martedì 27 ottobre 2009

La paura delle masse

Decentramento produttivo, conflitto sociale e lotte ambientali nel sud della Cina


Il diario di bordo di Paolo Do - Hong Kong (Cina)

La città di Guangzhou nel sud della Cina non é solo famosa per il suo cielo color rame dovuto all’inquinamento, ma è anche il centro più importante della regione del Guandong. Una regione che quest`anno ha visto per la prima volta grandi industrie cinesi delocalizzare la produzione nel vicino Vietnam, complice la crisi e la fine degli incentivi fiscali che hanno trasformato in questi anni il Delta del Pearl River nella vera fabbrica del mondo.

Ma il Guandong é anche una regione che ha vissuto, come molte altre in Cina, numerose proteste tanto dei lavoratori migranti dentro le fabbriche così come quelle di interi villaggi organizzati contro espropriazioni, inquinamento e discriminazioni. Vere e proprie proteste ‘di massa’. Questo tipo di proteste dilaganti in tutta la Cina nei suoi ultimi anni di sviluppo economico, hanno di fatto modificato la stessa ideologia e retorica comunista.

Se fino a poco tempo fa il termine ‘massa’ indicava per Beijin l’ideologia della modernità, sviluppo socialista e vera società comunista, nel 60esimo anniversario della repubblica popolare cinese sempre più il significato di questo aggettivo, “di massa”, sta assumendo una connotazione negativa. Nei recenti anni questo nome in Cina è stato (malgrado il volere del partito) di fatto sempre più associato a conflitti e proteste di larga scala, incidenti e rivolte (davvero) di massa.

Da eroe a stupido ignorante. Laddove il termine ‘massa’ viene associato con la parola conflitto sociale, nella opinione pubblica grazie ai media ufficiali esso ha acquisito una connotazione negativa. Mentre per Mao Zedong era proprio la massa il vero eroe della rivoluzione, oggi nella nuova sintassi dei media espressione della retorica comunista cinese l’aggettivo ‘di massa’ viene esplicitamente usato per demonizzare e screditare le lotte, per sottolineare l`ignoranza e meschinità di chi si rivolta, per invocare pericolo e giustificare la repressione.

Perù - Attacco agli indios

Il pretesto è il massacro di Bagua, ma dietro ci sono gli interessi di governo e multinazionali di gas e petrolio, contro i quali gli indigeni amazzonici si sono scatenati in defesa della madre terra

di Stella Spinelli - PeaceReporter

Il Ministro della Giustizia vuole sterminare l’Associazione interetnica per lo sviluppo della Selva peruviana (Aidesep), la principale associazione indigena dell’Amazzonia peruviana. Lo affermano gli stessi attivisti dell’Aidesep, che denunciano l’intenzione governativa durante una riunione urgente di fronte a tutte le altre organizzazione in difesa dei diritti indios del paese.

In un comunicato, l’Aidesep fa sapere che è venuta a conoscenza dell’azione ministeriale "per sciogliere l’organizzazione" attraverso una notifica dal fiscal provinciale, che non specifica le ragioni. Fonti della Procuraduría del dicastero della Giustizia hanno spiegato che il provvedimento risale all’11 giugno scorso, con la motivazione che l’Aidesep avrebbe attentato all’ordine pubblico e al buon costume. Ma cos’è che ha scatenato le ire del ministro Aurelio Pastor contro questa federazione di 65 organizzazioni, nata nel 1980 e ora rappresentativa di 1350 comunità indigene?

Tutto è iniziato nella primavera di quest’anno, quando il braccio di ferro governo-indigeni è arrivato all’estremo, fino a spingere il presidente di Aidesep, Alberto Pizando, a dichiarare "l’insurrezione anti-governativa amazzonica". Da quel momento, le popolazioni native decisero di appellarsi alle loro leggi ancestrali disconoscendo l’ordinamento giuridico nazionale vigente e bloccando l’ingresso di qualsiasi forza esterna nel loro territorio. Il tutto in segno di protesta contro la nuova Legge forestale sulla fauna silvestre e contro la Legge sulle risorse idriche, entrambe deleterie per gli indiani e per la salvaguardia dell’ambiente, in particolare per la selvaggia estrazione del petrolio e del gas da parte delle multinazionali, le sanguisughe della pachamama. Una linea dura, quella scelta dagli indigeni, davanti alla quale però il governo di Alan Garcia non chinò la testa. Anzi. Il 5 giugno a Bagua, la tregedia. Durante uno dei blocchi stradali e fluviali organizzati dall’Adesep nel cuore dell’Amazzonia, la polizia represse con violenza. Risultato: 45 morti e 93 feriti. Un massacro.

