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sabato 1 dicembre 2018

Argentina - La final del mundo

Macri aveva detto che lo svolgersi pacifico della partita tra River e Boca sarebbe stata la dimostrazione del fatto che il governo è in grado di garantire nel fine settimana lo svolgimento pacifico del G20. “Non l’avesse mai detto…”, scrive da Buenon Aires Franco Berardi Bifo. Secondo Bifo “il summit è destinato a essere segnato dal fallimento totale del discorso neoliberale”, anche se non ci sarà nessuna dichiarazione di questo tipo. Non ci sarà neanche un’insurrezione dei movimenti. Trent’anni di dominio sulla società del capitalismo finanziario, come dimostra la folla scatenata per la partita di Buenos Aires, hanno provocato per lo più impoverimento, umiliazioni e demenza… Tracce di mondi diversi, tracce di umano si nascondono oggi “nei teatri numerosi e vivaci, nelle innumerevoli librerie di Buenos Aires, nelle scuole autogestite…, negli spazi in cui si organizza una resistenza di lungo periodo…”
Un laboratorio di Hip Hop con i bambini in strada a Buenos Aires, promosso durante le iniziative contro il G20 (foto di CRIA Asociación Civil)

di Franco Berardi Bifo

La final del mundo

Macri aveva detto che lo svolgersi pacifico della partita fine del mondo tra River e Boca, annunciata per il giorno 24 alle cinque del pomeriggio, sarebbe stata la dimostrazione del fatto che il ministero della Sicurezza della signora Bullrich – la Salvini argentina – è in grado di garantire uno svolgimento pacifico del vertice globale dei venti potenti.

Non l’avesse mai detto. Sabato ventiquattro è stato prima di tutto una figuraccia mondiale, e forse anche l’annuncio di un’apocalisse. Prima della partita i giocatori del Boca sono stati aggrediti nel loro pullman, due di loro feriti gravemente, poi sono state lanciate sostanze tossiche nello stadio e negli spogliatoi, poi la polizia ha chiuso gli ingressi, ha picchiato colpevoli e innocenti, ha caricato padri di famiglia col biglietto mentre migliaia di ubriachi seminavano il terrore tutt’intorno. La partita è stata sospesa e rinviata di ora in ora, finché alle sette e mezzo è arrivata la notizia che la partita era rinviata al giorno dopo. 

I padroni del calcio (amici di Macri, che fu presidente del Boca negli anni Novanta) hanno tentato in tutti i modi di costringere i calciatori a scendere nella fossa gigantesca dello stadio Monumental. Ma i giocatori hanno risposto di no, stavano negli spogliatoi vomitando, con gli occhi irritati dai fumi dei gas, terrorizzati da quel che poteva accadergli se fossero tornati in campo.

Il giorno dopo, domenica 25, gli organismi dirigenti del calcio argentino hanno deciso di rimandare nuovamente. A quando non si sa. Una nuova giornata di battaglia a pochi giorni dalla Cumbre Global del G20 non avrebbe migliorato l’immagine del governo argentino.

Nelle reti sociali circola un meme: “Angela Merkel ha telegrafato che questo G20 è meglio che lo facciamo in Skype”.

La parola fine

Sono venuto in Argentina all’inizio di novembre per presentare un libro che in questo paese è pubblicato col titolo Fenomenologia del fin, però non potevo immaginare che la parola “fine” era destinata a diventare il filo rosso del mio viaggio. L’ho scoperto poco a poco durante un mese di permanenza, mentre si stava avvicinando la data della mia partenza che avverrà più o meno in contemporanea con l’arrivo dei venti uomini (con qualche donna) più potenti del pianeta.

Però ho capito pienamente le parole di Mario Bergoglio il giorno in cui prese nome Francesco (“sono un uomo che viene dalla fine del mondo”) sabato 24 alle otto di sera quando è stato chiaro che non si poteva disputare la partita tra River e Boca, le due squadre (entrambe argentine, entrambe bonairensi) che si contendono la coppa continentale.

domenica 12 agosto 2018

Argentina - “Vi racconto l’inferno delle donne argentine, costrette a morire a causa degli aborti clandestini”

Riportiamo una intervista a Irupé Tentorio, giornalista e attivista pro-aborto, a due giorni dal voto del Senato argentino, che ha detto no alla proposta di legge per legalizzare l’interruzione di gravidanza nel paese.

“Ana era malata di cancro, ha chiesto di abortire per continuare la chemioterapia ma le è stato negato. Sua figlia è morta dopo 24 ore, lei un mese dopo”. Due giorni fa il Senato argentino ha bocciato la proposta di legge per legalizzare l’aborto. 

TPI ha intervistato Irupé Tentorio, giornalista e attivista, che ci ha spiegato perché le donne argentine prima o poi riusciranno a vincere questa battaglia.

C’è chi si stringe in un abbraccio, chi piange. Altre urlano, qualcuna tira sul volto un fazzoletto, che non è più quello bianco delle madri di Plaza de Majo ma è verde, il colore diventato il simbolo del movimento che in Argentina è sceso in strada per ottenere la legalizzazione dell’aborto.

L’onda verde, come l’hanno chiamata, negli ultimi cinque anni ha scosso il paese e ha portato al centro del dibattito pubblico il corpo, le donne e la loro libertà di scelta. “Sul mio corpo decido io”, “Aborto libero, legale e gratuito”, si legge sui cartelli, sugli striscioni, sui panuelos.

In strada ci sono tre milioni di persone, che hanno aspettato i risultati del voto per sedici ore, sotto la pioggia e con una temperatura di quattro gradi. Hanno visto proiettati sui maxischermi i volti dei senatori e hanno ascoltato le loro dichiarazioni, mentre si esprimevano sul disegno di legge per legalizzare l’interruzione volontaria di gravidanza.

Quando arriva la notizia che la legge per la depenalizzazione dell’aborto non ha ottenuto il sì del Senato, a Buenos Aires Plaza del Congreso è divisa a metà. Da un lato sono sventolati foulard blu, quelli dei movimenti pro-life, che lanciano fuochi d’artificio, applaudono. E urlano: “Viva la vita”.


L’altra metà è un’onda verde che si muove, si stringe e scandisce: “La battaglia non è finita”.
“Sapevamo che la legge avrebbe incontrato difficoltà in Senato, che è tradizionalmente più conservatore della Camera”, spiega Irupé Tentorio.

Insieme alle altre donne, Irupé ha seguito la votazione per tutta la notte. È una giornalista, scrive per Página/12, l’unico giornale con un supplemento dedicato alle tematiche di genere e alla diversità sessuale in Sud America.

Non è la prima volta che scende in strada: negli ultimi anni e negli ultimi cinque mesi di mobilitazione serrata – quando, dopo il sì della Camera Bassa, i movimenti delle donne hanno accelerato la corsa – le strade le ha vissute anche da attivista. Le ha viste con Karl Mancini, fotogiornalista italiano: insieme hanno raccontato le donne, le loro storie e battaglie nel progetto Ni Una Menos, un lavoro a lungo termine sulla violenza di genere, il femminicidio e la lotta dei movimenti femministi per i diritti in Argentina, ma anche nel resto del Sud America.


“La decisione dei senatori è stato un golpe contro le donne e la loro libertà, che evidentemente fa ancora paura”, continua Tentorio. “Ma il movimento non si ferma e noi continuiamo con la nostra militanza, territoriale e creativa”.

La proposta di legge è stata il punto di arrivo di un lungo percorso di discussione, attivismo e lavoro sul territorio. Da 33 anni le donne argentine si riuniscono ogni mese di ottobre ed è stato in uno di quegli incontri nazionali, tra il 2003 e il 2004, che è stata lanciata la “campagna dei fazzoletti verdi”, pensata e sostenuta da un gruppo di femministe e di attiviste.

martedì 15 maggio 2018

Argentina - Il ritorno dei corsari della finanza



di Francesco Gesualdi*

Sentiamo spesso parlare di finanziarizzazione dell’economia senza capirne a fondo il significato. Ma ciò che sta attraversando l’Argentina è un tipico esempio di economia sacrificata sull’altare della finanza che dà ragione delle parole scritte da Papa Francesco nel libro curato da Zanzucchi: «Quando si verifica il crollo di una finanza staccata dall’economia reale, tanti pagano le conseguenze e tra i tanti soprattutto i poveri e quanti poveri diventano, mentre i ricchi in un modo o nell’altro spesso se la cavano.»

