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domenica 2 aprile 2017

Se sei donna, il debito pesa di più

Le misure macroeconomiche associate al debito sono sessualmente definite sia nelle caratteristiche che nei loro effetti. Privatizzazioni, liberalizzazioni, restrizioni di bilancio nell’agenda delle politiche neoliberiste giustificate dal debito tagliano i diritti sociali delle donne in misura diversa e maggiore, ne accrescono la povertà, consolidano e aggravano le disuguaglianze di genere, minano le conquiste femministe. Così come per decenni i Piani di aggiustamento strutturale hanno impoverito e portato allo stremo in modo particolare le donne del sud del mondo, oggi i piani di austerità stanno dissanguando quelle europee, bersagli diretti o indiretti preferiti di una stessa ideologia aberrante nei confronti della dignità delle persone e della riproduzione della vita
di Christine Vanden Daelen*
Il debito non è assolutamente neutrale dal punto di vista dell’equità di genere. Al contrario, rappresenta un enorme ostacolo alla parità tra uomini e donne su scala globale. Le misure macroeconomiche ad esso associate sono sessualmente definite sia nelle caratteristiche che nei loro effetti. Ovunque, esse impongono le peggiori regressioni sociali alle popolazioni più vulnerabili e più povere, e conseguentemente principalmente alle donne. Le più vulnerabili tra queste (madri single, donne giovani o anziane, migranti, disoccupate, donne appartenenti ad una minoranza etnica o provenienti da un contesto rurale, o ancora vittime di violenza) sono quelle che subiscono le maggiori pressioni per accorrere in soccorso degli speculatori del debito. Proprio come i piani di adeguamento strutturale (PAS) impoveriscono e portano allo stremo le donne del sud del mondo da oltre 30 anni, i piani di austerità stanno ora dissanguando quelle europee. Gli stessi meccanismi derivanti da una stessa ideologia neoliberale sono all’opera ovunque. Privatizzazioni, liberalizzazioni, restrizioni di bilancio nell’agenda delle politiche neoliberiste giustificate dal debito tagliano i diritti sociali delle donne, ne accrescono la povertà, consolidano e aggravano le disuguaglianze di genere, minano le conquiste femministe.
Perdite di posti di lavoro e di reddito per le donne
Ovunque, sotto l’effetto della crisi del debito cresce il tasso di disoccupazione femminile. In Europa, l’occupazione sta diventando sempre più inaccessibile, particolarmente per le giovani donne nei paesi più colpiti dalla crisi del debito. |1| Nei paesi del Sud, molte donne perdono il lavoro a seguito dei massicci licenziamenti imposti nel servizio pubblico dalle istituzioni finanziarie internazionali (IFI) ma non solo… Altre misure strutturali dei PAS, come la svalutazione della valuta locale, la produzione mirata tutta sull’esportazione o la liberalizzazione del commercio mondiale, allontanando le donne dal mondo del lavoro retribuito o spingendole ad accettare salari al limite della schiavitù, |2| contribuiscono a fare della loro autonomia economica un obiettivo sempre più sfuggente |3|.
Quando non condanna direttamente le donne alla disoccupazione, la crisi del debito ne appiattisce considerevolmente il reddito. Infatti, una delle principali variabili per la regolazione del “sistema-debito” è la riduzione di salari e orario di lavoro dei dipendenti del settore pubblico, composto prevalentemente da donne. Questi tagli salariali comportano una tale perdita di reddito per le lavoratrici (e più specificamente quelle della pubblica amministrazione) che per poter sbarcare il lunario esse si trovano spesso a dover accettare almeno un secondo se non un terzo lavoro, questa volta il più delle volte in nero, settore dove regna l’arbitrio e lo sfruttamento a oltranza, o si trovano costrette, come avviene in Inghilterra, ad alternare i loro orari dii lavoro con il coniuge: mentre uno/a lavora di giorno, l’altro/a lavora di notte per evitare di dover destinare una parte del loro reddito alla cura dei figli.
Le più anziane non sono risparmiate da queste politiche, anzi. Dopo aver lavorato tutta la vita, sono sempre di più a ritrovarsi a vivere l’inferno di una vecchiaia indigente. Lì dove esistono le pensioni, il loro montante viene costantemente diminuito mentre l’età pensionabile per le donne viene contemporaneamente innalzata |4|. Quello delle pensionate diventa inesorabilmente uno dei gruppi più esposti al rischio povertà. Nel 2015, non meno del 16% di loro viveva sotto la soglia di povertà nell’Unione europea |5|. Questa percentuale sale ad almeno il 23% |6| tra quelle che vivono da sole.
Comprimendo costantemente il reddito delle donne, PAS e austerità alimentano un importante indicatore di disuguaglianze strutturali di genere: ovunque nel mondo, il divario salariale aumenta. Secondo le ultime stime della ILO (2016), su scala mondiale le donne guadagnano in media il 77% del salario degli uomini |7|. Oltre al saccheggio dell’occupazione femminile e alla distruzione dei redditi delle donne, la crisi del debito incoraggia anche la precarietà dell’occupazione femminile. Questa è accentuata dalla forte deregolamentazione del mercato del lavoro e dalla disintegrazione del diritto sindacale. Per le donne, rimettere in forse il diritto del lavoro sfocia in un considerevole rafforzamento del loro sfruttamento. Così, gradualmente, da nord a sud del pianeta il lavoro precario, flessibile e sotto banco delle donne costituisce più la norma che l’eccezione. Ma, in definitiva, non solo sono proprio questi lavori ad essere eliminati per primi in caso di licenziamento, ma per di più non permettono ai lavoratori, del tutto o solo in parte, l’accesso alla protezione offerta dal diritto del lavoro e dalla previdenza sociale. Inoltre, il fatto che l’uguaglianza tra i sessi non compare più come una priorità dei governi incoraggia i datori di lavoro a ricorrere impunemente a pratiche illegali quali il licenziamento delle donne in gravidanza o dopo il congedo di maternità. Così, in tutto il pianeta, in nome del rimborso del debito pubblico le donne lavorano di più per guadagnare di meno in condizioni di lavoro altamente degradate.

