Primavera tunisina
Mentre riesplodono le piazze tunisine e in attesa del seminario Euro-med che si svolgerà a Roma giovedì 12 e venerdì 13 maggio, Fabio Merone, attivista di Assopace che da otto anni vive e lavora a Tunisi, ci aiuta a comprendere la rivoluzione permanente che sta segnando il Maghreb. Un primo articolo, a cui ne seguiranno altri e a cui, progressivamente, accompagneremo interviste e cronache di quanto sta accadendo in questi giorni.
Bisogna aver vissuto una dittatura per capire la forza del pensiero unico. Il pensiero è importante, l’ideologia altrettanto. Una dittatura non è un carro armato che ti punta la sua canna davanti al muso per farti tacere. E’ la costruzione di un sistema di pensiero, prima di tutto. Non si pensi che i tiranni non agiscano in base ad una legittimità. Finché esiste un sistema autoritario esiste una società che, nella migliore delle ipotesi, ne è complice.
In Tunisia, per riuscire ad avere una mente critica, dovevi essere studente universitario (preferibilmente di filosofia o di lingua e letteratura o di scienze politiche, o diritto), o per qualche ragione incontrare i gruppuscoli della grande famiglia marxista-leninista, molti dei quali si nascondevano nelle strutture del grande sindacato (UGTT). In quel caso rischiavi però di essere fagocitato dentro un mondo extra-terrestre rispetto alla realtà sociale del tuo paese. E allora se stavi a Tunisi, nella capitale, ti capitava di passare le tue ore libere ad elaborare teorie di dipendenza dei paesi del terzo mondo dal capitale internazionale ed imperialista.
Il tunisino medio viveva di ben altro, e la sua soggettività di classe, di ceto, di sottoproletario o piccolo borghese, si alimentava di cose diverse. La piccola e media borghesia delle città costiere era imbevuta di un proprio mito che andava d’accordo con quello del potere. Potremmo dire, che un’intera classe sociale si era costruita una lettura del mondo, ed il potere, rozzo quanto si voglia, se ne faceva garante. Sfido chiunque a contestare questa interpretazione. La propaganda elabora questa banale ma geniale categoria: “il modello tunisino”.