L’Argentina è tornata all’onore delle cronache perché la sua situazione economica  sembra averla  riportata al 2001 quando si trovò con un tale debito estero da dover dichiarare fallimento. Allora come oggi, i segnali erano un pesos in caduta libera, la crescita del debito pubblico, un’alta inflazione, un forte debito commerciale e finanziario verso l’estero. Per uscire dalla crisi, Nestor Kirchner, che rimase al potere dal 2003 al 2010, aveva puntato su una politica articolata che comprendeva la ristrutturazione del debito pubblico,  la limitazione del movimento dei capitali, una politica monetaria e creditizia che favorisse gli investimenti produttivi da parte dell’imprenditoria nazionale. E benché molti gli abbiano contestato di non avere fatto abbastanza per fare aumentare i salari e per ridurre la povertà, tutti gli riconoscono il merito di avere saputo condurre l’Argentina fuori dalla palude. 
Ma la corsa cominciò a frenare nel 2008, allorché la crisi mondiale impattò negativamente anche sull’Argentina che gradatamente tornò a confrontarsi con i suoi demoni storici: inflazione, debito pubblico e disavanzo estero. Per di più nel 2012 arrivò la tegola dei fondi avvoltoi che non riconoscendo la ristrutturazione effettuata nel 2001 pretendevano la restituzione piena del valore nominale dei titoli con l’aggiunta degli interessi e delle more. 

Una partita che è stata chiusa nel 2016 dal governo successivo con un esborso di 9 miliardi dollari a danno degli argentini.



Nel 2015, quando cessò l’era Kirchner, prima gestita dal marito, poi dalla moglie, l’Argentina non navigava in ottime acque, ma disponeva di meccanismi per evitare la totale disfatta sociale ed economica. Poi arrivò Mauricio Macrì, convinto sostenitore della teoria neoliberista secondo la quale il sereno torna da solo se si libera il mercato da tasse, lacci e lacciuoli. Detto fatto, per prima cosa tolse ogni meccanismo di difesa del pesos e lasciò che si attestasse sul valore deciso dal mercato tramite il libero incontro fra offerta e domanda. 

Era il dicembre 2015 e il pesos, in un solo giorno, si svalutò del 30 per cento per la gioia delle multinazionali dell’agroindustria e dell’industria estrattiva che essendo al tempo stessi produttori e acquirenti, hanno tutto l’interesse a fare uscire dal paese prodotti a basso prezzo che poi generano guadagni nelle fasi di rivendita successiva sotto forma di dollari riparabili nei paradisi fiscali. E per non lasciare le cose a metà, Macri tolse anche tutti i limiti alle esportazioni creando una situazione concorrenziale fra la domanda interna e quella internazionale che ebbe la peggio per la domanda interna. Il prezzo interno di soia e cereali crebbe addirittura del 150% mettendo in crisi non solo i consumatori finali, ma anche l’industria intermedia della carne. Contemporaneamente anche le importazioni vennero rimesse in totale libertà e nonostante la svalutazione del pesos, i manufatti stranieri invasero l’Argentina mettendo in crisi settori chiave del paese come l’industria tessile, meccanica e calzaturiera. La conclusione è stata che fra il 2016 e il 2017 le importazioni hanno superato di gran lunga le esportazioni generando un deficit commerciale verso l’estero per 14 miliardi di euro.

Ma le cose sono andate di male in peggio anche sul piano sociale e finanziario. Sul piano sociale il paese sta registrando una crescita della disoccupazione per licenziamenti non solo in ambito  privato, ma anche pubblico come conseguenza del dogma neoliberista che impone allo stato di ridurre la sua presenza in tutti gli ambiti, sia quello dei servizi che del sostegno sociale. E’ del dicembre 2017 una sforbiciata alle pensioni di anzianità e ai contributi a favore delle categorie svantaggiate con contemporanea soppressione delle integrazioni a luce, acqua e gas che hanno rappresentato una vera mazzata per i salari già bassi e taglieggiati da un inflazione che fra il 2016 e il 2017 è stata del 65 per cento.



La giustificazione del governo è che deve risparmiare per riportare i conti pubblici in pareggio considerato che nel 2016 ha registrato un deficit di 32 miliardi di dollari, 6,3 per cento del Pil. Un male non casuale considerato il minor gettito fiscale dovuto ai tagli di imposta sulle esportazioni e sui redditi più alti e il maggior esborso per interessi su un debito pubblico che sta crescendo, non per finanziare servizi e opere pubbliche a vantaggio della collettività, ma per ripristinare riserve in dollari che si stanno prosciugando a causa della possibilità data alle classi agiate di accumulare dollari all’estero. Un film già visto al tempo della giunta militare.

venerdì 16 marzo 2018

Argentina - Una sentenza gravissima

Una sentenza gravissima, quella che concede l’estradizione in Cile per Facundo Jones Huala, dirigente politico della comunità mapuche di Cushamen, nella Patagonia argentina. Se anche il ricorso alla Corte Suprema venisse respinto, Facundo finirebbe nelle carceri cilene, dove la resistenza del suo popolo viene solitamente considerata e giudicata come terrorismo in base al lascito legislativo del tempo di Pinochet. La prima richiesta di estradizione era stata respinta dopo l’accertamento delle torture subite da un testimone chiave nel castello di accuse costruite contro il lonko mapuche. Nora Cortiñas, una delle più note Madri di Plaza de Mayo, ha voluto assistere di persona all’udienza e ne ha giudicato vergognoso l’esito. Poi ha detto che le affermazioni fatte in aula da Facundo Huala sono invece “una lezione di storia”, che merita di essere ascoltata integralmente nell’incontro di piazza settimanale che le Madri tengono tutt’ora nella capitale argentina

Facundo Jones Huala

di Patrizia Larese

Il tribunale di Bariloche, città della regione del Rio Negro nella Patagonia argentina, ha deciso di accogliere la richiesta di estradizione in Cile di Facundo Jones Huala, lonko (leader politico) della comunità mapuche Pu Lof in Resistenza di Cushamen, nei pressi di Esquel, regione del Chubut (Argentina).

L’applicazione della sentenza di estradizione è stata sospesa per consentire il ricorso alla Corte Suprema di Giustizia da parte della difesa del leader indigeno che chiederà anche la sua scarcerazione.

Sulla testa del lonko pende dal 2013 un ordine di cattura firmato dal giudice federale di Bariloche, Gustavo Villanueva, per alcuni fatti accaduti quello stesso anno nella regione dell’Araucania (Cile): dalla detenzione illegale di armi e munizioni di fabbricazione artigianale all’incendio di una casa nel fondo Pisu Pisuè, a San Bueno del Cile. Insieme a lui erano finiti in manette altri cinque mapuche cileni, scarcerati però dopo pochi mesi per mancanza di prove.

Nell’agosto 2016 Facundo Jones Huala era stato imputato nel primo processo per la definizione della richiesta cilena di estradizione ma, a causa delle accertate torture da parte della polizia subìte tempo prima da un testimone chiave, Gonzalo Cabrera di Gualjainam, nel dipartimento di Cushamen, affinché rendesse false dichiarazioni, il giudice federale di Esquel, Guido Otranto, ritenne di non accogliere la richiesta e così il lonko era stato in un primo tempo rimesso in libertà. Alle udienze era presente anche il Premio Nobel per la Pace, Adolfo Pérez Esquivel, sempre vicino alle lotte dei popoli nativi.
La decisione del tribunale di Bariloche dello scorso 7 marzo ha generato vibrate proteste nella comunità mapuche che anche nella Patagonia argentina lotta per il recupero delle terre ancestrali ora di proprietà di imprese straniere, tra cui l’italiana Benetton.



Isabel Huala all’esterno del Tribunale, subito dopo aver appreso la sentenza sull’estradizione del figlio. 
Foto Gustavo Zaninelli

Facundo Jones Huala si è sempre dichiarato innocente ed il suo avvocato, Sonia Ivanoff, specializzata nella difesa dei popoli indigeni e vicepresidente della AADI (Asociación de Abogados/as de Derecho Indígena de la República Argentina) ha dichiarato: “Il giudice Villanueva ha dato la sensazione di avere preso la decisione a prescindere, senza nemmeno ascoltare la nostra posizione.

