venerdì 1 gennaio 2010

La proletarizzazione incompiuta

Vedere la Cina a partire dai suicidi della Foxconn

di Pn Ngai

Tratto dal secondo appuntamento del “Forum su globalizzazione e sviluppo sociale”, organizzato dal centro di studi di politica ed economia internazionale il 14 Maggio 2010 presso la China University of Political Science and Law.
Sono già otto i morti alla Foxconn (e non sette), e personalmente ritengo che questi fatti non solo siano drammatici, ma è importante sapere con quali criteri valutarli. I media mainstream parlano di questi tragici eventi come si trattasse di una questione personale: il suicidio di un giovane laureato che sembrava aperto e gioioso è ricondotto a un problema spirituale, altri che si sono suicidati lo avrebbero fatto per problemi psicologici. Fra questi c’è un lavoratore maschio, che si sarebbe gettato dal tetto del dormitorio a causa della pressione dovuta a problemi di fertilità. Dopo il settimo suicidio alla Foxconn sono stati chiamati noti psicologi; recentemente sono stati chiamati anche dei preti taoisti. Il management della Foxconn preferisce vedere il problema come questione di Fengshui e di psicologia anziché come problema di gestione di impresa o problema della società. Vediamo il problema, invece, da un punto di vista sociologico.
Vorrei partire da qui per analizzare i nonmingong, ovvero i contadini che migrano dalle campagne per lavorare nelle fabbriche, nel processo di formazione di una nuova classe operaia. I miei libri sono sulla prima generazione di lavoratori contadini migranti, ultimamente ho scritto degli articoli sparsi sulla seconda generazione, e vorrei provare a inserire questa seconda generazione nel contesto teorico marxista, nella formazione del proletariato, aggiungendo poi alcune teorie post-marxiste, per vedere se è possibile interpretare i suicidi e gli scioperi come fenomeni di protesta nel quadro della tradizione teorica marxista o della sociologia.
Ovviamente non consideriamo il suicidio come cosa normale, se così fosse la pratica degli operai coreani che si danno fuoco sarebbe solo un atto da vedere come monito per la società, e gli operai giovani cinesi che si suicidano sono una tragedia troppo forte per pensare che si tratta, dopotutto, solo un modo per raccontare alla società l'ingiusto trattamento subito.
I suicidi avvenuti da Gennaio fino a oggi, sono stati compiuti da ragazzi che avevano dai 18 ai 24 anni; le modalità del gesto sono le stesse: buttarsi dal tetto di un palazzo, un gesto senza ripensamenti. Di questi otto, due operaie sono rimaste ferite e non sono morte. Feriti o deceduti, come comprendere questa tragedia? Metterla dentro il contesto dell’impresa o mettere le problematiche interne dell’impresa dentro un contesto più ampio, fatto di 230 milioni di lavoratori contadini migranti? […]
A Shenzhen, il salario comune di un operaio è tra i 1000 e i 1500 RMB, quello della Foxconn tra i 1500 e i 2000, ovvero fondamentalmente più alto; le condizioni lavorative e la gestione sono leggermente migliori, e per questo, se in altre imprese più piccole c’è il problema di trovare operai, alla Foxconn ogni mattina alle 5.30 c’è gente che fa la fila per entrare in fabbrica […].
Il segreto per cui la Cina è divenuta fabbrica del mondo consiste nel sostegno che le è stato dato da parte di 230 milioni di lavoratori contadini migranti con i loro bassi salari.
Quando noi leggiamo la formazione della classe operaia nel quadro della Cina come fabbrica del mondo, vediamo chiaramente chi sta costruendo la ricchezza, chi sta in definitiva edificando la Cina come fabbrica del mondo, chi si sacrifica, chi ne trae beneficio. Oggi si è già riproposto il fenomeno della società di classe: un paese socialista, che proprio per questo si dovrebbe liberare dai rapporti di produzione capitalisti, ha permesso alla divisione di classe di dilagare profondamente nei rapporti sociali.
