giovedì 14 febbraio 2013

Messico - ELLOS Y NOSOTROS. VI.- LAS MIRADAS - Quinta parte



5.- Guardare la notte in cui siamo.

(Dalla luna nuova al quarto di luna crescente)

Molte lune fa: luna nuova, appena spuntata, affacciata per guardare le ombre di sotto, ed allora …

Arriva él-somos [lui-siamo]. Senza bisogno di documenti da consultare o d’appoggio, la sua parola disegna gli sguardi di chi comanda e di chi ubbidisce. Alla fine, guardiamo.

Il messaggio dei popoli è chiaro, breve, semplice, contundente. Come devono essere gli ordini.

Noi, soldat@, non diciamo nulla, guardiamo soltanto e pensiamo: “È una cosa molto grande. Questo non è più solo nostro, né solo dei popoli zapatisti. Nemmeno è soltanto di questo luogo, di queste terre. 

Appartiene a molti luoghi, di tutti i mondi”.

- Bisogna prepararlo – diciamo todas-somos [tutte-siamo], e sappiamo che parliamo di quello, ma anche di él-somos [lui-siamo].

- Verrà bene… ma bisogna prepararsi perché riesca male, come di solito facciamo noi – diciamo todos-somos [tutti-siamo].

- Dunque, bisogna prepararla – ci diciamo todas-somos [tutte-siamo],averne cura, farla crescere.

- – ci rispondiamo todos-somos [tutti-siamo].

- Bisogna parlare con i nostri morti. Loro ci indicheranno il tempo e il luogo – diciamo, ci diciamo todas-somos [tutte-siamo].

Guardando i nostri morti, in basso, li ascoltiamo. Portiamo loro la pietruzza. La portiamo ai piedi della loro casa. La guardano. Li guardiamo guardarla. Ci guardano e portano il nostro sguardo molto lontano, dove non arrivano né i calendari né la geografia. Guardiamo quello che il loro sguardo ci mostra. 

Tacciamo.

Torniamo, ci guardiamo, ci parliamo.

- Bisogna occuparsene a lungo, preparare ogni passo, ogni precauzione, ogni dettaglio… richiederà tempo.

- Bisognerà fare qualcosa perché non ci vedano e poi perché ci vedano.

- Di per sé non ci vedono, o vedono quello che credono di vedere.

- Ma bisogna fare qualcosa… E’ il mio turno.

 - Che él-somos [lui-siamo] si curi di ciò che è dei popoli. Todos-somos [tutti-siamo] ci occupiamo di ciò su cui vigilare, per bene, sommessamente, in silenzio, come si deve.
-*-
  Poche lune fa, pioveva …

- Già fatto? Pensavamo che ci avresti messo più tempo.

- Vero, ma è andata così.

- Ora però stai bene attento a quello che ti chiediamo: Vogliono che tornino a guardarli?

- Lo vogliono, si sentono forti, sono forti. Dicono che questo è di tutti, di tutte, di nessuno. Sono pronti, sono pronte, dicono.

- Ma, ti rendi conto che non ci guarderanno solo quelli che sono come siamo, ma anche i Prepotenti di ogni parte che odiano e perseguono quello che siamo?

- Sì, lo mettiamo in conto, lo sappiamo. E’ il nostro turno, il tuo turno.

- Bene, mancano solo il luogo e la data.

- Qui – e la mano indica il calendario e la geografia.

- Lo sguardo che provocheremo con questo non sarà più di pena, di compassione, di carità, di elemosina. Ci sarà allegria in coloro che sono come siamo, ma rabbia e odio tra i Prepotenti. Ci attaccheranno con ogni mezzo.

- Sì, gliel’abbiamo detto. Si sono guardati ma hanno detto: “Vogliamo guardare e guardarci con quelli che siamo, anche se non sappiamo né sanno che sono quello che siamo. Vogliamo che ci guardino. Siamo preparati, siamo preparate per i Prepotenti, siamo pronti, siamo pronte”.

- Allora, quando, dove? – si mettono sul tavolo calendari e mappe.

 - Di notte, quando si avvicina l’inverno.

- Dove?

- Nel loro cuore.

- Tutto pronto?

- Sì, pronto.

- Ok.

Ognuno al suo posto. Solo una stretta di mani. Non c’è stato bisogno d’altro.
-*-
  Alcune notti fa, la luna svelata e slavata …

Ecco. Ci sono quello che guardiamo. La parte successiva toccherà ad altri sguardi. Tocca a te – diciamo a él-somos [lui-siamo].

