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domenica 21 gennaio 2018

Kurdistan - Fermare la guerra della Turchia contro i curdi



Attacchi aerei della Turchia colpiscono Afrin, una città curda nel nord della Siria, uccidendo e ferendo molti civili.
Non solo curdi, anche cristiani, arabi e tutte le altre entità in Afrin sono sotto un pesante attacco della Turchia.
L’aggressione turca contro i popoli di Afrin è un crimine contro l’umanità; non diverso dai crimini commessi dall’ISIS.
Iniziare un attacco militare in una regione che non ha ha attaccato è un crimine di guerra.

L'assemblea nazionale della Rete Kurdistan riunita a Roma il 20 e 21 gennaio per sviluppare i rapporti e le iniziative con il movimento curdo, condanna in modo inequivocabile i criminali bombardamenti delle forze armate turche che stanno colpendo il popolo curdo nel cantone di Afrin, già provocando centinaia di morti, feriti e dispersi.

Il tutto avviene con la complicità della Russia e degli USA e nel silenzio assordante dell'Europa, interessati esclusivamente alla spartizione del Medio Oriente e a sconfiggere la rivoluzione curda che si impronta alla convivenza pacifica dei popoli attraverso il confederalismo democratico.

La Rete Kurdistan, già mobilitata per la manifestazione nazionale del 17 febbraio a Roma in ”sostegno della liberazione di Öcalan e delle prigioniere e dei prigionieri politici, per la libertà e la giustizia per il popolo curdo”, chiama alla risposta immediata in tutte le sedi politiche e istituzionali, richiede l'esclusione dalla Turchia dal Consiglio d'Europa, fa appello a Papa Francesco dell'urgente necessità di rifiutare l'incontro con il boia Erdogan previsto per il 5 febbraio prossimo.

L'assemblea rilancia inoltre l'appello dell'Ufficio Informazione del Kurdistan in Italia e le sue richieste alla comunità internazionale:
  • Afrin è stata una delle regioni più stabili e sicure della Siria negli ultimi cinque anni. In tale contesto, la città ha accolto un numero di sfollati interni pari alla propria popolazione originale. Le Nazioni Unite e la Coalizione Internazionale devono assicurare il permanere della stabilità e della sicurezza di Afrin. Afrin deve essere protetta da attacchi esterni.
  • Afrin non è una minaccia per la Turchia e non ha attaccato nessuno. Lo stato turco sta attaccando Afrin perché esso è contrario ai Curdi e ai progressi che hanno ottenuto. Questa realtà non deve essere trascurata e gli attacchi dello stato turco devono essere impediti.
  • La Russia, che è responsabile dello spazio aereo di Afrin, non deve essere una spettatrice di fronte agli attacchi della Turchia e deve impedire qualunque simile dimostrazione di aggressività.
  • Gli attacchi dello stato turco contro Afrin, il Rojava e l’intera Siria del Nord sono un vantaggio per l’ISIS e altri gruppi Salafiti. La Coalizione Internazionale contro l’ISIS deve prendere delle precauzioni in merito e deve impedire gli attacchi dell’esercito turco.
  • Lo stato turco in Siria è una forza d’occupazione. La comunità internazionale non deve essere una spettatrice di fronte a questa situazione e bisogna fare in modo che l’esercito turco abbandoni il territorio siriano.

Le e i partecipanti all'assemblea
Roma, 20 gennaio 2018

mercoledì 13 dicembre 2017

La voce di Ocalan risuona in America Latina


di Raul Zibechi

E' divenuto scontato dire che la lotta dei curdi della Siria del Nord abbia risonanze col movimento zapatista. Tuttavia il pensiero di Abdullah Ocalan, oltreché quanto sia accaduto nella regione del Rojava in anni recenti, è in linea con ciò che molti movimenti sociali dell'America Latina stanno facendo.


Si possono individuare almeno tre risonanze tra questi movimenti.