martedì 7 febbraio 2017

Messico - Italia - Juntos para el derecho a la salud - Insieme per il diritto alla salute

Juntos para el derecho a la salud 

Insieme per il diritto alla salute

a sostegno della Salute Autonoma Zapatista
 
Le zapatiste, gli zapatisti, si rendono conto di avere bisogno della conoscenza scientifica, non per curiosità, ma per il bisogno di fare qualcosa di reale per trasformare la realtà o combatterla in condizioni migliori. Per questo le generazioni che hanno preparato e realizzato la sollevazione, quelle che hanno sostenuto la resistenza con la ribellione, e quelle che sono cresciute nell’autonomia e mantengono viva ribellione e resistenza, cominciano a prendere coscienza di una necessità: la conoscenza scientifica.
Tratto da “Alchimia zapatista”, SupGaleano dicembre 2016 ConCiencias 

In Chiapas, Messico dal “levantamiento” dell’EZLN, nel lontano 1 gennaio del 1994, le comunità indigene zapatiste si sono ribellate e continuano a resistere, costruendo una inedita esperienza di autonomia ed autogoverno, attraverso l’organizzazione in comunità, Municipi autonomi e Giunte del Buongoverno.
Giorno dopo giorno donne e uomini zapatisti sviluppano in maniera autonoma la garanzia per tutt@ all’educazione e alla salute, lo sviluppo di attività produttive comunitarie e la gestione della giustizia.

Lo sviluppo del Sistema Sanitario Autonomo si basa sul lavoro volontario dei Promotori di Salute con un’innovativa sinergia tra medicina tradizionale e uso consapevole della scienza medica moderna
La salute autonoma zapatista, nata per rispondere alle discriminazioni e mancanza di cure per gli indigeni, si è sviluppata, in questi più di vent’anni, costruendo presidi locali, case di salute, cliniche autonome. La continua formazione di Promotori ha permesso di migliorare le condizioni sanitarie ed aumentare la consapevolezza e la prevenzione. Alle strutture autonome accedono anche gli indigeni non zapatisti che vi trovano un’assistenza, in molti casi, più attenta e responsabile di quella gestita nelle strutture ufficiali governative.

Gli zapatisti non intendono fermarsi ed accontentarsi: andare avanti, allargare la capacità d’azione, aprire nuovi cammini è la sfida costante nella costruzione dell’autonomia.