Durante l’udienza Facundo, in sua difesa, ha detto: “Qui non c’è terrorismo, qui c’è un popolo stanco, che si difende con quello che ha: un arsenale di pale, machete, motoseghe, arnesi da lavoro. Siamo gente che lavora. Questi stessi attrezzi hanno costruito questa palestra. Cosa possiamo aspettarci dalla giustizia corrotta di un altro paese, quando uno percepisce che è la stessa legge della dittatura, del dittatore Pinochet del 1975? È totalmente incostituzionale. Cosa possiamo aspettarci da un paese che non può garantire la giustizia e il giusto processo con i diritti costituzionali. Continuerò ad incitare tutti i miei fratelli mapuche a sentirsi orgogliosamente mapuche, che non dimentichino il coraggio di Rafael Nahuele che seguano il suo cammino. Se io non fossi stato malato sarei stato lì dove si trovava Rafael. Non mi importa di essere in prigione per la mia gente. Questo sono, sono quello che ci ha lasciato Calfupan. Siamo i loro figli, nipoti, i loro discendenti e in questa terra continuerà a nascere sangue mapuche. Questa terra è, è stata e continuerà ad essere territorio mapuche. I Mapuche continueranno a organizzarsi politicamente in entrambi i versanti della cordigliera, non importa se sono in prigione o no. Dicono che siamo terroristi, ma noi non lo siamo. Io chiedo, se siamo terroristi, dove sono i morti? I morti sono sempre nella nostra comunità. Se questo non è un processo politico, cos’è?”.

venerdì 27 gennaio 2017

Argentina - Mapuche vs. Benetton: i colori della resistenza indigena


Mapuche vs. Benetton: i colori della resistenza indigena

Il 10 gennaio scorso duecento agenti della Gendarmería Nacional hanno lanciato un’offensiva contro un piccolo gruppo di indigeni mapuche nella provincia di Chubut, nella Patagonia argentina. Un’azione sproporzionata nel dispiegamento di forze in cui, con la scusa di abilitare la ferrovia per il passaggio di un treno turistico, la piccola comunità mapuche è stata attaccata ed isolata completamente, impedendo così il sostegno da parte di organizzazioni e movimenti sociali che operano a sostegno del popolo indigeno. Sono stati sparati proiettili di gomma, impiegati droni ed un uso brutale della forza contro una comunità di molto inferiore nei numeri rispetto alle forze dell’ordine. Il giorno seguente la polizia di Chubut è tornata a colpire, questa volta impiegando non solo proiettili di gomma ma anche proiettili regolari, lasciando sul terreno almeno due feriti gravi e ha proceduto all’arresto di sette persone della comunità. Anche Amnesty International ha denunciato l’accaduto, sottolineando come non sia ammissibile l’azione repressiva da parte dello Stato, soprattutto per quanto riguarda le violenze contro donne, bambini e bambine. Mariela Belski, direttrice di Amnesty Argentina, ha evidenziato l’opacità e la mancanza di trasparenza dell’operazione di polizia e la totale sproporzione fra la realtà dei fatti e la reazione delle forze dell’ordine. Già l’anno scorso Amnesty ed altre organizzazioni per i diritti umani ed organizzazioni indigene avevano denunciato la preoccupante escalation di stigmatizzazione e persecuzione nei confronti del popolo mapuche.
Ma cosa spiega lo scatenarsi di una tale violenza da parte dello Stato argentino contro un piccolo gruppo di indigeni inermi? Forse la statura (economica, non certo morale) del contendente. L’intervento è stato infatti eseguito in seguito alla richiesta della Compañía de Tierras Sud Argentino, che appartiene a Luciano e Carlo Benetton, del Benetton Group, arcinota multinazionale italiana del tessile. La Compañía si è rivolta alla giustizia con il pretesto di ripulire le piccole barricate di rami e tronchi di alberi posizionate dagli indigeni che ingombravano i binari del treno patagonico “La Trochita”. L’utilizzo di questo treno è impedito ai mapuche, ed essi reclamano di poter usufruire del servizio, per uscire dall’isolamento in cui si trovano a vivere. Questa parte di territorio apparteneva a Benetton, ma nel marzo 2015 è stato recuperato dalla comunità mapuche, in quanto parte del proprio territorio ancestrale.
Benetton possiede nella Patagonia argentina, attraverso la citata Compañia de Tierras Sud Argentino, oltre 900.000 ettari di terra, un’estensione pari a 45 volte la superficie della capitale federale Buenos Aires. Tale area è utilizzata prevalentemente per l’allevamento intensivo di capi di bestiame, principalmente ovini, destinati alla produzione di lana (circa 500 tonnellate all’anno). Gli interessi di Benetton ricadono però anche sulla coltivazione intensiva di cereali e produzione di carne bovina e ovina, nonché secondo alcune fonti sull’estrazione mineraria, attraverso l’azienda Minera Sud Argentina Sa, dove i Benetton sarebbero azionisti di maggioranza.

mercoledì 18 gennaio 2017

Argentina - La comunità Mapuche vittima delle violenze della polizia, il responsabile si chiama Benetton


Benetton e i Mapuches
Terreni di proprietà della Benetton
La storica controversia tra Benetton e i Mapuches in Patagonia si sta aggravando. Benetton in Patagonia possiede 800.000 ettari. La comunità mapuche sostiene di avere i domini di parte del vasto territorio che detiene la Compagnia delle terre del sud argentino, proprietà di Benetton dal 1991. La società si dichiara proprietaria di un territorio oggetto di controversia dal 1891, poco dopo la fine della cosiddetta Campagna del Deserto, che mise fine ai possessi indigeni nella zona tra il 1878 e il 1885. Secondo Benetton, che oggi è uno dei più grandi proprietari terrieri stranieri in Patagonia e in Argentina, non c’erano mai stati reclami da parte dei mapuche prima le terre venissero da lui acquistate.

Giorni fa forze della polizia sono entrate due volte in una comunità mapuche nella provincia di Chubut, a 1.700 chilometri da Buenos Aires, e represso  con pestaggi e sparatorie.  Il risultato è di nove mapuche feriti, dieci arrestati e cinque poliziotti.
L’oggetto immediato di protesta è l’uso che la Provincia di Chubut di fa del treno La Trochita. Un tempo la linea ferroviaria aveva uno scopo sociale, trasportando la gente di luogo in luogo , ma ora il treno  è utilizzato esclusivamente per turismo. Gli abitanti vogliono che la Provincia li avvisi ogni volta che la linea deve essere utilizzata, in modo che si capisca che queste terre appartengono a loro. Un tavolo di trattativa stato interrotto dopo tentativi di accordo e i Mapuche sono scesi in agitazione, bloccando strade, occupando terre. In Argentina cresce attenzione e sostegno al popolo Mapuche. Vi è stata una presa di posizione di Amnesty International. “Occorre ripensare le forme di coordinamento con le comunità”, ha detto Paola Rey Garcia, direttrice di Protezione e Promozione dei diritti umani di Amnesty International Argentina. Significativa è una lettera aperta, dura e pesantissima, de las Madres de Plaza de Mayo a Benetton:
Benetton, ladro,  predatore, sfruttatore,  assassino di popoli indigeni:
Le Madri di Plaza de Mayo vogliamo dirle giù le mani, perché nel suo affanno di far più soldi per lei e la sua famiglia non si rende conto delle conseguenze noi lo intendiamo fermare perché la mano nel tentativo di Lei  e la sua famiglia siete torturatori e assassini del nostro popolo. I vostri beni grondano di sangue indigeno.
 Il cibo che mangia è fatto di bambini che uccide tutti i giorni con il suo atteggiamento di tutti i giorni.
Benetton, quando morirà sarà mangiato da vermi che si intossicheranno in quanto il suo corpo è responsabile dei crimini di uomini, donne e bambini che hai ucciso per tanti anni.
Chi acquista marchio di abbigliamento sa che è pieno di sangue? ll fuoco dell’inferno non basterà a bruciare un corpo come il suo con tanti peccati.
Hebe de Bonafini, Presidente dell’Associazione Madri di Plaza de Mayo
Più politici sono i messaggi che Il gruppo di artiste tessili Puntadas Ranquelas invia all'indirizzo email di Benetton in Italia: “Benetton contraddice la sua politica a favore della diversità, che è pura apparenza e strategia di marketing visto che è complice e causa principale della repressione dei popoli indigeni nel Chubut, Patagonia argentina.  Che il mondo intero sappia, ed è quello che faremo. Benetton fuori dall’Argentina.”
Lo storico Osvaldo Bayer, dopo aver visto le scene di brutalità contro i Mapuche, si è scagliato contro Mauricio Macri che permette la repressione e ha affermato: “Otra vez, la Patagonia rebelde”, “Un’altra volta la Patagonia ribelle.”
tratto da Pressenza

sabato 8 settembre 2012

Argentina - Buenos Aires: aggredito il Movimento dei Collettivi del Barrio Pico de Oro di Florencio Varela