La prima si riferisce allo stato-nazione. Diversi popoli, come i Mapuche di Cile ed Argentina, i Nasa della Colombia meridionale, gli Aymara della Bolivia, i popoli indigeni dell' Amazzonia e dei bassopiani non si identificano con i loro stati, né cercano di ottenere posti nelle istituzioni statali. I nuovi movimenti neri in Colombia e Brasile stanno seguendo processi simili, il che fa in modo che stiano alla larga dal gioco politico scacchistico dello stato-nazione. Non è una questione ideologica. Per molti di essi, gli stati-nazione non fanno parte delle loro storie ed esperienze come popoli - essi concepiscono gli stati-nazione come un'imposizione del colonialismo e delle élite creole.

I curdi del Rojava non intendono costruire alcuno Stato. Ocalan ritiene lo stato-nazione la forma di potere propria della "civiltà capitalista". Per i curdi che condividono le sue idee, la lotta anti-statale è persino più importante della lotta di classe, che è considerata un'eresia dalla sinistra latinoamericana che ancora guarda al 19° secolo. Questa sinistra continua a ritenere lo Stato uno scudo che protegga i lavoratori.

Nel libro "Capitalismo. L'era degli Dei Senza Maschera e dei Re Nudi", il secondo volume del "Manifesto per una Civiltà Democratica", il leader curdo sostiene una tesi che è molto vicina alla pratica zapatista. Assaltare lo Stato, scrive Ocalan, "corrompe il rivoluzionario più fedele". Per concludere con una riflessione che suona appropriata per commemorare il centenario della Rivoluzione Russa: "Cento cinquant'anni di lotta eroica sono stati soffocati e si sono volatilizzati in un mulinello di potere".

La seconda risonanza è nell'economia. Gli zapatisti tendono a beffarsi delle "leggi" dell'economia e non mettono quella disciplina al centro del loro pensiero, come sembra evidente nella raccolta dei comunicati del Subcomandante Marcos. 
D'altra parte Ocalan enfatizza che "il capitalismo è potere, non economia". I capitalisti usano l'economia, ma il cuore del sistema è la forza, armata e non armata, di confiscare i surplus prodotti dalla società.

Lo zapatismo definisce l'attuale modello estrattivo (monoculture come la soia, attività minerarie a cielo aperto e grandi opere infrastrutturali) come la "quarta guerra mondiale" contro i popoli, a causa dell'uso e dell'abuso della forza per delineare le società. 
In entrambi i movimenti, c'è una critica frontale all'economicismo. Ocalan ricorda che "nelle guerre coloniali, laddove è iniziata l'accumulazione originaria, non c'erano regole economiche". I movimenti indigeni e neri in America Latina ritengono, da parte loro, di affrontare un potere coloniale, o una "colonialità del potere", un termine utilizzato dal sociologo peruviano Aníbal Quijano per descrivere il nucleo del dominio in questo continente.

In effetti, l'economicismo è una piaga che contamina i movimenti critici, che va a braccetto con l'evoluzionismo. Una legione di esponenti di sinistra ritiene che la fine del capitalismo sarà conseguita dalla successione di profonde crisi economiche più o meno forti. Ocalan si oppone a questa prospettiva e rifiuta la proposta di quanti credono che il capitalismo sia nato "come risultato naturale dello sviluppo economico". Gli zapatisti ed i curdi sembrano concordare con la tesi di Walter Benjamin che considera il progresso come un uragano distruttivo.

Terzo, i movimenti latinoamericani difendono il Buen Vivir/Buena Vida (Buon Vivere / Buona Vita) che è un contraltare al capitalismo produttivista. Le Costituzioni dell'Ecuador e della Bolivia (approvate nel 2008 e nel 2009), enfatizzano la natura come "soggetto di diritti", invece di continuare a ritenerla un oggetto da cui ricavare ricchezza. Tra i movimenti, sta apparendo l'idea che stiamo affrontando qualcosa di più di una crisi del capitalismo, una crisi di civiltà. Il movimento curdo sostiene che il capitalismo conduca alla crisi della moderna civiltà capitalista occidentale. Questa analisi ci permette di superare l'ideologia del progresso e dello sviluppo, integra le varie oppressioni collegate al patriarcato ed al razzismo, la crisi ambientale e sanitaria, e presume una visione più profonda ed ampia della crisi in atto.

