Criminalizzare la proposta di dialogo Le voci circolavano da giorni. Il governo spagnolo non avrebbe accettato la sfida politica della sinistra indipendentista basca che attraverso il documento, presentato il 14 novembre a Venezia e in Euskal Herria, “Un primo passo per il processo democratico: principi e volontà della sinistra abertzale” riaffermava la scelta del cammino democratico e pacifico per la soluzione del conflitto. Una scelta ambiziosa poiché l’obiettivo è ricondurre il conflitto sulla base di principi democratici in assenza di violenza e contemporaneamente, costruire un soggetto politico che possa conseguire, attraverso il consenso popolare, l’obiettivo della sovranità politica e della giustizia sociale. Una scommessa irta di ostacoli soprattutto quando l’iniziativa è unilaterale: “ la questione non è conoscere o attendere quello che il resto degli attori politici e sociali sono disposti a fare, – si afferma -ma stabilire quello che noi dobbiamo e siamo disposti e disposte a fare. La nuova fase necessita nuove strategie, nuove politiche di alleanza e nuovi strumenti”.
La risposta del governo spagnolo è stata due settimane fa l’arresto di esponenti di spicco della sinistra abertzale tra cui l’ex segretario del sindacato LAB e del portavoce della sinistra abertzale Arnaldo Otegi che avevano contribuito alla elaborazione del documento. Oggi l’arresto di 34 persone accusate di fare “presuntamente” parte dell’organizzazione giovanile della sinistra indipendentista basca Segi, illegalizzata nel 2005 e che rappresenta la più numerosa organizzazione giovanile del Paese basco.
Dopo che in questi ultimi giorni sia da parte della sinistra basca che di altre forze politiche e sociali come Eusko Alkartasuna o il sindacato ELA, maggioritario nel Paese basco, si è riaffermata la necessità di sviluppare un processo democratico e di una soluzione negoziata del conflitto, Madrid risponde con la criminalizzazione.
Come in altri conflitti, il caso kurdo è significativo, gli stati sono incapaci di accettare la sfida democratica, dove tutte le opzioni politiche possano confrontarsi su un piano di parità, scegliendo la strada della politica della “sicurezza nazionale” che in questi ultimi anni ha significato l’esplodere di conflitti in diverse parti del mondo.
La soluzione dei conflitti passa attraverso il dialogo politico che contribuisce a dare senso compiuto all’idea di democrazia e giustizia sociale. Negare l’esistenza del conflitto o criminalizzare chi chiede dialogo non risolve il problema di fondo e conferma che la democrazia non si sancisce per decreto ma necessita una volontà ed un dialettica politica condivisa.
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