Io sono diventata marxista quando, per la prima volta, sono entrata nelle zone industriali cinesi, la prima volta che sono entrata in fabbrica, quando ero ancora studentessa universitaria nei primi anni Novanta; a quel tempo a Hong Kong ci sono stati dei grandi cambiamenti economici e molte fabbriche si trasferivano nella Cina continentale. Mentre gli operai di Hong Kong affrontavano la disoccupazione, la Cina viveva il fenomeno dei lavoratori contadini migranti che, anno dopo anno, andavano nel Guangdong per lavorare.
Questi cambiamenti mi hanno colpita, e sono rimasta esterrefatta perché non riuscivo a tollerare che, proprio nella patria del socialismo, si permettesse il bruto sfruttamento capitalistico; questo sfruttamento, negli anni Novanta, era addirittura più forte rispetto ad oggi.
Quando sono entrata in fabbrica nel ‘95, dove si producevano le componenti elettroniche per i cellulari di allora, ho chiesto a un po’ tutti quale fosse il loro salario, quante ore di lavoro dovevano fare al giorno.
Forse i vostri genitori sono stati la prima generazione di lavoratori contadini migranti che abbiamo intervistato, quella situazione l’hanno chiara. Quando entrai in fabbrica, adirata lessi Il Capitale di Marx, e trovai che la situazione ivi descritta non riusciva ad arrivare alla gravita’ di cio’ che accadeva negli anni Novanta. Lo stipendio di cui parla Il Capitale e’ calcolato in base alla settimana lavorativa, ma in Cina allora spesso lo stipendio non veniva dato per oltre tre mesi e il tempo di lavoro era estenuante. Agli inizi degli anni ’90, in fabbrica e nei dormitori c’erano incendi dove gli operai morivano. Il Capitale, che descrive la situazione industriale del XIX secolo, ha influenzato la rivoluzione socialista dopo Marx; se confrontiamo l'epoca di Marx con i suicidi della Foxconn, ne vien fuori che, quell'epoca, era forse un po’ più felice della nostra.
Cambiamo prospettiva, all’inizio degli anni ’90 la pressione sul lavoro era molto più forte, lo stipendio era solo di 500 RMB attuali, e invece oggi lo stipendio ha raggiunto i 1000-1500 RMB; i dormitori e gli spazi della fabbrica sono migliorati, le condizioni di vita lavorative anche. Ma allora, mi chiedo, come mai i suicidi e gli scioperi degli operai non si sono verificati con la prima generazione di lavoratori contadini migranti e invece si verificano oggi?
Quando sono entrata in fabbrica e ho visto le condizioni orrende di lavoro, non capivo come mai nel nostro paese socialista potesse verificarsi una cosa del genere; ero arrabbiata, eppure le operaie non lo erano, pensavo che ciò dipendesse dal fatto che erano angosciate, sotto pressione, che non ci fosse modo affinché ciò che provavano potesse esprimersi; eppure non ho visto suicidi, capitavano morti improvvise o per la fatica, ma non come oggi.
Negli anni ’90 abbiamo visto gli operai iniziare ad arrabbiarsi, scioperare; dopo il 2000 nel delta del Pearl River Delta e in particolare a Dongguan, si sono verificati ondate di scioperi, con migliaia di persone che vi partecipavano, seppure senza alcuna copertura mediatica.
Dopo che alcuni media si sono interessati, essi tuttavia non hanno continuato a farlo perché gli scioperi erano diventati quotidiani, in particolare a Dongguan: erano diventati così tanti e frequenti che non attiravano più l’attenzione.
Ma come possiamo interpretare le differenze fra le due generazioni di lavoratori? Dobbiamo riflettere su questo tema, chiedendoci anzitutto come sono emersi i lavoratori contadini migranti.
Inoltre dovremmo approfondire le differenze fra le due generazioni di nonmingong nella medesima composizione di classe, rapporti di produzione, operai che fanno lo stesso lavoro nella fabbrica del mondo e affrontano le contraddizioni del capitalismo; poiché fra le due generazioni la differenza è davvero ampia.
Infine dovremmo riflettere sul processo di formazione della nuova classe dei lavoratori contadini migranti: in trenta anni di rimodellamento il contadino è diventato lavoratore (temporaneo, senza garanzie), soggetto del lavoro ma non lavoratore a pieno titolo; non è chiaro se sia ancora contadino o lavoratore. Anche se oggettivamente le condizioni che vive sono quelle di un operaio, tuttavia da un punto di vista soggettivo, come lavoratore, ha un problema legato alla propria identità.
