sabato 1 giugno 2013

Turchia - Istanbul: continua la protesta in piazza Taksim

NEWS_139419.jpgContinuano per il secondo giorno le proteste nel cuore di Istanbul  contro la distruzione del parco Gezi, in piazza Taksim.
Di nuovo la polizia ha lanciato gas lacrimogeni nel tentativo di disperdere i numerosi manifestanti. La richiesta della piazza è che il premier Recep Tayyip Erdogan fermi la costruzione di un centro commerciale e di una nuova moschea.
Molte persone sono rimaste ferite negli  scontri e secondo l'agenzia Dogan 81 ci sono stati circa 80 fermati. Amnesty international ha denunciato le violenze fatte dalla polizia.
Di fronte alla protesta il premier turco, Recep Tayyip Erdogan ha affermato che ''la polizia è già intervenuta e continuerà a intervenire perché piazza Taksim non può essere un'area in cui gli estremisti fanno come gli pare''.
In piazza giovani, intellettuali, esponenti politici dell'opposizione. La protesta infatti racchiude molti dei motivi di critica sociale alle politiche del  governo islamico: dalle scelte economiche neoliberiste alle privatizzazioni, dai tentativi di chiudere spazi alle proposte contro le libertà personali.

Di seguito l'articolo apparso oggi in Nena News.

Turchia, a migliaia in strada contro la distruzione del parco Taksim

di Sara Datturi
Diecimila persone si sono ritrovate nel parco di Taksim che il governo vuole distruggere, per gridare "Yeterli", basta, al liberismo sfrenato e a una idea distorta di progresso

Indignazione: forte, contratta.. infinita. Di quelle che ti fanno stringere lo stomaco, serrare I denti e trattenere il fiato. Istanbul, una megacity che continua il suo slancio economico verso un profitto fittizio, offuscato, malato. Le conseguenze di questo neo liberalismo sfrenato si riversano su tutta la cittadinanza: orari di lavoro interminabili, spazi verdi riconvertiti in super centri commerciali, urban gentrification, ineguaglianza.

Lo slogan principale è arricchirsi, lavorare per comprare una nuova casa, nuovi vestiti, una macchina.. ma a quale prezzo?

Cultura, identità, storia, religione.. intrecciate e ritrasformate. Un parco, quello di Taksim, diventa il simbolo di un malcontento che da troppo tempo pizzica silenzioso ma presente i cuori accoglienti di queste donne e uomini Turchi. Un parco che un governo che si definisce democratico, aperto al progresso e "attento ai problemi sociali" vuole distruggere, ritrasformare, vendere.

Tre giorni fa quando le ruspe hanno cercato di distruggere i primi alberi ecco che i primi attivisti, donne, bambini, anziani sono accorsi per dire NO, per gridare BASTA a questo tipo di politiche orientate al profitto di pochi. Troppo silenzio e accettazione passiva.. ora YETERLI! (basta).

Troppi distretti di Istanbul sono e stanno cambiando, sono assediati dai nuovi progetti di trasformazione urbana promossi dal governo, che li ha giustificati utilizzando discorsi quali il rischio di terremoti, la riduzione del crimine e della sporcizia, in nome di un nuovo benessere. Alcuni distretti come quello di Tarbalasi (zone appena vicino il centro di Taksim), un quartiere Greco, armeno e ordotosso dove negli anni 70 ed 80 si sono traferiti Turchi provenienti dal Sud-est, e negli ultimi anni migranti africani sta vivendo questo dramma.

Quest'area è stata soggetta a scontri periodici da parte degli abitanti perché definita e scelta come area da rinnovare, ritrasformare, distruggere. Distruzione non solo degli edifici, ma allontanamento forzato di una comunità con una cultura e tradizioni forti, vive, colorate.. piene di vita e di memoria storica che si intrecciano e coesistono con i valori di un progresso finto in cui tanti di loro non si riconoscono.

Come Tarbalasi , esistono tante altre aree che stanno aspettando di essere cambiare, rinnovate, annullate in nome di grandi spazi residenziali con piscine e palazzoni da 12 piani. Uno spazio urbano che cambia, una società che chiede di partecipare, di essere interpellata in questo processo. Niente di tutto questo, questo governo così bravo nelle public relations da attirare investitori locali e stranieri non accetta deroghe, cambiamenti, comunicazione con i suoi abitanti. Il padre della patria ha deciso, e non si torna più indietro.

Punto e a capo. L'altro ieri questo ingranaggio distorto e malato si è inceppato, tanti granellini di sabbia l'hanno inceppato, hanno detto NO. Tanta gente di tutte le età si è ritrovata in questo parco con i sui pioppi settantenni per gridare, ballare, riprendersi lo spazio pubblico di una città che nel giro di dieci anni è diventata la vetrina di troppe multinazionali. Sogni, progetti, vita.. musica, striscioni, slogan.. occhi di giovani e di anziani che si legano indissolubilmente alla storia di una Turchia così complessa, nostalgica e forte.

