domenica 18 ottobre 2009

Tre gruppi per la pace

Presidenza del Consiglio Direttivo del KCK
Koma Civakên Kurdistan
Peoples` Confederation of Kurdistan


All'opinione pubblica
"Nell’incontro del 9 ottobre 2009 il Presidente Abdullah Ocalan ha sottolineato che nella soluzione della questione Kurda si assiste ad un momento di blocco sia per quanto che riguarda i metodi militari che per quelli politici. Per superare il blocco che esiste nella sfera politica e per aprire le vie della soluzione democratica della questione kurda, il Presidente Ocalan ha fatto un appello al nostro movimento di riutilizzare lo strumento dei gruppi di pace. Questo appello che ieri è stato diffuso dalla stampa è stato accolto dal nostro movimento. Nello stesso momento diverse proposte ed idee che sono state presentate dai nostri amici saranno realizzate. Abbiamo quindi deciso di mandare tre diversi gruppi di pace in Turchia."
"Uno da Qandil, uno dal campo di Mahmura ed uno dall’Europa. Lo scopo di questi gruppi di pace è di fare un passo avanti nella democratizzazione e pacificazione della Turchia, di ammorbidire la durezza che c’è e creare una atmosfera adatta alla costruzione di un clima di pace. Questo appello, che il nostro Presidente ha fatto, nello stesso momento è rivolto anche allo Stato turco. Noi, per quello che ci compete faremo di tutto per soddisfare la richiesta dell’appello. La nostra sincerità nella soluzione democratica e pacifica è totale e metteremo ancora una volta in campo la nostra insistenza e decisione.

Questo nostro atteggiamento è causato dal senso di responsabilità nei confronti dei nostri popoli e di un senso responsabilità verso una libera convivenza. Noi speriamo che questi passi possano contribuire a creare degli sviluppi positivi. Dopo tanto tempo, per l’ennesima volta il Presidente Ocalan è stato nuovamente obbligato all’isolamento, le operazioni militari stanno continuando, i politici kurdi ancora vengono arrestati e continuamente calunniati con accuse infamanti, le forze interne ed esterne che non hanno interesse affinché una soluzione democratica venga trovata, lo trovano, invece, nello scontro e stanno facendo delle provocazioni. Come si è visto a Çaldıran ancora continuano le uccisioni ignote.

Nello stesso tempo, come nel caso di Ceylan Onkol, ci sono assassinii che rimangono impuniti, sui quali si mantiene un atteggiamento molto irresponsabile da parte della Procura della Repubblica che si rifiuta di indagare sul caso“Non è morta per un colpo di mortaio, non abbiamo responsabilità”. In un ambiente così, la nostra decisione di mandare gruppi di pace deve essere valutata in modo giusto. Noi con questo atteggiamento cerchiamo di superare la mentalità di coloro che vogliono bloccare e stanno bloccando il percorso di pace. Stiamo dalla parte delle popolazioni che veramente vogliono una soluzione democratica. Il nostro movimento il 13 aprile ha preso la decisione di dichiarare un unilaterale periodo di “non azione” al quale il governo della Repubblica turca ha dato diversi nomi. In questo momento questo percorso sembra soffocato.

Nonostante tutte le dichiarazioni dei dirigenti dell’AKP la strada verso una risoluzione si sta restringendo, rischiando di causare gravi danni e pericoli. Comportamenti non responsabili hanno portato il percorso di pace ad essere sabotato, gli stessi comportamento che gradualmente lo stanno mettendo in pericolo. Con questa azione il nostro vero obbiettivo è di fermare nuovi scontri che possono creare altre perdite di vite umane. Tutte le parti che vogliono la pace e la democrazia devono contribuire per poter superare queste momento che sta lentamente soffocando il percorso verso la pace. Dentro il paese come all’estero, l’opinione democratica e pacifica, come chi vuole stabilità devono contribuire a questo percorso e prendere la responsabilità che gli compete.