Nella notte del 29 agosto del 2012, e anche in quella del 30 agosto, un gruppo di spacciatori (che vogliono muoversi tranquilli nel quartiere) hanno attaccato le case di persone appartenenti al Movimiento de Colectivos del Barrio Pico de Oro de Florencio Varela (Provincia Buenos Alres), fra queste anche quella di Alberto Spagnolo che è stato ospite nelle Marche e Umbria ( e tante altre città)  invitato all'Onu dei Popoli.
Carta abierta sobre la agresion al Barrio Pico de Oro de F.Varela.
Alle autorità competenti e alla società civile
 Abbiamo appena ricevuto informazioni su di un gravissimo attentato contro il Movimento dei Collettivi, e precisamente nei confronti di due figure molto significative dei movimenti cittadini del cono urbano di Buenos Aires. Tali informazioni sono molto preoccupanti sia a livello personale che in generale, perché la nascita di un certo "potere" che mira a controllare il territorio è un problema che ci riguarda tutti. Sappiamo che i quartieri (in questo caso il quartiere del Pico de Oro di Florencio Varela), vengono sistematicamente attaccati con i più riprovevoli metodi mafiosi.
Si tratta di attacchi sistematici che rimangono impuniti in un territorio liberato, al fine di controllare le zone, espropriando la vita dei giovani per diffondere lo spaccio di droghe ed eliminare le organizzazioni popolari dei quartieri poveri, che sono quelle che vogliono dare, soprattutto ai più giovani, la consapevolezza che ci sono altre alternative.
Il nostro lavoro collettivo con le organizzazioni sociali in tale territorio, come con l'ex MTD Solano, l'associazione "COÊJHU" e il Movimento dei Collettivi, è un lavoro continuo e di una straordinaria ricchezza, che è iniziato molti anni fa. Dal 2004 molte organizzazioni sociali italiane e istituzioni pubbliche provenienti da varie regioni del Paese, sono state direttamente coinvolte nella realizzazione di un "Centro di Salute" in uno dei quartieri del cono urbano di Buenos Aires, nell'ambito del progetto "Spazio Autonomo di Salute ", in parte finanziato dalla Regione Marche (Settore Cooperazione Internazionale), e conclusosi con la costituzione di consultori popolari.
Fin dall'inizio dei lavori, e fino ad oggi, l'associazione Ya Basta! ha effettuato visite regolari a Buenos Aires e nel 2008 ha organizzato una brigata di 30 persone per partecipare all' inaugurazione  del Centro di Salute. Queste carovane si sono ripetute anche negli anni successivi.
Oggi più che mai noi manterremo la nostra presenza continua e di sostegno con il fermo obiettivo di creare le condizioni necessarie per ottenere una situazione di controllo e vigilanza internazionale e osservazione degli eventi nei quartieri.
Al Movimento dei Collettivi, a Alberto, Neka e a tutti i vicini del quartiere Pico de Oro
NO ESTAN SOLOS!!!!!
Assoc. YA BASTA! ITALIA
Italia,  Settembre 2012

lunedì 18 gennaio 2010

Carovana in Argentina - presenz/attiva gennaio 2010 - Guandacol contra la minería

L'arrivo della carovana di Ya Basta nel paese e' l'occasione per realizzare dal basso la locale Assemblea cittadina autoconvocata contro la miniera d'oro e uranio


Dal paese di Chilechito, una delegazione dell’assemblea cittadina El Famatina no se toca ha accompagnato la carovana fino al paese di Guandacol, sempre nella provincia nord occidentale di La Rioja, a 180 km e 4 ore di colectivo da Chilechito.
Qui un gruppo di attivisti locali cerca di promuovere l’assemblea per lottare contro la presenza di una miniera d'oro e uranio che e’ stata aperta in un’altra regione ma a soli 15 km da Guandacol, su cui ricadono le polveri delle esplosioni attuate per i sondaggi e le estrazioni.
A Guandacol ci accoglie Ricardo, un compagno ex-professore molto attento alla sostenibilita' della sua terra, che insieme a Ivana, un’insegnante di storia, e ad alcuni giovani ha organizzato un incontro per sensibilizzare i suoi concittadini (Guandacol e’ un piccolo centro rurale di 4mila abitanti) rispetto ai danni della minería.

lunedì 11 gennaio 2010

Carovana in Argentina - Presenz/attiva gennaio 2010 - Prima tappa: Chilecito - Famatina


La carovana Ya Basta di presenza attiva in Argentina parte dal Nord e ha come prima tappa Chilecito, nella provincia de La Rioja.

Qui abbiamo incontrato un’assemblea cittadina che si batte dal 2001 contro la realizzazione di una miniera d’oro sul monte Famatina, un’esperienza che Ya Basta Marche in una precedente carovana aveva già conosciuto e sostenuto e che e’ stata divulgata in diversi film documentari.
L’assemblea “El famatina no se toca” ha coinvolto la popolazione in una battaglia che ha permesso di bloccare i lavori della miniera d'oro in questa zona, con un picchetto permanente, presidi e azioni di disobbedienza al passaggio dei camion della azienza mineraria, esperienza a cui hanno partecipato molte donne, come Gabriela, Marcela, Perla, che ieri ci hanno accolti e ospitati.
La delegazione di Ya Basta e’ stata intervistata in diretta su Radio Comarca, un'emittente locale solidale con la lotta dell’assemblea, che ha voluto conoscere le attività dell'associazione e le problematiche che, a livello ambientale e sociale, stiamo attraversando in Italia.

venerdì 6 novembre 2009

Argentina - Patagonia Presenz/attiva gennaio 2010

Carovana nell’Argentina dell’epoca dei Kirchner: dai conflitti urbani alla difesa dei beni comuni.


Quest’inverno saremo presenti in Argentina con l’obiettivo di capire cosa sta succedendo in questo paese dell’America Latina: vogliamo attraversare questo immenso territorio per conoscere direttamente le lotte che in questo periodo stanno interessando questa parte del mondo.
Dalle mobilitazioni metropolitane che riguardano la crisi economica e la precarietà urbana raggiungeremo le lotte locali in difesa dei beni comuni contro la devastazione ambientale.
L’Argentina è scenario di numerose mobilitazioni contro lo sviluppo di un modello basato sullo sfruttamento dei beni collettivi e della natura da parte delle transnazionali come ad esempio l’espansione incondizionata delle monocolture oppure la coltivazione della soia transgenica. Così come crescono le mobilitazioni contro le compagnie minerarie e petrolifere nelle Ande. Vorremmo attraversare queste diverse realtà fino a giungere in Patagonia dove il Popolo Mapuche sta continuando ed allargando la pratica del "recupero" dei territori usurpati dalle grandi transazionali.

PERCORSI

* Buenos Aires - Incontri con le realtà metropolitane per conoscere il dibattito politico e la situazione sociale nel pieno di una profonda crisi economica.

* La Famatina - Nord-Ovest argentino - A La Rioja, a 1.800 metri di altitudine, incontreremo il piquete più alto del mondo. Gli abitanti della regione hanno dato vita ad un Coordinamento di assemblee con cui si sono auto-organizzati per resistere e dire no al Progetto (sponsorizzato dal governo) di una miniera a cielo aperto. Dal marzo del 2007 a Peñas Negras, di fronte al Monte della Famatina, nella Cordigliera, i cittadini stanno bloccando la multinazionale Barrick Gold Corporation e il suo progetto estrattivo che porterebbe alla distruzione delle montagne ed all’inquinamento da cianuro delle acque.
“…Noi vogliamo preservare il Famatina con i suoi ghiacciai, con l’acqua e il paesaggio, la nostra aria e la nostra terra agricola. Noi non vogliamo diventare minatori, non accettiamo di essere minatori, e crediamo nel “consenso sociale” e nella autodeterminazione dei popoli, siamo convinti che i governanti devono, anche se a loro non piace, accettare la decisione dei popoli..”