Per allargare il diritto alla salute, intesa come accesso a cure di buona qualità e benessere personale e collettivo, ci invitano a condividere con loro saperi e conoscenze.
Sostenere e rafforzare il Sistema Sanitario Autonomo attraverso la realizzazione di Brigate Sanitarie, composte da personale medico di diverse specializzazioni, in grado di contribuire al rafforzamento della formazione dei Promotori di Salute e delle strutture sanitarie nella zona della Giunta del Buongoverno “El camino del futuro”, Caracol III “Resistencia hacia un nuevo amanecer”, La Garrucha è quello che ci è stato richiesto durante il nostro ultimo viaggio in Chiapas.
Le Brigate Sanitarie svolgeranno corsi di formazione, periodi di lavoro e raccolta di materiali e strumentazione per rafforzare la formazione dei Promotori di salute e le strutture sanitarie zapatiste nel Caracol de La Garrucha, in Chiapas Messico. 
Le prime richieste di collaborazione riguardano: chirurgia generale di base, analisi di laboratorio, indagini diagnostiche ecografiche, ginecologia e salute riproduttiva, odontoiatria.


Per informazioni e contatti: BrigateSaluteChiapas@gmail.com

Le Brigate sono coordinate da:

sabato 10 dicembre 2016

Italia - Messico - Kurdistan: Un calendario per sostenere la dignità, la giustizia, la pace, la democrazia e la libertà


La rivoluzione delle donne

Il genere è sempre stato centrale nella rivoluzione zapatista.
La centralità della questione della liberazione delle donne, fin dall’inizio dell’organizzazione dell’EZLN affonda le sue radici nello sfruttamento, la marginalizzazione, i matrimoni forzati, la violenza fisica e la discriminazione a cui le donne indigene erano costrette.


Per questo il SubComandante Marcos in più occasioni ha raccontato come la prima insurrezione non fu nel 1994 ma nel 1993 con l’adozione della Legge Rivoluzionaria delle Donne, la base per la strutturazione dell’uguaglianza e della giustizia di genere, garantendo i diritti delle donne, l’autonomia personale, l’emancipazione e la dignità nel territorio ribelle.

Oggi le donne partecipano a tutti i livelli di governo autonomo e hanno le loro cooperative e strutture economiche per garantirsi indipendenza economica.

Le donne costituivano, e ancora costituiscono una parte numerosa dei ranghi delle forze dell’EZLN e occupano posizioni di alto comando.


Nell’occupazione di San Cristobal de Las Casas, la città più grande occupata nella notte del 1° gennaio 1994, gli zapatisti erano comandati da donne tra cui la Comandanta Ramona che fu anche la prima zapatista inviata a rappresentare il movimento a Città del Messico.

Non è difficile confrontare il massiccio coinvolgimento delle donne indigene negli incarichi zapatisti in Chiapas con la partecipazione delle donne nella difesa di Kobane e nelle YPJ (le Unità di Difesa delle Donne), descritte in modo puramente sensazionalistico dai media occidentali negli ultimi tempi.


Il loro coraggio e determinazione nella guerra contro lo Stato Islamico è il prodotto di una lunga tradizione di partecipazione delle donne nella lotta armata per la liberazione sociale nel Kurdistan.

Le donne hanno giocato un ruolo centrale nel PKK e questo è indubbiamente connesso con l’importanza del genere nella lotta kurda.

La rivoluzione nel Rojava pone al centro la liberazione delle donne come indispensabile per una vera liberazione della società. Il piano teorico che smantella il patriarcato nel cuore della lotta viene chiamato "gineologia" un concetto sviluppato da Abdullah Öcalan.

L’applicazione di questo concetto ha avuto come risultato un aumento di potere da parte delle donne mai visto in altri luoghi, non solo nel Medio Oriente ma anche nel contesto del femminismo liberale occidentale.


Le assemblee, strutture cooperative e le milizie di donne sono il cuore della rivoluzione, che si considera incompleta se non distrugge la struttura patriarcale della società, che è uno dei fondamenti del capitalismo.

Janet Biehl, una scrittrice artista indipendente, ha scritto, dopo una sua visita nel Rojava, che le donne nella rivoluzione kurda hanno il ruolo ideologico che ebbe il proletariato nel secolo passato.

martedì 11 ottobre 2016

Messico - L’EZLN e l’Arte dell’immaginazione

Quando si attraversa il Messico e si conoscono le comunità zapatiste viene quasi naturale restargli vicino in un qualche modo, Liza Candidi che è stata con noi in Messico durante il CompArte nella scorsa estate ha scelto di raccontare con testo e foto offrendoci questo pezzo pubblicato su doppiozero. Noi ritorneremo questo dicembre in Messico per seguire l'incontro" L@s Zapatistas y las conCIENCIAS POR LA HUMANIDAD"

«Il Vecchio Antonio torna a tendere la mano verso la stella. Si guarda la mano, il Vecchio Antonio, e dice: “Quando si sogna bisogna guardare la stella lassù, ma quando si lotta bisogna guardare la mano che indica la stella. Questo è vivere. Un continuo alzare e abbassare lo sguardo”.»
Subcomandante Marcos


Nel corpo infermo del Messico, secondo un detto, si trova sia il veleno che l’antidoto. Di fronte ai 150mila assassinati e ai 30mila desaparecidos degli ultimi dieci anni, di fronte al terrore dei narcotrafficanti, alle fosse comuni e ai femminicidi di massa, di fronte ai sequestri, alla violenza militare e alle istituzioni corrotte, continua a esserci una parte di paese che resiste. Un Messico che risponde al dilagante senso di impotenza alzando fermo la voce.