Leggendo la questione del riconoscimento attraverso alcuni contenuti teorici del post-marxismo, nel passaggio da classe in sé a classe per sé, subentrano fattori complessi e difficili. Se introduciamo questo aspetto nella condizione particolare cinese, nel processo di coinvolgimento nell’economia globale capitalista e facciamo un paragone con gli altri paesi, la particolarità cinese sta nei nostri lavoratori contadini migranti: se infatti è chiaro che stanno in fabbrica a lavorare, dove spendono anche dieci, o venti anni della loro vita, questa posizione di lavoratore gli viene negata, la loro coscienza di soggetto ancora non si è formata completamente.
Stiamo forse assistendo alle Enclosures anche da noi? La nuova generazione dei lavoratori contadini migranti non ha più modo di tornare al villaggio e allo stesso tempo non ha modo di restare in città. Non può rimanere e non può tornare. Non dobbiamo forse ricercare i motivi dei suicidi e delle proteste dei contadini migranti lavoratori in questa situazione bloccata, in questa condizione di classe proletaria incompiuta?
Penso che il fenomeno dei contadini migranti lavoratori non si possa separare dallo sviluppo degli ultimi 30 anni. Il periodo delle riforme cominciò dalle campagne, che distrusse la sua dimensione collettiva e favorì l’emergere di piccole economie contadine; la base di questa forza lavoro va ricercata nella fine del collettivismo, che ha prodotto una sorta di eccesso di forza lavoro contadina. I nostri sociologi usano una bella espressione per questo fenomeno: una ricca forza lavoro.
Non importa se in eccesso o ricca, importa dire che una generazione di giovani non ebbe più nulla da fare in campagna, nessuna opportunità di lavoro poiché la terra della campagna non poteva più occuparli. Così iniziarono a migrare in cerca di lavoro nelle città, in particolare in quelle delle costa dove arrivavano capitali stranieri. Così venne fondata la Cina come fabbrica del mondo, fondata grazie alla forza lavoro a basso costo; la riforma delle campagne e la “open door strategy” hanno interamente fabbricato il segreto dei lavoratori contadini migranti.
In base a quel che ho capito allora, al tempo con due o trecento RMB (mensili?!) si pagava la forza lavoro per oltre dieci ore (giornaliere?!). […]
Quando ho cominciato a fare ricerca in fabbrica, i padroni non avevano nessuna fiducia nei lavoratori; in città si sentiva dire che gli operai cinesi erano difficili da gestire, e che gli piaceva particolarmente rubare la merce. Era così? Certo, rispetto agli operai di Hong Kong e Taiwan il fenomeno del furto della merce è più alto. Recentemente un operaio della Foxconn si è ucciso, sotto pressione da parte dell’azienda, per aver perduto il prototipo di un iPOD. Ma riflettiamo su come, negli anni Novanta, nella fabbrica dove facevo ricerca pagavano gli operai 400/500 RMB e il cellulare che si produceva ne costava 10.000. Consideriamo questa, di differenza.
Ho notato che in molti hanno timore ad usare concetti come classe e sfruttamento, ma basta entrare in una fabbrica e sfruttamento, dignità e parole simili non sono così estranee. La classe corrispettiva allo sfruttamento, la rabbia che ogni operaio ha e può esprimere, di queste cose ne parliamo tranquillamente in accademia fra studenti e professori da un punto di vista storico.
Oggi si ha paura dell’emergere delle contraddizioni di classe, e pochi anni fa in alcune fabbriche non c’era la minima dignità per i lavoratori, il posto dove si viveva e lavorava era senza vie di fuga: alcuni operai sono morti bruciati per questo. Le fabbriche degli anni Novanta avevano i magazzini al piano terra, al secondo e al terzo la catena di montaggio, mentre gli operai vivano ai piani più alti; per la paura dei furti si chiudeva tutto a chiave ma, in caso di incendio, era impossibile scappare e si moriva bruciati. Il mio lavoro “Operaie Cinesi”, collocato negli anni ’80 e primi ’90, nasce perché al tempo, come studentessa universitaria, vidi delle operaie morire così.