* El Maitén - Chubut (Patagonia) - Per incontrare il Collettivo di comunicazione della Radio Comunitaria Mapuche “Petu Mogeleiñ” e per contribuire attivamente alla costruzione della Casa Comunitaria.
La proposta è quella di creare uno spazio comune che sia riferimento locale per le iniziative del Popolo Mapuche e che possa essere punto di riferimento autogestito per chi vuole viaggiare in Patagonia con occhi diversi. La realizzazione di questo spazio permetterà una maggiore capacità d’azione di Radio Petu Mogeleiñ, la voce libera di un territorio che non solo Benetton ma molti dei moderni invasori vorrebbero sfruttare fino alla devastazione.
Patagonia - Visita ad alcune comunità Mapuche, ai terreni recuperati, per conoscere direttamente la resistenza delle comunità agli attacchi e tentativi di sgombero da parte delle autorità locali e dei nuovi colonizzatori.

Per info treviso@yabasta.it

www.yabasta.it

giovedì 29 ottobre 2009

Mobilitazione a Temuko contro la brutalità dello stato del Cile

Violenze in Wallmapu

Ancora sulle strade per protestare contro l'ultimo 'Piano operativo statale di Repressione al Popolo Mapuche'

Circa duemila persone provenienti dalle comunità Mapuche di tutto il Wallmapu, hanno marciato per le strade di Temuko in ripudio alla politica di criminalizazione e repressione implementata dallo stato del Cile in risposta alle loro richieste sociali per stabilire il pieno esercizio dei diritti collettivi del Popolo Mapuche, specialmente dei diritti territoriali, sanciti da trattati internazionali sottoscritti dallo stesso governo cileno. Irruzioni nelle comunità e nelle terre ancestrali recuperate, accompagnate da intimidazioni, fermi e arresti, ferimento di adulti e bambini in un escalation di violenza con utilizzo di armi che non ha lasciato indifferenti neppure gli organismi internazionali.

Durante la mobilitazione guidata dall'Alleanza Territoriale Mapuche, quando sono arrivati all'edificio del governo regionale, hanno lasciato una gran quantità di resti di approvvigionamenti lasciati dai carabinieri durante i molteplici operativi ed irruzioni effettuati nelle comunità.

"Con questo hanno fatto irruzione nella scuola di Temukuikui e lasciato feriti dei bambini di noi i Mapuche", hanno denunciato dei bambini partecipanti alla marcia mentre sostenevano e mostravano cartucce di bombe lacrimogene, cartucce da fucile e bossoli di pallottole.


lunedì 19 ottobre 2009

Wallmapu - Violenza poliziesca incontrollata contro le comunità mapuche


Observatorio Ciudadano

Nonostante la rattifica da parte del Cile dell’Accordo 169 della OIL, non cessano le rappresaglie nelle comunità.Approssimativamente alle ore 14 del venerdì 15 di ottobre, mentre rappresentanti della comunità di Temucuicui partecipavano a una riunione con funzionari di CONAF nella scuola del settore, in relazione allo sviluppo di un programma di impieghi, un operativo poliziesco condotto da carabinieri in netta violazione di tutte le norme su procedure di polizia, è terminato con numerosi feriti e con la detenzione del lonko (capo spirituale) Juan Catrillanca e del werken (portavoce) della stessa comunità, Mijael Carbone.

Da quanto raccontato i carabinieri sono arrivati all’improvviso e senza esibire nessun ordine giudiziale procedendo all’invasione della comunità, effettuando spari e lanciando bombe lacrimogene all’interno della scuola. Come conseguenza di questa azione sono risultate ferite una decina persone, tra essi sei bambini. Due dei feriti, entrambi adulti, sono risultati con ferite da colpi di arma da fuoco, ed il resto con pallottole di gomma. Inoltre sono stati ricoverati con sintomi di asfissia una quarantina di bambini che si trovavano all’interno della scuola.

L’azione dei carabinieri che sarebbe dovuta apparentemente a un’ordine della procura, risulta assolutamente contraria alle norme di diritto interno ed internazionale relative alla proibizione dell’uso indebito della forza contro civili e persone indifese, particolarmente bambini. Si tratta, purtroppo, di una condotta che non è nuova.

Anche oggi si è verificato un altro fatto preoccupante questa volta nella comunità José Guiñón, nello stesso comune di Ercilla. Come denunciato all’Osservatorio Cittadino da Pablo Ruiz, membro del Comitato Etico contro la Tortura, che accompagnava un gruppo di rappresentanti di organizzazioni dei diritti umani nordamericane che visitano la zona, arrivando alla comunità, attorno alle ore 15, si sono trovati nel mezzo di un operativo dei carabinieri, trovando la machi (anziana, saggia della comunità) ammanettata nel suolo. In questa occasione ci sono stati quattro detenuti, il lonko della comunità, José Cariqueo, Freddy Marileo, Luis Humberto Marileo ed un bambino di solo 13 anni.


Dall’inizio dell’anno si sono registrati più di una ventina di casi di violenza poliziesca contro componenti di comunità mapuche, e molti di essi hanno colpito bambini.

Tale è il caso di F.M.M., di 10 anni di età, anche lui di Temucuicui che all’inizio del mese è stato ferito da pallini mentre si trovava badando animali della sua famiglia. Un altro caso grave ha colpito il 5 di ottobre passato F.P.M., di 14 anni di età, nella comunità di Rofue nel comune di Padre Las Casas in Temuco. Il ragazzo è stato intercettato da carabinieri che si muovevano in elicottero, mentre raccoglieva piante medicinali assieme alla machi della comunità, fermato a colpi di pallottole di gomma alle gambe e alla schiena e successivamente caricato sull’elicottero, da dove veniva minacciato di essere lanciato se non forniva i nomi delle persone della comunità implicate in un’azione di recupero di terre che si stava effettuando in quel momento.

Questo nonostante che l’attuazione di azioni sproporzionate dei carabinieri a danno della popolazione civile e della popolazione mapuche nell’ultimo periodo, sia stato oggetto di interpellanza allo Stato del Cile da parte di diversi organi delle Nazioni Unite, come il Comitato di Diritti dal Bambino, il Comitato dei Diritti umani, il Comitato contro la Tortura, ed il Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale, che hanno sollecitato il governo a mettere un freno a questo tipo di condotta poliziesca in violazione dei diritti umani.

La reiterazione di questo tipo di condotta illegale e discriminatoria da parte dei carabinieri, rende conto che le autorità non stanno rispettando gli obblighi internazionali ed agiscono contro le raccomandazioni da questi organi, la cui competenza è determinata da trattati dei diritti umani ratificati dal Cile e pienamente vigenti nel nostro ordinamento giuridico interno.

Sollecitiamo all’alto comando dei Carabinieri ad adottare misure per identificare i responsabili di questi fatti e sanzionare questo tipo di condotta criminale e, inoltre, in violazione dei diritti umani, della quale sono responsabili membri delle forze dell’ordine e sicurezza dei Carabinieri del Cile.

Contemporaneamente, sollecitiamo le autorità di governo responsabili per le azioni dei carabinieri del Cile, ad adottare tutte le misure amministrative affinché si sanzionino i responsabili. In caso contrario, come l’Osservatorio ha segnalato anteriormente, il governo del Cile, guidato dalla Presidentessa Michelle Bachelet, si fa complice di atti criminali ed in violazione dei diritti umani commessi dagli agenti dello Stato contro la popolazione mapuche, in aperta contraddizione con il suo discorso pubblico in relazione ai paesi indigeni. Violando, come già abbiamo segnalato, trattati internazionali di diritti umani ratificati dal Cile, tra gli altri, l’Accordo 169 della OIL recentemente ratificato, sui popoli indigeni e tribali.

Observatorio Ciudadano*, viernes 16 de octubre de 2009.

* Organizzazione non governamentale di difesa, promozione e documentazione dei diritti umani con sede in Temuco

venerdì 16 ottobre 2009

Wallmapu - Ritorno alla terra

Durante gli ultimi 10 anni i mapuche hanno recuperato più di 230.000 ettari di territorio ancestrale

Il popolo mapuche porta avanti una politica di rivendicazione tanto taciuta quanto storica. Soggetto alla legge, ha cominciato a recuperare territorio ancestrale. Al commemorare il 12 di ottobre, i casi, le testimonianze e le battaglie delle comunità

di Dario Aranda

Wiñomüleiñ ta iñ mapu meu significa in lingua mapuche "territori recuperati”. È un'aspirazione, una pratica rivendicativa e, soprattutto, un diritto dei popoli originari a ritornare ai fondi che sono stati loro sottratti. Solo nell'ultima decade, e dopo aver esaurito l'iter amministrativo e giudiziale, il popolo mapuche ha recuperato 233 mille ettari - undici volte la superficie della città di Buenos Aires - il che ha comportato il loro ritorno alle terre ancestrali.