Lo fanno gli insegnanti che da mesi, nonostante le sanguinose repressioni, proseguono la rivolta contro la riforma dell’educazione e la privatizzazione della scuola pubblica, e lo fa chi lotta per il diritto alla terra, in uno stato che ha dato in concessione a multinazionali quasi un terzo del suo territorio. Nell’impunità di un sistema economico basato non più su forza-lavoro e produzione, ma direttamente – come già scriveva Raúl Zibechi – su “accumulazione per sterminio”, saccheggio, espropriazione e violenza, c’è chi chiama a raccolta nuove voci e nuovi occhi per vedere e immaginare altri mondi possibili.

L’invito viene direttamente dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, che quest’estate ha promosso il Festival “CompArte por la Humanidad” per celebrare tutte le forme artistiche capaci di scardinare la visione addomesticata dell’esistente. 
La convocazione zapatista si colloca sulla scia di un più ampio percorso, inaugurato nel 2015 in Chiapas con il seminario “Il pensiero critico contro l’idra capitalista”, un “semenzaio di idee” in cui intellettuali e attivisti da tutto il mondo sono stati chiamati a riflettere insieme sui nuovi volti del neoliberismo e a condividere percorsi per costruire alternative. Così, dallo scorso 23 luglio, per oltre due settimane, centinaia di artisti da oltre 40 paesi diversi si sono riuniti nello stato più meridionale e povero del Messico, nel cuore pulsante di “degna ribellione”, dove le comunità indigene zapatiste da 22 anni lottano per l’autonomia.


La prima parte del Festival si è svolta nella periferia di San Cristóbal de las Casas, presso il “Centro de Capacitación Indígena”, che ospita anche un’università autogestita con corsi di formazione gratuita. In questo campus d’eccezione giorno e notte hanno preso forma le più variegate espressioni d’arte resistente: proiezioni e mostre, laboratori mobili di grafica e scultura, graffiti e serigrafia, sessioni di danza aerea e reading, accompagnati da mimi, giocolieri, cantastorie e, naturalmente, da tanta musica: dai canti tradizionali fino al punk, al bossanova e all’hip pop indigeno. 