- Sono pronto – dice él-somos [lui-siamo].

Todos-somos [tutti-siamo] assentiamo in silenzio, come facciamo di solito.

- Quando?

- Quando i nostri morti parlano.

- Dove?

- Nel loro cuore.
-*-
Febbraio 2013. Notte. Luna crescente. La mano che siamo scrive:

“Compagnie, compagne e compagni della Sexta:

  Vogliamo presentarvi uno dei molti lui(él) che siamo, il nostro compagno Subcomandante Insurgente Moisés. Egli vigila la nostra porta e con la sua parola parliamo anche i tutti e tutte che siamo. Vi chiediamo di ascoltarlo, cioè, di guardarlo e così guardarci. (…)

 (continua…)

 Da qualunque luogo in qualunque mondo.

SupMarcos
Pianeta Terra
Febbraio 2013

 P.S. CHE AVVERTE E FORNISCE QUALCHE PISTA: Il testo che apparirà nella pagina elettronica di Enlace Zapatista il 14 febbraio, giorno in cui noi zapatisti, e zapatiste onoriamo e salutiamo le/i nostr@ mort@, è principalmente per i nostri compagni, compagne e compagnie della Sexta. Il testo completo potrà essere letto solo con una password (per la quale sono state fornite diverse piste e che può essere facilmente dedotta) che è già stata inviata per posta elettronica a chi abbiamo potuto. Se non l’avete ricevuta e non indovinate la soluzione, la si può trovare leggendo con attenzione questo testo ed il precedente – “Guardare e comunicare” -), dovete solo mandare una e-mail dalla pagina web, ed al mittente sarà inviata la password. Come abbiamo già spiegato in precedenza, i media liberi sono liberi di pubblicare o no il testo completo secondo il proprio giudizio autonomo e libertario. La stessa cosa vale per ogni compagna, compagno e compagnie della Sexta di qualunque geografia. Il nostro desiderio non è altro che farvi sapere che è a voi che ci rivolgiamo e, in maniera molto particolare, a chi di voi vuole mettersi sull’altro lato del ponte del nostro sguardo.

martedì 12 febbraio 2013

Messico - ELLOS Y NOSOTROS. VI.- LAS MIRADAS - Quarta parte

La traduzione in italiano della quarta parte di ELLOS Y NOSOTROS. VI.- LAS MIRADAS - 

4.- Guardare e comunicare.

Vi racconto qualcosa di molto segreto, ma non andate a spifferarlo in giro… oppure sì, insomma, vedete voi.

Nei primi giorni della nostra insurrezione, dopo il cessate il fuoco, giravano molte voci sull’ezetaelene. Ovviamente, si era sollevato il circo mediatico che la destra normalmente scatena per imporre silenzio e sangue. Alcuni degli argomenti usati allora sono gli stessi utilizzati adesso, il che dimostra quanto poco moderna sia la destra e quanto paralizzato il suo pensiero. Ma non è questo l’argomenti di adesso, e nemmeno lo è quello della stampa.

Vi dico che all’epoca si disse che quella dell’EZLN era la prima guerriglia del XXI° secolo (già, noi che per seminare usavamo ancora la pala, che della coppia di buoi – senza offendere – sapevamo solo per sentito dire, e che avevamo visto il trattore solo in fotografia); che il supmarcos era il guerrigliero cibernetico che, dalla selva lacandona, lanciava nel cyberspazio i proclami zapatisti che facevano il giro del mondo; e che utilizzava la comunicazione satellitare per coordinare le azioni sovversive che si realizzavano in tutto il mondo.

Sì, si dicevano queste cose, ma… compas, già alla vigilia della sollevazione, il “potere cibernetico zapatista” che avevamo era un computer con ancora gli enormi floppy disk con sistema operativo DOS versione meno uno punto uno. Imparammo ad usarlo con un vecchio tutorial, non so se ancora ne esistono, che ti diceva che tasto premere ed una voce, con accento madrileno, ti diceva “Molto bene!“; e se sbagliavi ti diceva “Molto male, idiota, ritenta!“. Oltre ad usarlo per giocare a pacman, l’abbiamo utilizzato per la “Prima Dichiarazione della Selva Lacandona”, che abbiamo riprodotto con una di quelle vecchie stampanti a punto d’inchiostro che faceva più rumore di una mitragliatrice. La carta era a flusso continuo e si inceppava in ogni momento, ma avevamo la carta carbone e riuscivamo a stamparne 2 ogni qualche ora. Abbiamo fatto un sacco di stampe, credo 100. Sono state distribuite ai 5 gruppi di comando che, ore dopo, avrebbero preso le 7 città dello stato sudorientale messicano del Chiapas. A San Cristóbal de Las Casas, che toccò a me prendere, la piazza arresa alle nostre forze, abbiamo incollato ai muri col nastro adesivo le nostre 15 copie. Sì, lo so che i conti non tornano e che sarebbero dovute essere 20, ma le 5 mancanti chissà dov’erano finite.

