A partire dal 19 Gennaio’09 PresenzAttiva in Brasile.
Una delegazione dell’Ass. Ya Basta! parteciperà ai festeggiamenti dei 25 anni del Movimento do Trabalhadores Rurais Sem Terra, che si terranno a partire dal 20 Gennaio 2009 in Brasile.
In particolare il gruppo sarà ospitato nello Stato del Rio Grande do Sul all’interno dela Fazenda Anoni - la prima storica occupazione fatta dai Sem-Terra nel 1979, prima ancora che si costituissero come Movimento - per 4 giornate di Incontro Nazionale del MST e delle realtà internazionali che li sostengono e lottano al loro fianco.
Al termine dell’Incontro il viaggio continuerà per conoscere le realtà brasiliane in lotta e resistenza contro le dinamiche imposte dal neoliberismo e per denunciare le situazioni di abuso e sfruttamento legate all’Agrobusiness.
Speciale MST 25 anni
Per informazioni sul viaggio e per essere aggiornato sulle iniziative dell’Associazione Ya Basta!, scrivi a: yabastabrasil@gmail.com
oppure vai al sito: http://www.yabasta.it/ - http://www.yabastareggioemilia.it/
Approfondimenti:
Carovana Brasile ’08: Oltre la lotta per la terra
domenica 7 dicembre 2008
I movimenti sociali fondano un Tribunale del Popolo per assicurare la giustizia a tutti i cittadini.
dal sito Musibrasil
Disuguaglianze, Stato sotto accusa
In Brasile i movimenti sociali fondano un tribunale del popolo per assicurare la giustizia a tutti i cittadini. E per costringere le istituzioni del Paese a garantire i diritti all’intera popolazione.
Disuguaglianze, Stato sotto accusa
In Brasile i movimenti sociali fondano un tribunale del popolo per assicurare la giustizia a tutti i cittadini. E per costringere le istituzioni del Paese a garantire i diritti all’intera popolazione.
Il Brasile occupa i primissimi posti nella classifica dei paesi dove più forti e altrettanto visibili sono le disuguaglianze. La forbice tra ricchi e poveri aumenta quotidianamente e spesso lo Stato non riesce a tutelare i capisaldi fondamentali della cittadinanza sociale e attiva. Pure in piena espansione economica e con tassi di crescita che possono essere considerati da primo mondo se limitiamo il nostro sguardo ai centri del potere quali la capitale Brasilia, ai palazzi di banche trasformatesi nel volgere di poco tempo in luoghi capaci di far girare l’economia dell’intero continente latinoamericano e a multinazionali con fatturati astronomici, restano ampie sacche di povertà, emarginazione e miseria. Lo Stato non riesce a farvi fronte, oppure si adopera per trovare soluzioni che spesso finiscono per essere nel migliore dei casi inadeguate e nel peggiore apertamente repressive. In poche parole, il Brasile rischia di consolidarsi come un paese incapace di tutelare gli elementari diritti umani e sociali delle persone (principalmente delle fasce più emarginate della società), pur essendosi lasciato alle spalle dal 1985 (anno in cui ebbe fine la dittatura militare) le pulsioni antidemocratiche e autoritarie.
E’ proprio sulla base di queste motivazioni che i movimenti sociali del paese hanno costituito un Tribunale popolare che inizierà il lavoro il 4 dicembre con un dibattito che avrà al suo interno un seminario particolarmente significativo fin dal suo titolo: "Lo Stato brasiliano sul banco degli imputati". La nascita del Tribunal popular prende spunto da una recente analisi dell’Istituto di studi socioeconomici (Inesc), denominata "Diritti e disuguaglianze, uno sguardo sul 2009", che analizza e verifica in modo ragionato qual è stato l’impegno fin qui assunto dal Brasile in materia di tutela dei diritti umani e di riduzione delle disuguaglianze sociali. Dall’indagine non emergono dati incoraggianti: in particolare rischiano di essere smantellati alcuni dei diritti sociali fondamentali sanciti dalla Costituzione del 1988, che aveva ridefinito le regole politiche dello stato dopo la lunga dittatura instaurata nel 1964.
