di Christian Elia
21 / 3 / 2011
Il secondo giorno delle operazioni militari sui cieli della Libia (dibattito aperto sul nome: Odissea all'alba o Alba dell'odissea?) passa tra il frastuono delle bombe e nella bulimica ricerca di notizie dei media generalisti.
Prigionieri della propaganda. Misurata, per esempio. Durante l'avanzata furiosa delle truppe lealiste, nei giorni scorsi, la città libica era scomparsa dalle cronache, superata dal conto alla rovescia del cammino verso Bengasi capitale dei ribelli. Data per conquistata dagli uomini di Gheddafi, si scopre oggi che si combatte ancora, il governo di Tripoli la proclama oggi di nuovo conquistata. Una situazione spinosa, un ginepraio dove è difficile riconoscere la verità.
Un effetto immediato, e temuto, è la reazione della popolazione di Tripoli e, in generale, della Tripolitania. Migliaia di persone, armate nei depositi lasciati aperti dai militari di Gheddafi, sono in piazza, pronti a difendere il loro leader dall'invasione esterna. Un classico, da queste parti. Non sarà facile bombardare zone chiave, sapendo di colpire tutti, anche civili con un kalashnikov.
Un altro effetto delle bombe, previsto anche questo, è la sequela dei distinguo. Comincia la Lega Araba che, pur partecipando alla riunione di ieri di Parigi, oggi scopre di non aver votato proprio un bombardamento sulla città. Di cosa hanno discusso, allora? Hanno atteso che Amr Moussa, candidato presidente in Egitto e attuale segretario generale della Lega, andasse in bagno per votare? Non basta, arrivano anche gli scetticismi di Cina e Russia. Astenuti in Consiglio di Sicurezza e oggi scettici. Ma allora per quale motivo non hanno posto il veto quando si votava la risoluzione 1973?
Una risposta arriva dalla Turchia, da anni impegnata a ridisegnare il suo ruolo geopolitico, volto a diventare da uno stato satellite dell'Occidente un attore protagonista, ponte tra mondo islamico ed Europa. Il governo di Ankara, oggi, ha chiesto di rivedere le regole d'ingaggio.
Un bel problema, dopo soli due giorni di bombardamenti. Come se qualcuno si fosse illuso che una no fly zone sia un pranzo di gala. L'ammiraglio Mike Mullen, coordinatore del comando interforze Usa, annuncia oggi che i presupposti per l'imposizione della no fly zone sono stati già raggiunti. Finita, quindi? Evidentemente no, al punto che gli alleati sono un po' sorpresi. Come sono stati colti di sorpresa gli stessi statunitensi, bruciati sul tempo dal primo attacco francese.
Gheddafi minaccia e, intanto, gioca le carte da prestigiatore che lo hanno sempre caratterizzato. Annuncia fuoco e fiamme, ma mentre si nasconde proclama il cessate il fuoco unilaterale e chiede una riunione d'urgenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Puntando alle divisioni interne agli alleati, mettendoli in imbarazzo come sempre di fronte alla parola 'guerra' e sapendo che - come tutti gli interventi militari della guerra umanitaria - il diritto internazionale avrebbe moto da dire a riguardo.
Lo stesso presidente italiano Napolitano, oggi, ha dato il via al balletto delle definizioni imbarazzanti per non usare la parola 'guerra', come in un gioco di società. Il governo, nel dubbio, va alla guerra e i primi caccia bombardieri italiani muovono per prendere parte ai bombardamenti mentre un pezzo importante dell'esecutivo, la Lega Nord, rende la peggior immagine del provincialismo italiota preoccupandosi dei migranti e del suo elettorato.
Un natante italiano, intanto, è stato sequestrato da un gruppo di libici armati, dopo essere arrivati in Libia per un servizio di assistenza alle compagnie petrolifere. Nessuno sa dov'è, nessuno dove fa rotta e dove si dirige.
La sensazione è che la crisi non sarà di breve durata. La mancanza dell'opzione dell'attacco via terra rende i tempi lunghi. Anche annichilita la contraerea di Gheddafi e dei suoi mezzi d'assalto, la guerriglia sul terreno può durare mesi, pur sapendo che i ribelli - appena si saranno riorganizzati e magari verranno riarmati dagli alleati - proveranno a riprendere le posizioni perdute.