Bene, quando ci ritirammo da San Cristóbal, all’alba del 2 gennaio 1994, la nebbia umida che copriva il nostro ripiego, staccò i proclami dai freddi muri della superba città coloniale ed alcuni restarono sparsi per le strade.

Anni dopo qualcuno mi raccontò che mani anonime avevano strappato alcuni di questi proclami che conserva gelosamente.

Poi vennero i Dialoghi della Cattedrale. Io allora avevo uno dei quei computer portatili e leggeri (pesava 6 chili senza la batteria), marca La Migaja, 28 ram, voglio dire 128 kilobyte di ram, hard disk da 10 mega, cioè poteva contenere t-u-t-t-o, ed un processore velocissimo che, quando lo accendevi, potevi andare a preparare il caffè, tornavi ed ancora potevi riscaldare per 7 volte il caffè prima di poter cominciare a scrivere. Una figata di macchina. In montagna, per farla funzionare usavamo un trasformatore di corrente collegato alla batteria di un’auto. Poi, il nostro dipartimento di alta tecnologia zapatista progettò un sistema che faceva funzionare il computer con batterie “D”, ma pesavano più del computer e, sospetto, centrino qualcosa con la morte del PC dopo una fiammata, quella sì molto vistosa, ed un fumo che scacciò le zanzare per 3 giorni di seguito. Il telefono satellitare col quale il Sup comunicava con “il terrorismo internazionale“? Un walkie-talkie con portata massima di 400 metri su terreno piano (dovrebbero esserci ancora delle foto del “guerrigliero cibernetico“, già!). Internet? Nel febbraio del 1995, quando l’esercito federale ci inseguiva (e non esattamente per un’intervista), il PC portatile finì nel primo torrente che guadammo, ed i comunicati di quell’epoca si facevano con una macchina da scrivere meccanica prestataci dal commissario ejidale di una di quelle comunità che ci proteggevano.

Questa era la potente attrezzatura ad alta tecnologia che possedevano allora i “guerriglieri cibernetici del XXI° secolo“.

Mi dispiace davvero se, oltre al mio già malconcio ego, distruggo alcune illusioni che sono poi nate da lì, ma era così, proprio come ve lo sto raccontando.
Infine, poco dopo, venimmo a sapere che…

Un giovane studente del Texas, USA, forse un “nerd” (come direste voi), aprì una pagina web che chiamò solo “ezln“. Quella fu la prima pagina web dell’ezln. E questo compa cominciò a “caricare” tutti i comunicati e le lettere che venivano diffusi sulla stampa scritta. Persone di altre parti del mondo che sapeva della sollevazione attraverso foto, immagini video registrate, o attraverso notizie giornalistiche, cercavano lì la nostra parola.

Non abbiamo mai conosciuto quel compa. O forse sì.

Forse qualche volta è venuto in terre zapatiste, come uno dei tanti. Se ci è venuto, non ha mai detto: “sono quello che ha fatto la pagina dell’ezln“. Neanche: “grazie a me sanno di voi in molte parti del mondo“. Tanto meno: “sono qui affinché mi ringraziate ed a prendere omaggi“.

Avrebbe potuto farlo, ed i ringraziamenti sarebbero stati sempre pochi, ma non l’ha fatto.

Forse non lo sapete, ma c’è anche gente così. Gente buona che fa le cose senza chiedere niente in cambio, senza farsi pagare, “senza chiasso”, come diciamo noi zapatist@.

Poi il mondo ha continuato a girare. Sono arrivati compas che ne sapevano di computer e sono state fatte altre pagine web fino a quelle di adesso. Cioè col maledetto server che non funziona come dovrebbe, neanche se gli cantiamo e balliamo “quella del moño colorado” a ritmo di cumbia-corrido-ranchera-norteña-tropical-ska-rap-punk-rock-ballata-popolare.