Che non è servito a far prendere al governo una posizione ragionevole. Anzi, il ministro della Giustizia non tardò a scaricare la responsabilità del bagno di sangue sugli indigeni, che si precipitarono a rispedire le accuse al mittente. Fu così che Pastor ha iniziato una vera e propria caccia al leader indigeno. Prima contro Pizango, che è stato costretto a espatriare rifugiandosi in Nicaragua, nonostante il mandato di cattura internazionale che sta pendendo sulla sua testa e su quella di altri quattro attivisti del direttivo di Aidesep. Una persecuzione che sta martoriando tutti i capi della federazione. Sono 89 le persone coinvolte in processi per quanto accadde a Bagua, dove per reazione gli indigeni tennero sequestrati degli agenti di polizia. E tutto questo nonostante la Aidesep partecipi a quattro tavole di lavoro con funzionari governativi e rappresentanti della società civile proprio per stabilire un nuovo giro di discussioni con le comunità indios riguardo a Bagua.

A commentare a PeaceReporter quanto sta accadendo è Mauro Morbello, responsabile di Terre des Hommes-Italia in Perù. "Il malessere delle popolazioni indigene del Perù, non solo di quelle della selva amazzonica, ma anche dell’altopiano andino, non è nuovo ed è motivato da uno storico abbandono in cui i vari governi peruviani hanno lasciato queste popolazioni da secoli. Questo malessere si è però trasformato in rabbia e la rabbia, alla fine in violenza anche cieca e incontenibile, con la rivolta organizzata dalla Asociación Interétnica de Desarrollo de la Selva Peruana (Aidesep) lo scorso mese di giugno contro il pacchetto di leggi chiamate "Ley de la selva", fortemente volute dal governo peruviano del presidente Garcia per dare applicazione al Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti (TLC). Con queste norme, emanate senza consultare opportunamente le popolazioni interessate, il governo ha fatto un grosso favore agli investitori privati, in realtà soprattutto multinazionali straniere, che possono ora acquistare enormi appezzamenti di terreni nelle zone della foresta amazzonica dove da sempre vivono comunità indigene. Si tratta di aree ricche di materie prime, dal leganame al petrolio, a tantissimi altri prodotti minerari. Grazie a questo pacchetto di norme, ora l`investitore può comprare, cioè ottenere la proprietà delle terre e non più, come prima, solo una concessione temporanea con l`autorizzazione delle associazioni indigene della località. Ancora: l`acquirente può ora effettuare l`acquisto non più dovendo ottenere il consenso dei 2/3 della popolazione residente, ma solo con il voto del 50 percento più uno dei partecipanti all`incontro destinato alla presa della decisione di vendita delle terre. Oltre alla riduzione del quorum, già di per sè lesiva degli interessi collettivi delle popolazioni indigene, questo meccanismo si presta evidentemente ad abusi, non potendosi escludere ad esempio che siano convocati all`incontro solo gruppi accondiscendenti con gli interessi degli investitori interessati all`acquisto. Il pacchetto prevede infine un aumento delle dimensioni delle terre prima previste solo in concessione ed ora acquistabili, portato da 10.000 a 40.000 ettari".

Quindi Bagua: "Dopo di fatti di Bagua - aggiunge Morbello - il governo ha cercato in tutti i modi prima di screditare le organizzazioni indigene effettivamente rappresentative degli interessi più profondi delle popolazioni locali, in primo luogo Aidesep, promuovendo una campagna pubblicitaria terribile, sui giornali e in televisione, mostrando poliziotti morti e tumefatti dalle torture degli indigeni che li avevano fatti prigionieri negli scontri di Bagua. A causa del rifiuto dell`opinione pubblica e delle reazioni internazionali a una campagna di così basso stampo, è cambiata la strategia. Da un lato hanno accusato i leaders di AIDESEP e in primo luogo Pizango di insurrezione e quindi di attentare contro la sicurezza dello Stato, dall`altro hanno cercato di trovare accordi con i gruppi indigeni organizzati offrendo promesse di soluzione delle controversie a medio termine, irrealizzabili, ma che ottenevano il risultato di sbloccare nell`immediato le situazioni. Poi cercando di inserire nuove figure di rappresentanza indigena, con personaggi sconosciuti ai più, che sminuissero di fronte all`opinione pubblica il ruolo di Aidesep che parallelamente veniva perseguita in termini istituzionali, non solo prevedendo azioni nei confronti dei dirigenti, Pizango ed altri, ma iniziando ad aprire verifiche giudiziali ed extra giudiziali, anche di tipo fiscale, sull’uso delle risorse e criminalizzando anche i finanziatori, soprattutto organismi della società civile europea, che a loro volta venivano intimiditi in varie forme, compreso il rischio di non poter più operare in Perù. Da qui l’intenzione di sciogliere Aidesep".

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!