Una civiltà entra in crisi quando non ha più le risorse (materiali e simboliche) per risolvere i problemi che ha essa stessa creato. Ecco perché movimenti che sembrano geograficamente e culturalmente distanti l'uno dall'altro sentono che l'umanità sia sulla soglia di un nuovo mondo.

Su queste tre risonanze, troviamo una grande confluenza: le donne occupano il centro dei movimenti latinoamericani e formano il nucleo del pensiero di Ocalan. Centinaia di migliaia di donne che provano empatia e complicità con le loro controparti del Rojava sono state schierate nelle strade argentine da Ni Una Menos.

"L'uomo forte e calcolatore", specifica Ocalan, è all'origine dello Stato, un'istituzione profondamente patriarcale concepita dall'oppressione e per l'oppressione, che non può essere tramutata in uno strumento di liberazione.  

Tratto da TheRegion.org

Solidarietà tra Kurdistan e Messico

“Un mundo donde quepan muchos mundos”: solidarietà tra Kurdistan e Messico

Giovedì 7 dicembre 2017, con il sostegno dei compagni del CSOA Spartaco, abbiamo presentato la Brigata Sanitaria “Juntos para el derecho a la Salud” che partirà a metà dicembre per sostenere il Sistema di Salute Autonomo Zapatista nella zona del Caracol de La Garrucha.
Durante la serata sono intervenuti i compagni della Staffetta Sanitaria per il Kurdistan di Roma, che nello spirito di solidarietà internazionale tra esperienze di autonomia e autogoverno per la costruzione di un mondo più giusto, anticapitalista, descolonizzato e libero dal patriarcato, non solo hanno portato il loro saluto alla Brigata Sanitaria, ma hanno anche consegnato medicinali da portare in Messico come contributo materiale di solidarietà. Tra questi alcuni glucometri, antibiotici e altre medicine fornendoci anche di un manuale per la prevenzione e la cura del diabete realizzato da compagni medici solidari.


“...Al Movimento delle Donne del Kurdistan Komalên Jinên Kurdistan (KJK), Compagne e sorelle: Noi, donne delegate indigene originarie del Messico, le consigliere e la portavoce del Consiglio Indigeno di Governo, dei popoli amuzgo, tojolabal, ñahñu/ñatho, nahua, wixárika, tzeltal, maya, tohono odham, totonaco, binniza, tzotzil, guarijio, kumiai, chol, purépecha, mayo, rarámuri, tepehuano, me´phaa, popoluca, zoque, cochimi, coca, cora, yaqui, mam, mazahua, tenek, chinanteco, na savi, cuicateco, mixe, triqui, ikoots, chichimeca y mazateco, riunite in assemblea del Consiglio Nazionale Indigeno, spazio che da 21 anni mette in connessione i popoli originari del Messico, vi inviamo un saluto fraterno e vi ringraziamo di tutto cuore per la lettera che ci avete fatto arrivare lo scorso giugno, con l’abbraccio e l’appoggio solidale e rivoluzionario che dai vostri territori manifestate verso di noialtre, le donne indigene, verso di noialtri, popoli originari del Congresso Nazionale Indigeno...”

Allo stesso modo ringraziamo i compagni della Staffetta Romana per il Kurdistan perché con il loro gesto hanno reso concreta la solidarietà tra popoli e lotte e posto un mattoncino in più nella costruzione di “un mondo che contenga molti mondi”

La campagna è coordinata da:
Cooperazione Rebelde Napoli FB @cooperazionerebelde.napoli

Sostenuta da:
* Presidio di Salute Solidale - Napoli FB @presidiosalute.napoli
* Associazione Ya Basta - Caminantes FB @yaBastaCaminantes SITO www.yabasta.it
* Ya Basta Moltitudia Roma FB @yabasta.moltitudia

mercoledì 22 novembre 2017

Messico - Dalle montagne del sud est messicano alle montagne del Kurdistan le donne indigene scrivono alle donne kurde

Dal Messico al Kurdistan, le donne indigene scrivono alle donne curdePubblichiamo la lettera scritta dalle donne del Consiglio Indigeno di Governo alle donne curde questo Ottobre, per sottolineare l’importanza degli scambi, dei legami e dei rapporti che si costruiscono tra questi due popoli in lotta.



