giovedì 2 aprile 2009

Ancora un giornalista scomodo ucciso, vicino a Mosca

di Astrit Dakli
Ancora una vittima nell’impari lotta tra informazione libera e poteri in Russia. A cadere colpito da ignoti assalitori è stato Sergej Protazanov, del giornale Accordo civile di Khimki, una città-satellite di Mosca; poco chiare le circostanze in cui, lunedì, il giornalista ha perso la vita. Amici e colleghi hanno parlato di “aggressione” collegandola senza mezzi termini alla posizione politica del giornale, schierato contro l’amministrazione cittadina e in difesa di alcune aree boschive che il sindaco Viktor Strelchenko vorrebbe far attraversare da una nuova autostrada. Recentemente il giornale aveva denunciato i presunti brogli con cui Strelchenko è stato riconfermato in carica nelle ultime elezioni. La polizia, per propria parte, ha diffuso invece un comunicato in cui si afferma che Protazanov sarebbe morto per intossicazione da sostanze sconosciute. Certo è che intorno ad Accordo civile si è sviluppata una campagna di intimidazioni molto pesanti: il direttore, Anatolij Yurov, è stato aggredito due volte negli ultimi mesi. E un altro giornalista di Khimki, Mikhail Beketov, è sfuggito per miracolo alla morte dopo esser stato per settimane in coma in seguito all’aggressione e alla bastonatura subìte in gennaio: il suo giornale, Khimkinskaja Pravda, più importante di Accordo civile, aveva a propria volta denunciato i traffici illeciti del sindaco Strelchenko, facendo campagna contro la sua rielezione. Inutile dire che nessuno ha provato a indagare sul serio su quell’aggressione, così come difficilmente ci saranno serie indagini sulla morte di Protazanov: in una città il potere del sindaco è fortissimo, e polizia e magistrati locali difficilmente si spingono a inquisirlo, anche in casi gravi come questi. Certo, le cose potrebbero essere molto diverse se dal centro - dal Cremlino - arrivasse qualche indicazione sul fatto che simili episodi non saranno più tollerati: ma finora il presidente Dmitrij Medvedev si è limitato a qualche discorso positivo, apparentemente senza dargli seguiti concreti.A peggiorare ulteriormente il quadro della giornata è arrivata la notizia, questa mattina, dell’aggressione subita da uno dei più noti esponenti del movimento per la tutela dei diritti umani, Lev Ponomariov, preso a parte e picchiato brutalmente da tre giovani sotto casa sua.Ponomariov è stato ricoverato e poi dimesso, le sue condizioni non sono preoccupanti ma preoccupante è invece - anche simbolicamente - che un personaggio come lui sia diventato oggetto di violenza: si tratta di un uomo che non ha mai nascosto le proprie critiche al Cremlino ma sempre in modo civile e corretto - tra l’altro aveva lavorato insieme all’avvocato Stanislav Markelov, ucciso nel gennaio scorso in pieno centro a Mosca. “Sono sicuro che si è trattato di un attacco su commissione, legato alla mia attività politica”, ha dichiarato dopo essere uscito dall’ospedale. Prevedibilmente molto agitate le reazioni delle organizzazioni legate ai diritti umani, russe e internazionali, che hanno chiesto al presidente americano Barack Obama di affrontare con Medvedev il tema dei diritti umani e del clima di violenza e intimidazione che circonda in Russia chiunque manifesti opposizione ai poteri dominanti.
Tratto dal blog EST EST EST, notizie dall’ex impero del male a cura di Astrit Dakli

