La fotografia degli uomini e donne arrestati alla vigilia di natale a Diyarbakir e in tante altre città kurde parla da sola: in fila, in manette. Sono sindaci, amministratori e amministratrici locali, democraticamente eletti dal popolo. Sono attivisti per i diritti umani, avvocati, sindacalisti. Sono ex deputati... Sono uomini e donne kurde che il governo e più ancora 'lo stato' turco non tollera. Non li sopporta perché sono uomini e donne che vogliono la pace. Ma non si limitano a chiederla, la praticano, o cercano di farlo, tra un arresto e un altro, tra un periodo in carcere e un altro, tra un processo e un altro. Sono uomini e donne per i quali praticare la pace vuol dire incessantemente lavorare ogni giorno per una soluzione negoziata a un conflitto che insanguina la Turchia dal 1984 (nella sua ultima fase). Fare, costruire pace, significa proporre, continuare a parlare di soluzione, di dialogo, di negoziato anche quando l'unica risposta che arriva da parte dei poteri forti, che siano essi legati allo stato (che ha un volto pubblico e uno segreto) o al governo attuale, islamico moderato, guidato da un premier, Recep Tayyip Erdogan che fino a questo momento si è dimostrato incapace (e forse in fondo nemmeno vuole) di porre davvero all'ordine del giorno la questione kurda. Che vuol dire la questione di un terzo della popolazione della Turchia. Tanti sono i kurdi, e non chiedono un nuovo stato, ma di essere riconosciuti come pari cittadini, portatori di pari diritti.
Questi arresti sono un altro atto della guerra senza esclusione di colpi che lo stato (nella sua declinazione pubblica e segreta) e - fino a prova contraria - il governo Akp ha ingaggiato con i kurdi, con chi li rappresenta (e viene legalmente e democraticamente votato). Una guerra che certo non è cominciata ieri. L'esercito manovra la politica in Turchia: tre colpi di stato in sessant'anni ne sono la prova. Ma ce ne sono tante altre di prove. Esercito spesso significa poteri segreti dello stato. La Turchia di questi poteri forti non riesce a liberarsi. Nonostante gli sforzi della società civile. All'Europa importa poco di questi sforzi, più preoccupata a trovare un accordo rattoppato che le faccia dire che tutto va bene, che i diritti umani sono (più o meno) rispettati e quindi si può andare ad arraffare quanto si può in questo nuovo importante mercato... la porta con l'oriente, con l'Asia.
Scriviamo qui sotto l'elenco degli uomini e donne per i quali è stato confermato l'arresto: 23 tra sindaci (come il sindaco di Sur), attivisti per i diritti umani (il presidente dell'associazione diritti umani di Diyarbakir (Muharrem Erbey), e tanti altri amministratori e sindacalisti.
Una lista di nomi. Per noi una lista di amici e amiche che da anni si battono per una Turchia in cui kurdi e turchi possano vivere in pace, una pace giusta e duratura, dove i diritti siano riconosciuti a tutti. Dove non esistano cittadini di serie A e di serie B. A loro, e a quanti in Turchia si battono per la democrazia e la pace, va la nostra solidarietà.
Hatip Dicle, Firat Anli, Abdullah Demirbas, Zülküf Karatekin, Ali Simsek, Nejdet Atalay, Aydin Budak, Muharem Erbey, Ferhan Türk, Etem Sahin, Leyla Güven, Emrullah Cin, Hüseyin Kalkan, Abdullah Akengin, Yasar Sari, Nadir Bingöl, Cebrail Kurt, Fethi Süvari, Ramazan Debe, Abbas Çelik, Ahmet Makas, Kazim Kurt, Takibe Turgay