martedì 14 aprile 2009

Kurdistan. Operazione contro DTP, numerosi arresti

È scattata questa mattina all'alba una massiccia operazione contro i militanti curdi del Pkk, che ha visto finire in manette oltre 50 persone nell'est del Paese a maggioranza curda, soprattutto a Diyarbakir. Le operazioni sono state coordinate dalla Procura di Diyarbakir. Fra i fermati ci sono anche alcuni dirigenti del Dtp, il Partito curdo per la società democratica che di recente si è imposto alle elezioni locali proprio in questa parte del Paese e che viene sesso accusato di avere contatti diretti con il Pkk. I nomi più eccellenti dell'operazione di questa mattina sono: Kamuran Yuksek, Bayram Altun e Selma Irmak, tutti e tre con la qualifica di vice-segretario del Partito. Fra i fermati anche Seracettin Irmak, uno degli avvocati di Abdullah Ocalan, fondatore del Pkk e attualmente detenuto nel carcere sull'isola di Imrali. In questo momento il Dtp è sotto processo da parte della Corte Costituzionale che deve decidere se accogliere le accuse della procura di Ankara e farlo chiudere per attività volte a distruggere l'unità nazionale.

37 dirigenti del DTP ed altri membri sono stati posti sotto custodia nell’ambito di un filone dell’inchiesta Ergenekon, operazioni in simultanea a Diyarbakir, Ankara, Batman e Mardin. Il Deputato del DTP di Diyarbakir Selahattin Deminrtas ha condannato l’operazione e l’ha valutata come una scusa per intimidire la popolazione della regione dopo la vittoria del DTP alle amministrative.
Sono almeno 70 le persone poste sotto custodia nell’ambito dell’operazione contro il DTP ordinata dal Capo Procuratore della Repubblica di Diyarbakir. Operazione simultanee di polizia si sono tenute in 13 province e 90 indirizzi. Fra gli arrestati ci sono i vice presidenti del DTP: Bayram Altun, Kamuran Yuksel, Derik Mayoral, la candidata alle ultime elezioni amministrative Selma Irmak e l’esponente del Comitato esecutivo centrale del DTP Mazlum Tekdal.
Emine Ayna co-segretaria del DTP ha reagito contro le operazioni e detto: nessuno puó prendersi la responsabilità di queste operazioni che richiedono una seria valutazione circa le conseguenze che possono provocare. Le operazioni in corso possono portare a niente, ma spingono il popolo a fare uso di metodi anti-democratici.

La sconfitta delle camicie rosse

Dopo due giorni da guerra civile, a Bangkok i sostenitori di Thaksin smobilitano

Nelle strade semivuote di Bangkok ci sono ancora carcasse di bus carbonizzati, alberi spezzati per farci le barricate, pietre lanciate dai manifestanti contro i soldati. Ma le "camicie rosse", i sostenitori dell’ex premier Thaksin Shinawatra, hanno smesso di combattere per manifesta inferiorità numerica. Questa mattina, al termine di 48 ore da guerra civile nella capitale thailandese, i loro leader hanno esortato le poche migliaia di attivisti rimasti a disperdersi, abbandonando l’accampamento intorno alla sede del governo presidiato dal 26 marzo. Oltre alle casse d’acqua e ai sacchi di rifiuti già marci sotto il cocente sole d’aprile, rimangono due morti e oltre 120 feriti, nonché divisioni ancora più marcate tra la popolazione.
La situazione è degenerata sabato mattina, quando le proteste dei manifestanti a Pattaya hanno costretto il premier Abhisit Vejjajiva a cancellare il vertice di 16 Paesi asiatici previsto nella località turistica per il fine settimana. Uno smacco per Abhisit, che in cinque mesi di governo - nato grazie a un ribaltone parlamentare - aveva coltivato un’immagine da leader pacato e disposto a venire incontro alle richieste dell’opposizione. Così, domenica il primo ministro ha perso la pazienza: stato di emergenza a Bangkok e in cinque province limitrofe, soldati nelle strade della capitale. I "rossi" l’hanno presa come una dichiarazione di guerra: incitati dal loro idolo Thaksin, che dall’esilio li esortava a combattere, si sono sparpagliati per la capitale bloccando strade, attaccando il convoglio di Abhisit, in sostanza abbandonando l’atteggiamento pacifico tenuto finora.
La battaglia più intensa si è verificata all’alba di lunedì presso un incrocio stradale occupato dai "rossi", armati di bombe molotov e bastoni: le truppe hanno sparato lacrimogeni e proiettili veri in aria, e gli scontri hanno causato 70 feriti. Gruppi di dimostranti, ormai decisi a seminare il caos, hanno continuato a erigere barricate dando alle fiamme bus e pneumatici, in due casi difendendosi dietro autocisterne di gas liquido. I militari hanno progressivamente liberato le strade, costringendo i manifestanti a ritirarsi nel loro bivacco intorno all’ufficio di Abhisit. Ma proprio lì, nelle aree popolari abitate da persone che non si identificano né con loro né con i "gialli" monarchici, le "camicie rosse" hanno trovato un nemico che non si aspettavano: i residenti del posto, esasperati dalla violenza vicino alle loro abitazioni. E’ qui, in scontri tra civili, che sono morte due persone.
Circondati da sempre più soldati, calati di numero perché molti di loro hanno preferito festeggiare l’anno nuovo thailandese in famiglia, incolpati ormai da tutti i media thailandesi (che accusano di parzialità), forse sorpresi dalla fermezza dimostranta da Abhisit, e probabilmente orfani di molti simpatizzanti che non condividevano la virata violenta del movimento, i sostenitori di Thaksin hanno quindi detto basta. "Per evitare vittime", hanno detto i loro capi. Fino a ieri promettevano di resistere con la forza dei numeri alle armi dei soldati; ora, mentre gli abitanti della zona applaudono i militari che muoiono di caldo nelle loro divise, stanno già smontando il bivacco all’esterno della sede del governo.
All’esterno, appunto, simbolo del fallimento della protesta. Lo scorso autunno, per tre mesi e mezzo i "gialli" avevano creato una loro cittadella anche nel cortile di complesso, dove i "rossi" non sono mai riusciti a penetrare. Che siano stati merito loro, o del blocco giudiziario-militare che si sospetta li appoggiasse dietro le quinte, il risultato non cambia. La protesta gialla è riuscita a far cadere il governo nemico, quella rossa no. E ora, dopo aver adottato tattiche anche più violente dei tanto odiati rivali, sembra aver perso quell’immagine di simpatica genuinità che aveva guadagnato con mesi di manifestazioni pacifiche.
scritto per PeaceReporter da Alessandro Ursic

Vedi anche:Rossi o gialli, pari sono

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!