Al Movimento delle Donne del Kurdistan Komalên Jinên Kurdistan (KJK),

Compagne e sorelle:

Noi, donne delegate indigene originarie del Messico, le consigliere e la portavoce del Consiglio Indigeno di Governo, dei popoli amuzgo, tojolabal, ñahñu/ñatho, nahua, wixárika, tzeltal, maya, tohono odham, totonaco, binniza, tzotzil, guarijio, kumiai, chol, purépecha, mayo, rarámuri, tepehuano, me´phaa, popoluca, zoque, cochimi, coca, cora, yaqui, mam, mazahua, tenek, chinanteco, na savi, cuicateco, mixe, triqui, ikoots, chichimeca y mazateco, riunite in assemblea del Consiglio Nazionale Indigeno, spazio che da 21 anni mette in connessione i popoli originari del Messico, vi inviamo un saluto fraterno e vi ringraziamo di tutto cuore per la lettera che ci avete fatto arrivare lo scorso giugno, con l’abbraccio e l’appoggio solidale e rivoluzionario che dai vostri territori manifestate verso di noialtre, le donne indigene, verso di noialtri, popoli originari del Congresso Nazionale Indigeno.


Questa lettera l’abbiamo letta in numerose delle nostre assemblee comunitarie, l'abbiamo condivisa con molte compagne e compagni, e vogliamo dirvi che conoscere la vostra lotta degna e la vostra solidarietà, ci ha permesso di rispecchiarci in voi e ci ha rafforzato. 

Siamo lontane geograficamente, però molto vicine nelle nostre idee e pratiche libertarie. 

Insieme a voi, diciamo che in questa guerra portata avanti contro l’umanità, noi, le donne dei popoli originari, stiamo alzando la nostra voce e ci organizziamo e mettiamo in cammino per la liberazione dei nostri popoli e di noialtre le donne, che rappresentiamo la metà della comunità umana.

Riconosciamo, diamo valore alla vostra lotta, perché tutte le lotte di qualsiasi donna in qualsiasi parte del mondo ed in qualsiasi tempo della storia che lottano, si ribellano e propongono di costruire nuovi cammini di vita di fronte il mostro patriarcale capitalista che ci opprime, è una lotta degna che deve renderci sorelle. 
Crediamo fermamente nel recuperare l’importanza di fermarci noialtre le donne a partire dalla nostra comunità, non per scontrarci, ma per organizzarci con i nostri fratelli ed i nostri popoli.

Questo sistema capitalista patriarcale di morte ci colloca, a noi donne, nella posizione più infima, la più scomoda, la più dimenticata e la più repressa e non solo ci colpisce noialtre ma anche i nostri fratelli; però se la comunità è malata, lo è ancor di più per noialtre le donne. sia malata, ancora di più per noialtre, le donne.