Dopo questi incendi, le zone dei dormitori e quelle della produzione vennero separate grazie ad apposite leggi.
Negli ultimi anni ho scritto diversi articoli sulla questione degli alloggi: se la prima caratteristica della fabbrica del mondo sta nei lavoratori contadini migranti, la seconda è rappresentata dai dormitori legati alla fabbrica. Occorre interrogarci sul contesto di vita della forza lavoro, sulla possibilità di fare famiglia, poiché oltre a un salario si deve pensare al fatto che questo si lega all’alloggio e alla possibilità di allevare figli che possano studiare, al fatto che se ci si ammala si possa andare dal medico. Ma il salario dei 230 milioni di lavoratori contadini migranti basta solo per vivere in alloggi comuni, dove sono ammassati decine di lavoratori. Lo stipendio non gli consente di rimanere nella città di Shenzhen.
La zona di sviluppo costiera di Shenzhen pensa infatti di utilizzare questa forza lavoro per un breve periodo, prima che i migranti ritornino nelle campagne; quel che serve allora è forza lavoro, non lavoratori. La questione è sempre più chiara oggi; all’inizio in fabbrica c'erano solo lavoratori contadini migranti che in campagna avevano un proprio pezzo di terra e la possibilità di tornare; per questo se io mi arrabbiavo tuttavia questi lavoratori contadini migranti non erano arrabbiati. Negli anni novanta gli operai si consideravano, in fondo, contadini, anche se da un punto di vista marxista i loro rapporti di produzione erano già cambiati ed erano divenuti veri e propri operai impiegati nella fabbrica. Questo tuttavia senza una posizione completa da operaio: il loro salario non lo era, perché il salario di un operaio garantisce il costo per le condizioni di riproduzione della generazione successiva, il poter avere una famiglia.
Se negli anni ’80 il salario che si dava non consentiva di vivere in città, oggi il salario dato alla Foxconn, tra i 1500 e i 2000 non consente, come prima, a un operaio di vivere a Shenzhen. Questo sistema come fa a riprodursi, questa sostenibilità come si tiene in piedi?
Diciamocelo chiaramente che essa si regge solo esclusivamente sui lavoratori contadini migranti, il cui salario è la metà di quello di un lavoratore normale; inoltre vivendo nell’alloggio della fabbrica, si può risparmiare soldi per il proprio futuro, dato che non è detto che alla Foxconn ti accettino ancora quando avrai superato i trent’anni.
Oggi vediamo come lo sviluppo delle grandi città si poggia tutto sulle spalle della forza lavoro contadina. La città è sempre più ricca, costruiamo città sempre più globali come Pechino, Shanghai, Shenzhen, Canton, i cui governi non hanno alcun obbligo sulle pensioni e cura dei 230 milioni di lavoratori contadini migranti. Dopo aver sfruttato la forza lavoro non hanno il minimo piano per la sua riproduzione né della sua cura; il piano è quello di rispedirli nella campagna che da vent’anni è in rovina, senza sviluppo, e dove adesso, addirittura, incombe la vendita della terra. Questa è l’ingiustizia fondamentale, laddove la forza lavoro a basso costo sostiene la produzione a basso costo, prodotti per i paesi occidentali come gli USA, dove chi non ha soldi li chiede in prestito per consumare. Il governo Cinese presta continuamente soldi a coloro che possono consumare le merci fatte con forza lavoro a basso costo nel sistema economico globale, laddove il sacrificio finale ricade sulle masse dei lavoratori contadini migranti.
Quale è la differenza fra le due generazioni di lavoratori contadini migranti? La prima generazione aveva una grande capacità di sopportazione, mentre la seconda generazione mal sopporta; come mai si è prodotta questa differenza psicologica? Un’analisi attenta ci direbbe che, sebbene la prima generazione avesse maggiore forza di sopportazione di fatica e avversità, tuttavia aveva speranze e obbiettivi: i soldi guadagnati li usava per costruirsi una casa e una vita onorevole, ciò che gli consentiva di sopportare angosce e fatica del lavoro in città. La seconda generazione si è formata interamente in ambito urbano, e aspira ad un modo di vita metropolitano, ovvero uno stile prodotto negli ultimi anni; una civiltà urbana continuamente inseguita dicendo che bisogna lasciare la campagna altrimenti “si perde la faccia”, l’onore, sei poco sviluppato, non hai la possibilità di ricambiare quello che i tuoi genitori ti hanno dato a suo tempo: è questo il contesto odierno. La strada dello sviluppo odierno e la sua cultura ci fa vedere come nemica la nostra campagna e il nostro passato.
