venerdì 12 ottobre 2012

Bosnia - Trionfo della destra nazionalista

Una sindaca serba per Srebrenica?

di Riccardo Bottazzo
Ancora, la storia non ha insegnato niente. Le elezioni amministrative di domenica scorsa in Bosnia Erzegovina hanno registrato la netta affermazione dei partiti etnici di destra. Nelle Repubblica Srpska, l'Alleanza Socialdemocratica (Snds) di Milorad Dodik al governo del Paese, è riuscita a mantenere per un pugno di voti solo Banja Luka ma dovuto abdicare in circa metà dei municipi dove governava a favore dei candidati dell‘Sds, il partito nazionalista filo serbo, che durante il conflitto era guidato da Radovan Karadzić. Speculare il risultato nella Federazione Croato-Musulmana che con la Repubblica Srpska, compone la Bosnia Erzegovina. Anche in casa musulmana, gli elettori hanno premiato i partiti della destra etnica. Il partito di ispirazione islamica Azione democratica (Sda), ha trionfato in 38 dei 78 Comuni della Federazione chiamati al voto.  Stesso discorso nei territori croati, dove i nazionalisti dell’Unione Democratica (Hdz), pur con percentuali leggermente più basse rispetto al passato, hanno confermato di essere la maggioranza del paese. Tirando due somme sugli ultimi dati forniti della commissione elettorale governativa, su 138 dei 141 Comuni fino ad ora scrutinati in tutto il Paese, le tre destre etniche hanno conquistato il 55% dei voti. La Sda musulmana ha conquistato 34 sindaci, la SDS serba 27, la HDZ croata 14. Come dire che i serbi hanno votato per i serbi, i musulmani per i musulmani e i croati per i croati. Pressapoco lo stesso risultato ottenuto nelle prime elezioni libere degli anni ’90. Poco dopo il dissolvimento della Jugoslavia. Poco prima della guerra civile. Un passo indietro di oltre vent'anni.
Grandi sconfitti i due partiti di governo, i Socialdemocratici Multietnici (Sdp) - la sola grande formazione politica transnazionale - e l'Alleanza Socialdemocratica Serba di ispirazione putiniana che ha pagato le spese di una politica economica disastrosa basata su privatizzazioni e tagli al welfare. Val la pena di sottolineare il risultato a sorpresa del “Berlusconi di Bosnia”, Fahrudin Radončić, magnate dell’informazione, che è riuscito a piazzare un suo sindaco nella Sarajevo federale, pur se nel resto del Paese il suo partito si attesta su percentuali molto basse. Buona nel complesso l’affluenza al voto che si attesta sul 56% per quanto riguarda la Federazione e sul 59% per la Republika Srpsk. In entrambi i casi, di un paio di punti sopra la percentuale delle precedenti consultazioni. Male invece le liste civiche e di movimento, come gli anti-nazionalisti di Naša Stranka, il partito fondato dal regista Danis Tanović. Cocente sconfitta anche per Zdravko Krsmanović, oramai ex sindaco di Foča, che aveva cercato di portare avanti un coraggioso programma di riconciliazione nazionale in questa cittadina che fu teatro di atroci crimini di guerra e una delle roccaforti di un nazionalismo di ispirazione fascista. 
Capitolo a parte per Srebrenica, che non caso è uno dei tre Comuni dove il risultato non è ancora stato ufficializzato. I due candidati, Ćamil Dukarović sindaco uscente musulmano e la sfidante serba Vesna Kočević, combattono sul filo di poche decine di voti. Qualche casa in croce incastrata in una gola stretta e profonda, con i muri ancora scrostati dalle pallottole, due chiese dove sventola l’aquila serba e due moschee dove gli fa eco la mezzaluna islamica. Srebrenica è tutta qua. Le sue amministrative si meriterebbero appena due righe sul giornale locale se non fosse che durante la guerra il paese è stato teatro di uno dei più atroci genocidi della recente storia europea. Genocidio che i partiti nazionalisti serbi si sono sempre rifiutati di ammettere. La stessa candidata Vesna Kočević, nell'inutile tentativo di smorzare lo scandalo di una sua possibile elezione, ha più volte dichiarato che lei non intende alimentare il “negazionismo”. Anzi, lei non ha difficoltà ad ammettere che durante il conflitto a Srebrenica “furono perpetuati da entrambe le parti molti crimini”. Crimini appunto. E “da entrambe le parti”. Ma definire “crimine” il massacro  premeditato di oltre 8 mila civili musulmani, disarmati ed innocenti, è come affermare che il mostro di Firenze era un mattacchione.
Sarà lei, una serba nazionalista, la prossima sindaca del paese dove, per raggiungerlo, bisogna attraversare la spianata coperta di tombe islamiche del memoriale di Potočari?
A cinque giorni dal voto, ancora non ci sono certezze. Lo soglio prosegue nella massima lentezza. Una lentezza che non può non alimentare qualche sospetto. 
Srebrenica non ha mai avuto un sindaco serbo. Prima del genocidio, la comunità musulmana era l’80% della popolazione e non aveva difficoltà ad esprimere un suo sindaco. Ma oggi la maggior parte della popolazione rimasta è di etnia serba. I musulmani sopravvissuti ai massacri sono scappati in paesi controllati dalla Federazione. 
Neanche a farlo apposta, una recente legge nazionale consente il voto solo ai residenti registrati nelle locali liste elettorali. I musulmani della diaspora sono stati quindi tagliati tutti fuori dal voto. “E’ come se avesse vinto il genocidio - ha commentato Ćamil Dukarović -. Prima ci hanno massacrati, poi buttati fuori dalle nostre terre e ora ci impediscono anche di votare”. Durante la campagna elettorale, Dukarović si è dannato l’anima nel contattare personalmente tutti i musulmani che abitavano a Srebrenica per chiedere loro di registrarsi nelle liste elettorali del paese. Ma che ce l’abbia fatta a tenere il Comune è ancora tutto da verificare. Le urne di Srebrenica, come era da prevedersi, hanno assegnato la vittoria alla candidata serba (3.400 voti contro 2.900) ma le schede che stanno arrivando per posta stanno lentamente spostando l’ago della bilancia verso il bosniacco. Al momento in cui scrivo, Dukarović ha annunciato la sua vittoria dal suo sito internet, mentre alcuni lanci di agenzie internazionali concordano nell'assegnare la maggioranza dei voti alla serba. 
Ma comunque vadano le cose, è chiaro che i veri vincitori sono i partiti della destra nazionalista e che in Bosnia ogni ipotesi di riconciliazione è stata sotterrata prima ancora di imparare a respirare. La politica del genocidio ha ottenuto il suo scopo.

