venerdì 1 gennaio 2010

Farcela da soli

Il movimento dei lavoratori in Cina (2007-2008)

di China Labour Bullettin

A inizio novembre 2008 insegnanti di scuole elementari e medie della zona rurale di Chongqing, frustrati nel non vedersi consegnare gli stipendi, hanno organizzato una serie di scioperi in tutta la regione. In risposta le autorità locali hanno fatto qualcosa che solo pochi anni prima sarebbe stato impensabile: accettare di incontrare i rappresentanti degli insegnanti per risolvere di comune accordo la disputa.
Nel 2007 e 2008 ovunque in Cina le autorità sono state forzate a sedersi al tavolo delle negoziazioni non solo in contrasti con impiegati pubblici, ma sempre di più anche in dispute nel settore privato. Gli operai cinesi, oppressi dall’ aumento dei prezzi e dalla disoccupazione, irritati da abusi manageriali e incoraggiati da una revisionata legislazione sul lavoro, hanno protestato in tutto il Paese richiedendo l’intervento governativo. nella maggior parte dei casi, hanno avuto successo. In quasi tutte queste proteste pero’, la Federazione dei Sindacati di Tutta la Cina (ACFTU), l’unico sindacato ufficialmente riconosciuto, è stato assente.
La preoccupante divergenza tra le proteste collettive organizzate dagli operai e le attività dell’ACFTU che dovrebbero essere in difesa dei loro diritti è tema di questo rapporto.
Gli sviluppi socio-economici e legislativi, 2007-08
Il background economico e legislativo del periodo analizzato è fondamentale per la comprensione degli sviluppi del movimento operaio nel 2007 e 2008.
  • Dopo una crescita a due cifre durata una decina d’anni, la rapida espansione economica della Cina ha cominciato a rallentare alla fine della seconda metà del 2008. La disoccupazione è aumentata notevolmente durante il bienno 2007-2008; un gran numero di piccole e medie imprese, colpite dai costi elevati di materie prime e dall’aumento del valore della moneta, ridussero la produzione e licenziarono personale, tra cui soprattutto operai immigrati dalle campagne. Il tasso di inflazione raggiunse il 4,8 per cento nel 2007, il valore più elevato degli ultimi dieci anni che portò i prezzi dei generi alimentari alle stelle. Crescendo il costo della vita, numerosi governi locali aumentarono il salario minimo, tanto che i redditi disponibili sia delle famiglie rurali che di quelle cittadine sono cresciuti fino a fine 2008. La crisi economica mondiale, tuttavia, ha frenato questo corso tanto che il divario tra ricchi e poveri in Cina nel 2008 è continuato a crescere.
  • In seguito a scandali e incidenti sul lavoro esemplificativi degli abusi e dello sfruttamento subiti dagli operai, la legislazione cinese promulgò tre nuove leggi sul lavoro, che hanno fatto del 2007 un anno cruciale per lo sviluppo della legislazione sul lavoro in Cina:
  1. Legge sui Contratti di Lavoro, finalizzata a ridurre il numero di lavoratori immigrati impiegati senza contratto.
  2. Legge sulla Promozione dell’Impiego, con lo scopo di creare un mercato del lavoro più aperto e corretto e combattere la discriminazione nell’impiego.
  3. Legge sulla Mediazione e la Giurisdizione Arbitrale, designata per razionalizzare e velocizzare i processi arbitrali e di mediazione.
Questa ondata di riforme senza precedenti, nella legislazione sul lavoro nel periodo preso in considerazione è stata la risposta diretta alle pressioni esercitate dal movimento operaio nei dieci anni precedenti. Un governo devoto al mantenimento dell’ordine e dell’armonia sociale non poteva più permettersi di ignorare a lungo scioperi e proteste giornalieri. La più comprensiva cornice legislativa, che il governo centrale e quelli locali hanno cercato di creare, ha reso gli operai più consapevoli dei loro diritti e disposti ad usare la contrattazione e i tribunali come strumenti di lotta.
