venerdì 19 ottobre 2012

Africa - Europa, Usa, Cina, Ruanda: il Congo è terra di conquista


Rivoluzionario o signore della guerra? Kakule Sikula Lafontaine è l’ambiguo generale a capo del gruppo ribelle dei Mayi-Mayi nella zona settentrionale del Nord Kivu, Repubblica Democratica del Congo (Rdc).
È sulla breccia, pur con alterne fortune, da oltre dieci anni e già questo ne testimonia le capacità diplomatiche. Nel 2002 partecipò alla Conferenza di Sun City (Sudafrica), dove le diverse fazioni in lotta si confrontarono sul futuro della Rdc, senza tuttavia raggiungere soluzioni definitive. Oggi Lafontaine è un personaggio meno pittoresco di quando indossava (e faceva indossare ai suoi uomini) gli abiti della tradizione locale, mutuandone anche metodi di combattimento e riti d’iniziazione. Veste in grigioverde militare e la sua scorta è armata di kalashnikov.
Lafontaine e il suo gruppo si sono macchiati di nefandezze e soprusi nei confronti della popolazione del Nord Kivu: in molti, tuttavia, continuano a riporre in loro gran parte delle proprie speranze di pace, e gli incaricati dell’Onu considerano il generale un possibile strumento di stabilizzazione dell’area. Il territorio su cui si muove la banda di Lafontaine, il Nord Kivu, è popolato in prevalenza dalla tribù Nande, la stessa da cui provengono i suoi membri. È tra le regioni più ricche di risorse al mondo (qui si trovano in abbondanza oro, diamanti, coltan, cassiterite, legname e acqua), eppure i suoi abitanti vivono di mera sussistenza. La Rdc, con 400 $ annui, ha l’infausto primato del pil pro capite più basso del pianeta.
Da qualche mese il “Movimento 23 marzo” (M23) - gruppo ribelle a maggioranza tutsi, sospettato di forti contiguità con il Governo ruandese e guidato da Bosco Ntaganda, ricercato dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra - ha occupato militarmente diverse zone del Nord Kivu, proponendosi come interlocutore politico e nominando un proprio gabinetto il 19 agosto. In questa fase si assiste a una temporanea quando paradossale convergenza di interessi tra l’M23 e i Mayi-Mayi di Lafontaine: entrambi i gruppi, pur con obiettivi diversissimi, vorrebbero infatti rovesciare l’attuale presidente Joseph Kabila, la cui posizione sarebbe ormai compromessa agli occhi della comunità internazionale. A fine agosto Lafontaine ha incontrato nel mezzo della foresta pluviale, nel territorio di Lubero, alcuni emissari dell’Onu, impegnati nel progetto Ddrrr (finalizzato all’individuazione, al disarmo e al rimpatrio dei combattenti stranieri sia nel Nord che nel Sud Kivu).
Di seguito l’intervista concessa al termine del colloquio con le Nazioni Unite.

Guatemala - L'esercito fa strage di indigeni


Le "scuse" del Presidente e l'apertura del processo.


di Fabrizio Lorusso

Il Guatemala dell’ex generale e attuale presidente Otto Pérez Molina rivive l’incubo della violenza e della repressione. Come ai tempi della guerra civile, iniziata nel 1960 e conclusasi nel 1996 con gli accordi di pace tra la guerriglia e il governo, il 4 ottobre scorso membri dell’esercito, che coadiuvavano la polizia nel controllo di una manifestazione popolare pacifica, hanno sparato sulla folla. I manifestanti appartenevano alla comunità centromeridionale di Totonicapan, situata 170 km a nord-ovest dalla capitale Ciudad de Guatemala e formata in prevalenza da indigeni di etnia Maya-Quiché. La notizia è preoccupante e gravissima, ma è passata quasi inosservata in Italia (segnalo un buon pezzo su PeaceLink), soprattutto tra i mass media tradizionali. 8 morti e 35 feriti da arma da fuoco: questo il saldo della strage che è avvenuta in una zona trafficatissima e molto conosciuta, l’incrocio di “4 caminos” tra le località turistiche di Hehuetenango, Chichicastenango, il Lago Atitlán e Quetzaltenenago.
Che cosa stavano facendo i “sediziosi” manifestanti? Incendiavano e occupavano prigioni, caserme o palazzi del governo? Improvvisavano un colpo di stato con milizie popolari inferocite e sanguinare al seguito? Gridavano alla rivoluzione armata e alla decapitazione dei caudillos o dei loro governanti? No. Stavano manifestando pacificamente contro l’aumento delle tariffe elettriche, una vera piaga sociale in un paese semi-colonizzato da compagnie straniere in particolare nel settore energetico e in quello minerario, e contro alcune politiche governative. Alle mobilitazioni avevano aderito anche altri settori della popolazione, oltre a indigeni e contadini: c’erano commercianti, impiegati e docenti, tra gli altri. Come succede in qualunque altra società, una comunità di abitanti della regione mostrava il proprio dissenso mentre alcuni loro delegati, rappresentanti dei 48 cantoni in cui si divide il Comune, si trovavano proprio seduti a un tavolo di negoziazione con il governo, rappresentato dal delegato Miguel Ángel Balcárcel, nella capitale.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!