venerdì 22 luglio 2016

Messico - Quegli insegnanti messicani, così diversi dai docenti italiani

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di Claudio Dionesalvi

La prima cosa che ci colpì, fu che si poteva parlare coi detenuti, attraverso dei buchi scavati nel muro di cinta.
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Le bestiali condizioni di vita, all'interno, rendevano concreta la distopia dell’Edward Bunker di Animal Factory. Prigionieri erano parenti, amici e compagni delle persone che all'esterno presidiavano giorno e notte il carcere di Oaxaca: insegnanti e contadini arrestati durante le manifestazioni di quei giorni.
All’epoca, una decina d’anni fa, diedero vita a un vasto movimento che rivendicava dignitose condizioni lavorative per chi lavorava nelle scuole e nei campi.
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Fa sempre una certa impressione trovare una città circondata da barricate, aperta ai civili, perfettamente funzionante al suo interno, eppure interdetta alle divise dello Stato e liberata dai malgovernanti.
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Oaxaca è una frequentatissima località turistica del Messico. Quando entrammo, ci rendemmo subito conto di cosa possa essere un luogo liberato, retto da una democrazia deliberativa, sottratto alla prevaricante presenza dei poteri costituiti, gestito in prima persona da quanti lo abitano. Tornava alla mente la lezione della comune di Parigi e di infinite altre esperienze di liberazione temporanea e territoriale delle vite umane dal dominio del capitalismo in tutte le sue forme storiche e declinazioni possibili.
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Quel movimento diede vita alla Asemblea Popular del Pueblos (APPO) e riscosse la simpatia di docenti, scrittori e lavoratori agricoli di tutto il mondo. Solidali e partecipi furono soprattutto gli zapatisti dell’EZLN e in particolar modo le famiglie degli alunni e i promotores culturales delle escuelas autonomas rebeldes, basate su un Altro modo di fare scuola, costruire il presente, sognare il futuro.
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Nelle piazze di Oaxaca la gente si incontrava per discutere, amministrava i beni comuni, ballava e mangiava insieme, organizzava le manifestazioni del giorno dopo. Ogni tanto la Polizia Federale Preventiva attuava dei blitz, tentativi di sfondare le barricate o infiltrarsi. Nella maggior parte dei casi, queste incursioni erano respinte.
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Rimanemmo lì per una giornata intera. Poi ce ne andammo. Insieme ad altri attivisti dell’associazione Ya Basta, avevamo in programma la frequenza di un corso sul funzionamento del sistema educativo ribelle in Chiapas. E lì dovevamo recarci.
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Poco tempo dopo, venimmo a sapere che durante una delle ricorrenti spedizioni punitive della polizia contro i planton attuati a Oaxaca, un proiettile esploso da un agente aveva tolto la vita a Brad Will, reporter americano di Indymedia.
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Nel giro di poche settimane, poi, la comune fu repressa da arresti, cariche e tutti gli altri arnesi repressivi che in Messico, come in qualsiasi altra parte del mondo, i poteri costituiti adoperano per abbattere le esperienze di ribellione e di democrazia concreta.
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In questi giorni, quel movimento, che non si è mai spento completamente, si sta rifacendo vivo. Gli insegnanti sono tornati a riprendersi le piazze, nella lotta contro una riforma della scuola messicana, che somiglia a quella di recente approvata dal governo Renzi. È triste constatare che, in assenza dei diktat strategici emanati dai vertici delle minoranze interne al PD e da qualche sindacatino giallo, la classe docente italiana non si mobilita neanche se la mandano a lavare i cessi. (Con tutto il rispetto per coloro i quali nelle scuole già li lavano, pur percependo stipendi da fame).
(foto scattate da Loredana Caruso e Claudio Dionesalvi. Solo quella dell’omicidio di Brad Will è tratta da Indymedia)
Per comprendere meglio le manifestazioni di questi giorni a Oaxaca, è consigliata la lettura dell’articolo di Luis Hernández Navarro (“la Jornada”) tradotto e pubblicato su questo blog:
Messico, la maestra e la pedagogia della garrota

mercoledì 29 aprile 2015

Eurocaravana43 - La tappa di Milano - Presidio al Consolato messicano e poi assemblea al Parco Trenno

Milano: prima tappa italiana, la seconda sarà Roma, della #eurocaravana43, che sta attraversando il continente europeo per far incontrare i familiari e gli studenti di Ayotzinapa con le realtà di base.
Una carovana, a sette mesi dalla notte del 26 settembre 2014 a Iguala, non solo per denunciare quel che accade in Messico, di cui la sparizione dei 43 studenti della Normal di Ayotzinapa è il drammatico simbolo, ma per creare ponti, legami, condivisione tra chi lotta in Europa ed in Messico. La delegazione, composta da un padre dei ragazzi scomparsi, uno studente della Normal ed un attivista dei diritti umani impegnato in Guerrero, ha iniziato il suo viaggio dall’Europa del Nord per incontrare realtà di base: "non ci aspetttiamo giustizia dall’alto, sappiamo che solo unendo le lotte potremo sconfiggere il sistema che è alla base di quel che sta succedendo in Messico con il narcostato".

La tappa milanese inizia con il Presidio davanti al Consolato Messicano in pieno centro città.
I primi ad intervenire sono i componenti della delegazione messicana.
Omar Garcia, studente della Normal de Ayotzinapa, sopravvisuto all’attacco ad Iguala.

giovedì 26 febbraio 2015

DIAMO CORPO AI SOGNI – SOSTENIAMO LA SALUTE AUTONOMA ZAPATISTA


Frente a la pesadilla, no basta despertar. La vigilia puede florecer en el sueño.

El impreciso sueño zapatista.

Pero,¿cuál es la velocidad del sueño?

No lo sé.