Nonostante questi sforzi, le percezioni sulla qualità della vita tra la popolazione rurale e urbana non sono migliorate, come rivelato dall’ “indice di soddisfazione” cinese e segnalato dall’elevato numero dei cosiddetti “incidenti di massa”.
Le proteste operaie
L’analisi di 100 proteste collettive di lavoratori che hanno avuto luogo nel 2007 e 2008 ci offre un’immagine rappresentativa del movimento operaio in questo periodo, caratterizzato da operai sempre meno propensi a soffrire, bensì disposti a difendere in prima persona i propri interessi:
Come principali cause delle dispute sono state identificate: la discriminazione istituzionalizzata e diffusa dei migranti rurali, fondata sul sistema di registrazione della cittadinanza (hukou); condizioni lavorative insicure e lavoro straordinario a bassa remunerazione (58 su 100 casi); chiare violazioni di diritti umani (es. non pagamento dei salari o dei contributi assicurativi, 1/3 dei casi); specifiche richieste (1/3 dei casi); difficoltà economiche (12 casi).
Il fatto che proteste operaie vennero organizzate giornalmente anche nei periodi di boom economico è indicativo della condizione di sfruttamento abituale che gli operai, soprattutto quelli immigrati dalle zone rurali, subiscono abitualmente. Violazioni deliberate dei diritti dei lavoratori da parte dell’amministrazione aziendale hanno rappresentato la causa maggiore delle proteste collettive del periodo 2007-2008.
Le richieste degli operai sono state soprattutto: innalzamento di salari e dei contributi pensionistici; miglioramento del trattamento dei lavoratori in seguito alla ristrutturazione di aziende statali; riduzione degli orari e dei carichi lavorativi; diritto di formare un loro proprio sindacato o di eleggere democraticamente i comparti distaccati dell’ACFTU a livello aziendale; investigazioni per corruzione e peculato da parte dell’amministrazione di aziende.
Gli operai non si sono limitati a richiedere ricompense in seguito a violazioni subite, bensì hanno portato avanti pretese più ambiziose, indicative di una nuova e consapevole presa di posizione. In 37 proteste gli operai hanno parzialmente ottenuto ciò che richiedevano; in soli tre casi le loro richieste sono state ignorate.
Tra i fattori scatenanti i diverbi si segnalano: tattiche manageriali delle aziende per sopravvivere alla crisi economica (es. taglio dei salari, licenziamenti e dimissioni forzate, 14 casi); mancanza di sindacati genuini e di un meccanismo di soluzione delle controversie interno all’impresa, che lascia spazio a decisioni arbitrarie da parte dell’azienda (sette casi); tecniche usate da imprenditori nel tentativo di evadere i nuovi regolamenti previsti dalla Legge sui Contratti Lavorativi (11 casi); azioni intraprese in stabilimenti sussidiari o aziende vicine; ristrutturazione delle aziende di proprietà statale (21 casi).
Le azioni intraprese si possono suddividere nei seguenti tipi: scioperi (47), assedi (43), scioperi bianchi e cortei (18), petizioni collettive (21), danneggiamenti intenzionali a fabbriche (5).
Poichè le proteste sono percepite dallo stato come minaccia alla stabilità sociale, gran parte delle risposte governative ad esse sono state una combinazione di misure conciliatorie e minacciose, volte a riportare nel più breve tempo possibile la situazione sociale allo stato “armonioso”. La polizia locale è intervenuta in 61 casi, dove spesso ha causato ulteriore violenza e tensione (19 casi con feriti). Molti scioperanti sono stati puniti dalle autorità con sanzioni pecuniarie e penali per “disturbo dell’ordine pubblico”; sentenze alla rieducazione tramite il lavoro (RTL) sono state imposte a numerosi attivisti per i diritti operai (Li Guohong, Zeng Jianyu, Li Shuchun), operai hanno subito intimidazioni e violenze. Ufficiali del governo hanno mediato e condotto direttamente le negoziazioni tra operai ed amministrazione di fabbrica (47 casi).
