Pochi classificherebbero Hebun Akkaya, diciassettenne dalla acuta voce nasale e dalle maniere educate, come sostenitore di una organizzazione terroristica. Ma il tribunale di Diyarbakir lo ha fatto. Capo d'accusa: l'aver protestato per le condizioni carcerarie di Abdullah Ocalan, capo del Partito dei Lavoratori Curdi (Pkk) attualmente in prigione.
Secondo la legge antiterrorismo del 2006, il manifestare a favore del Partito dei Lavoratori Curdi (Pkk), costituisce reato. Ma il tribunale di Diyarbakir lo ha fatto. Capo d'accusa: l'aver protestato per le condizioni carcerarie di Abdullah Ocalan, capo del Partito dei Lavoratori Curdi (Pkk) attualmente in prigione. Giudicata organizzazione terroristica dall'Unione Europea e degli Stati Uniti, il Pkk gode di un largo consenso tra la popolazione a maggioranza curda delle provincie del sud-est della Turchia."Non avrei mai pensato di finire in prigione per aver tirato una pietra", ha detto Hebun, che ha trascorso dieci mesi in carcere prima che iniziasse il suo processo. "Divento furioso quando penso che per il lancio di una pietra sono stati chiesti 28 anni. E' ingiusto". Attualmente rilasciato su cauzione ed in attesa di giudizio, il giovane rischia una pena ridotta di sette anni.Hebun è solo uno dei centinaia di minori, alcuni addirittura tredicenni, recentemente arrestati e imprigionati per effetto della nuova e rigida legge antiterrorismo; la quale consente di processare i minori al pari degli adulti e addirittura di condannarli "per crimini commessi in nome di un'organizzazione terroristica", per il solo fatto di aver partecipato ad una manifestazione. Critici e difensori del diritto sostengono che questa legge è profondamente ingiusta e vìola le convenzioni internazionali per la detenzione dei bambini."C'è una sproporzione tra il crimine e la pena", sostiene Emma Sinclair-Webb, ricercatrice turca presso Human Rights Watch (organizzazione per la difesa dei diritti umani con sede a New York). "Considerare ciò che questi bambini hanno commesso, come ad esempio il lancio di pietre o i danni a proprietà privata, al pari di un atto terroristico è molto grave. Questi bambini sono soggetti ad un sistema giudiziario che non li considera tali", aggiunge la Sinclair-Webb.Più di 1500 minori perseguiti per effetto delle leggi antiterrorismo. Come parte degli sforzi di avvicinamento all'Unione Europea, la Turchia ha modificato il suo codice penale per renderlo più simile a quello europeo e compatibile con il diritto internazionale. Ma gli osservatori indicano che nel 2006 il paese ha fatto un passo indietro a causa di un emendamento alla legge antiterrorismo, che ha reso possibile, in caso di crimini di tale natura, perseguire minori di età compresa tra i 15 e i 18 anni al pari degli adulti.In quello stesso anno, la Suprema Corte di Appello ha decretato che i bambini che prendono parte a manifestazioni di sostegno al Pkk possono essere accusati di agire in nome dell'organizzazione stessa.Secondo gli ufficiali turchi, 1572 minori sono stati perseguiti per effetto della nuova legge antiterrorismo e 174 di loro sono stati condannati tra il 2006 e il 2007. Altre centinaia di inchieste a carico di minori sono stati aperte da allora."La decisione della corte ha ripercussioni molto gravi in termini di legalità e libertà individuali", ha dichiarato Tahir Elci, un avvocato di Diyarbakir chiamato a difendere alcuni bambini attualmente in prigione. "Secondo la decisione dell'alta corte, gli inquirenti non necessitano di prove per affermare che qualcuno abbia commesso reato in nome del Pkk. La sola partecipazione ad una manifestazione di piazza costituisce prova sufficiente"."Possiamo ammettere che questi bambini abbiano lanciato delle pietre, ma non lo hanno fatto in nome del Pkk," - aggiunge - "sono bambini".La legge turca è in contrasto con il diritto europeo ed internazionale. La convenzione delle Nazioni Unite del 1989 sui diritti del bambino tratta nel dettaglio la questione dell'arresto e della detenzione di minori. Secondo quanto sancito dalla convenzione, che anche la Turchia ha sottoscritto, "l'arresto, la detenzione o l'imprigionamento di un bambino dovrà avvenire in conformità alla legge e dovrà essere impiegata solamente come misura estrema e per una durata di tempo limitata". Un ufficiale dell'Unione Europea presso Ankara afferma che l'arresto e la detenzione di minori desta "preoccupazione". Lo stesso ufficiale, rimasto anonimo per la delicatezza della materia trattata, ha aggiunto: "Non sono trattati come ragazzi e questo costituisce violazione delle convenzioni internazionali. Sono trattati alla stregua di terroristi e non sanno nemmeno per quale reato". Bruxelles aveva già in passato espresso preoccupazione per quelle che vengono considerate deficienze del sistema giudiziario turco in materia di minori. Lo scorso autunno un rapporto sui progressi della Turchia come potenziale membro dell'Unione ha sancito quanto segue: "Nonostante alcuni progressi del sistema