La ricerca ha anche evidenziato l’aumento delle disuguaglianze razziali, etniche e di genere, al pari della preoccupante crescita di razzismo e sessismo nella società brasiliana, la cui causa starebbe nella debolezza delle politiche pubbliche messe fin qui in pratica dai vari governi succedutisi al Planalto, che di fatto hanno finito per non rendere universali principi comunemente acquisiti alla base dello stato di diritto. Senza casa, donne, indigeni, abitanti delle favelas, neri restano sempre più confinati ai margini della società e del mercato del lavoro e le loro rivendicazioni sono represse con estrema violenza nella maggior parte dei casi.
Proprio su questi temi si sono confrontati presso l’Università di San Paolo (Usp) un gruppo di ricercatori, attivisti per i diritti umani ed esponenti dei movimenti sociali che, in una sorta di sessione anticipata del Tribunal popular, alla fine di ottobre hanno affrontato principalmente il problema della violenza messa in atto dallo Stato nei confronti di coloro che si battono per il diritto alla casa, soprattutto sem teto e comunità in lotta contro gli sgomberi coatti da parte della polizia. Gli interventi di Daniel Laje, rappresentante del Mtst di San Paolo (Movimento dei lavoratori senza tetto), dei militanti del Movimento de Moradia, di Ricardo Matos e Robson Mendonça (Aliança pela Vida), del coordinatore degli ex prigionieri politici Ivan Seixas e del filosofo Paulo Eduardo Arantes hanno spiegato quale sarà la funzione del neonato Tribunal Popular.
Tutti i relatori sono partiti da un dato centrale: le risposte errate, o comunque non adeguate, che offre lo Stato nei confronti delle richieste e dei problemi che vive quotidianamente quella fascia di popolazione esclusa dal benessere di cui gode una minoranza di brasiliani e che per questo ha deciso di auto-organizzarsi secondo pratiche politiche e forme di lotta alla cui base sta non solo l’orizzontalità e l’iniziativa dal basso ma, nella maggior parte dei casi, anche le necessità alla base della sopravvivenza quotidiana. Di fronte a queste realtà sociali lo Stato ha risposto in un modo univoco e intransigente, considerandole soltanto come un problema di ordine pubblico da risolvere con qualsiasi mezzo non sempre lecito e rispettoso dei diritti umani.
Per questo motivo, spiega la partecipata rete che ha lavorato per far nascere il Tribunal popular (che annovera, tra le decine di adesioni, quelle dell’Associação de juizes pela democracia, della Rede social de justiça e direitos humanos, del Forum da juventude negra, del Consiglio indigeno missionario, del Forum das pastorais sociais, di Sem terra e Sem teto), il suo ruolo dovrà svolgere una funzione di osservatorio permanente «per giudicare e condannare lo Stato brasiliano per le sistematiche violazioni dei diritti elementari nei confronti della popolazione più povera, soprattutto verso i giovani e i neri abitanti nelle favelas e nelle periferie urbane e denunciare la criminalizzazione dei movimenti sociali, in particolare quello sindacale, ecologista e dei senza terra».
Il concetto principale a cui si ispirerà il Tribunale sarà quello di garantire la giustizia sociale per tutti i cittadini brasiliani, un aspetto su cui, puntano l’indice i movimenti sociali, il Brasile finora non ha brillato per trasparenza: «dall’entrata in vigore della Costituzione Federale del 1988 lo Stato brasiliano è stato unanimemente dichiarato democratico a priori per essersi limitato a firmare e ratificare i più importanti trattati e le convenzioni internazionali in cui sono regolati i diritti fondamentali della persona umana», ma questi principi spesso non sono stati messi in pratica.