L’ACFTU è rimasta nel complesso obbediente ai governi locali e non ha svolto alcun ruolo attivo nel confronto tra rappresentanti dei lavoratori e amministrazioni di fabbrica, dando quindi l’impressione di non essere disposta a combattere per gli interessi degli operai contribuendo così all’insorgere di ulteriori tumulti. L’ACFTU intervenne a violazione dei diritti già avvenuta reagendo a queste con stupore e rabbia, senza però concretamente punire i colpevoli o risarcire le vittime; in solo quattro casi l’ACFTU ha mostrato un atteggiamento più combattivo.
La Federazione dei Sindacati di Tutta la Cina
Alla fine del 2008 la Federazione dei Sindacati di Tutta la Cina contava 212 milioni di membri tra cui 70 milioni di operai immigrati. Il processo di riorganizzazione e di sindacalizzazione perseguito dall’ACFTU nel periodo analizzato insieme alla professionalizzazion-e degli ufficiali dei sindacati reclutati nel servizio pubblico e non aventi alcun legame con i dirigenti d’azienda, non hanno però migliorato la capacita dell’ ACFTU di rappresentare gli interessi degli operai.
L’ACFTU promulgò nuovi regolamenti, ma questi rifletterono chiaramente il rapporto di dipendenza dei sindacati dalla leadership del partito, che è in ultima istanza sempre chiamata ad approvare le decisioni dei sindacati. L’integrazione dell’ACFTU nell’apparato del Partito durante gli ultimi 20 anni si é solidificata ulteriormente nel biennio 2007-2008 in segutio all’adozione del cosiddetto approccio delle “5 sfaccettature unificate” per la protezione dei diritti dei lavoratori, che poggia sulla superiorità delle decisioni prese dalla leadership di partito nello svolgimento delle funzioni svolte dall’ACFTU.
La conclusione di un numero elevato di contratti collettivi, promossa dall’ACFTU dagli anni ’90, non ha altresì corrisposto ad una altrettanto elevata qualità delle negoziazioni, le quali difficilmente hanno visto l’implementazione degli accordi raggiunti tra imprese e sindacati. Gli operai furono raramente consultati in queste negoziazioni.
L’ACFTU ha infine offerto misure aggiuntive a protezione dei diritti dei lavoratori, le quali hanno contribuito a migliorare la condizione di vita degli operai. Tuttavia l’approccio caritatevole dell’ACFTU è lontano dall’essere in grado di migliorare i rapporti tra operai e datori di lavoro e di prevenire le dispute.
Nonostante l’ACFTU sia il sindacato più grande al mondo e sotto il patronato del governo, esso e’ paradossalmente anche il più inutile per la difesa dei diritti dei lavoratori cinesi, in quanto sindacato nominale (che raramente consulta gli operai, non risolvendo la mancanza di rappresentanze sindacali effettive e democratiche) dipendente dai governi locali (ai quali si rivolge per aiuti economici) e sottomesso al Partito Comunista Cinese. L’ACFTU è talmente dipendente dal Partito, che non è nemmeno in grado di formulare la sua missione in una maniera più decente rispetto al sottolineare le differenze tra sindacati cinesi e socialisti e quelli degli altri Paesi, eludendo la caratteristica principale dei sindacati, vale a dire la difesa dei diritti dei lavoratori.
Riassumendo, il movimento operaio degli anni 2007-2008, che ha visto il numero delle proteste essere 50 volte superiore a quello del 2005, è stato caratterizzato da:
  • l’allargamento delle richieste degli operai da legali e specifiche a collettive, incentrate non più solo sulla difesa di diritti, ma soprattutto sulla difesa di interessi collettivi
  • l’intervento mediatore diretto del governo all’interno delle dispute
  • l’ allontanamento tra azione degli operai, mirata alla difesa di interessi economici e diritti legali, e azione prettamente politica dell’ACFTU, mirata a salvaguardare la stabilità sociale.