venerdì 29 settembre 2017

Il capitalismo è potere, non economia

Suscita da tempo grande interesse il percorso teorico che ha cambiato in profondità il pensiero di Abdullah Öcalan, il leader storico del Pkk, detenuto in una condizione di isolamento disumano dal 1999 nell’isola-carcere turca di Imrali. Se è vero che la paranoica privazione di ogni diritto umano nei confronti del dirigente curdo è via via divenuta in Turchia l’ispirazione di un modello di repressione sempre più nefasto e generalizzato, è altrettanto vero che l’influenza dell’elaborazione di Öcalan ha paradossalmente conosciuto un allargamento, soprattutto nei movimenti antisistemici, ben più vasto di quello per decenni riservato all’ispirazione nazionalista per il suo popolo. L’articolo di Raúl Zibechi ne è un buon esempio, soprattutto per quel riguarda l’analisi economicistica del capitalismo, le riflessioni sullo Stato e il potere e l’impossibilità di sconfiggere il sistema con le stesse armi del nemico, sebbene poi ogni generazione debba scoprire le sue verità sulla base della propria esperienza
di Raúl Zibechi
La frase appartiene al leader curdo Abdullah Öcalan, tratta dal secondo volume del Manifesto per la Civilizzazione Democratica, che ha come sottotitolo “La Civilizzazione Capitalista. L’era degli dei senza maschera e dei re nudi”. L’opera, la cui traduzione in spagnolo vedrà la luce in questi giorni, costituisce parte della difesa del leader curdo, detenuto sull’isola Imrali, nel Mar Nero, in Turchia. Il pensiero di Öcalan è indomito: non si sottomette a gerarchie prestabilite né accetta dogmi universali. È il tipo di pensiero di cui abbiamo bisogno in questo periodo di caos sistemico, poiché le idee ereditate si stanno dimostrando di scarsa utilità per orientarci nella tempesta.
Del suo recente libro vorrei sottolineare tre aspetti, anche se non sono sufficienti a compendiare l’insieme dei contributi dell’opera. Il primo è la sua critica frontale all’economicismo, una delle peggiori piaghe intellettuali che stanno infestando i movimenti anticapitalisti. Questo capitolo inizia con una potente analisi sulla proposta evoluzionista che difende “la nascita del capitalismo come naturale risultato dello sviluppo economico”. Come si sa, coloro che sostengono questa tesi ritengono anche che la fine del capitalismo sarà prodotta dalla stessa evoluzione dell’economia che lo ha fatto nascere. Al contrario, Öcalan afferma che il capitalismo è figlio di una tradizione molto antica, che si regge sul potere militare e politico per usurpare i valori sociali, fino a trasformarsi, nel XVI secolo, nella formazione sociale dominante in Europa. Tra i valori sociali usurpati, sottolinea quello della “donna-madre da parte dell’uomo-forte e del gruppo di banditi e ladri che lo accompagnano”.
Criticare l’economicismo, comporta, sulla stessa linea, la critica dell’evoluzionismo, sia lineare che per salti. Una semplice affermazione getta luce su questo tema: “Nelle guerre coloniali, dove si è realizzata l’accumulazione originaria, non c’erano regole economiche.” Öcalan guarda da una prospettiva che si pone contro l’economia politica, che considera come “la teoria più mistificatrice” che “è stata creata al fine di coprire il carattere speculativo del capitalismo”.  In tutta la sua opera, ma in particolare nelle sezioni sul capitalismo, si poggia su Fernand Braudel, con cui concorda nel sottolineare che è la negazione del mercato attraverso la regolamentazione dei prezzi che impone i monopoli. In merito a questo, appare il secondo punto da sottolineare, quando sostiene che il capitalismo non si identifica con la produzione né con la crescita economica, perché non è economia. “Il capitalismo è potere, non economia”, assicura Öcalan. È evidente che esiste un’economia capitalista, ma il sistema capitalista è un monopolio del potere che si impone dal di fuori dell’economia, secondo quanto sostiene in questo capitolo chiarificatore. Il capitalismo usa l’economia, però è il potere, la forza concentrata, ciò che permette di confiscare il plusvalore e il surplus.
Di conseguenza, il leader curdo ritiene che l’opera principale di Marx, Il Capitale, “funziona come un nuovo totem che non è più utile per i lavoratori”, poiché delimita il capitalismo al campo delle “leggi” dell’economia, un punto condiviso da molto tempo da tutti i riformismi. Il terzo aspetto che mi sembra importante è il fatto di considerare lo Stato-nazione come la forma di potere propria della civilizzazione capitalista. Una breve parentesi: Öcalan dice “civilizzazione” capitalista perché la considera nella sua integralità, includendo tutte le variabili articolate, dall’economia e la cultura fino alla geopolitica e la società. Di conseguenza, dice che la lotta anti-statale è più importante che la lotta di classe; e questo è una specie di pugno in faccia per chi di noi si è formato su Marx. Per questa ragione, afferma che è più rivoluzionario il lavoratore che resiste all’essere proletario, che lotta contro lo status di lavoratore, perché “questa lotta sarebbe socialmente più significativa ed etica”.
Nelle pagine finali di questo volume, afferma che “in realtà i conflitti sorgono tra gruppi sociali; tra la società statale e le società democratiche”. In breve, lo Stato è uno dei nodi da sciogliere, non lo spazio di arrivo della lotta sociale.
Va oltre. Öcalan sostiene che Stato e potere sono cose diverse, che “il potere contiene lo Stato, ma è molto più che lo Stato”. Su questo punto avverte che il pensiero antisistemico ha la necessità di investigare a fondo le forme dello Stato e in particolare lo Stato-nazione, questioni che Marx non ha potuto o non ha voluto affrontare. Respinge la presa dello Stato perché corrompe i rivoluzionari e pensa che la crisi del movimento antisistemico non può essere separata dall’opzione statale. Respinge anche il concetto di egemonia. “L’essenza della civilizzazione statale -scrive – è l’egemonia sulla società”. Però l’egemonia implica il potere e questo presuppone dominio, “che non può esistere senza l’uso della forza”.
È molto interessante che giunga a questa conclusione in netta opposizione a pensatori come Gramsci, [concetto ] recuperato da una sfilza di intellettuali progressisti che fanno equilibrismi teorici per separare potere e dominio. I monopoli del potere (Stati), così come i monopoli economici (privati e statali) si impongono sulla società e la soffocano. Per questo bisogna allontanarsi da queste forme di relazione sociale. Nelle Conclusioni Öcalan scrive: “Alla fine si è capito che detenere il potere era quanto di più reazionario ci fosse nel capitalismo, contro l’uguaglianza, la libertà e la democrazia, ma già si era prodotta un’importante battuta d’arresto, era la stessa ossessione storica per il potere di cui aveva sofferto il cristianesimo”. Un pensiero critico, anticapitalista, anti-statale e anti-patriarcale centrato sul Medio Oriente, formulato dalla resistenza a suoi potenti nemici.
È impossibile vincere con le armi del nemico, ci dice Öcalan. Tuttavia, questa semplice convinzione non può essere accettata, semplicemente, come verità rivelata: ogni generazione dovrà scoprire le sue verità sulla base della propria esperienza. Per doloroso che sia.
Articolo pubblicato su La Jornada con il titolo El capitalismo es poder, no economía
Traduzione per Comune-info: Daniela Cavallo