Chiediamo all’opinione pubblica kurda di capire bene il senso di questa iniziativa, parteciparvi ed accogliere i gruppi di pace come ambasciatori di pace per dimostrare la volontà del popolo al percorso della soluzione democratica. A tutto il popolo del Kurdistan diciamo che non è questo il momento di ammorbidirci, siamo di fronte al bivio di un percorso molto critico. Senza mettere in discussione la sua autodifesa, con manifestazioni popolari forti, deve dimostrare la sua contrarietà alla guerra e a chi vuole la guerra, alzare la voce della pace e lottare per la pace.

Chiamiamo tutte le organizzazioni democratiche in Turchia ed in Kurdistan affinché questi gruppi di pace che organizzeremo possano avere successo per aprire la strada della pace."

venerdì 16 ottobre 2009

Moltitudine messicana

Centinaia di migliaia manifestano in appoggio agli elettricisti

Il governo obbligato al dialogo potrebbe dover affrontare non solo le richieste dei sindacati

di Matteo Dean

Trecentomila o forse qualcosa di più. Questi i numeri della prova di forza realizzata ieri, 15 ottobre, dagli elettricisti del centro della Repubblica messicana. La capitale del paese, la zona di maggior intervento della liquidata compagnia parastatale Luz y Fuerza del Centro, è stata letteralmente invasa da una moltitudine di manifestanti. Certo, tra loro i 42.000 lavoratori, licenziati da un giorno all’altro per decreto presidenziale la notte di sabato scorso. E con loro le rispettive famiglie, rimaste senza uno stipendio.

Ma assieme a loro, decine di migliaia di altri manifestanti: moltissimi sindacati - stessi che da tempo non si vedevano per le strade messicane -, ma anche studenti, gente comune, organizzazioni sociali dedicate alla lotta per la sovranità alimentare, per i diritti umani, per i diritti di genere, ecc.. La protesta sociale in Messico è al limite dello scontro. La manifestazione di ieri era fondamentale non tanto per trovare una soluzione, ma per dare un segnale. Il decreto presidenziale che la notte tra sabato e domenica scorsi ha sciolto d’autorità la compagnia elettrica parastatale che forniva energia alla capitale messicana e a alcune decine di municipi circostanti - un totale di circa 30 milioni di utenti - e ha licenziato, in tronco e senza appello, 42.000 lavoratori appartenenti, tutte e tutti, al Sindacato Messicano di Elettricisti (SME), uno dei sindacati più importanti del Messico, doveva ricevere una risposta adeguata.

Il rischio, secondo alcuni analisti, era infatti quello di mostrare ulteriore debolezza, il che avrebbe dato ragione al governo. Questi infatti sostiene - nel decretare la chiusura della compagnia - che la stessa è cara, troppo cara. E la colpa, in buona parte, ricadrebbe sui lavoratori, privilegiati nel loro contratto collettivo che concederebbe loro troppi diritti. La realtà è diversa, si sa: gli elettricisti messicani godono semplicemente dei minimi diritti garantiti dalla Legge Federale del Lavoro. Il che, in un paese in cui la metà della popolazione economicamente attiva lavora nel “settore informale” sarebbe certamente un privilegio, ma la spinta al ribasso che il governo vorrebbe imporre appare come una franca esagerazione: gli elettricisti messicani, infatti, la maggior parte di loro, ricevono uno stipendio medio di 6.000 pesos, meno di 400 euro, al mese. Una miseria, anche da questa parte del mondo.

Per fortuna, dunque, il segnale c’è stato. Ed il governo in serata è stato costretto ad accogliere la richiesta giunta da più parti di stabilire un tavolo di dialogo tra le parti. Certo, un dialogo strano: il SME, infatti, richiede il ritiro del decreto e la restituzione dei posti di lavoro; dal canto suo, il governo sarebbe disposto a discutere solamente i meccanismi di reinserzione dei 42.00 nel mondo del lavoro. Nulla più. Ma la partita è cominciata e dipenderanno più dal movimento che dal governo gli esisti positivi del negoziato.