En nuestro sueño, el mundo es otro, pero no porque algún "deux ex machina" nos los vaya a obsequiar, sino porque luchamos, en la permanente vela de nuestra vela, porque ese mundo se amanezca.
Nosotros, los zapatistas, sabemos a cabalidad que no tendremos, ni nosotros ni nadie, la democracia, la libertad y la justicia que necesitamos y merecemos, hasta que, con todos, la conquistemos todos.
(Da La velocidad del sueño Subcomandante Marcos - Octubre de 2004)


DIAMO CORPO AI SOGNI – SOSTENIAMO LA SALUTE AUTONOMA ZAPATISTA


Campagna di raccolta fondi per l’acquisto di un nuovo apparato di anestesia per la sala chirurgica della Clinica-Scuola “La primera esperanza de los sin rostro de Pedro” a San Josè del Rio, Zona Selva Chiapas Messico - Caracol I “Madre de los Caracoles del Mar de nuestros Suenos”, La Realidad - Giunta del Buongoverno “Hacia la Esperanza”

Nelle comunità indigene in Chiapas - Messico -, a partire dal levantamiento dell’EZLN il Primo gennaio 1994 si è costruita un’inedita sperimentazione di autonomia ed autogoverno. Attraverso l’organizzazione indipendente in comunità, Municipi autonomi, Giunte del Buongoverno le donne e gli uomini zapatisti sviluppano in maniera autonoma la garanzia per tutt@ all’educazione e alla salute, lo sviluppo di attività produttive comunitarie e la gestione della giustizia.

La salute automa per gli zapatisti ha rappresentato la risposta alle discriminazioni e alla mancanza di attenzione sanitaria che le popolazioni indigene soffrivano prima della loro rivolta.

A partire da quel lontano 1994 in tutte le comunità si è sviluppato il Sistema di Salute Autonomo, basato sulla costruzione di cliniche, presidi medici locali e la formazione di Promotori di Salute in grado di garantire non solo l’assistenza sanitaria ma anche la prevenzione, la rimozione delle cause di molte delle malattie dovute alle pessime condizioni di vita in cui erano costretti gli indigeni.

Il Sistema Sanitario Autonomo ha dato vita ad una innovativa sinergia tra la tutela e lo sviluppo della medicina tradizionale, attraverso l’attivazione di Erbolari in ogni zona, capaci di produrre trattamenti naturali, e l’acquisizione consapevole delle tecniche e pratiche della scienza medica moderna.

Nella Selva Lacandona, a San Josè del Rio, la Clinica-Scuola “La primera esperanza de los sin rostro de Pedro” (in onore del Subcomandante Pedro, morto in combattimento il Primo Gennaio del 1994, comandante e compagno degli abitanti di questo villaggio) è stata una delle prime strutture costruite come riferimento sanitario per l’intera zona, quella dei Municipi Autonomi San Pedro de Michoacán, General Emiliano Zapata, Libertad de los Pueblos Mayas e Tierra y Libertad.
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Clinica San Josè del Rio
Nel corso degli anni la Clinica si è allargata, sono stati costruiti spazi per alloggiare i familiari dei ricoverati, all’interno sono stati attivati i servizi di ginecologia, dentistica, un laboratorio di analisi e dal 2004 funziona una sala chirurgica in grado di garantire, con l’assistenza di medici locali, operazioni complesse.

La sala chirurgica funziona con turni mensili e garantisce la possibilità di svolgere operazioni in un ambiente idoneo ed attrezzato.

In questi ultimi mesi, come ci ha raccontato la Giunta del Buongoverno de La Realidad durante la nostra ultima visita nel gennaio 2015, l’apparato di anestesia si è definitivamente rotto, causando ovviamente l’impossibilità di continuare con le attività chirurgiche.

Dalla selva ci giunge un appello: raccogliere i fondi per l’acquisto di un nuovo apparato di anestesia per permettere ed ampliare le attività riferite alla chirurgia.

Noi giriamo questo appello a tutt@

Appoggiamo chi si addormenta e si risveglia in una sala operatoria nel cuore della Selva per sostenere un’idea di salute come diritto e non come una merce, di benessere che deve essere garantito a tutt@.

“Salud para todos” un’idea che gli zapatisti stanno trasformando in realtà, resistendo alle aggressioni paramilitari e del governo, come quella accaduta proprio pochi mesi fa a La Realidad, costata la vita al compagno Galeano e durante la quale è stato distrutta la Clinica locale, che ora è stata ricostruita insieme alla Scuola Autonoma

Sosteniamo l’acquisto di un nuovo apparato di anestesia per la Clinica-Scuola “La primera esperanza de los sin rostro de Pedro”, sosteniamo l’autonomia zapatista.