mercoledì 21 giugno 2017

Messico - Kurdistan - Lettera del Movimento delle Donne del Kurdistan

Lettera del Movimento delle Donne del Kurdistan (KOMALÊN JINÊN KURDISTAN) a María de Jesús Patricio Martínez - portavoce del Consiglio Indigeno di Governo


Alla compagna María de Jesús Patricio Martínez, rappresentante della volontà del popolo indigeno del Messico e del Congresso Nazionale Indigeno.

In primo luogo, vogliamo mandare alla nostra sorella messicana il nostro più profondo rispetto e il nostro saluto rivoluzionario dalle montagne del Kurdistan fino alle catene montuose della Sierra Madre oltreoceano. Nonostante i fiumi, le montagne, i deserti, le valli, i canyon e i mari che ci separano, siamo fratelli e sorelle indigene, non importa in che parte del mondo stiamo. La nostra lotta, la nostra resistenza contro l’occupazione e il colonialismo, il nostro sogno per una vita libera è comune e in questo senso, come Movimento di Liberazione del Kurdistan, dichiariamo che consideriamo la lotta per l’autodeterminazione, l’auto-amministrazione e l’autodifesa dei popoli indigeni del Messico organizzati nel Congresso Nazionale Indigeno (CNI) come nostra e la sosteniamo basandoci sui principi della solidarietà rivoluzionaria. I popoli indigeni sono le vene attraverso le quali i principi e i valori culturali e sociali dell’umanità vengono trasmessi dai primi momenti della socializzazione fino ai giorni nostri. Senza dubbio nessun popolo è superiore ad un altro, ma in un momento in cui la modernità capitalista vuole distruggere ogni valore collettivo, i popoli indigeni sono la dimostrazione del tessuto sociale di tutta l’umanità. Migliaia di anni di memoria collettiva risorgono nelle nostre canzoni, nei nostri rituali, nelle nostre preghiere, nei nostri tatuaggi, nelle nostre danze e nelle nostre tradizioni. La lotta per un’identità propria, contro i tentativi della modernità capitalista di cancellare le radici e la memoria dei nostri popoli, si trasforma quindi nella più preziosa delle resistenze. Sia in America Latina che in Kurdistan, le donne guidano questa resistenza. Nei nostri paesi, che sono stati le culle di migliaia di anni di cultura della dea madre, la donna e la vita, la donna e la libertà, la donna e la terra, la donna e la natura sono indissolubilmente vincolate.