GERUSALEMME, SI FA PRESTO A DIRE TRAM

di Michele Giorgio
I BINARI DELLA DISCORDIA

I lavori per la tramvia leggera stanno gettando nel caos la Città santa. Per i palestinesi il progetto è illegale, perché collegherà le colonie. Gli ebrei ortodossi non la vogliono: non sono state previste carrozze «kosher». Anche il sindaco ecologista è contrario alla railway. Ma c'è chi vi vede la realizzazione di un sogno di Theodor Herzl. Quando il mese scorso la società CityPass ha comunicato alle autorità - comune e governo - «di non ritenere realistica» la scadenza di settembre 2010 per la conclusione dei lavori di costruzione della rete tranviaria, gli abitanti di Gerusalemme sono stati sul punto di scendere in strada a protestare con rabbia. Il progetto che alla fine degli anni Novanta convinse Ehud Olmert, a quel tempo sindaco di Gerusalemme, non ha mai rispettato le scadenze. I ritardi si sono moltiplicati, i costi sono lievitati e i lavori che si svolgono in pieno centro, a ridosso della città vecchia e anche nella zona Est (araba) sotto occupazione dal 1967, scontentano un po' tutti. Ebrei e palestinesi, con motivazioni molto diverse, puntano l'indice contro il tram. «Non ne possiamo più - si lamenta Ilan Tirosh, proprietario di un negozio che s'affaccia su via Giaffa, il cuore della Gerusalemme ebraica -: da quando è in costruzione la rete del tram, subiamo disagi enormi e accumuliamo perdite economiche di cui nessuno sembra preoccuparsi. La strada è per gran parte chiusa al traffico automobilistico e vendiamo molto meno rispetto agli anni passati perché l'area è nel caos completo e tanta gente preferisce evitarla». Di ben altra natura sono le contestazioni palestinesi. «Certo anche per noi i disagi si stanno facendo insopportabili, ma il vero problema sta nella finalità politica di questo tram che attraversa la città - spiega il geografo Khalil Tufakji, esperto di colonizzazione israeliana -. Dicono di voler soltanto garantire trasporti pubblici moderni ed ecologici a una città prigioniera del traffico automobilistico, ma ignorano le risoluzioni internazionali. Intanto i binari attraversano anche la zona araba, collegando gli insediamenti colonici (chiamati dagli israeliani "quartieri", ndr) e nessuno si è sognato d'interpellare i palestinesi». Il costo totale della «Jerusalem light railway» è di 3,3 miliardi di shekel (circa 600 milioni di euro): 2/3 messi dalla CityPass (un consorzio di imprese israeliane e francesi) e 1/3 da comune e governo. La rete tramviaria con ogni probabilità verrà ultimata solo nel 2011, se non interverranno nuovi imprevisti, quindi con due anni di ritardo rispetto alla scadenza annunciata. La società di costruzione sostiene di non avere responsabilità e lancia accuse all'amministrazione comunale e indirettamente allo stesso sindaco Nir Barkat, contrario al progetto e che del blocco dei lavori aveva fatto un suo cavallo di battaglia durante la campagna elettorale per le comunali dello scorso novembre. Barkat, che preferirebbe convertire subito i binari in corsie per autobus «ecologici», secondo alcuni rallenterebbe la concessione di autorizzazioni necessarie per il proseguimento dei lavori. Ma anche il governo uscente, a quanto pare, non ha trasferito alla CityPass 150 milioni di shekel (circa 30 milioni di euro) di risarcimenti. I nemici del progetto sono davvero tanti, non ultimi i rabbini. I lavori, dicono, si svolgono a ridosso di quartieri densamente popolati da ebrei osservanti. E, soprattutto, non prevedono l'impiego di carrozze kosher, ovvero con posti rigidamente separati per uomini e donne. Per le gerarchie religiose ebraiche vanno benissimo le linee di autobus esistenti, che tengono conto dell'esigenza dei timorati di non entrare troppo in contatto con i laici e che sono il risultato di un accordo che hanno raggiunto con la cooperativa di trasporti Egged. Lo scorso anno sette importanti rabbini di Gerusalemme avevano inviato un appello alla municipalità per chiedere la sospensione