Partecipa e contribuisci anche tu alla Campagna:


Diamo corpo ai sogni - Sosteniamo la salute autonoma zapatista - Raccolta fondi per l’acquisto di un nuovo apparato di anestesia per la sala chirurgica della Clinica-Scuola “La primera esperanza de los sin rostro de Pedro” di San Josè del Rio, Zona Selva Chiapas - Messico -

PUOI FARE I TUOI VERSAMENTI con la causale “Impianto anestesia San Josè” presso Banca Popolare Etica al conto intestato Associazione Ya Basta 

IT06J0501812101000000100737

Per approfondimenti sul Sistema di Salute Autonoma Zapatista
LA RICOSTRUZIONE DELLA CLINICA E SCUOLA AUTONOMA A LA REALIDAD DOPO L’ASSALTO DEI PARAMILITARI COSTATO LA VITA AL COMPAGNO GALEANO

mercoledì 24 ottobre 2012

Italia - Nuova portaerei di Israele


di Ernesto MilanesiSebastiano Canetta
In meno di dieci anni, un tassello alla volta, si completa il disegno del puzzle. Strategico, militare, commerciale e politico. Basta avere la pazienza di intrecciare notizie, protocolli, fotografie. Oppure seguire le scie degli aerei, degli appalti e della diplomazia formato Finmeccanica. Tutto funzionale alla guerra all'Iran?Caccia israeliani in volo radente sulla Sardegna. Tornado italiani nel deserto del Negev. Scambi di "carte" tra mercanti d'armi, benedetti dalla Nato e dai governi (più o meno tecnici). Ecco l'alleanza «a contratto» fra Roma e Tel Aviv. Commesse a «somma zero»
Un preliminare «blindato», previsto dalla legge, affidato ai militari. Chiude il cerchio della «collaborazione» avviata dall'ex ministro della difesa Antonio Martino. Sacheon, Corea del Sud, gennaio 2012. I vertici di Korean Aerospace Industries inoltrano l'ultima offerta ai militari israeliani: 25-30 addestratori Golden Eagle in cambio dei droni con la stella di David. È un affare da 1,6 miliardi di dollari. Per di più fa contenti anche gli americani: gli aerei sono firmati Lockheed-Martin e i robot-volanti servono a spiare la Corea del Nord. Ilsoo Kim, ambasciatore sudcoreano in Israele, ha reso noto attraverso le colonne del Jerusalem Post: «Spendiamo 30 miliardi di dollari all'anno nel settore della difesa». Il governo di Seul sarebbe disposto a dirottarne almeno 5 in radar e sistemi anti-missile made in Israel. È quanto provano a spiegare i contractors locali: da mesi giocano di sponda con i lobbisti al ministero della difesa. Tuttavia, sono manovre "acrobatiche". L'aeronautica militare israeliana (Iaf) ha diffuso una nota che tecnicamente chiude la partita. Contiene la raccomandazione d'acquisto al proprio general staff di 30 addestratori Aermacchi M-346 Master prodotti da Finmeccanica già selezionati da Emirati Arabi e Singapore. Non è una specifica vincolante per il governo Netanyahu, ma nel quartier generale di Alenia a Venegono Superiore (Varese) stappano le bottiglie. Il 17 febbraio il ministero della difesa israeliano ufficializza il preliminary agreement con gli italiani. Valore: non meno di 1 miliardo di dollari. Per Aermacchi è fatta, con relativo ritorno d'immagine buono per altri due mega-appalti all'orizzonte (Usaf e forze aeree polacche). Il concorrente da battere è sempre Kai.Diventa di pubblico domino il prezzo del "successo" di Finmeccanica, l'altra faccia della medaglia della maxi-commessa bellica vinta dalla holding controllata dal ministero dell'economia. In cambio degli M-346, l'Italia dovrebbe acquistare uno stock di prodotti dalle aziende militari dello Stato ebraico. Per un miliardo di dollari. È una partita a somma zero. L'affare di Alenia lo pagano i contribuenti.
Emerge il controvalore: l'Italia avrebbe nel mirino due aerei-radar, ma all'Aeronautica militare fanno gola anche sofisticati sistemi satellitari, segnalano i quotidiani a Tel Aviv. Particolari tecnici, per addetti ai lavori, tutt'altro che secondari.Un passo indietroEpoca Berlusconi, con il ministero degli esteri affidato a Franco Frattini. Già nel 2003 scatta la sintonia: il ministro Martino e il collega israeliano (generale di corpo d'armata) Shaul Mofaz firmano a Parigi l'accordo di cooperazione Italia-Israele nel settore della difesa. Scenari integrati tra i due Paesi e piena collaborazione su tutti i fronti: da licenze, royalties e informazioni tecniche scambiate «con le rispettive industrie nella ricerca di progetti e materiali di interesse per le parti» normate dalla legge 94/2005, all'«importazione, esportazione