Alla sostanziale accusa di «predicare bene e razzolare male», lo Stato brasiliano fatica a rispondere a causa della sua conformazione politica. Un esempio: la forte autonomia politico-legislativa di cui godono gli stati dell’Unione permette a quelli con un determinato orientamento politico di perseguire con violenza, essendo dotati di una propria polizia, i movimenti sociali, soprattutto nel Nord-Est, dove maggiore (e per questo più pericolosa) è l’alleanza tra i grandi latifondisti e imprenditori e la classe politica locale. In questo contesto è nata la criminalizzazione del Movimento sem terra nel Rio Grande do Sul, anche se il problema è assai più ampio delle variabili maggioranze politiche degli stati, spiegano gli aderenti al Tribunal popular, che negli ultimi anni hanno denunciato una preoccupante crescita della violenza di Stato. Solo negli ultimi tre anni possiamo ricordare, tra gli altri, la cosiddetta "carneficina del Complexo do Alemão (anno 2007)", Rio de Janeiro, dove un’occupazione da parte di un gruppo di sem teto e comunità urbane povere fu sgomberata con un saldo di 19 morti dalle famigerate Tropas de choque, i battaglioni di polizia in assetto anti sommossa che spesso i governi utilizzano per radere al suolo le favela o in operazioni contro le forti gang criminali che gestiscono il mercato del narcotraffico.
Il Tribunal Popular lavorerà su tre grandi aree tematiche. La prima riguarda la violenza dello Stato a difesa di una supposta sicurezza sociale, di cui è sintomatico l’esempio sopracitato. La seconda si riferisce alle discriminazioni presenti nel sistema carcerario del paese. In questo caso si ricordano le esecuzioni sommarie per placare una rivolta interna nel carcere di cui la maggioranza delle vittime risultò essere baiana, nera, giovane e povera. La terza è relativa alla criminalizzazione di qualsiasi tipo di lotta sociale, ambientale, sindacale, per la riforma agraria.
L’istituzione popolare ha riscontrato un’enorme differenza di valutazione da parte della giustizia dello Stato, per cui a piccoli crimini commessi da appartenenti alle fasce sociali maggiormente discriminate vengono inflitte pene pesantissime, del tutto sproporzionate rispetto a quelli in cui sono coinvolte persone che godono di un alto livello sociale, per le quali assai frequentemente vige una certa impunità. Questi dati sono stati confermati anche dalla relazione del funzionario Onu, Philip Alston, che nel suo rapporto per le Nazioni unite tra gennaio e maggio di quest’anno ha rilevato una preoccupante crescita delle esecuzioni sommarie ed extragiudiziali sia da parte della polizia in servizio che fuori servizio.
L’ultima testimonianza a questo proposito viene dal violentissimo sgombero avvenuto il 23 ottobre ad opera delle Tropas de choque a Curitiba, in una zona di proprietà della società immobiliare Hafil Emreendimentos e occupata a settembre dai senza tetto: di fronte ad una barriera simbolica di qualche pneumatico opposta dagli occupanti, convinti di dimostrare il loro intento pacifico, la polizia ha attaccato con violenza sparando pallottole e lacrimogeni senza badare alla presenza di bambini, donne incinte e ferendo ben 14 persone.
«Di fronte a questa situazione», spiegano i promotori del Tribunale popolare, «il nostro compito sarà quello di mettere lo Stato brasiliano di fronte alle proprie responsabilità e soprattutto a quelle leggi nazionali e internazionali che formalmente riconosce, ma non mette in pratica». L’inizio dei lavori del Tribunale, previsti per il 4 dicembre, cercheranno di trovare una sponda istituzionale in governo e parlamento in modo da poter costruire un tavolo di confronto che aiuti lo Stato a responsabilizzarsi e a riconoscere quelle contraddizioni interne che lo hanno allontanato dalla tutela dei diritti umani fondamentali.
E’ proprio sulla base di queste motivazioni che i movimenti sociali del paese hanno costituito un Tribunale popolare che inizierà il lavoro il 4 dicembre con un dibattito che avrà al suo interno un seminario particolarmente significativo fin dal suo titolo: "Lo Stato brasiliano sul banco degli imputati". La nascita del Tribunal popular prende spunto da una recente analisi dell’Istituto di studi socioeconomici (Inesc), denominata "Diritti e disuguaglianze, uno sguardo sul 2009", che analizza e verifica in modo ragionato qual è stato l’impegno fin qui assunto dal Brasile in materia di tutela dei diritti umani e di riduzione delle disuguaglianze sociali. Dall’indagine non emergono dati incoraggianti: in particolare rischiano di essere smantellati alcuni dei diritti sociali fondamentali sanciti dalla Costituzione del 1988, che aveva ridefinito le regole politiche dello stato dopo la lunga dittatura instaurata nel 1964.