immediata dei lavori della «rete tramviaria del male», perché le linee previste costringono gli ebrei ultraortodossi a dover passare in quartieri laici dove di solito non mettono mai piede. Senza dimenticare il problema della «promiscuità» alle fermate del tram nei rioni popolati da religiosi. Molti sarebbero felici di vedere finalmente sparire le barriere di cemento che, in mezzo a tante strade, delimitano da troppo tempo le aree in cui sono in corso i lavori di costruzione. La CityPass considera questa possibilità una follia se si tiene conto anche dell'avvenuta (costosa) deviazione parziale della rete fognaria e che, tra ritardi e disagi, la «creatura» sta finalmente cominciando a vedere la luce. Sono, peraltro, già state acquistate in Francia 42 vetture (ognuna è costata tre milioni di dollari) blindate ed equipaggiate con vetri speciali in grado di resistere al lancio di sassi e bottiglie incendiarie. Alex Kroskin, ingegnere capo della CityPass, si dice «sconcertato» da tanta ostilità. «Vogliamo solo dotare la città di un sistema di trasporti moderno e al passo con i tempi - afferma - anche in altre città del mondo le costruzioni delle linee tramviarie sono state contestate all'inizio ma poi gli abitanti si sono resi conto delle loro grande utilità». Gerusalemme però non è una città come tante altre. Il suo status è sempre vincolato alla risoluzione 181 del Consiglio di sicurezza dell'Onu che non legittima la sovranità israeliana e viene rispettata ancora con rarissime eccezioni e qualche ambiguità da tutti i paesi, inclusi gli Stati Uniti. Le autorità israeliane invece continuano a decidere da sole quando si tratta di Gerusalemme, incuranti delle leggi internazionali e, soprattutto, delle aspirazioni palestinesi sotto occupazione. Indifferenti verso la delicata situazione di Gerusalemme si sono mostrate anche le imprese francesi Alstom e Connex (filiale di Veolia) che compongono il consorzio Citypass insieme alle israeliane Ashtrom e Polar Investment e alle banche Hapaolim e Leumi. Il presidente dell'Anp protestò con la Francia nel 2005 e poco dopo l'associazione Francia-Palestina, cominciò la sua campagna contro contro il tram, alla quale l'ex ministro degli esteri Philippe Douste-Blazy rispose imbarazzato che la partecipazione di imprese private francesi al progetto «non deve in alcun modo essere interpretato come segno di un cambiamento della linea della Francia su Gerusalemme» che come il resto dell'Unione europea «ha una posizione chiara e costante sul carattere illegale delle attività di colonizzazione nei Territori occupati da Israele nel 1967». Una precisazione che non convinse Nasser Al-Kidwa, a quel tempo ministro degli esteri dell'Anp, che l'anno successivo scrisse una lettera al direttore-generale della francese Alstom Patrick Kron per ricordargli che la sua società non è solo una impresa commerciale e deve tenere conto dei piani di Israele per rendere irreversibile l'occupazione della zona Est della città. D'altronde non ci vuole molto a capire che tenendo presente il costo del biglietto del tram, che si prevede intorno ad un euro e mezzo - proibitivo per gran parte dei palestinesi che usano la loro rete di minibus a basso costo - a salire sul tram nella Gerusalemme araba saranno soprattutto i coloni israeliani e che le linee sono destinate a servire principalmente gli insediamenti ebraici. Non è da escludere inoltre che, di fronte al lancio di sassi contro il tram da parte dei palestinesi, le fermate dei quartieri arabi di Shufat e Beit Hanin vengano eliminate. Non è un caso che ad appoggiare il completamento delle linee siano gli israeliani più nazionalisti, desiderosi di «riunificare» in modo definitivo le due zone di Gerusalemme e che scorgono nel progetto del tram la realizzazione del sogno del padre del Sionismo Theodor Herzl, che in un suo libro del 1902 aveva parlato di una Gerusalemme «con quartieri moderni serviti da treni elettrici».

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!