Appoggiati da trattati internazionali che hanno rango superiore alle leggi locali, il recupero implica molto più che ettari di terreno, installa una concezione differente della terra che interpella il concetto di proprietà individuale alla ricerca di rendimento e lo soppianta per un spazio di occupazione collettivo, "territorio ancestrale", imprescindibile per lo sviluppo come popolo originario.

"La nostra visione sbatte contro gli interessi del capitale che pretende l'appropriazione del territorio, e con i governi che permettono, facilitano ed orchestrano le nuove forme del saccheggio", spiegano dal Consejo Asesor Indígena (CAI), organizzazione di base delle comunità indigene del Rio Negro.

Lucinda Quintupuray aveva 79 anni. Tutta la sua vita è rimasta nello stesso posto, paraggi di Cuesta del Ternero, a 30 chilometri di El Bolsón, terre pregiate per commercianti immobiliari. E' stata trovata con due colpi di arma da fuoco. Non le hanno rubato niente, l'hanno assassinata solamente. Un anno dopo, Victoriano Quintupuray, figlio di Lucinda ed erede dei 2500 ettari è stato trovato soffocato. La polizia lo ha catalogato come “incidente".

Era agosto del 1994 e cominciava una lunga battaglia legale per il territorio ancestrale. La Comunità Quintupuray da un lato, il governo del Rio Negro ed operatori immobiliari dall'altro.
Dopo quindici anni di dispute amministrative e giudiziali, il 5 maggio del 2008, la Comunità Quintupuray ha recuperato il territorio: è entrata nell'appezzamento, ha costruito un'abitazione e ha cominciato ad utilizzare il territorio.

"Il governo provinciale non solo non prende in considerazione il crimine impune ma avanza nel completare il saccheggio, ignorando la nostra esistenza", ha spiegato la Comunità il giorno che è ritornata al suo posto.

Il Consejo Asesor Indígena (CAI) ha sostenuto la comunità e incitato la Direzione di Terre ed il Consiglio di Sviluppo delle Comunità Indigene (Codeci), dipendente dal Governo. Le "sue decisioni sono funzionali a chi vuole appropriarsi del nostro territorio. Non difenderemo solo i nostri diritti collettivi ma continueremo ad avanzare nel recupero del nostro territorio", ha affermato il CAI che ha sostenuto le comunità mapuches nel recupero di 160 mila ettari negli ultimi 10 anni.

Il presidente del Codeci, Fiorentino Huircapan, fuorviò dalle responsabilità nelle accuse, ma ha assicurato di appoggiare i recuperi come "un atto di giustizia". Ha accettato anche che il Governo provinciale sia in debito con i popoli indigeni e ha riconosciuto che nessuna delle 126 comunità del Rio Negro conta con titolo comunitario.

Il CAI è una delle organizzazioni di riferimento della lotta indigena. La sua formazione risale a metà degli anni '80, quando a forza di mobilitazioni e dibattiti sono riusciti ad ottenere una legislazione provinciale d'avanguardia, (Legge 2287). Due dei punti più innovativi erano l'espropriazione di terre da consegnare alle comunità e l'indagine storica del saccheggio del territorio, con la successiva restituzione.

“Dopo di dieci anni di tentativi per via amministrativa, con esigui risultati e grovigli burocratici, nel 1997 una trawün (assemblea), in località Ingeniero Jacobacci ha deciso di procedere con recuperi territoriali. "Per anni abbiamo creduto che lo Stato avrebbe restituito la terra depredata. Ma si è data finita la tappa amministrativa, il potere politico non ha alcuna volontà di rispettare la legge, lo Stato non ha volontà di restituire quello che ha tolto", ha spiegato Chacho Liempe, del CAI.

Si sono moltiplicate le azioni dirette e al passo con legalizzazioni di giudici corrotti, funzionari dalla doppia faccia e poliziotti di grilletto facile. Ad ogni sopruso corrispondeva un avanzamento nei campi, nella Linea Meridionale (l'inospitale deserto provinciale), o nella cordigliera, ettari recuperati dalle mani di grandi proprietari, governi (provinciali e nazionali) ed imprese forestali. Non sono mai stati occupati metri di terra di affittuari, contadini o piccoli produttori.

Tra 1987 e 1989 sono state realizzate riappropriazioni territoriali per più di 30 mila ettari. Nel 2000 si è prodotto il primo recupero, della Comunità Casiano-Epumer, di 8000 ettari che aveva usurpato un impresario e proprietario terriero locale. La Giustizia ha negato per sette anni il diritto a quegli appezzamenti, ma la Corte Suprema della Nazione ha certificato che la comunità aveva compiuto tutti i passi amministrativi, confermato che la provincia non rispose al reclamo e ha sollecitato il Tribunale di Bariloche ad occuparsi del caso.

Tra 2002 e 2005 si è proceduto per altri 30 mila ettari. Fino a maggio passato, e con una ventina di casi, il popolo mapuche del Rio Negro arriva al recupero di 160 mila ettari. La maggior parte nei dintorni di Ingeniero Jacobacci, Maquinchao ed El Bolsón.

Caso paradigmatico è la comunità José Manuel Pichún, a quindici chilometri da El Bolsón. Nonostante abitassero lo stesso posto da fin dal secolo XIX, il Governo provinciale (attraverso la Direzione Forestale), è entrato nel territorio ancestrale nel 1987, ha recintato e seminato monocoltura di pini in 250 ettari comunitari. Sono seguiti decine di richiami amministrativi senza risposta. In maggioscorso, quando un membro della comunità estraeva legna, è stato denunciato per "furto" nella sua propria terra.

"Di fronte a questa situazione, e stanchi di sopportare tanto oltraggio ed ingiustizia, la comunità Pichún ha deciso di riaffermare il possesso usurpato dall'impresa forestale", ha spiegato in un comunicato il 18 di giugno passato. Si sono rifiutati di ritirare i loro animali e hanno cominciato la costruzione di un'abitazione nel cuore della pineta. E hanno continuato più avanti: esigendo che l'Impresa Forestale Statale Rionegrina, Emforsa, si ritiri definitivamente.

Il Governo, contraddicendo tutta la normativa vigente (inclusa la stessa Costituzione provinciale), ha chiesto lo sgombero degli occupanti storici.

La Confederazione Mapuche di Neuquén ha quasi quattro decadi di storia, è protagonista della resistenza e i progressi nella regione. Benché attualmente i maggiori conflitti si producano per i tentativi di sgombero e criminalizzazioni, conta recuperati 73 mila ettari, principalmente nel dipartimento di Aluminé, e gran parte sono campi ad utilizzo stagionale. In 1995 sono cominciati con la più grande azione di recupero, nella proprietà Pulmarí, dipartimento di Aluminé, 350 chilometri dalla capitale provinciale. Un cimitero indigeno ed arte ancestrale su pietra confermano la preesistenza indigena. Se ne era appropriato lo Stato dopo della Campagna al Deserto, espropriati dal primo governo peronista e, uno delle maggiori tenute, trasferita all'Esercito.

La Corporación Interestadual Pulmarí (CIP) era stata creata in 1987 con l'obiettivo di amministrare in forma sostenibile 112 mila ettari, con una graduale restituzione al popolo mapuche. Ma la Confederazione Mapuche ha cominciato a denunciare che la CIP funzionava come "un agenzia immobiliare", dove c'era consegna di terre a "amici del potere”. Dopo ripetute denunce e richiami, hanno avuto inizio i recuperi. In quattordici anni sono stati recuperati 70 mila ettari, comprese diecimila che sono reclamate dall'Esercito. Nove comunità, 900 famiglie, 3500 persone che hanno già recuperato territorio ancestrale.

"Il concetto di recupero si completa con quello di restituzione che è l'atto legale di riconoscimento che ci aspettiamo su quelli recuperi. Per affermare che quelle terre le occupano come atto di stretta legittimità storica, davanti alla inattività politica e giuridica, e davanti alla minaccia imminente di subire l'intervento degli speculatori della zona", nota Jorge Nahuel, della Confederazione Mapuche.