In Kurdistan esprimiamo questa realtà con il nostro motto “Jin Jîyan Azadî”, che significa “Donna Vita Libertà”. Il corpo e l’anima della donna sono il riflesso dell’universo sulla terra. Migliaia di anni fa, durante la Rivoluzione Neolitica, furono le donne tramite la loro organizzazione sociale a guidare tutti i cambiamenti che resero possibile lacoltivazione della terra e l’inizio di una vita sedentaria in armonia con la natura. Questa è la ragione per la quale la civilizzazione patriarcale dello stato, che si è manifestata sotto forma di una controrivoluzione basata sul dominio, sullo sfruttamento e l’occupazione, ha schiavizzato innanzitutto le donne. Parallelamente al dominio delle donne è andato accelerando il dominio della natura. È stato attraverso il dominio della prima natura che è nata la seconda, entrambe sono state trasformate nelle pinze che la modernità capitalista ha usato per spremere con forza la società storica e poterla così distruggere. Il dominio attuale esercitato contro i nostri popoli è il risultato di questa mentalità. La resistenza nata in nome dell’autogoverno, dell’autodeterminazione e dell’autodifesa, rappresenta quindi la lotta più importante che possa essere esercitata per la libertà.

Noi in Kurdistan abbiamo sviluppato la nostra difesa contro le forze capitaliste moderne e gli attacchi degli stati colonialisti che occupano il nostro territorio, illuminati dalle lotte dei popoli indigeni dell’America Latina. Vogliamo che sappiate che riceviamo un’ispirazione costante e speciale dalle vostre esperienze di autogoverno, di buon governo e di comunitarismo. Speriamo che le nostre esperienze e i nostri successi nella lotta rappresentino allo stesso modo, anche per voi, delle fonti d’ispirazione. Una delle principali conquiste del nostro movimento è l’uguaglianza di partecipazione e di rappresentanza delle donne. È il risultato di grandi sacrifici e lotte intense portate avanti dalle donne, ma alla fine abbiamo ottenuto la nostra partecipazione paritaria in tutti gli organi decisionali. Non come individui, ma come rappresentanti della volontà organizzata e collettiva del Movimento di Liberazione delle Donne del Kurdistan, stiamo prendendo il nostro posto in ogni aspetto della lotta. Con il nostro sistema di co-presidenze, stabilite dal basso verso l’alto, rappresentiamo la volontà delle donne in ogni decisione e sviluppiamo una politica democratica contro le forme centralizzate e patriarcali della politica tradizionale. Ma per questo è stato necessario diventare definitivamente una forza organizzata. Essere organizzate è il criterio più importante per raggiungere la vittoria. Nella misura in cui saremo organizzate, riusciremo a resistere contro il sistema colonialista e dominante e di costruire la nostra alternativa di governo. In tal senso, l’organizzazione è la nostra arma principale di autodifesa. In passato molti popoli e movimenti non sono riusciti ad ottenere i risultati sperati perché non erano sufficientementeorganizzati. Non è stato possibile trasformare alcuni momenti storici in grandi vittorie proprio per questa mancanza di organizzazione. Forse non è stato capito fino in fondo il significato di questo fatto, ma oggi siamo in un’altra epoca. Ci troviamo di fronte al dovere di moltiplicare i nostri sforzi per aumentare il livello di organizzazione di fronte a questa nuova opportunità di vittoria, in un momento in cui il sistema capitalista moderno sta attraversando una profonda crisi nei suoi aspetti più determinanti. La storia ci chiede questo. Voi come Congresso Nazionale Indigeno siete stati capaci di riconoscere questa realtà, dichiarando le elezioni presidenziali in Messico come un’istanza chiave nel processo che porterà a un aumento del vostro livello di organizzazione.

