio in America, ma un programma di studio negli Stati Uniti) sarebbe stato impossibile seguendo il vecchio metodo del consenso tra i vertici.
In base a questo metodo la maggior parte delle decisioni, se non tutte, è di fatto presa all'unanimità. Questo processo è stato avviato da Deng Xiaoping, che voleva evitare la concentrazione del potere dei tempi di Mao Zedong, che aveva reso possibili gli errori dello stesso Mao.

mercoledì 7 marzo 2012

Cina - Meno crescita, più equilibrio, così cambia il modello cinese

Cina

di Gabriele Battaglia

La Cina rallenta la crescita. La notizia è rimbalzata in tutto il mondo, segno dell’importanza che ormai il Dragone riveste nell’economia (e nella crisi) globale.
Si passa dal 9,2 per cento del 2011 al 7,5 annunciato dal premier Wen Jiabao per il 2012. Un vero cambio di rotta, se si considera che negli ultimi quattro anni “difficili”, la crescita del Paese non è mai scesa sotto il 9 per cento e nei cinque precedenti ha raggiunto sempre la doppia cifra, con il punto più alto del 2007: 14,2 per cento.
Cambio di rotta sancito politicamente: il premier uscente, che a ottobre lascerà il posto a qualcun altro, comunica che la Cina sceglie di crescere meno. Perché?
Ai tempi della crisi finanziaria globale, quando Pechino temeva che la frenata degli ordini occidentali avrebbe rallentato la crescita, molti analisti prevedevano che i nodi del “modello cinese” sarebbero venuti al pettine: il Paese non può scendere sotto l’8 per cento – si diceva – altrimenti le masse che ogni anno si affacciano sul mercato del lavoro non troveranno occupazione; e si moltiplicheranno le rivolte; e la Cina esploderà. Ma nel biennio 2008-2009 il Dragone riuscì a crescere rispettivamente del 9,6 e 9,2 per cento.

lunedì 16 gennaio 2012

Taiwan: oggi si vota con il convitato di pietra

di Angela Pascucci


Oscilla da 60 anni senza mai fermarsi fra l'isola e il continente. Il governo Ma, che si ripresenta, ritiene di rappresentare al meglio la «politica dei tre no». E gli Stati uniti sono in difficoltà Per i sondaggi testa a testa nazionalisti favorevoli allo status quo e indipendentisti Il presidente uscente presenta risultati importanti ma controversi. I suoi 4 anni di governo fra i più pacifici dei 60 anni di storia dell'isola ribelle. Una politica di avvicinamento senza precedenti
Occhi puntati su Taiwan che oggi vota per eleggere un nuovo presidente e i 113 deputati del suo parlamento, il Legislative Yuan. Un convitato di pietra, la grande Cina, seguirà gli abitanti dell' «isola ribelle» nel segreto delle cabine elettorali mentre dall'altra parte del Pacifico gli Stati uniti fingeranno di osservare super- partes, incrociando le dita. E tutti sperano che il verdetto delle urne, con quel che seguirà, non vada ad aggiungersi alla lista dei problemi che affliggono il mondo in questo momento di crisi globale.
I 32 milioni di taiwanesi non ignorano l'aspettativa che si concentra sulle loro complicate vicende in queste occasioni. Votano ormai per la quinta volta dal 1996, anno che mise fine al sistema del partito unico, quello del Kuomingtang (Kmt) nazionalista di Chiang Kai shek, e avviò un sistema sostanzialmente bipolare che da allora vede fronteggiarsi ogni 4 anni i «blu», i nazionalisti del Kmt, fedeli al concetto di «una sola Cina», e i «verdi», gli indipendentisti del Democratic Progressive Party (Dpp), con l'aggiunta dal 2000 del People First Party (Pfp).
In questa tornata il Kmt ricandida il presidente uscente, Ma Ying-jeou, 61 anni, eletto nel 2008 con una valanga di voti che aveva assicurato al suo partito ben 81 seggi nel Legislative Yuan, dopo otto anni di Dpp segnati da alta tensione con Pechino e finiti in clamorosi processi per corruzione, con lo stesso presidente Chen Shui bian condannato a 17 anni di carcere. Il Progressive Party affida oggi la sua riscossa politica e morale a Tsai Ing-wen, 55 anni, la prima donna a candidarsi alla presidenza. Terzo incomodo è James Soong Chu-yu, 69 anni, presidente del Pfp, definito il Ralph Nader taiwanese, per il suo ruolo di guastatore. Non vincerà (i sondaggi gli assegnano dall'8 al 10%) ma sottrarrà voti, soprattutto al Kmt, da cui è stato espulso nel 2000, diventando l'ago della bilancia per eventuali coalizioni.