di giustizia dei minori, il numero di tribunali minorili è ancora inadeguato, c'è carenza di assistenti sociali e il loro carico di lavoro è eccessivo". Per esempio ad Adana si è dovuto procedere al giudizio dei minori all'interno del tribunale ordinario per mancanza di quello minorile.Parla un giovane incarcerato: la prigione è stata un'autentica 'rivelazione' delle idee del Pkk. Gli inquirenti hanno difeso le pesanti sentenze emesse contro i bambini arrestati durante le proteste, affermando che queste costituiscono una risposta al tentativo del Pkk di mobilitare la gioventù curda contro lo stato. Ma Sinclair-Webb, di Human Rights Watch, sostiene che mandare i bambini in prigione potrebbe avere conseguenze molto gravi, anche sul piano della sicurezza nazionale. "Costituisce un processo di irrigidimento per i bambini ed è inoltre psicologicamente molto dannoso" continua Sinclair-Webb. "Se finisci dentro da bambino a causa di uno sconsiderato lancio di pietre, potresti uscirne da militante pienamente indottrinato". "Se si cerca di conquistare i cuori e le menti e far si che la gente non si unisca al Pkk, non è questo il modo di farlo", aggiunge. Un giovane, dopo tredici mesi di carcere per aver partecipato ad una manifestazione ed ora fuori sotto cauzione e in attesa di giudizio, dice di essere stato "cambiato" dalla sua esperienza in prigione. "Ora sono più consapevole", afferma il ragazzo sedicenne che ha chiesto di rimanere anonimo in attesa del processo, e che rischia una condanna a sette anni di detenzione. "Le cose che ho appreso in prigione su me stesso, sui Curdi, sul Pkk sono state come una rivelazione".
di Yigal Schleife, corrispondente del Christian Science Monitor dalla Turchia
traduzione a cura di Simone Luperti
mercoledì 3 giugno 2009
Oggi Obama in Medio Oriente, mentre non si ferma l’agonia della Striscia
di Michele Giorgio
A Karem Shalom pochi e spesso inutili aiuti entrano a singhiozzo per le procedure imposte da Israele. Il presidente Usa a Riyhad.
“Obama domani (oggi) arriva in Medio Oriente, Mi piacerebbe fargli vedere le condizioni in cui siamo costretti a ricevere le merci destinate alla nostra gente. In una prigione si vive meglio che a Gaza, vi assicuro”. Abu Jafar scuote la testa mentre ci spiega il suo lavoro al valico di Darem Shalom, il punto dove si incontrano i territori di Israele, Egitto e Striscia di Gaza e, to l’unico transito per i rifornimenti: il minimo indispensabile approvato da Israele, per 1,54 milioni di palestinesi. Abu Jafar è un impiegato della Shabeir Company, l’unica impresa di Gaza autorizzata dagli israeliani ad avvicinarsi a Karem Shalom e a recuperare e trasportare le merci. Nessun altro può farlo e i proprietari della Shabeir non parlano con i giornalisti, temendo domande imbarazzanti. L’impiegato invece ha voglia di raccontare quanto avviene al valico a Kerem Shalom, piccolo e poco attrezzato per il passaggio degli autocarri. “I camionisti israeliani – riferisce – scaricano le merci imballate in un’area aperta e vanno via. Poco dopo arrivano i nostri autisti che, con l’aiuto di decine di operai, caricano tutto sugli automezzi e li portano a Gaza city, Rafah e Khan Yunis e nel nord”.
Le operazioni possono andare avanti, aggiunge Abu Jafar, solo se in giro non si vedono impiegati dei ministeri di Hamas e poliziotti. Israele mantiene rapporti solo con l’Anp di Abu Mazen e le procedure a Kerem Shalom vengono gestite da Ramallah (Cisgiordania). Ad avere il controllo del valico in ogni caso è sempre e solo Israele, sottolineano nell’ufficio di Ocha, l’agenzia che coordina le attività umanitarie. Se le operazioni non vanno per il perso giusto, allora le merci rimangono dove le hanno lasciate gli autotrasportatori israeliani, spesso per ore, sotto il sole cocente. I prodotti in molti casi non sono quelli più necessari e richiesti dalla popolazione. Di recente l’elettronica entra in abbondanza a Gaza, al contrario di generi alimentari che mancano da mesi. I cibi essenziali e le medicine invece li portano a Gaza le agenzie delle Nazioni Unite.
Del cemento per la ricostruzione non c’è neanche l’ombra. Israele lo ha vietato assieme a molti altri prodotti e quel poco che passa per i tunnel sotterranei tra Rafah e l’Egitto non copre neanche il 2-3% della domanda. Le cose invece “vanno bene” secondo il Cogat, che coordina le attività governative istaeliane nei Territori occupati, che parla di situazione sotto controllo e soddisfacente a Gaza, nonostante l’embargo abbia bloccato il 90% delle fabbriche della Striscia. Per Kerem Shalom passano quotidianamente tra gli 80 e i 110 autocarri con le merci per Gaza (in passato erano quasi 500) e a bordo hanno soprattutto aiuti umanitari gestiti dall’Onu destinati alla popolazione più povera. Tutto il resto è considerato da Israele non necessario. Nel Frattempo molti si chiedono dove siano finiti gli oltre quattro miliardi di dollari messi a disposizione dai paesi donatori al vertice tenuto tre mesi fa a Sharm el Sheikh.
