Due morti in due giorni: con questa assurda impennata, si allunga la lista delle vittime dell’utilizzo spropositato della forza da parte della Polizia in Turchia.
di Serena Tarabini
Pestaggi, blindati lanciati a tutta velocità in mezzo alla folla, lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo, pallottole di gomma, pallottole vere, sono ordinaria amministrazione. Quando ci scappa il morto o il ferito grave, i responsabili il più delle volte non vengono individuati e peggio, arriva puntuale il primo ministro ad ammazzare le persone la seconda volta difendendo incondizionatamente in ogni occasione l’operato della polizia. In Turchia è sempre esistito un problema di modalità gestione dell’ordine pubblico, un problema grave, che da Gezi Park in poi si è reso semplicemente più visibile, perché si sono intensificate le occasioni di protesta e perché lo sguardo del mondo è arrivato finalmente a posarsi anche sulla Turchia.
Per esempio, se una maggiore comprensione ed apertura da parte dei cittadini turchi verso la questione kurda è stato uno dei frutti delle rivolte del giugno scorso, è perché in tanti e diversi hanno assaporato il trattamento militare che da sempre è stato riservato alla minoranze in questo paese. Come gli Aleviti. Gli Aleviti turchi praticano la religione islamica con modalità più aperte ed eterodosse: non hanno moschee, le donne assistono alle cerimonie religiose assieme agli uomini, i fedeli non seguono l’obbligo delle 5 preghiere; potrebbero essere considerati rappresentati di un Islam “ progressista” e di ispirazione socialista; ovviamente non sono visti di buon occhio, o quantomeno con diffidenza, dalle correnti più conservatrici.