Come Movimento di Liberazione delle Donne del Kurdistan vogliamo esprimere il nostro sostegno a questa decisione, basandoci sulla convinzione che questo obiettivo sarà raggiunto e portato a un livello ancor più alto a partire da queste elezioni e dalle strategie sviluppate a tal proposito. Il nostro leader Abdullah Öcalan, che dal 1999 è incarcerato in durissime condizioni di isolamento dallo stato colonialista turco, ha fatto un’analisi molto importante rispetto a tutto ciò verso la fine del XX secolo. Il nostro leader Apo, ha previsto che il XXI secolo sarebbe stato il secolo della liberazione delle donne se noi come tali fossimo state capaci di crescere e determinare i nostri modi e meccanismi di organizzazione. La ragione di questa conclusione è l’evidente crisi strutturale del sistema patriarcale, basato sulla nostra schiavitù. Il sistema patriarcale pretende di superare questa crisi aumentando i suoi attacchi contro le donne fino a portarli al livello di una guerra sistematica. Concentrando i suoi attacchi contro le donne di tutto il mondo con mezzi e metodi diversi, il sistema cerca di spezzare il cammino che abbiamo inaugurato verso la liberazione. Gli assassinii delle donne nel vostro paese hanno raggiunto il livello di un genocidio e le uccisioni di leader donne in America Latina sono indicatori ancor più concreti di questa realtà.

Vogliamo che sappiate che consideriamo tutte le donne e le leader dei popoli indigeni che sono state assassinate dalle braccia che agiscono per il sistema dominante, come nostre martiri e lottiamo anche per far diventare realtà i loro sogni e le loro speranze. Per noi i martiri non muoiono. In loro troviamo la forza e loro rinascono in ogni lotta che iniziamo. In questo contesto, la decisione del popolo indigeno messicano di nominare una compagna come rappresentante della propria volontà e farne la propria candidata alle prossime elezioni presidenziali, è molto significativa. A tal proposito, la compagna Marichuy non è solo la portavoce degli indigeni del Messico, ma allo stesso tempo di tutte le donne del mondo. Consideriamo molto importante e preziosa la candidatura della compagna Marichuy come rappresentante dei popoli negati, delle donne schiavizzate e delle migliaia di anni di saggezza ancestrale che la modernità capitalista vuole far sparire.

Come Movimento di Liberazione delle Donne del Kurdistan dichiariamo tutto il nostro sostegno e la nostra solidarietà alla compagna e al Congresso Nazionale Indigeno, non solo in questo momento di congiuntura elettorale, ma per tutta la lotta che il suo Movimento sta portando avanti. Sappiamo che non è rilevante di per sé il risultato delle elezioni, visto che è solo uno dei sentieri che i popoli indigeni del Messico hanno aperto in questo processo e in questa fase particolare della lotta. In questo senso la vittoria è già data. Perché il sistema capitalista moderno si alimenta delle divisioni delle forze e della disorganizzazione dei popoli e della società che vuole dominare; voi però avete già costruito il terreno per il successo formando la vostra unità organizzata. D’ora in avanti è importante non perdere di vista questo obiettivo, che non è altro che quello di crescere organizzandosi. Il vostro successo sarà il nostro. La nostra lotta è la vostra. Siamo il popolo fratello delle montagne che sono nate dalle stesse acque profonde. Persino dalle nostre lingue diverse condividiamo gli stessi sogni, ci innamoriamo delle stesse utopie e resistiamo in onore dello stesso amore. Da qui vi mandiamo tutta la forza necessaria ad affrontare questa nuova tappa, vi salutiamo con i nostri sentimenti rivoluzionari più genuini e vi abbracciamo con tutta la nostra solidarietà e tutto il nostro cameratismo.

Viva la fratellanza dei Popoli!

Viva l’Internazionalismo Rivoluzionario!

Donna Vita Libertà! Jin Jîyan Azadî

Coordinamento del Movimento delle Donne del Kurdistan 
Komalên Jinên Kurdistan (KJK)

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!