martedì 27 ottobre 2009

Honduras: Dobbiamo identificare le fonti di "energia" dei golpisti. Guardiamo verso la frontiera con il Guatemala.


di Ricardo Salgado

Il presidente costituzionale del Honduras, José Manuel Zelaya, si trova prigioniero nell’Ambasciata del Brasile da un mese. I golpisti mantengono un accerchiamento senza precedenti argomentando che sono pronti per arrestarlo per i suoi innumerevoli crimini e delitti. Questi stessi che l’accusano dicono che stanno dialogando con la migliore volontà per raggiungere la pace nel paese. Sono gli stessi che hanno montato una fraudolenta giornata elettorale prevista fra poco più di un mese.

Il ’dittatorino’ non è né assomiglia a un Pinochet. I Pinochet di questo golpe stanno da un’altra parte; nell’ombra, a muovere i fili del sistema. Emergono le figure di un Vice cancelliere Martha Lorena Alvarado de Casco, membro attivo dell’Opus Dei e figlia di un golpista che agiva negli anni sessanta, Andrés Alvarado Puerto. Emerge anche l’ottantennale figura di Rafael Pineda Ponce, opportunista di professione che ha cominciato i suoi percorsi negli anni settanta, ed ora è un illustre proprietario di case con un figlio aspirante a continuare la tradizione familiare, ma tutti loro sono solo i lacchè che portano avanti questa mostruosità.

Se analizziamo la fauna del regime, ci rendiamo conto che la base teorica su cui si è sostenuto questo golpe non sta nel governo di facto. La faccia visibile di questo gruppo è costituita unicamente da opportunisti, corrotti e mercenari. La stessa Marcia Facussé di Viileda non ha la capacità per portare a termine, e tanto meno mantenere questa aberrazione.

Ora dobbiamo cercare quale sia la fonte di vita per il mantenimento di questo "robusto" regime in azione ed in sperpero di risorse per reprimere il popolo e sfidare l’inutile comunità internazionale.

La risposta dobbiamo cercarla, senza dubbio, nelle frontiere del Honduras con i paesi vicini, specialmente con il Guatemala. Le transnazionali patrocinatrici del golpe, alle quali non importa quante vite debbano sacrificare per mantenere i loro privilegi, si sono sottratte dalla temuta condanna della rottura dell’ordine costituzionale, e si mantengono attive muovendo migliaia di container attraverso le nostre frontiere.

La frontiera con la Guatemala è particolarmente attiva con più di 400 container al giorno che entrano con sostentamento per il regime. Promuovono un commercio interno che genera entrate per il regime nella forma di imposte sulle vendite; imposta sul reddito ed altre entrate che mantengono l’ossigeno a livello ottimale. Guardando bene la crisi economica colpisce il popolo, ma il governo spurio mantiene il vigore, e dichiara con cinismo che ha riserve per mantenersi fino a marzo. Riserve di che? Chi gliele dà?

Dobbiamo entrare in una fase di più disciplina nella lotta e conoscere questi attori chiave della crisi. È nostro obbligo indirizzare la nostra attenzione verso una lotta più estesa che richiede di una ferma posizione da parte nostra. Una posizione che pianifichi, coordini ed esegua veramente azioni che colpiscano l’economia fascista. Non parliamo di movimento guerrigliero. Capiamo i livelli di frustrazione che causano il cinismo e l’impunità con cui agiscono i golpisti sotto agli occhi e alla tolleranza della OEA ed altri sgorbi che non sono capaci di frenare l’offensiva anti democratica imperiale. La lotta armata è una tappa alla quale non vorremmo arrivare, ma la destra ci chiude le opzioni. Tuttavia, in questo momento il coraggio deve portarci alla ricerca di livelli superiori di organizzazione.

In questo momento dobbiamo orientare i nostri sforzi a trasmettere informazione al nostro popolo; a fare consapevolezza; a ridefinire le azioni di resistenza pacifica. Deve essere evidente che non è la stessa cosa resistenza pacifica o passiva. Non è nostra intenzione passare ad essere parte del paesaggio golpista.

Dobbiamo coordinare azioni che limitino, colpiscano, ostacolino l’attività economica golpista. Gli impresari locali si sono mossi con efficienza per ottenere appoggio deciso e costante della borghesia locale, specialmente quella guatemalteca. La messa a fuoco del nostro movimento deve cercare la disciplina di quelli che lottano in resistenza.

Fino ad ora non abbiamo organizzato grandi campagne di boicottaggio all’acquisto di prodotti provenienti dalle imprese che appoggiano il golpe. Abbiamo accusato il gruppo INTUR, ma non abbiamo una campagna sistematica, coordinata, permanente contro il consumo di fast food (comida chatarra). E che facciamo con i prodotti di Miguel Facussé (tutte le Naturas per esempio), o quelli di Unilever (shampoo, alimenti e molto altro). Tutti loro pagano imposte che danno ai criminali. Questi sono solo esempi. Ci sono molti esempi di cose che vengono importate nei container menzionati.