Due mesi fa, il CAI ha preso l'iniziativa sul fronte giudiziale. In un caso inedito, ha esposto un reclamo collettiva contro lo Stato. "Chiediamo giudizialmente allo Governo del Rio Negro affinché disponga il riconoscimento totale e definitivo delle frazioni del territorio tradizionale che occupiamo. Contemporaneamente, affinché istituisca una commissione investigatrice dei saccheggi e furti di terre, e restituisca gli spazi", hanno segnalato undici comunità mapuches.

In base alla Costituzione Provinciale e la legislazione internazionale, l'obiettivo di fondo della domanda contro lo Stato del Rio Negro è che si dichiari la nullità di tutti gli atti amministrativi "che hanno legalizzato il saccheggio” delle terre storicamente occupate dalle comunità. La linea sostenuta nella denuncia è applicabile agli altri popoli originari: "Il furto di terre è stata una pratica estesa contro il popolo mapuche. Il meccanismo di saccheggio ed omissione che porta avanti lo Stato è a danno delle comunità e a beneficio di terzi, compreso il proprio Stato."

mercoledì 7 ottobre 2009

Terrabusi - Kraft reprime i lavoratori in Argentina


Nello stabilimento di Kraft Foods Argentina Sa (ex-Terrabusi) , situato a 35 km da Buenos Aires (Capitale Federale) in località General Pacheco, lavoravano circa 3600 operai/e (in maggioranza operaie).
Tutto è cominciato il 3 luglio 2009 con una fermata dal lavoro quando, in piena emergenza sanitaria nazionale per la Gripe A (H1N1), le/i lavoratrici/ori, attraverso i propri delegati sindacali, chiedono all'azienda misure di igiene (disinfestazione della fabbrica in seguito a numerosi casi di influenza). L'azienda risponde chiudendo l'asilo aziendale senza al contempo dare permessi retribuiti ai genitori che non sapevano a chi affidare i propri figli. Inoltre non vengono rispettate le disposizioni del Ministero del Lavoro che, dopo il tavolo di conciliazione obbligatoria, imponeva all'azienda di concedere permessi di malattia alle persone con problemi respiratori e di pagare alle mamme i giorni di licenza.

Il giorno seguente alla scadenza dei termini della conciliazione obbligatoria vengono licenziate 162 persone, con il chiaro intento da parte dell'azienda di liberarsi dei soggetti più sindacalizzati per iniziare una ristrutturazione aziendale che prevede, tra l'altro, il passaggio dei turni da otto a dodici ore di lavoro al giorno e la chiusura dell'asilo e della mensa aziendale. Per protesta le/gli operai/e occupano una parte della fabbrica e la produzione si ferma grazie anche all'appoggio delle/i lavoratrici/ ori che hanno mantenuto il posto di lavoro. Il sindacato CGT (l'unico sindacato riconosciuto ufficialmente dal governo nazionale) si schiera contro le rivendicazioni operaie sostenendo che “il conflitto è ideologizzato” (Hugo Moyano, segretario general CGT). L'occupazione della fabbrica dura per quaranta giorni, ma l'impresa non vuole negoziare in nessun modo la riassunzione dei licenziati, che ricevono invece la solidarietà di intellettuali, studenti e altri operai (tra cui quelli della ex Zanon, ora Fa.Sin.Pat.) . Il 25 settembre 2009, per ordine del giudice Ricardo Costa, la fabbrica viene sgomberata dalla polizia con l'utilizzo di cani, cavalli e proiettili di gomma; il bilancio è di dodici feriti e 70 arrestati. La fabbrica si converte in un commissariato di polizia, nel quale le/gli operai/e sono trattenute/i per diverse ore e in cui non è permesso l'ingresso ai loro avvocati.

Ci siamo chiesti come fare per solidarizzare con le compagne e i compagni di Kraft-Terrabusi, e abbiamo pensato che magari alla Kraft Foods Company non farà piacere ricevere da varie parti del mondo una mail come questa. Pertanto vi chiediamo di copiare il testo seguente (versione inglese) su una nuova mail, mettere come oggetto "Solidarity with Kraft-Terrabusi workers", firmarlo con nome cognome e paese di provenienza e inviarlo a: consumers@kraft. com consumers@kraft. com>

Tradotto da Jorge Centurion

To: Kraft Foods Company
Dear Sirs,
By this I would like to inform you that I am aware of the events
occurring at your local site Kraft-Terrabusi (3200 Harry Ford, General
Pacheco, Buenos Aires, Argentine Republic).
I am outraged by the anti-union and non-democratic practices
undertaken by the management of your Company. I hereby inform you that
I will be actively undertaking the following actions:
1) monitoring of the enforcement of union rights at yout local site;
2) boycotting your products until the conflict at the ex-Terrabusi
site will be settled in agreement with the decisions of the delegate
Assembly, which has been rightfully elected by the workers before July 2009;
3) making information on your labor practices available to the largest
public possible.
Yours sincerely,


traduzione:
Comunico che sono a conoscenza di quello che sta succedendo presso il vostro stabilimento Kraft-Terrabusi sito in Harry Ford 3200, General Pacheco, Provincia di Buenos Aires, Repubblica Argentina.
Sono indignata/o per la condotta antisindacale e antidemocratica della vostra azienda, pertanto mi impegnerò attivamente a:
Monitorare il rispetto dei diritti sindacali all’interno dei vostri stabilimenti;
Boicottare i vostri prodotti fintanto che il conflitto della exTerrabusi non sarà risolto secondo quanto richiesto dall’assemblea dei delegati legíttimamente eletta dai lavoratori e dalle lavoratrici del medesimo stabilimento prima del luglio 2009;
Diffondere quanto più possibile informazioni sul vostro operato all’interno dei vostri stabilimenti.

Altre informazioni www.vientosdelsur. org

martedì 6 ottobre 2009

Argentina - Muore la grande Mercedes Sosa, cantante simbolo della lotta alla dittatura

da Peacereporter



Mercedes Sosa, leggenda della musica folk argentina, è morta all’alba di ieri all’età di 74 anni. L’artista, simbolo della resistenza contro la dittatura degli anni ’70, si è spenta nel reparto di terapia intensiva del Sanatorio de la Trinidad di Buenos Aires - dov’era ricoverata dal 18 settembre scorso - in seguito ad una disfunzione renale che ha compromesso l’organismo e dalla quale è derivata una crisi cardiorespiratoria.

Con Mercedes Sosa, nota al mondo come "La Negra", se ne va la voce più famosa dell’America Latina. A testimoniarlo sono i migliaia di fan che da qualche ora fanno la fila davanti alla camera ardente per porgere un ultimo saluto alla loro beniamina e le decine di migliaia di messaggi che da quando è stata divulgata la notizia della scomparsa stanno intasando il sito web dedicato all’artista.

Il destino dell’artista da sempre considerata come uno dei maggiori esempi dell’identità argentina e latinoamericana sembrò essere segnato già dal giorno della sua nascita. Il 9 luglio 1935, ricorreva infatti il centodiciannovesimo anniversario dell’indipendenza dell’Argentina dalla Spagna. Negli anni ’50 Mercedes Sosa, nata a Tucuman, sposa Oscar Maluts perchè, sosteneva "mi ero innamorata delle sue canzoni". Con lui, Armando Tejada Gomez, Tito Francia, Horacio Tusoli, Victor Nieto fondò all’inizio degli anni Sessanta il Movimento del Nuevo Cancionero che avrebbe condizionato per gli anni avvenire la canzone popolare argentina. Mercedes Sosa non aveva solo una voce eccezionale, ma la sua canzone superava paesaggi, abbracciava le cose più belle dell’essere umano e denunciava le ingiustizie sociali.

L’artista diceva di se stessa: "Questi premi sono appesi alle pareti di casa mia non solo perchè canto, ma perchè penso. Penso agli esseri umani, alle ingiustizie. Penso che se non avessi pensato in questo modo il mio destino sarebbe stato un altro. Sarei stata una cantante comune".

Nel 1978 la polizia interruppe un suo recital a La Plata e la tenne agli arresti per diciotto ore. Nel 1979 fu costretta a andare in esilio a Parigi e poi in Spagna per ritornare in patria solo nel 1982. I concerti che da allora tenne al teatro dell’Opera non solo segnarono il suo ritorno, ma la consegnarono anche all’Olimpo della musica nazionale. La storia degli ultimi anni della sua carriera è segnata da cadute e ritorni alla gloria. Nelle interviste rilasciate nel corso degli anni l’artista ha sempre sostenuto di essere affetta da una "depressione mascherata" che traeva origine dalla sofferenza dell’esilio.