Nel momento in cui ci mettiamo a costruire civiltà metropolitane come Pechino e Shanghai, i valori della nuova generazione sono interamente basati su questo, e questa è la differenza rispetto ai nostri padri che invece si basavano interamente sulla campagna. La prima generazione, sebbene povera e costretta alla fatica, aveva una casa a cui pensare; per chi oggi ha tra i 18 e i 20 anni non c’è motivo di restare legati alla campagna.
I 1500 RMB guadagnati oggi sono davvero di più dei 500 di ieri? Forse sono addirittura di meno, a causa dell’inflazione e dei prezzi che crescono.
Negli anni ‘90 ai “bordi” (slums) di Shenzhen o Canton potevi trovare, per duecento o trecento RMB, una casa in affitto dove vivere con la famiglia. Oggi no. I lavoratori contadini migranti sono costretti a stare nelle zone industriali nel dormitorio offerto dall’impresa, quegli stessi dormitori dai cui tetti si sono buttati alla Foxconn.
Un lavoratore contadino migrante di vent’anni, se non vuole restare in campagna e vuole vivere in città, deve spenderli almeno 1000 RMB, ma con uno stipendio che arriva a 1500 come fa a risolvere le necessità di base della propria vita? Non c’è uscita per i dibattimenti e le difficoltà per questa nuova generazione. Due o tre anni fa, si parlò molto di quando la neve costrinse i contadini migranti lavoratori a restare in città e non poter tornare a casa per la festa del capodanno cinese; ma anche se fossero ritornati si trattava di solo due settimane e loro ne erano coscienti. La vita di campagna, il suo valore e la sua realtà si sono ormai perdute, figuriamoci per la seconda e terza generazione.
Si possono allora individuare due strade percorribili: da un lato la possibilità di un nuovo sviluppo delle zone rurali differente dalla vendita della terra, che non sia un modello ad uso e consumo solo delle grandi imprese che stanno divorando la campagna. Permettere alle persone che vi ritornano di avere una base economica di cui vivere, poter avere una percezione della propria vita che abbia un futuro.
La seconda strada è far diventare realmente questi lavoratori contadini migranti la nuova classe operaia, il cui aumento di stipendio sarà solo un beneficio per lo sviluppo della Cina. Alzando lo stipendio alla Foxconn si influenzano anche le altre imprese al miglioramento, si influenza tutto il territorio di Shenzhen. Il vero problema è l’orrida competizione al ribasso interna al capitale, l’ultima frontiera della competizione al ribasso il cui ultimo costo lo pagano i lavoratori. Perché il lavoratore si trova in questa condizione? Diciamocelo: oltre al fatto che i nostri sindacati non svolgono nessuno ruolo utile, i nostri lavoratori non hanno avuto la forza di contrattare lo stipendio; non c’è una forza nelle città, poiché siamo ancora in una situazione fluttuante e senza radicamento: oggi lavori a Dongguan, domani magari a Shenzhen o Canton. In questo modo non c’è appartenenza a una casa e a una società.
La forza dei lavoratori, la scommessa che può fare dentro ai processi del capitale è spezzata entro queste condizioni, ed è chiaro che il capitale vuole mantenere i lavoratori di seconda e terza generazione come contadini migranti. Ecco perché non abbiamo ancora modificato questa situazione (dell’identità/hukou). Alzare lo stipendio significa anche influenzare la situazione degli studenti; perché lo stipendio di un laureato è così basso? Perché dietro c’è un fratello che prende ancora meno, un migrante lavoratore che prende ancora meno, un disoccupato che prende ancora meno. Oggi dobbiamo ragionare su chi poggia la società, di chi proteggere i diritti.
Traduzione dal Cinese: Diego Gullotta