Cina - Arriva l'iPhone a Pechino: ressa e rissa per comprarne uno

Cina iphone

L'oggetto di culto costa fra i 6000 e gli 8000 yuan.

di Michelangelo Cocco

Quando alle 7 di ieri mattina, contrariamente a quanto annunciato, le saracinesche non si sono alzate, dalle centinaia di persone accalcate fuori a quello che a Pechino tutti chiamano familiarmente pingguo (mela), è partito un lancio di uova che ha impiastricciato le vetrine. «Aprite le porte!», «Bugiardi!», urlava all'esterno del negozio della Apple la massa di giovani che aveva passato la notte all'addiaccio (-9 la temperatura minima) pur di portarsi a casa l'iPhone 4S, il giocattolino elettronico che sarà anche il simbolo dello sfruttamento degli operai della Foxconn - che lo produce in Cina per l'azienda di Cupertino - ma che nelle metropoli della Repubblica popolare è soprattutto uno degli status symbol più bramati da una classe media in crescita e a caccia di tutto ciò che è «Occidente», dalle biografie dei vip (quella di Steve Jobs va a ruba), ai talk show che il Partito comunista (Pcc) ha rimosso dalle tv satellitari ma che milioni di utenti seguono sul web. 
«L'iPhone 4S è la cosa migliore che Steve Jobs abbia creato, per questo ne voglio uno. Rimarrei estremamente deluso se non aprissero le porte», ha raccontato al South China morning post poco prima che scoppiassero gli scontri Li Tianye, un ventinovenne che s'era fatto due giorni di viaggio in autobus pur di non mancare allo storico, fallimentare lancio.

domenica 8 gennaio 2012

Cina - Gli scioperi che piegano Deng

di Michelangelo Cocco

Settima strada dell'innovazione, seconda via della scienza, viale della tecnologia... Hanno nomi che rimandano a un orizzonte di progresso i percorsi del Parco industriale dell'alta tecnologia di Shenzhen, l'ex villaggio di pescatori che nel 1980 Deng Xiaoping trasformò nella prima zona economica speciale della Repubblica popolare, oggi scossa da una profonda trasformazione e dagli scioperi che attraversano l'intera regione del Guangdong. È nel distretto dove si progettano software, circuiti elettronici e biotecnologie che, alla fine della prima giornata in fabbrica dopo una protesta che li ha portati a incrociare le braccia contro i padroni della Hitachi dal 4 al 25 dicembre, incontriamo uno dei 23 «delegati» protagonisti di questa nuova stagione di lotte operaie in Cina.  

Il rappresentante dei lavoratori - che ci chiede di rimanere anonimo - mostra il documento sul quale l'azienda si è infine dichiarata disponibile a trattare: aumenti salariali fino al 30%, prestiti agevolati per l'acquisto della casa, reintroduzione dei bonus cancellati dopo la crisi finanziaria del 2008. L'uomo, che come tutti i suoi compagni non è iscritto al Partito comunista (Pcc), racconta come è stata portata avanti la vertenza: «Una trentina di noi, i più anziani, hanno fatto volantinaggio, poi ci siamo riuniti in assemblea e alla fine ci siamo tirati dietro 3.500 dei 4.600 dipendenti» della Hailiang, che nel marzo prossimo passerà dal marchio hi-tech giapponese agli americani della Western digital. Le autorità - l'Assemblea dei lavoratori (l'organo del Pcc in fabbrica) e i funzionari provinciali - hanno svolto un ruolo di mediazione tra proprietà e maestranze.

venerdì 1 luglio 2011

Cina - L'economia del binario


Cina binaridi Gabriele Battaglia

In una Cina dove il rallentamento dell'economia e la diseguaglianza sempre più marcata fanno esplodere tensioni sociali un po' ovunque, il dibattito sull'alta velocità ferroviaria impazza nei media. Il nesso non è casuale: i treni veloci sono infatti visti come uno strumento, uno dei più efficaci, per portare il benessere ovunque. Sui diecimila chilometri di binari già costruiti per l'alta velocità, viaggiano non solo le nuove locomotive-proiettile, ma anche l'immagine della Cina all'avanguardia, tecnologicamente innovativa.
Chi è a favore, sottolinea che l'alta velocità permette di connettere meglio le regioni sviluppate della costa orientale con quelle occidentali, che scontano ancora ritardi. Una rete moderna di trasporti permetterebbe di creare una struttura industriale a ovest, di sfruttare meglio il mercato eurasiatico e di dipendere meno dal trasporto via mare. Ridurrebbe anche la distanza tra fonti energetiche e industrie. Infine, attirerebbe nelle regioni occidentali più popolazione, rafforzando così l'identità nazionale di quelle aree e la sicurezza ai confini. È chiaro il riferimento allo Xinjiang, dove la nuova zona economica speciale di Kashgar, debitamente connessa con l'alta velocità, farebbe da trampolino di lancio per l'espansione economica cinese in Asia centrale.
 