Commento di China Labour Bulletin
Nel 2007-2008 le autorità acquisirono un atteggiamento più conciliatorio nei confronti degli operai, mostrando segni di voler facilitare il dialogo tra operai e datori di lavoro, ma il loro tradizionale approccio con interventi ad hoc nelle situazioni di conflitto sociale non sono adatti per andare incontro agli interessi economici degli operai. I media e le discussioni su internet sono controllate dal governo; i lavoratori non hanno nè il diritto di organizzarsi in sindacati, nè quello di scioperare. L’Ufficio di Pubblica Sicurezza di solito rifiuta richieste di manifestazioni pubbliche e il sistema di “consultazioni collettive” del governo e dell’ACFTU esclude gli operai.
Le proteste operaie sono state dunque la risposta a queste inadeguatezze. Una genuina contrattazione collettiva in Cina sarà possibile solo quando agli operai verrà data la possibilità di partecipare ad essa, come è avvenuto in quattro casi studiati.
Inoltre CLB ritiene che il riavvicinamento tra operai e ACFTU sarebbe possibile se:
  • l’ ACFTU si schierasse dalla parte dei lavoratori durante le dispute, superasse la tradizionale avversione nei confronti di scioperi e altri tipi di attivismo e promuovesse la contrattazione collettiva come mezzo di risoluzione senza cercare scusanti per la sua inazione (es. la crisi economica globale)
  • il Partito e il governo permettessero all’ACFTU di rappresentare veramente gli interessi degli operai, accettando che le differenze di interessi tra lavoratori e datori di lavoro sono alla base delle economie orientate al mercato e che in queste il ruolo del governo si limita ad essere quello di arbitro neutrale nei conflitti aziendali.

L'ondata di scioperi

Verso una trasformazione delle politiche del lavoro

di Tian Lei

Da Foshan, Shenzhen, Huizhou nel Guangdong a Nanchino, Wuxi, Kunshan nel Jiangsu fino a Pechino, allo Shanxi, Henan, Hubei e altre province, nell’ultimo mese lo sciopero si è diffuso come una epidemia in tutte le grandi zone economiche cinesi. Nella fabbrica del mondo degli ultimi trent’anni, gli operai che hanno tranquillamente forgiato il miracolo dell’industria produttiva cinese stanno risvegliando la memoria dello sciopero, a lungo dimenticata, con modalità inedite.
“L’ondata degli scioperi indica che le politiche del lavoro correnti sono arrivate a un punto in cui non è possibile non cambiare”, dice il direttore del centro di studi sulle relazioni del lavoro dell’Universita’ del Popolo, Chang Kai.
Se il Governo non modificherà il modello di una crescita economica scambiata col sacrificio dei lavoratori, se non normerà le relazioni fra capitale e lavoro, allora la società cinese conoscerà problemi ancora più esplosivi. Ma le politiche del lavoro che hanno mantenuto la crescita dell’economia degli ultimi 30 anni, si potranno cambiare così facilmente?
Il risveglio degli operai
Rispetto agli scioperi degli anni ’90 generati per i licenziamenti delle fabbriche di Stato, in questa tornata di scioperi attuale, sono gli operai delle imprese private che sono diventati la forza principale. Le loro richieste non si concentrano sulla corruzione, sulla protesta verso la proprietà dell’impresa etc etc, ma sull’aumento salariale e la diminuzione degli straordinari. […]
Durante gli scioperi, governi locali e media hanno fatto molte inchieste sui salari degli operai, e i risultati complessivi hanno mostrato come nelle imprese del Delta del Fiume Azzuro e del Fiume delle Perle, lo stipendio di un comune operaio si aggira tra i 1000 e i 1500 RMB. Oggi che i costi di base della vita in tutto il paese per l’educazione, la sanità, l’abitazione sono aumentati, queste entrate così scarse minano la dignità, rompono le speranze di questi lavoratori di poter migliorare la propria vita.