mercoledì 30 dicembre 2009

Gaza Freedom March - Notte del 29 dicembre

Si è conclusa un'altra lunga giornata nella capitale egiziana

In mattinata si sono svolte diverse iniziative davanti alle rappresentanze dei paesi di provenienza delle delegazioni.

Davanti l'Ambasciata Italiana è stato fatto un sit-in e poi una delegazione è salita a parlare con i diplomatici per riaffermare la richiesta di raggiungere Gaza.

Come in tutte le iniziative i manifestanti sono stati "transennati" dai poliziotti lungo il marciapiede.

Durante il sit-in con Paolo e Laura di Genova abbiamo provato ad iniziare alcune rilessioni sulle prime giornate egiziane: l'atteggiamento delle autorità, le difficoltà incontrate nel agire in forma comune tra tutti i partecipanti, l'impressioni raccolte in questa enorme metropoli.

Ascolta la discussione:

All'Ambasciata americana una delegazione è stata immediatamente circondata da poliziotti in assetto antisommossa e mentre una parte saliva ad incontrare i rappresentanti diplomatici, la polizia con fare molto deciso, costringeva gli attivisti a stare "recintati" nelle transenne.

Ascolta il racconto (in inglese)

Intanto davanti all'Ambasciata francese continua ormai da due giorni la presenza ininterrotta di una parte della delegazione francese.

Alle 14.00 l'appuntamento per tutti è alla Sede del Sindacato dei Giornalisti. La scalinata che serve d'ingresso all'edificio, si riempie di attivisti che prontamente vengono "recintati" dai poliziotti in divisa ed in borghese. Se manifesti stai nel "recinto" o se no ti devi allontanare. La "recinzione" sistematica delle iniziative è una costante di queste giornate e con tutte le dovute differenze ricorda l'atteggiamento della polizia danese durante le mobilitazioni di Cop15. Un asfissiante controllo che veramente è una delle forme di "prevenzione di sicurezza" che vanno contrastate a livello globale . Mai farci l'abitudine!

L'iniziativa dura un paio d'ore e poi la stessa scalinata, con una "recinzione" di poliziotti questa volta in assetto antisommossa, diventa lo scenario di un'altra protesta: quella fatta in prevalenza da egiziani e arabi contro la presenza di Nethanyau. Chiediamo chi sono e ci pare di capire che si tratti di gruppi legati ai Fratelli Musulmani e di altri gruppi locali.

I Fratelli Musulmani, formalmente illegali in Egitto, stanno crescendo in peso politico. Nelle scorse elezioni con delle liste ad hoc hanno avuto circa un ottantina di deputati e i tutti i commentatori dicono che aumenteranno nelle prossime elezioni. Oltre ad avere un consenso nelle fascie più diseredate della popolazione egiziana ed ad agitare la propaganda religiosa, chiaramente l'appoggio alla causa palestinese ed in particolare ad Hamas, gli è molto utile nel raccogliere consensi come spesso accade.

La permanenza sulla scalinata si protrae fino a sera a margine del transito di migliaia di automobili i cui occupanti, per la maggior parte, restano intenti alla loro "guida spericolata".

In serata inizia a circolare la voce, poi confermata, che è stata data l'autorizzazione alla partenza per Gaza di una delegazione coordinata dagli organizzatori americani di un centinaio di persone e dei materiali raccolti da consegnare alla popolazione della Striscia. Si tratta formalmente di un convoglio umanitario.

Questa scelta del governo egiziano è dovuta alla pressione esercitata dalle iniziative a Il Cairo e a livello internazionale.

Le due corriere che andranno a Gaza saranno composte da rappresentanti delle varie delegazioni della Marcia.

Intorno a questo nuovo scenario si apre una discussione formale e informale su come valutare la situazione, su come continuare la mobilitazione. Una discussione che sconta, come in parte successo in questi giorni, la mancanza di approfondimento politico e la frammentazione degli attivisti.

Mentre la discussione continuerà anche nella giornata di domani, adesso si tratta di aspettare ancora poche ore per essere certi che il convoglio parta con destinazione Gaza e per continuare a mobilitarsi.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!