martedì 9 ottobre 2012

Grecia - Proteste contro la visita della Merkel


Centinaia di piccoli e grandi cortei continuano ad arrivare al cuore di Atene, una città militarizzata per ricevere Angela Merkel, il giorno dopo la riunione dell’Eurogruppo e dieci giorni prima del Consiglio Europeo, dove il problema greco insieme con il resto dei problemi dei paesi del Sud Europa, Spagna e Italia comprese, rischiano di far saltare l’euro e l’architettura della Europa neoliberale.
Merkel è stata ricevuta dal primo ministro greco Samaras con tutti gli onori dovuti. Non è mancato nemmeno il tappeto rosso. Samaras ha ricevuto la Merkel nel palazzo del governo, che si trova a poche centinaia di metri dal parlamento e da piazza Syntagma. Samaras aspetta da Merkel il suo sostegno ai nuovi tagli di quasi 14 miliardi e un messaggio dalla cancelliere tedesca per la vivibilità del debito greco e la riuscita del suo governo tripartito. Samaras dovrà passare la prova di fuoco dal parlamento, dove teme di perdere il sostegno forte che gli garantivano i voti dei socialisti di Pasok e quelli della moderata Sinistra Democratica. Il Pasok sembra morto e sepolto dopo l’ultimo scandalo del suo leader Venizelos, che praticamente aveva protetto gli evasori fiscali della “Lista Falciani” o meglio la “Lista Lagarde”, come è nota di più ad Atene, e le forte resistenze di una parte della Sinistra Democratica di votare a favore dei tagli e rimanere nel governo.
Non ci sono dubbi che Samaras avrà il voto del parlamento, ma il problema è quanti avranno il coraggio a votare ii tagli.
Ieri la Grecia non era un paese normale, come volevano fare credere le sue televisioni trasmettendo i soliti programmi di intrattenimento. Dopo aver coltivato la paura per chi voleva esprimere il suo dissenso alla visita di Merkel, facendo una allucinante pubblicità dei nuovi mezzi di repressione che si era fornita la polizia le televisioni controllate dallo stato e dai costruttori, armatori e banchieri che hanno affondato il paese hanno preferito le trasmissioni sportive e gli stupidi giochi per offrire almeno nella periferia greca una immagine di assoluta tranquillità.
Una gran parte degli ateniesi sa molto bene che la città è militarizzata da una esercito di almeno settemila poliziotti, venuti da ogni parte del paese, le strade piccole e grandi erano bloccate chilometri lontano da piazza Syntagma, l’ambasciata tedesca o l’albergo vicino dove è stata la Merkel.
Centinaia di migliaia di ateniesi però hanno camminato chilometri per arrivare al centro. Gente e cortei si sono divisi subito dopo. La maggior parte si era spinta a piazza Syntagma, per partecipare alla manifestazione delle centrali sindacali e le forze della sinistra “plurale”. Una piccola parte si era spinta a piazza Omonoia per partecipare alla manifestazione del PAME, la specie di sindacato dentro i sindacati che controllano i comunisti ortodossi del Kke di Papariga. Gli atri due partiti di sinistra radicale, Syrtiza e Antarsya, avevano chiamato la gente a partecipare alla manifestazione in piazza Syntagma.
Di fatto piazza Syntagma è diventata gli ultimi due giorni il centro della protesta. Decine di cortei continuano ad arrivare alle 2 passate, mentre la piazza ha ricevuto con un grande applauso il corteo dei lavoratori della compagnia elettrica DEH, che dai loro megafoni trasmettevano canzoni di resistenza interrotte dalla ultima trasmissione della Radio di Atene prima della occupazione della città da parte dell'esercito nazista:
“Qui parla la ancora libera Atene. Greci. L’invasore tedesco si trova alle porte di Atene. Fratelli tenete bene dentro la vostra anima lo spirito del fronte. L’invasore entra ad Atene con tutte le precauzioni nella città deserta di Atene che ha tutte le sue case chiuse. Attenzione: Greci tra poco questa Radio di Atene non sarà greca ma tedesca e trasmetterà bugie. Greci non ascoltatela. La nostra guerra continua e continuerà fino alla vittoria finale”.
Gli amici di Merkel avevano però già cominciato a tirare gas e ad attaccare i manifestanti di piazza Syntagma. Un nuovo ciclo di resistenza ...

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!