Hamas viene boicottato ma, quanto pare, la comunità internazionale di fatto isola anche l’Anp di Abu Mazen che ha ricevuto solo una frazione dei fondi promessi dagli sponsor occidentali ed arabi. I donatori hanno versato appena 328 milioni di dollari per pagare regolarmente lo stipendio ai suoi dipendenti (alcune decine di migliaia). L’8 giugno i rappresentanti dei paesi donatori si incontreranno per fare il punto della situazione ma, senza interventi immediati, l’Anp potrebbe essere costretta a dichiarare la bancarotta.
A Karem Shalom pochi e spesso inutili aiuti entrano a singhiozzo per le procedure imposte da Israele. Il presidente Usa a Riyhad.
“Obama domani (oggi) arriva in Medio Oriente, Mi piacerebbe fargli vedere le condizioni in cui siamo costretti a ricevere le merci destinate alla nostra gente. In una prigione si vive meglio che a Gaza, vi assicuro”. Abu Jafar scuote la testa mentre ci spiega il suo lavoro al valico di Darem Shalom, il punto dove si incontrano i territori di Israele, Egitto e Striscia di Gaza e, to l’unico transito per i rifornimenti: il minimo indispensabile approvato da Israele, per 1,54 milioni di palestinesi. Abu Jafar è un impiegato della Shabeir Company, l’unica impresa di Gaza autorizzata dagli israeliani ad avvicinarsi a Karem Shalom e a recuperare e trasportare le merci. Nessun altro può farlo e i proprietari della Shabeir non parlano con i giornalisti, temendo domande imbarazzanti. L’impiegato invece ha voglia di raccontare quanto avviene al valico a Kerem Shalom, piccolo e poco attrezzato per il passaggio degli autocarri. “I camionisti israeliani – riferisce – scaricano le merci imballate in un’area aperta e vanno via. Poco dopo arrivano i nostri autisti che, con l’aiuto di decine di operai, caricano tutto sugli automezzi e li portano a Gaza city, Rafah e Khan Yunis e nel nord”.
Le operazioni possono andare avanti, aggiunge Abu Jafar, solo se in giro non si vedono impiegati dei ministeri di Hamas e poliziotti. Israele mantiene rapporti solo con l’Anp di Abu Mazen e le procedure a Kerem Shalom vengono gestite da Ramallah (Cisgiordania). Ad avere il controllo del valico in ogni caso è sempre e solo Israele, sottolineano nell’ufficio di Ocha, l’agenzia che coordina le attività umanitarie. Se le operazioni non vanno per il perso giusto, allora le merci rimangono dove le hanno lasciate gli autotrasportatori israeliani, spesso per ore, sotto il sole cocente. I prodotti in molti casi non sono quelli più necessari e richiesti dalla popolazione. Di recente l’elettronica entra in abbondanza a Gaza, al contrario di generi alimentari che mancano da mesi. I cibi essenziali e le medicine invece li portano a Gaza le agenzie delle Nazioni Unite.
Del cemento per la ricostruzione non c’è neanche l’ombra. Israele lo ha vietato assieme a molti altri prodotti e quel poco che passa per i tunnel sotterranei tra Rafah e l’Egitto non copre neanche il 2-3% della domanda. Le cose invece “vanno bene” secondo il Cogat, che coordina le attività governative istaeliane nei Territori occupati, che parla di situazione sotto controllo e soddisfacente a Gaza, nonostante l’embargo abbia bloccato il 90% delle fabbriche della Striscia. Per Kerem Shalom passano quotidianamente tra gli 80 e i 110 autocarri con le merci per Gaza (in passato erano quasi 500) e a bordo hanno soprattutto aiuti umanitari gestiti dall’Onu destinati alla popolazione più povera. Tutto il resto è considerato da Israele non necessario. Nel Frattempo molti si chiedono dove siano finiti gli oltre quattro miliardi di dollari messi a disposizione dai paesi donatori al vertice tenuto tre mesi fa a Sharm el Sheikh.
Hamas viene boicottato ma, quanto pare, la comunità internazionale di fatto isola anche l’Anp di Abu Mazen che ha ricevuto solo una frazione dei fondi promessi dagli sponsor occidentali ed arabi. I donatori hanno versato appena 328 milioni di dollari per pagare regolarmente lo stipendio ai suoi dipendenti (alcune decine di migliaia). L’8 giugno i rappresentanti dei paesi donatori si incontreranno per fare il punto della situazione ma, senza interventi immediati, l’Anp potrebbe essere costretta a dichiarare la bancarotta.
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ALLERTA ROSSA E CHIUSURA CARACOLES
BOICOTTA TURCHIA
Viva EZLN
Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.
La lucha sigue!