La cultura del relax in questi giorni si è trasformata in resistenza. Una guerriglia urbana è in corso nella zona del parco di Taksim, nella piazza centrale e nella strada principale Istiklal. La polizia ha avuto ordini di reprimere, sopprimere, impastare e distruggere questo granello di sabbia. La reazione della polizia è folle, criminale, completamente disumana. Stanno utilizzando gas lacrimogeni come caramelle, getti di acqua grigia e manganelli per disperdere ed impaurire la gente, per violentare ogni germe di ribellione. Colpiscono tutti: anziani, turisti, attivisti, bambini.. ogni elemento che si trovano di fronte. Sono il frutto di un lavaggio del cervello sottile e strategico. Li guardo: hanno visi giovani, occhi spenti ma convinti... mi chiedo quale siano le loro storie, quali decisioni ed esperienze li abbiamo portati a combattere per distruggere, colpire al cuore la forza della "loro "gente. Forse non hanno avuto scelta. Un lavoro prima di tutto e poi il resto non conta. Ma è davvero così? Tante domande scorrono nella mia testa.. memorie di lotte passate in Italia, Europa e Palestina. Tanti granelli.. tanti castelli di sabbia che sono nati e lottano instancabili contro le onde di questo sistema contradditorio e luccicante, che promette di "avere" e dimentica la dimensione innata umana dell' "essere".

Il 30 maggio 2013, 10,000 persone si sono ritrovate nel parco di Taskim per gridare NO. La pentola a pressione è scoppiata. La repressione violenta della polizia di queste notti nei confronti degli attivisti rimasti nel parco ha riportato e riattivato la popolazione. Il risultato è stato la guerriglia urbana di oggi, diventata tale, dopo che la polizia ha attaccato con centinaia di gas lacrimogeni, manganelli e gettate di acqua grigia ogni abitante arrivato in piazza per dimostrare indignazione, il diritto a riprendersi la città, a chiedere in modo legittimo di ripensare e cambiare questo spazio urbano sociale.

Gli scontri sono ancora in atto al momento... ieri sera era prevista un'altra manifestazione alle 7. Il sistema si è inceppato, tanta gente che era rimasta nel dormiveglia, intrappolata in questo castello di vetro del progresso sta germogliando e ascoltando il suo lato umano.. l'individualismo è stato rinchiuso in nome di una solidarietà pronta a combattere, resistere per decidere come vuole e se vuole essere cambiata. Il granello è nato, è stato lanciato... Ancora una volta questa giungla umana sta riscrivendo la sua storia. E io ho deciso di esserne parte.


Tratto da: Nena News

Germania - Blockupy Frankfurt ferma il "cuore pulsante" della finanza europea

Come la coalizione dei movimenti ha imposto dal basso lo "sciopero" della Banca Centrale Europea