Infatti, se facciamo un paragone con il lavoro globale, il guadagno di 6 giorni a settimana con una media di oltre 10 ore giornaliere, non supera nemmeno i 150 euro mensili, ovvero un costo del lavoro da paese povero, addirittura inferiore a molti paesi del terzo mondo.
A differenza di chi si è stupito per l’ondata degli scioperi degli operai, molti studiosi del settore si sono invece stupiti di come si possa sopportare un salario così basso, e di come negli ultimi decenni non ci siano stati miglioramenti né forti proteste.
Secondo Pun Ngai, professoressa del Dipartimento di Scienze sociali applicate del Politecnico di Hong Kong, che ha lavorato e fatto ricerca in una fabbrica elettronica di Shenzhen, negli ultimi 30 anni è mancata la conoscenza delle masse lavoratrici cinesi da parte del governo, degli studiosi, dei media e della stragrande maggioranza della popolazione. L’attenzione si è solo concentra sui loro spostamenti e mobilità, ma una volta entrati in fabbrica, delle condizioni di vita degli operai sembra non importi niente a nessuno.
I motivi per cui i lavoratori sopportano e non protestano sono semplici: “il segreto dietro alla stabilità della fabbrica del mondo sta nell’organizzazione del sistema dei contadini migranti e del sistema dei dormitori della forza lavoro”. Pun Ngai dice che il sistema hukou assicura il mantenimento della identità di contadini alla prima generazione di nonmingong; in questo modo il processo di riproduzione della forza lavoro si completa per lo più nella campagna. Da un lato lo Stato non è affatto disposto a fornire loro l’identità di classe operaia, dall'altro il capitale non deve assumersi tutti i costi della forza lavoro. E il sistema dei dormitori di ogni grande fabbrica fa sì che la classe dei nonmingong restino all’interno della fabbrica, riducendo lo sforzo dei servizi pubblici per il governo.
L’efficienza di questi due sistemi ha mantenuto la stabilità sociale, garantito che i contadini andassero a lavorare fuori dalla campagna nonostante la paga scarsa, facendo continui straordinari per guadagnare un po’ di più. Il loro obiettivo più grande era poter tornare in campagna, costruire una casa, allevare i figli, sperare che la generazione successiva a loro uscisse dalla campagna. Ma quando, con l’arrivo del nuovo secolo, i nati dopo l’80 e il ’90 sono diventati il corpo dei lavoratori industriali, essi si sono trovati immersi nei fenomeni della civiltà urbana portati dai grandi eventi tipo le Olimpiadi e l’Expo.
Per questa generazione, lasciare la campagna significa intraprendere una strada senza ritorno, fatta di lavoro, del non poter tornare in campagna e non poter restare in città. La prima generazione di contadini lavoratori sta in perenne movimento fra campagna e città, mantenendo la propria identità di contadino; la seconda generazione invece è cresciuta interamente nei rapporti di produzione capitalistici, non gli importa se lo Stato vuole o no conferirgli l’identità di lavoratori e una collocazione politica nella società: si è già trasformata in pura classe operaia industriale.
Infatti, nell’ondata degli scioperi, i giovani operai industriali rispetto ai loro padri sono molti di più, sono capaci di formulare richieste ai sindacati e prendere degli specialisti di diritto del lavoro per affrontare i negoziati. Nello sciopero della Honda a Nanhai, il direttore del centro di studi delle relazioni sul lavoro dell’Università del Popolo, Chang Kai, è stato chiamato dai rappresentanti dei lavoratori come consigliere di diritto del lavoro, partecipando a tutto il negoziato fra le due parti. […]
I danni delle politiche sul lavoro
Chang Kai è ritenuto da molti il rappresentante intellettuale che parla per i lavoratori; secondo lui l’ondata di scioperi emersa nel 2010 non è un fatto casuale, piuttosto rivela gli elementi problematici delle politiche cinesi sul lavoro.