Prigionieri della propaganda. Misurata, per esempio. Durante l'avanzata furiosa delle truppe lealiste, nei giorni scorsi, la città libica era scomparsa dalle cronache, superata dal conto alla rovescia del cammino verso Bengasi capitale dei ribelli. Data per conquistata dagli uomini di Gheddafi, si scopre oggi che si combatte ancora, il governo di Tripoli la proclama oggi di nuovo conquistata. Una situazione spinosa, un ginepraio dove è difficile riconoscere la verità.
Un effetto immediato, e temuto, è la reazione della popolazione di Tripoli e, in generale, della Tripolitania. Migliaia di persone, armate nei depositi lasciati aperti dai militari di Gheddafi, sono in piazza, pronti a difendere il loro leader dall'invasione esterna. Un classico, da queste parti. Non sarà facile bombardare zone chiave, sapendo di colpire tutti, anche civili con un kalashnikov.
Un altro effetto delle bombe, previsto anche questo, è la sequela dei distinguo. Comincia la Lega Araba che, pur partecipando alla riunione di ieri di Parigi, oggi scopre di non aver votato proprio un bombardamento sulla città. Di cosa hanno discusso, allora? Hanno atteso che Amr Moussa, candidato presidente in Egitto e attuale segretario generale della Lega, andasse in bagno per votare? Non basta, arrivano anche gli scetticismi di Cina e Russia. Astenuti in Consiglio di Sicurezza e oggi scettici. Ma allora per quale motivo non hanno posto il veto quando si votava la risoluzione 1973?
Una risposta arriva dalla Turchia, da anni impegnata a ridisegnare il suo ruolo geopolitico, volto a diventare da uno stato satellite dell'Occidente un attore protagonista, ponte tra mondo islamico ed Europa. Il governo di Ankara, oggi, ha chiesto di rivedere le regole d'ingaggio.
Un bel problema, dopo soli due giorni di bombardamenti. Come se qualcuno si fosse illuso che una no fly zone sia un pranzo di gala. L'ammiraglio Mike Mullen, coordinatore del comando interforze Usa, annuncia oggi che i presupposti per l'imposizione della no fly zone sono stati già raggiunti. Finita, quindi? Evidentemente no, al punto che gli alleati sono un po' sorpresi. Come sono stati colti di sorpresa gli stessi statunitensi, bruciati sul tempo dal primo attacco francese.
Gheddafi minaccia e, intanto, gioca le carte da prestigiatore che lo hanno sempre caratterizzato. Annuncia fuoco e fiamme, ma mentre si nasconde proclama il cessate il fuoco unilaterale e chiede una riunione d'urgenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Puntando alle divisioni interne agli alleati, mettendoli in imbarazzo come sempre di fronte alla parola 'guerra' e sapendo che - come tutti gli interventi militari della guerra umanitaria - il diritto internazionale avrebbe moto da dire a riguardo.
Lo stesso presidente italiano Napolitano, oggi, ha dato il via al balletto delle definizioni imbarazzanti per non usare la parola 'guerra', come in un gioco di società. Il governo, nel dubbio, va alla guerra e i primi caccia bombardieri italiani muovono per prendere parte ai bombardamenti mentre un pezzo importante dell'esecutivo, la Lega Nord, rende la peggior immagine del provincialismo italiota preoccupandosi dei migranti e del suo elettorato.
Un natante italiano, intanto, è stato sequestrato da un gruppo di libici armati, dopo essere arrivati in Libia per un servizio di assistenza alle compagnie petrolifere. Nessuno sa dov'è, nessuno dove fa rotta e dove si dirige.
La sensazione è che la crisi non sarà di breve durata. La mancanza dell'opzione dell'attacco via terra rende i tempi lunghi. Anche annichilita la contraerea di Gheddafi e dei suoi mezzi d'assalto, la guerriglia sul terreno può durare mesi, pur sapendo che i ribelli - appena si saranno riorganizzati e magari verranno riarmati dagli alleati - proveranno a riprendere le posizioni perdute.
Christian Elia
Tratto da: PeaceReporter