Che cosa succede col consumo di birre, coca cola, pepsi cola ed altro? Possiamo prescindere da questi prodotti? Dare l’esempio? Perché non lavoriamo nella direzione di definire l’enorme lista di cose che mantengono il regime, e cominciamo a costruire consapevolezza sulla necessità di colpire economicamente questi usurpatori?

Dobbiamo essere molto creativi. Cercare tutte le maniere possibili per frenare il flusso di mercanzie. In azioni non armate, concrete, nelle zone di frontiera possiamo portare le transnazionali a riconsiderare le loro azioni antidemocratiche. Dobbiamo essere molto realistici, non c’è soluzione rapida per questa faccenda. Quelli che hanno promosso il golpe lo hanno fatto con il proposito di interrompere il processo di ricostituzione della patria che era incominciato. Loro non demorderanno da quell’impegno. Non rinunceranno alle posizioni che raggiunto con la forza. E non importa loro continuare a mantenere attivi tutti i metodi repressivi su cui possono contare.

La lotta sicuramente ci indicherà quello che dobbiamo fare. Per adesso è imperativo che tutti noi che scriviamo facciamo sforzi seri per ampliare il nostro ambito di influenza. Che più gente abbia accesso alle nostre opinioni; organizziamo il nostro sforzo; cerchiamo le maniere di appoggiare effettivamente il frente nacional de resistencia. Dobbiamo unificare criteri, ed orientare al nostro popolo.

C’è molto da fare e noi abbiamo la capacità di unirci con forza e decisione a questo processo liberatore.

Non ho il minimo dubbio che se organizziamo tutto questo immenso gruppo dei pensatori, il nostro impatto verso la costruzione di una patria nuova sarà molto maggiore e concreto.

Insieme siamo invincibili, abbiamo solo il bisogno di convincerci della verità di queste parole.

La disumana esistenza dei prigionieri politici palestinesi nelle carceri d'Israele.

Giorno dopo giorno, le sofferenze dei palestinesi crescono

Non sono infatti poche le famiglie che hanno uno o più membri nelle carceri degli occupanti israeliani.

Oggi, un piccolo barlume di speranza si scorge all’orizzonte, poiché è in corso una trattativa al cui centro vi è uno scambio di prigionieri. Ma intanto, il numero dei prigionieri palestinesi non cessa di aumentare. Essi non sono solo maschi: molte donne soffrono nelle carceri israeliane, senza diritti né rispetto. E gli israeliani si fanno beffe della loro dignità.

Ancora trentatré prigioniere. All’inizio di ottobre sono state liberate circa venti prigioniere palestinesi, ma ne restano in carcere ancora trentatrè, afferma il ministero dei Prigionieri. Venticinque sono della Cisgiordania, quattro di Gerusalemme, tre dei Territori occupati nel 1948 ed una della Striscia di Gaza.

Ventuno di esse sono nella prigione di al-Sharun, undici in quella di al-Damoun. La prigioniera di Gaza, Wafa, si trova in quella di ar-Ramla.

Riyad al-Ashqar, direttore dell’Ufficio informazioni del ministero, afferma in un rapporto che il numero delle prigioniere palestinesi non è mai stabile. Alcune vengono fermate per una giornata, ma altre restano in galera per molto tempo in attesa di giudizio.

Le condizioni di detenzione. Bisogna innanzitutto sapere che alcune prigioniere vengono arrestate assieme ai loro parenti: tre con i loro mariti, due con i loro fratelli. Poi, che esse si trovano in condizioni molto difficili, a causa delle quali soffrono di diverse malattie, talvolta gravi. A titolo d’esempio, Fayza Jum‘a soffre di un tumore al collo dell’utero, ma non riceve le cure necessarie. Idem per Wafa Samir, che soffre di ulcera.
Già da questo s’intuisce che gli israeliani fanno di tutto per far patire le prigioniere palestinesi. Le celle sono mal aerate; l’umidità, i topi e gli insetti sono la regola.

Esse soffrono molto della mancanza di cure mediche, di consultori, di analisi, di radiografie, di visite specialistiche, soprattutto ginecologiche. Infezioni d’ogni tipo, spesso di origine sconosciuta, logorano le detenute esponendole a vari pericoli.

Il Rapporto sottolinea infine che le detenute sono anche oggetto di ispezioni umilianti, quali le visite a sorpresa durante la notte o le ispezioni corporali che comportano il loro denudamento di fronte ai carcerieri.

tratto da Infopal

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!