Nel 2005, durante l’ultimo gran ritorno sulle scene, la Sosa è apparsa indebolita fisicamente e con oltre trentacinque chili in meno rispetto al suo peso abituale. Nonostante la sofferenza continuava a dichiarare al mondo "Quant’è bello cantare. Mi innamoro delle canzoni come ci si può innamorare di un uomo. Amo ciò che canto, per questo non ho mai pensato di cantare per vivere. Io canto perchè amo farlo, da sempre".

Sito ufficiale

venerdì 2 ottobre 2009

La battaglia della Kraft-Terrabusi. Lotta operaia repressa dalla polizia

Argentina. Sgombero violento di operai in sciopero per chiedere misure minime di igiene e sicurezza - Video




L'immagine della polizia a cavallo, all'ordine del governo dei Kirchner e Scioli, contro lo sciopero operaio resterà impressa nella memoria di milioni di lavoratori. L'eroica lotta dei 2600 operai e operaie contro la multinazionale nordamericana Kraft, anche.

Lo sgombero da parte di centinaia di poliziotti nel 37° giorno di sciopero della Terrabusi, ha generato una onda di indignazione nazionale. Gas lacrimogeni, pallottole di gomma, manganelli, più di 60 arrestati dentro la propria fabbrica, utilizzata come centro di detenzione, compresi delegati sindacali e membri del consiglio di fabbrica.

Un intervento repressivo concordato dalla multinazionale con il Ministero del Lavoro.

Il conflitto è cominciato più di 40 giorni fa, con una richiesta fatta dai lavoratori e lavoratrici del turno serale, che chiedevano misure di igiene e sicurezza per far fronte agli effetti dell'influenza A.

Nella fabbrica funziona un asilo nido dove le lavoratrici lasciano i figli mente svolgono la loro giornata di lavoro.

La richiesta consisteva nella concessione di permessi per le lavoratrici incinte, per quelle che tengono i bambini nel nido della fabbrica e disinfettante in gel per tutte le linee di produzione della fabbrica.

La risposta dell'impresa non si è fatta aspettare e ha licenziato 162 persone, fra i quali 44 delegati/e sindacali.

Sebbene la protesta sia stata realizzata dal turno serale ed è consistita nell'andare nell'edificio dell'amministrazione per chiedere misure urgenti, azione che la proprietà ha definito “privazione illegale della libertà” facendo denunce penali, la maggior parte dei licenziati fanno parte dei turni notturno e della mattina, dove si concentra il consiglio di fabbrica.

Il conflitto dei lavoratori e lavoratrici della Kraft è in costante movimento, ha attraversato i confini della provincia di Buenos Aires per diventare un conflitto a livello nazionale.

Alla mobilitazione di massa che ha seguito i violenti scontri di venerdì, hanno partecipato consigli di fabbrica combattivi, movimenti sociali, studenti universitari, partiti politici, organismi dei diritti umani, referenti politici e sociali come Nora Cortiñas madre di Plaza de Mayo linea fundadora.

In diversi punti del paese sono stati messi in atto blocchi stradali, Salta, Jujuy, Rosario, Neuquén ed altri nelle strade che portano dalla provincia alla città e sulla Panamericana, mentre in solidarietà al conflitto sono cominciati fermi di mezzora in altre fabbriche del paese.

Il piano della proprietà è quello di eliminare un turno e fare turni americani di 12 ore, togliere il nido e la mensa, per questo cercano di smembrare il consiglio di fabbrica che tra l'altro è in contrasto con il segretario del sindacato nazionale del settore alimentazione.

Il conflitto Kraft-Terrabusi assume importanza nazionale come esempio che, se portato a buon fine, potrebbe aprire la strada per altre imprese del paese.

Adesso all'interno della fabbrica ci sono più di 300 elementi della polizia ... i capi seguono la linea di produzione scortati dalla polizia ed è proibito soffermarsi a parlare a più di due persone assieme.

La forza della protesta e l'appoggio di massa ottenuto ha costretto diversi settori che non avevano partecipato alla protesta a prendere posizione e a spingere il governo a chiedere che la proprietà faccia ritirare la polizia dalla fabbrica e paghi i salari arretrati.

La solidarietà sta aumentando di giorno in giorno e sta trasformando il conflitto nato all'interno della fabbrica in una bandiera di lotta di molte organizzazioni sindacali, sociali e politiche.

Video La battaglia della Terrabusi

martedì 15 settembre 2009

Argentina: indigeni reclamano l'inclusione nella legge sui mezzi di comunicazione audiovisuali


di Laura Sponti

Il controllo del territorio ideologico dell' opinione pubblica Argentina e' senza dubbio la discussione di fondo che sta alla base delle dure lotte che si stanno affrontando per modificare una legge dittatoriale della radiodiffusione che racchiude dentro di se potenti e pericolosi interessi.

Le grandi corporazioni non sono disposte a lasciare quel potere che per decenni hanno utilizzato per manipolare il contesto affinchè ne beneficiassero i loro interessi economici e politici. Questo stesso monopolio informativio e' quello che presenta la realtà dei popoli originari e la loro stessa esistenza come "problematica indigenta" o conflitto indigeno"affermando quindi che la sola esistenza dei popoli originari sia un problema. Oggi, le popolazioni preesistenti del paese stanno generando un processo storico perchè abbandonano l'idea di vedere i mezzi di comunicazione come strumenti di "altri" ma al contrario come strumenti per esercitare il loro diritto alla comunicazione con "identità" e accedere cosi alle nuove tecnologie. I media gestiti dai popoli originari non pretendono di lucrare sulla loro identità ne di ossequiare il governo di turno. L'obiettivo non e' solo informare sulla propria realta', ma sentono anche la responsabilitaà di promuovere e difondere la loro cultura,come un popolo vivo che ha una storia che deve essere raccontata

Quando i Media Indigeni staranno sullo stesso piano di uguaglianza nello spettro radioelettrico ,con i privati,lo stato e le organizzazioni comunitarie allora si potrà parlare di democrazia nel settore della comunicazione argentino,perche' ci saraà la vocedella terra che informerà.

Con l'esigenza dell' inclusione del "Diritto alla comunicazione con identità", di questa legge, e' evidente che i popoli originari attraverso i loro strumenti di comunicazione audiovisuale rompano il mantello di invisibilizzazione che li ha messi a tacere dalla stessa crazione dello stato argentino.

Durante le udienze che si terranno la prossima settimana e' prevista una presentazione di più di 25 popolazioni originarie che avverrà in ciascuna delle lingue parlate, fino ad oggi si calcola che siano 16 quelle ufficiali.

COMUNIDADES ABORIGENES DE SANTA FE –OCASTAFE;

CONSEJO DE CACIQUES DE LA NACIÓN MBYA-GUARANÍ;

ASAMBLEA PUEBLO GUARANÍ- APG;

FEDERACIÓN DEL PUEBLO PILAGA;

PUEBLO KOLLA DE LA PUNA DPTO. YAVI;

INTER-TOBA;

CONSEJO DE LA NACIÓN TONOKOTE LLUTQUI;

KEREIMBA IYAMBAE;

UNIÓN DE LOS PUEBLOS DE LA NACIÓN DIAGUITA – UPND;

CONFEDERACIÓN MAPUCE DE NEUQUÉN;

ONPIA;

COORDINADORA DEL PARLAMENTO MAPUCHE RIO NEGRO;

MESA DE ORGANIZACIÓN DE PUEBLOS ORIGINARIOS DE ALTE. BROWN;

ORG. MALAL PINCHEIRA DE MENDOZA;

COMUNIDAD HUARPE GUENTOTA;

ORGANIZACIÓN TERRITORIAL MAPUCHE-TEHUELCHE DE PUEBLOS ORIGINARIOS SANTA CRUZ;

ORGANIZACIÓN RANQUEL MAPUCHE DE LA PAMPA;

QULLAMARKA;

ORGANIZACIÓN 12DE OCTUBRE YOFIS WICHI;

CONSEJO DE CACIQUES WICHI DE LA RUTA 86;

COORDINADORA AUDIOVISUAL INDIGENA ARGENTINA;

CONSEJO MOQOIT DEL CHACO;

ORGANIZACIÓN INDIGENA NAPALPI


Tratto da:

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!