Un gruppo di militanti del partito verde ecologista del Chiapas ha pensato bene di indossare i passamontagna degli zapatisti per compiere provocazioni armate e sabotare la protesta dei maestr@s (in Messico i “verdi” sono nella coalizione che ha fatto eleggere il presidente federale Enrique Pena Nieto e hanno ottenuto un governatore molto corrotto, proprio in Chiapas). I provocatori sono stati scoperti e pubblicamente smascherati. La squallida vicenda ha però fornito all’Ezln l’occasione per chiarire la relazione di assoluto rispetto dell’autonomia di una lotta dura e difficile che gli zapatisti sostengono guardandosi bene dalla tentazione di poterla condizionare o “dirigere” indicando, magari, il giusto cammino rivoluzionario. Raúl Zibechi ricorda quanto un comportamento del genere, ispirato da una rigorosa critica dell’avanguardismo e all'affermazione dell’etica e della dignità dei popoli, sia stato raro nella cultura anticapitalista del nostro tempo.
.di Raúl Zibechi
Una delle prime tecniche che abbiamo imparato nella militanza è stata come “dirigere” le assemblee. Come manipolarle, in realtà. In piena adolescenza, noi studenti eravamo già in grado di imporre quello che consideravamo adatto per “la causa” senza che ci importasse troppo se gli altri lo condividevano. Eravamo l’avanguardia, punto.
Una delle principali correnti politiche di quel periodo aveva un modo di agire nelle assemblee che consisteva nel far parlare i propri quadri per ore e ore, fino a quando i presenti si stancavano e iniziavano ad andarsene. Ponevano i propri militanti alle porte delle sale per convincere i loro a non andarsene ancora e quando erano sicuri di essere in maggioranza, chiedevano il voto. E vincevano quasi sempre. Quelli che cercavano di tagliare discorsi tanto lunghi, erano accusati di violare la libertà di espressione.