e transito di materiali militari e di difesa» con lo scambio di informazioni e hardware. Gli effetti vengono letteralmente fotografati nell'autunno 2011. A Decimomannu (Cagliari) gli spotter immortalano l'atterraggio di F-16 e Gulfstream con la stella di David. Ufficialmente, manovre nell'ambito dell'esercitazione «Vega» condotta con piloti italiani e della Nato. Missioni non sempre regolari, come risulta dal resoconto stenografico della seduta della Camera dei deputati del 18 novembre. All'ordine del giorno, plana l'interdizione al volo comminata da un tribunale militare israeliano a un pilota Iaf per aver effettuato tonneau a bassa quota. Sulle coste della Sardegna. La segnala il deputato Augusto Di Stanislao (Idv) con un'interrogazione al ministero della difesa che giusto in quelle ore, cambia: Ignazio La Russa cede il posto all'ammiraglio Giampaolo Di Paola. La vicenda è coperta dal programma di cooperazione individuale con Israele ratificato dalla Nato nel 2008. Di Stanislao però, ricorda che «l'unica potenza nucleare della regione» rifiuta di firmare il trattato di non-proliferazione.
Negli stessi giorni, dal sito internet dell'Iaf decollano altri segni dell'«amicizia» tra Italia e Israele. A disposizione, la cronaca degli «Hawk over Sardinia» insieme alle dichiarazioni del maggiore Baruch Shushan, comandante dell'Aerial maintenance formation («Ci siamo preparati per questo cinque mesi»).Dopo i sigilli di Erdogan allo spazio aereo turco, le sessioni congiunte Israele-Nato in Italia sono imprescindibili. Necessarie, anche per lo stato maggiore dell'Aeronautica; in cambio, partecipa all'esercitazione «Desert dusk» (5-15 dicembre 2011) facendo decollare dalle basi di Grosseto, Gioia del Colle e Piacenza 25 caccia che compiono un centinaio di missioni di volo nei poligoni della base di Ovda, nel deserto del Negev. Un altro corollario a somma zero.Convergenze armateResta da capire se gli indirizzi strategici che palazzo Chigi impartisce all'Aeronautica corrispondono ai notam inviati dal governo israeliano ai suoi piloti. In Sardegna si vola in funzione di obiettivi reali: l'orografia si presta a missioni precise, l'addestramento risulta sempre allineato agli scenari «prossimi». Si simula un'operazione militare alle installazioni nucleari iraniane? Il governo Monti ne è tecnicamente al corrente?Un altro dettaglio alimenta i dubbi. Nelle esercitazioni congiunte gli aerei militari italiani provano i sonic-boom a bassa quota con lo stesso intento degli alleati israeliani, che lo utilizzano contro la popolazione palestinese a Gaza?Comunque, per testare l'inossidabilità del «patto d'acciaio» con Israele conviene girare nuovamente il binocolo. In parallelo alle manovre militari, dal 6 ottobre 2009 è operativo un altro fondamentale corridoio. È il Gruppo di collaborazione parlamentare presieduto dalla vicepresidente della commissione esteri Fiamma Nirenstein, con Luca Barbareschi (Pdl), Emanuele Fiano (Pd) e Massimo Polledri (Lega Nord). Lavori articolati su piani di interscambio finalizzati a solidificare relazioni bilaterali in campo culturale e scientifico. Un ponte diplomatico permanente, tra «democrazie occidentali», politicamente a tutto campo. La cornice istituzionale perfetta per tenere insieme il quadro affrescato da Finmeccanica.L'aprile scorso il presidente Monti ha trascorso le vacanze di Pasqua tra Ramallah e Cesarea, ribadendo il sostegno italiano al piano dei due popoli in due Stati. Ad Abu Mazen come a Netanyahu ha ricordato la necessità di superare lo stallo negoziale «facendo il possibile per scongiurare il ritorno della violenza». Corrisponde al mandato Onu affidato al generale degli alpini Paolo Serra, che dal 2 gennaio è il comandante dei 10.988 caschi blu (di 36 Paesi) della missione Unifil nel sud del Libano.E qui scatta il cortocircuito: la piena esecutività di accordi, obblighi e contratti stipulati con Israele compromette di fatto l'«interposizione» nelle operazioni di peacekeeping. D'ora in poi, sarà più difficile per i governi, non solo arabi, chiudere un occhio sulla "cobelligeranza" italiana. Con tutte le conseguenze del caso.
Pubblicato ne Il Manifesto 24 ottobre 2012

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Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

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