La ricerca ha anche evidenziato l’aumento delle disuguaglianze razziali, etniche e di genere, al pari della preoccupante crescita di razzismo e sessismo nella società brasiliana, la cui causa starebbe nella debolezza delle politiche pubbliche messe fin qui in pratica dai vari governi succedutisi al Planalto, che di fatto hanno finito per non rendere universali principi comunemente acquisiti alla base dello stato di diritto. Senza casa, donne, indigeni, abitanti delle favelas, neri restano sempre più confinati ai margini della società e del mercato del lavoro e le loro rivendicazioni sono represse con estrema violenza nella maggior parte dei casi.
Proprio su questi temi si sono confrontati presso l’Università di San Paolo (Usp) un gruppo di ricercatori, attivisti per i diritti umani ed esponenti dei movimenti sociali che, in una sorta di sessione anticipata del Tribunal popular, alla fine di ottobre hanno affrontato principalmente il problema della violenza messa in atto dallo Stato nei confronti di coloro che si battono per il diritto alla casa, soprattutto sem teto e comunità in lotta contro gli sgomberi coatti da parte della polizia. Gli interventi di Daniel Laje, rappresentante del Mtst di San Paolo (Movimento dei lavoratori senza tetto), dei militanti del Movimento de Moradia, di Ricardo Matos e Robson Mendonça (Aliança pela Vida), del coordinatore degli ex prigionieri politici Ivan Seixas e del filosofo Paulo Eduardo Arantes hanno spiegato quale sarà la funzione del neonato Tribunal Popular.
Tutti i relatori sono partiti da un dato centrale: le risposte errate, o comunque non adeguate, che offre lo Stato nei confronti delle richieste e dei problemi che vive quotidianamente quella fascia di popolazione esclusa dal benessere di cui gode una minoranza di brasiliani e che per questo ha deciso di auto-organizzarsi secondo pratiche politiche e forme di lotta alla cui base sta non solo l’orizzontalità e l’iniziativa dal basso ma, nella maggior parte dei casi, anche le necessità alla base della sopravvivenza quotidiana. Di fronte a queste realtà sociali lo Stato ha risposto in un modo univoco e intransigente, considerandole soltanto come un problema di ordine pubblico da risolvere con qualsiasi mezzo non sempre lecito e rispettoso dei diritti umani.
Per questo motivo, spiega la partecipata rete che ha lavorato per far nascere il Tribunal popular (che annovera, tra le decine di adesioni, quelle dell’Associação de juizes pela democracia, della Rede social de justiça e direitos humanos, del Forum da juventude negra, del Consiglio indigeno missionario, del Forum das pastorais sociais, di Sem terra e Sem teto), il suo ruolo dovrà svolgere una funzione di osservatorio permanente «per giudicare e condannare lo Stato brasiliano per le sistematiche violazioni dei diritti elementari nei confronti della popolazione più povera, soprattutto verso i giovani e i neri abitanti nelle favelas e nelle periferie urbane e denunciare la criminalizzazione dei movimenti sociali, in particolare quello sindacale, ecologista e dei senza terra».
Il concetto principale a cui si ispirerà il Tribunale sarà quello di garantire la giustizia sociale per tutti i cittadini brasiliani, un aspetto su cui, puntano l’indice i movimenti sociali, il Brasile finora non ha brillato per trasparenza: «dall’entrata in vigore della Costituzione Federale del 1988 lo Stato brasiliano è stato unanimemente dichiarato democratico a priori per essersi limitato a firmare e ratificare i più importanti trattati e le convenzioni internazionali in cui sono regolati i diritti fondamentali della persona umana», ma questi principi spesso non sono stati messi in pratica.