Ma i critici non mancano.

venerdì 29 aprile 2011

Cina - La fuga di Paperone

La nuova emigrazione è quella dei ricchi: talenti e risorse se ne vanno


I ricchi cinesi emigrano. È forse questa la scoperta più curiosa del 2011 China Private Wealth Study, a cura della China Merchants Bank e dell'agenzia di consulenza Bain & Company.È una nuova onda iniziata da un paio d'anni, che segue quella degli intellettuali (anni Settanta) e dei "talenti tecnologici" (anni Novanta).Il Dragone, terra promessa per chi vuole fare business o comunque svoltare collocandosi nella parte più dinamica del mondo, si trasforma automaticamente in un luogo da cui fuggire mano a mano che il patrimonio sale.
Almeno il sessanta per cento dei cinesi ad alto reddito è emigrato all'estero o ha intenzione di farlo. Per "alto reddito" si intendono gli individui che dispongono di almeno 10 milioni di yuan (poco più di un milione di euro) da investire. Attualmente sono circa 500mila; se la media si attesta sui 30 milioni (poco meno di 3 milioni e 150mila euro) di patrimonio, tra di loro c'è anche un'élite di ricchissimi - circa ventimila persone - che dispone di almeno 100 milioni di yuan (10 milioni di euro e briciole). La fetta di ricchezza complessiva di cui dispongono questi paperoni cinesi è stimata sui 15mila miliardi di yuan e dovrebbe salire a 18mila miliardi il prossimo anno.

sabato 5 febbraio 2011

Cina - Libertà mobile


di Gabriele Battaglia

Secondo l'ultimo rapporto del Chi­na Internet Network Information Cen­ter (CNNIC), i cinesi che navigano in Rete sono 457 milioni. Ben 303 milioni di questi si connettono via mobile, privilegiando il microblogging fra le varie attività possibili.Sul noto blog Shanghaiist è comparsa una lista nera di parole che le compagnie telefoniche China Mobile, China Telecom e China Unicom intenderebbero vietare nelle comunicazioni via sms. Le tre compagnie avevano precedentemente annunciato che nel 2011 avrebbero monitorato i messaggi di testo alla ricerca di "contenuti cattivi". Al momento, non risulta che le parole comprese nella lista vengano cancellate dagli sms.
Il 3 febbraio comincia l'anno del coniglio, che segue quello della tigre. Sulla Rete cinese è comparso "Coniglietto fai il bravo", un biglietto d'auguri in formato video pieno di riferimenti ad argomenti sensibili, come lo scandalo del latte alla melamina e gli espropri-demolizioni di case. La cosa del tutto nuova è che il video si conclude con una vera e propria carneficina di tigri compiuta da un esercito di coniglietti furiosi, con tanto di denti aguzzi e scene splatter. Tutti hanno interpretato il finale come un invito alla rivolta di popolo (i coniglietti) contro il potere politico (le tigri).

giovedì 20 gennaio 2011

Stati Uniti - Hu negli Usa: le sfide e le contraddizioni


Cina UsaIn attesa dell'inizio formale della visita del presidente Hu Jintao a Washington, una riflessione sulle spinose relazioni fra Cina e Stati Uniti. Dai rapporti economici, alla sfida del G2. Dai discorsi sui diritti umani, alle tensioni militari.
La visita di Stato di Hu Jintao a Barack Obama cade dopo un biennio di relazioni non entusiasmanti tra Cina e Stati Uniti.
I rapporti tra i due paesi. C’è una sola certezza: il paragone con la guerra fredda è sopravvalutato. Il mondo odierno non è quello della seconda metà del Novecento, e le reti globali attuali, già in termini di relazioni tecnologiche e di scambi di capitale umano, rispondono solo in parte a vecchi schemi. Le lezioni e i paragoni della storia si scontrano con l’unicità del “miracolo cinese” e con il contesto generale dello spostamento di potere e influenza da Occidente a Oriente. Ma due anni sono un periodo in cui, nonostante il detto di Zhou Enlai, è necessario giudicare. Cina e Stati Uniti non sanno esattamente cosa fare perché non sanno esattamente chi sono. Non sanno “pesarsi” nel mondo con precisione. Consideriamo il caso cinese.

martedì 18 gennaio 2011

Usa e Cina - La sfida dei giganti per rilanciare l'economia del pianeta


Obama e Hu Jintao

Si apre oggi a Washington la visita del presidente cinese. Quaranta anni dopo la diplomazia del ping pong, Hu Jintao porta nella Casa Bianca di Obama miracoli e ombre

Il 47% degli americani è convinto che il sorpasso del Pil tra Cina e Stati Uniti sia già avvenuto. Il risultato dell'autorevole sondaggio annuo Pew Research è rivelatore. In realtà nelle proiezioni più ottimiste l'economia cinese non raggiungerà le dimensioni americane prima del 2018 (altri rinviano lo storico aggancio verso il 2030). Ma le percezioni contano, e di percezioni è fatto questo G2, il vertice sino-americano che si apre domani sera a Washington con una cena privata. I due padroni del mondo: che piaccia o no a Barack Obama e Hu Jintao, così li considerano le loro opinioni pubbliche, e le altre nazioni. Quella visione dei due padroni, per quanto controversa, rende perfettamente il percorso storico che ha cambiato i connotati del mondo. Questa visita coincide con il quarantesimo anniversario della "diplomazia del ping pong", quando le due nazionali di tennis da tavolo furono usate nel 1971 come apri-pista per il primo incontro diretto tra Richard Nixon e Mao Zedong nell'anno seguente: la Cina di allora era un gigante povero, sempre minacciato dalle carestie, utile all'America solo come contrappeso politico-diplomatico all'Unione sovietica.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!