Il governo messicano, infatti, ha impostato l’operazione contro Luz y Fuerza con grande attenzione. Si dice che già due settimane prima il governo fosse pronto al gole contro gli elettricisti. Da due settimane la polizia federale e l’esercito era dislocato nei pressi delle istallazioni elettriche, pronti ad occuparle appena l’ordine fosse giunto. Si dice anche che il governo tutto avrebbe previsto, compresa la mega manifestazione di ieri e che, quindi, sarebbe ora necessario aumentare la pressione sociale perché davvero gli equilibri cambino di segno. Dall’altro canto, anche la intensa campagna mediatica contro gli elettricisti è evidentemente orchestrata dall’alto: l’idea sembra essere quella classica, ovvero contrapporre la cosiddetta “classe media” - in rapida via d’estinzione, causa crisi economica - agli operai messicani.

Allo stesso tempo, il governo comincia il dialogo partendo da due dati di fatto: il primo, l’occupazione militare delle istallazioni elettriche continua, con l’uso di oltre 5.000 tra poliziotti e militari; il secondo, il processo di privatizzazione è già cominciato, grazie alle concessioni trasmesse all’impresa d’origine spagnola WL Comunicaciones S.A. De C.V.. Dal canto suo, anche il movimento gode di alcuni vantaggi ed alza la posta in gioco. Innanzitutto, la grande solidarietà dimostrata non solo ieri durante la manifestazione, ma nel corso di tutta la settimana.

Decine di migliaia di persone si stanno mobilitando in tutto il paese. Manifestazioni di appoggio, ma anche di protesta, perché l’operazione del governo ha prodotto anche problemi alla distribuzione dell’energia elettrica. E a questo proposito, il SME denuncia che la polizia starebbe prelevando con la forza ad alcuni dei lavoratori licenziati - soprattutto tecnici specializzati ed ingegneri - perché il personale che l’ha sostituito per decreto non sarebbe capace di far operare gli strumenti di Luz y Fuerza.

Ma, per fortuna, il discorso del movimento va anche oltre alla legittima richiesta sindacale: importanti voci all’interno dello spettro politico messicano stanno chiedendo ad alta voce la rinuncia del presidente Felipe Calderon. E c’è anche chi suggerisce lo sciopero generale nazionale, il che sarebbe un precedente importante, visto che l’ultimo sciopero generale in Messico data 1936, quando il mondo, evidentemente, era un altro.

In chiave postfordista invece è giunta la proposta dello sciopero generale dei consumatori: non pagare le bollette, potrebbe essere un ulteriore strumento di protesta sociale. E, nonostante tutto, vi è anche una soluzione radicale: gestione dell’impresa parastatale in mano ai lavoratori con l’aiuto delle tre grandi università del paese, la Nazionale Autonoma (UNAM), la Autonoma Metropolitana (UAM) e il Politecnico (IPN). Dal palco, alla fine della manifestazione, la dirigenza sindacale, peccando di autoreferenzialità, annunciava il ritorno dei lavoratori-operai al centro del dibattito politico messicano. Non è vero, anche il Messico è cambiato ed il lavoro salariato, quello classico e d’origine fordista, difficilmente potrà riavere il ruolo che ebbe in passato.

Ma certamente la manifestazione di ieri ha restituito dignità ai lavoratori messicani. E a conferma di ciò, era sufficiente osservare la composizione della manifestazione: sindacalisti, certo, ma anche contadini, studenti, casalinghe. Ed assieme a loro, attiviste femministe, per la lotta per la casa, contro gli OGM e in difesa del mais, per i diritti umani, contro le alte tariffe elettriche, in difesa dell’ambiente e del territorio. Insomma, una vera e propria moltitudine.

A questo punto, resta solo da vedere se la dirigenza sindacale del SME, chiamata da oggi a dialogare con il governo, saprà mettere a valore la potente sinergia che ieri ha fatto capolino per le strade di Città del Messico. Da vedere se si saprà far convergere tante esigenze sociali, diverse e variegate, in un unico movimento moltitudinario che anticipi ciò che molti già annunciano per il prossimo anno, il 2010: la mobilitazione sociale generalizzata.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!