“La contraddizione fra capitale e lavoro è quella principale nell’economia di mercato cinese. Se il governo non interverrà fondando una normativa di base sui rapporti fra capitale e lavoro ma continuerà a seguire queste politiche, la società cinese conoscerà problemi molto grandi”. Secondo Chang Kai negli ultimi dieci anni le controversie sul lavoro sono cresciute di circa il 30%, ben oltre la crescita del Pil, e questi sono dati raccolti dal ministero del lavoro; a guardare bene, le controversie che non sono rientrate nelle statistiche farebbero arrivare a una percentuale impressionante.
Secondo molti economisti, dal 1978 il capitale maggiore della Cina è stata ed è la vasta forza lavoro; proprio per questo sacrificare diritti e interessi dei lavoratori per lo sviluppo economico è una strada obbligata per un paese che si sta sviluppando nel percorso della modernizzazione. Le politiche del lavoro degli ultimi 30 anni hanno seguito questa linea di pensiero. La revisione della costituzione del 1982 ha eliminato il diritto di sciopero motivando tale decisione con il fatto che, in un sistema socialista, semplicemente non ci possono essere scioperi.
E’ seguita la trasformazione del sindacato. Anche se oggi il sistema del sindacato occupa ancora un posto politico alto, il suo presidente è infatti un membro del comitato politico centrale, tuttavia la base è diventata di fatto un “sindacato giallo”. Durante lo sciopero alla Honda a Nanhai all’inizio di Giugno, il sindacato locale ha fatto violenza contro gli operai e diviso lo sciopero, cosa che spiega bene il senso di “sindacato giallo”.
“la considerazione popolare dei sindacati e’ molto bassa, la loro capacità di difesa dei diritti debole, e ciò è il risultato necessario della configurazione istituzionale” [...]
La forza degli operai
Ancora per un lungo periodo in futuro, l’ondata degli scioperi sarà il problema maggiore per l’economia cinese.
Secondo Pun Ngai, di fronte a questa situazione problematica, la mediazione del diritto e il miglioramento della qualità della produzione, non sono il percorso risolutivo. “Bisogna tornare a riflettere sul modello di produzione capitalistico, cercare modelli ed esperienze nella pratica del socialismo del passato”. Pun Ngai dice che i paesi capitalisti occidentali hanno attraversato la fase della contraddizione fra capitale e lavoro senza una rivoluzione sociale perché le multinazionali hanno trasferito le imprese produttive di bassa qualità nei paesi del terzo mondo. Se guardiamo alla divisione internazionale de lavoro dalla Cina fino a oggi, sembra quasi che essa sia bloccata, senza spazio alcuno per ulteriori trasferimenti. Si può dire, dal punto di vista cinese, che per un lungo tempo ancora, non ci sarà modo di fare a meno di quegli operai della produzione dei settori di bassa qualità, e non si potrà sorvolare sopra al diritto di vivere di questa grande massa.
Nello sciopero della Honda di Nanhai, i lavoratori hanno reso pubblica una lettera sottoscritta da tutti, in cui si legge: “la lotta per i nostri diritti non è solo per i diritti e gli interessi dei 1800 operai di questa fabbrica, a noi stanno a cuore i diritti e gli interessi di tutti gli operai cinesi. Speriamo di aver dato un esempio positivo per i diritti degli operai”.
Il risveglio dei lavoratori, per questo paese, non è un fatto negativo, ogni strato sociale lotta per i propri interessi e diritti favorendo e formando una grande forza che va nella direzione di un paese giusto ed equo.
Link dell`articolo originale in cinese: http://www.nfcmag.com/articles/2162
Traduzione a cura di Diego Gullotta

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!