Alla sostanziale accusa di «predicare bene e razzolare male», lo Stato brasiliano fatica a rispondere a causa della sua conformazione politica. Un esempio: la forte autonomia politico-legislativa di cui godono gli stati dell’Unione permette a quelli con un determinato orientamento politico di perseguire con violenza, essendo dotati di una propria polizia, i movimenti sociali, soprattutto nel Nord-Est, dove maggiore (e per questo più pericolosa) è l’alleanza tra i grandi latifondisti e imprenditori e la classe politica locale. In questo contesto è nata la criminalizzazione del Movimento sem terra nel Rio Grande do Sul, anche se il problema è assai più ampio delle variabili maggioranze politiche degli stati, spiegano gli aderenti al Tribunal popular, che negli ultimi anni hanno denunciato una preoccupante crescita della violenza di Stato. Solo negli ultimi tre anni possiamo ricordare, tra gli altri, la cosiddetta "carneficina del Complexo do Alemão (anno 2007)", Rio de Janeiro, dove un’occupazione da parte di un gruppo di sem teto e comunità urbane povere fu sgomberata con un saldo di 19 morti dalle famigerate Tropas de choque, i battaglioni di polizia in assetto anti sommossa che spesso i governi utilizzano per radere al suolo le favela o in operazioni contro le forti gang criminali che gestiscono il mercato del narcotraffico.
Il Tribunal Popular lavorerà su tre grandi aree tematiche. La prima riguarda la violenza dello Stato a difesa di una supposta sicurezza sociale, di cui è sintomatico l’esempio sopracitato. La seconda si riferisce alle discriminazioni presenti nel sistema carcerario del paese. In questo caso si ricordano le esecuzioni sommarie per placare una rivolta interna nel carcere di cui la maggioranza delle vittime risultò essere baiana, nera, giovane e povera. La terza è relativa alla criminalizzazione di qualsiasi tipo di lotta sociale, ambientale, sindacale, per la riforma agraria.
L’istituzione popolare ha riscontrato un’enorme differenza di valutazione da parte della giustizia dello Stato, per cui a piccoli crimini commessi da appartenenti alle fasce sociali maggiormente discriminate vengono inflitte pene pesantissime, del tutto sproporzionate rispetto a quelli in cui sono coinvolte persone che godono di un alto livello sociale, per le quali assai frequentemente vige una certa impunità. Questi dati sono stati confermati anche dalla relazione del funzionario Onu, Philip Alston, che nel suo rapporto per le Nazioni unite tra gennaio e maggio di quest’anno ha rilevato una preoccupante crescita delle esecuzioni sommarie ed extragiudiziali sia da parte della polizia in servizio che fuori servizio.
L’ultima testimonianza a questo proposito viene dal violentissimo sgombero avvenuto il 23 ottobre ad opera delle Tropas de choque a Curitiba, in una zona di proprietà della società immobiliare Hafil Emreendimentos e occupata a settembre dai senza tetto: di fronte ad una barriera simbolica di qualche pneumatico opposta dagli occupanti, convinti di dimostrare il loro intento pacifico, la polizia ha attaccato con violenza sparando pallottole e lacrimogeni senza badare alla presenza di bambini, donne incinte e ferendo ben 14 persone.
«Di fronte a questa situazione», spiegano i promotori del Tribunale popolare, «il nostro compito sarà quello di mettere lo Stato brasiliano di fronte alle proprie responsabilità e soprattutto a quelle leggi nazionali e internazionali che formalmente riconosce, ma non mette in pratica». L’inizio dei lavori del Tribunale, previsti per il 4 dicembre, cercheranno di trovare una sponda istituzionale in governo e parlamento in modo da poter costruire un tavolo di confronto che aiuti lo Stato a responsabilizzarsi e a riconoscere quelle contraddizioni interne che lo hanno allontanato dalla tutela dei diritti umani fondamentali.
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ALLERTA ROSSA E CHIUSURA CARACOLES
BOICOTTA TURCHIA
Viva EZLN
Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.
La lucha sigue!