Anche noi senza tanto chiasso, ringraziamo quel compa: che gli dei tutti e/o il supremo nel quale crede o dubiti o diffidi, lo benedicano.

Non sappiamo che cosa sia stato di questo compa. Forse è un Anonymous. Forse continua a navigare in rete cercando una nobile causa da appoggiare. Forse è disprezzato per il suo aspetto, forse è diverso, forse i suoi vicini, i suoi colleghi di lavoro o di studio lo guardano male.

O forse è una persona normale, una delle milioni che percorrono il mondo senza che nessuno se ne accorga, senza che nessuno le guardi.

E forse questa persona riesce a leggere quello che sto raccontando, e leggere quello che ora le scriviamo:

Compa, ora qua ci sono scuole, dove prima cresceva solo l’ignoranza; c’è cibo, poco ma dignitoso, dove sulle tavole era la fame la sola invitata quotidiana; e c’è sollievo dove l’unica medicina per il dolore era la morte. Non so se te l’aspettavi. Forse lo sapevi. Forse hai visto qualcosa nel futuro in quelle parole che hai rilanciato nel cyberspazio. O forse no, forse l’hai fatto solo perché sentivi che era tuo dovere. Ed il dovere, noi zapatiste e zapatisti lo sappiamo bene, è l’unica schiavitù che si abbraccia per volontà propria.

Noi abbiamo imparato. E non mi riferisco ad imparare l’importanza della comunicazione, o conoscere le scienze e le tecniche dell’informatica. Per esempio, al di fuori di Durito, nessuno di noi è riuscito nella scommessa di fare un comunicato twit. Di fronte ai 140 caratteri non solo sono un incapace, cadendo e ricadendo nelle virgole, (le parentesi), i puntini di sospensione… ci metto un sacco di tempo e non mi bastano i caratteri. Credo che sia improbabile che un giorno ci riesca. Durito, per esempio, ha proposto un comunicato che al limite del twit dice:

123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 1234567890

Ma il problema è che il codice per decifrare il messaggio occupa l’equivalente di 7 tomi dell’enciclopedia “Le Differenze”, che l’umanità intera sta scrivendo da quando ha iniziato il suo doloroso cammino sulla terra, e la cui edizione è stata vietata dal Potere.

No. Quello che abbiamo imparato è che là fuori, lontano o vicino, c’è gente che non conosciamo, che forse non ci conosce, che è compa. E lo è non perché ha partecipato ad una marcia di appoggio, ha visitato una comunità zapatista, porta un paliacate rosso al collo, o ha firmato un appello, una lettera di adesione, un carnet da membro, o come si chiami.

Lo è perché noi zapatiste, zapatisti, sappiamo che così come sono molti i mondi che abitano il mondo, molte sono le forme, i modi, i tempi e i luoghi per lottare contro la bestia, senza chiedere né aspettarsi niente in cambio.

Ti mandiamo un abbraccio, compa, dovunque tu sia. Sono sicuro che puoi risponderti alla domanda che uno, una, si fa quando comincia a camminare: “ne vale la pena?”.

Sappi che in una comunità o in un quartiere, un ufficio di computer zapatista si chiama “él”, così, con le minuscole. Sappi che, quando qualche persona invitata, entrando nell’ufficio e notando il cartello chiede chi sia questo “él”, noi rispondiamo: “non lo sappiamo, ma lui sì”.

Bene. Saluti e, sì, credo ne sia valsa la pena.

Da eccetera, eccetera.

Noi, zapatiste, zapatisti dell’ezetaelene punto com punto org punto net o punto come si chiami”.
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E tutto questo capita a proposito, perché forse avete capito che confidiamo molto sui media liberi e/o libertari, o come si chiamino, e sulle persone, gruppi, collettivi, organizzazioni che hanno i propri modi per comunicare. Persone, gruppi, collettivi, organizzazioni che hanno le proprie pagine elettroniche, i loro blog, o come si chiamino, che danno spazio alla nostra parola e, ora, alle musiche e alle immagini che l’accompagnano. E persone o gruppi che forse non hanno nemmeno un computer, ma anche conversando, o con un volantino, o un periodico murale, o tracciando un graffito o un quaderno o su un autobus, o in un’opera teatrale, un video, un compito scolastico, una canzone, una danza, un poema, una tela, un libro, una lettera, guardano le lettere che il nostro cuore collettivo disegna.