di Beppe Caccia
Non era mai accaduto che gli oltre millecinquecento dipendenti della Banca Centrale Europea “scioperassero”. E soprattutto che lo facessero nello stesso giorno gli impiegati delle sedi principali della Kommerzbank e della Deutsche Bank, paralizzando così le attività d’ufficio di tutto il distretto della finanza a Francoforte. E’ successo ieri. E questa inedita forma di “sciopero sociale” nelle fabbriche di carta delle maggiori istituzioni finanziarie d’Europa è stato l’effetto delle azioni di quasi tremila attivisti raccolti nella coalizione Blockupy Frankfurt.
Un risultato straordinario, cui reti militanti e organizzazioni in lotta contro le politiche di austerity e provenienti da diverse città tedesche, ma anche da Spagna, Belgio, Olanda, Danimarca, Francia e Italia hanno lavorato per un anno, e che si è concretizzato nelle prime ore del mattino di ieri.
Erano infatti le 5.30 quando in corteo non autorizzato i primi spezzoni del Blocco anticapitalista sono partiti dal campeggio autogestito di Rebstock e hanno percorso quattro chilometri  fino al centro cittadino, aggirando innumerevoli presidi di polizia, certo meno aggressiva dello scorso anno, ma onnipresente in gran numero.
Giunti alle sette sotto la Eurotower, il grattacielo sede della BCE, si sono disposti in sei differenti blocchi ad altrettanti incroci, strategici per l’accesso agli uffici. Qui l’immagine della Banca Centrale, cioè di uno dei tre vertici della Troika al comando della presente governance e dei processi di integrazione europea, era quella di un fortino assediato. Prima ancora che dai contestatori, la torre era circondata da un perimetro di transenne antisfondamento e da un robusto schieramento di poliziotti in tenuta antisommossa, arrivati da tutta la Germania.
E mentre alcune banche avevano già prudentemente concesso ai propri dipendenti un giorno di ferie supplementare, per gli sparuti impiegati di Mr. Draghi che si affacciavano nei dintorni della Neue Mainzer strasse non c’era niente da fare. Fermamente, ma cortesemente, venivano invitati a tornarsene a casa.
Inevitabile il nervosismo delle forze di polizia, nonostante numerose mobilitazioni e l’attivazione dell’opinione pubblica avessero garantito, negli ultimi mesi, la formale conquista del diritto a manifestare tutelato dalla Grundgesetz tedesca. C’è stato il provocatorio tentativo di fermare alcuni attivisti, isolandoli e strappandoli ai blocchi, così come quando i manifestanti, soprattutto dei Centri sociali italiani, si sono avvicinati agli sbarramenti premendo con forza su di essi, sono partite piccole cariche condite dall’irrorazione di micidiale spray al peperoncino. Cui, ironicamente, ha fatto da controcanto uno slogan di nuovo conio: “aglio, olio e peperoncino, contro l’austerity e per il reddito”.
Ma, nel complesso, è stata la determinazione dei partecipanti ai blocchi, sotto una pioggia battente, ad avere la meglio e a paralizzare per un giorno nei fatti - altro che “protesta simbolica” - il cuore pulsante della grande finanza europea, trasformando la “Gotham City dell’Euro” in una ghost town popolata di grattacieli vuoti, lampeggianti blu e migliaia di attivisti che sciamavano in cortei liberi e selvaggi.
Conclusa così verso mezzogiorno quella che era stata definita la “prima onda” della protesta, i blocchi si sono sciolti, riarticolati e ricomposti in tre diverse iniziative, con l’obiettivo di indicare e colpire alcuni “attori” della gestione capitalistica della crisi, che si è tradotta per usare le parole di Karin Zennig - una delle portavoce di Blockupy - in “un gigantesco processo di ristrutturazione dei rapporti di forza tra le classi, che ha ridistribuito in termini sempre più ineguali e polarizzati la ricchezza socialmente prodotta.”
Cinquecento attivisti hanno per ciò circondato in Willy-Brandt-platz la sede della Deutsche Bank, evidenziandone le responsabilità nell’attivo supporto ai processi di privatizzazione di servizi pubblici e beni comuni in Europa, alle speculazioni legate al land grabbing in Africa e, dappertutto, alla produzione e al traffico d’armi. Un combattivo presidio che si è concluso con l’incendio di un gigantesco carro armato di cartapesta, simbolo degli affari bellici della Germania nei cinque continenti.
Contemporaneamente diverse centinaia di manifestanti raggiungevano lo Zeil, la via pedonalizzata dedicata allo shopping nel centro antico di Francoforte, affollata per gli acquisti del venerdì pomeriggio: qui nel mirino erano invece i grandi centri commerciali e i più famosi marchi multinazionali dell’abbigliamento. Gli uni impegnati nel tentativo di cancellare le organizzazioni sindacali e di precarizzare sistematicamente il lavoro al proprio interno. Gli altri colpevoli di sfruttare manodopera a basso costo nel Sud del mondo. E così, in simultanea, un primo gruppo picchettava gli ingressi della catena Karlstad imponendo lo sciopero, un secondo inscenava un sit it davanti alle vetrine del grande mall “My Zeil”, un altro ancora, guidato dagli italiani della Coalizione per Blockupy, chiudeva dopo un corpo a corpo con la polizia il maxi store di Benetton: “non dimentichiamo – spiegava al megafono Luca Tornatore – i millecento operai assassinati in Bangladesh per un euro al giorno di salario e da qui avvertiamo la multinazionale di Treviso che la nostra campagna di boicottaggio diventa internazionale.”
Intanto un migliaio di attivisti, divisi in tre gruppi, riusciva a raggiungere l’Aeroporto Intercontinentale, uno dei più trafficati hub d’Europa, ma anche uno dei principali scali d’imbarco per il respingimento di richiedenti asilo e migranti. “Chiudere l’aeroporto delle deportazioni” si poteva leggere sullo striscione posto alla testa di un corteo interno che ha attraversato il Terminal 1. La polizia però si scatenava con i manifestanti rimasti all’esterno, con qualche carica rabbiosa e fermi isolati.
Una giornata intensissima, in cui “il cuore finanziario d’Europa non ha pulsato”, conclusa da incontri e assemblee nella sede del sindacato DGB e dagli ultimi preparativi per una manifestazione conclusiva che si annuncia per oggi assai partecipata.

tratto dal Manifesto

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!