Se non ci appartenete, se non siete nostri organici, se non vi diamo ordini, se non vi comandiamo, se siete autonomi, indipendenti, liberi (vuol dire che vi comandante da sol@), o come si dica, allora, perché lo fate?

Forse perché pensate che l’informazione è un diritto di tutt@, e che ognuno ha la responsabilità di cosa fare o disfare di questa informazione. Forse perché siete solidali e sentite l’impegno di appoggiare in questo modo chi lotta, anche se con altri modi. Forse perché sentite il dovere di farlo.

O forse per tutto questo ed altro.

Voi lo sapete. E sicuramente l’avete scritto nella vostra pagina web, nel vostro blog, nella vostra dichiarazione di principio, nel vostro volantino, nella vostra canzone, sulla vostra parete, nel vostro quaderno, nel vostro cuore.

Cioè, parlo di chi comunica e con altri comunicano quello che sentono nel nostro cuore, ovvero, ascoltano. Di chi ci guarda e si guarda pensandoci e si fa ponte ed allora scopre che le parole che scrive, canta, ripete, trasforma, non sono degli zapatisti, delle zapatiste, che non lo sono mai state, che sono sue, e di tutti, e di nessuno, e che sono parte di uno spartito che chissà dov’è, ed allora scopre o conferma che quando ci guarda mentre l@ guardiamo, sta toccando e parlando di qualcosa di più grande per cui non c’è ancora definizione nel vocabolario, e che non appartiene ad un gruppo, collettivo, organizzazione, setta, religione, o come si chiami, ma comprende che la tappa per l’umanità ora si chiama “ribellione“.

Forse, prima di fare “click” e decidere di mettere nei vostri spazi la nostra parola vi domandate: “ne vale la pena?”. Forse vi domandate se non starete contribuendo a far stare marcos su una spiaggia europea a godersi il clima mite di quei calendari in quelle geografie. 

Forse vi domandate se non sarete al servizio di un’invenzione della “bestia” per ingannare e simulare la ribellione. Forse vi rispondete da sol@ che la risposta alla domanda “ne vale la pena?” devono darla le/gli zapatist@, e che facendo “click” sulla tastiera, sulla bomboletta spray, sulla matita, la chitarra, il cidi, la macchina fotografica, ci state impegnando a rispondere ““. Ed allora fate “click” su “upload” o “subir” o “caricare” o sull’accordo iniziale o sul primo passo-colore-verso, o come si chiami.

Forse non lo sapete, anche se credo sia evidente, ma ci fate un favore. E non lo dico perché la nostra pagina a volte “cade”, come se si lanciasse nel vuoto da un ponte e non ci fosse nessuna mano amica ad alleggerire la caduta che, se sul cemento, fà molto male qualunque sia il calendario e la geografia. Lo dico perché riguardo alla nostra parola ci sono molti che non sono d’accordo e lo manifestano; ce ne sono altrettanti che non sono d’accordo ma non si prendono il disturbo di dirlo; ci sono pochi che sono d’accordo e lo manifestano; ce ne sono di più di questi pochi che sono d’accordo e non lo dicono; e c’è una grande, immensa maggioranza che non ne sa niente. E’ a questi ultimi che vogliamo parlare, cioè, guardare, cioè, ascoltare.
-*-
Compas, grazie. Lo sappiamo. Ma siamo sicuri che, anche se non lo sapevamo, voi lo sapete. E, noi zapatist@ crediamo, si tratta esattamente di questo, di cambiare il mondo.

(continua…)

Da qualunque angolo in qualunque mondo.

SupMarcos

Pianeta Terra

Febbraio 2013

P.S.- Sì, forse nella lettera a lui, c’è una pista per la prossima password.

P.S. CHE CHIARISCE ANCHE SE SUPERFLUO. – Non abbiamo un account di twiterfacebook, né posta elettronica, né numero telefonico, né casella postale. Quelli che appaiono nella pagina elettronica sono della pagina, questi compagni ci appoggiano e ci mandano quello che ricevono, così come loro mandano quello che inviamo. Per il resto, siamo contrari al copyright, cosicché chiunque può avere il suo twiter, il suo facebook, o come si chiami, ed usare i nostri nomi, benché sia chiaro che non siamo noi né ci rappresentano. Ma, come mi hanno detto, la maggioranza di questi chiarisce che non sono chi si suppone sia. E la verità è che ci diverte immaginare la quantità di insulti e commenti che hanno ricevuto e riceveranno, originalmente diretti all’ezetaelene e/o a chi scrive ora.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!