Non accenna a normalizzarsi la
situazione politica in Turchia dopo gli arresti di Selahattin Demirtas e
Figen Yüksekdag, i leader del partito filo-curdo Hdp, terza forza del
parlamento e principale oppositore dell’Akp del Presidente Erdogan. I
parlamentari dell’Hdp hanno annunciato che boicotteranno i lavori
dell’aula, non presentandosi alle votazioni né nelle commissioni di cui
fanno parte. La magistratura e i partiti di maggioranza continuano ad
accusare Demirtas e i suoi di fiancheggiare il PKK, considerato
un’organizzazione terroristica da Ankara, ma anche dagli Usa e
dall’Unione Europea. «L’Hdp non ha relazioni con la guerriglia. È un
partito che si è costituito secondo la legge e la Costituzione turca»
replica in questa intervista Zagros Hiwa, portavoce del PKK.
di Andrea Milluzzi
Qual è la reazione del PKK di fronte agli arresti e alle indagini contro militanti, giornalisti e politici curdi?
Fanno parte di una guerra a tutto campo iniziata da Erdogan contro i
curdi e tutte le forze democratiche del Paese. Il principale scopo di
Erdogan è rompere il movimento politico e risolvere la questione curda
intimidendo la popolazione per forzarla a emigrare. Vuole cambiare la
mappa demografica del Kurdistan del Nord (che corrisponde a buona parte
dell’Anatolia e della Turchia sudorientale, ndr) e indebolire i curdi
nel Kurdistan del Sud (la Regione autonoma nel Nord Iraq, ndr) e nel
Rojava (i tre cantoni curdi nella Siria nordorientale, ndr). Erdogan sta
usando l’Isis per attaccare i curdi in Turchia – con gli attentati
suicidi a Diyarbakir, Ankara e altre città – e in Siria, dove i
jihadisti hanno assaltato Kobane, Qamishli e Afrin. Ma Erdogan non è
riuscito a raggiungere i suoi obiettivi attraverso l’Isis. Ecco perché
ha deciso di intervenire direttamente. Gli arresti nel Bakur (il
Kurdistan del Nord, ossia la regione curda della Turchia di cui sopra,
ndr) fanno parte di questo piano. Ma noi reagiremo a questi attacchi
battendoci per un’unità nazionale e democratica fra i curdi,
impegnandoci a creare un blocco democratico più ampio fra le popolazioni
della regione, unendo le nostre forze a quelle democratiche e
rivoluzionarie che già ci sono in Turchia e difendendo la libertà dei
curdi e di tutte le persone in Medio Oriente secondo il principio della
legittima difesa contro gli attacchi militari.
L’Hdp è l’unica opposizione parlamentare all’Akp di Erdogan. Cosa succederebbe se venisse messo fuori legge?
Praticamente l’Hdp è già fuorilegge, perché gli vengono negati molti
dei suoi diritti legali e costituzionali. I comuni dove l’Hdp ha vinto
le elezioni sono stati occupati dalla polizia e assegnati a persone di
fiducia dell’Akp. Ai parlamentari è stata strappata l’immunità e negato
l’accesso ai media nazionali e i loro media sono stati oscurati. Cosa
significa tutto questo? È un golpe contro sei milioni di persone.
Chiudere tutte le possibilità di dialogo e negare il diritto di parola
porterà sempre più violenza. È un regola che vale in tutto il mondo e il
Kurdistan ne fa parte. Non è un’eccezione.
Erdogan accusa Demirtas e l’Hdp di supportare l’attività del PKK. Quali sono i rapporti fra voi?
Non ci sono relazioni fra noi. Finora non sono stati capaci di
portare nemmeno una prova di quanto dicono. Accusare di questo l’Hdp è
solo un modo per metterlo ancora di più sotto pressione. Il crimine di
cui i curdi sono colpevoli è quello di esistere. Secondo la visione
nazionalista di Erdogan tutte le persone in Turchia devono essere turche
o assimilare la “turchità”. Adesso che i curdi insistono sul diritto
all’esistenza per loro e gli altri gruppi etnici e religiosi e che sono
risuciti addirittura a entrare in parlamento, Erdogan ha scelto una
versione aggiornata di quello che fecero i fasciti turchi agli armeni
all’inizio del ventesimo secolo. Quello che Erdogan vuole è applicare
sui curdi una versione moderna del genocidio armeno, mascherandolo come
lotta al terrore. Come forse ricorderete, il genocidio armeno cominciò
con l’arresto degli intellettuali e dei leader armeni a Istanbul, Izmir e
altre città.
Il governo turco vi ritiene responsabili dell’autobomba a Dyarbakyr esplosa dopo l’arresto di Demirtas.
Finora noi abbiamo rivendicato tutte le nostre azioni. Il PKK non ha
mai voluto colpire i civili e ha fatto autocritica ogni qual volta
abbiamo provocato involontariamente danni ai civili. Non abbiamo alcuna
responsabilità per quest’ultimo attacco. Ci sono indagini contraddittore
che accusano l’Isis o il Tak (gruppo nazionalista curdo operante in
Turchia, ndr), ma la Turchia ha l’abitudine di accusare il PKK per
qualunque attentato dell’Isis. Si spende molto per assolverlo e
difenderlo.
Qual è la situazione nelle città curde della Turchia attaccate dall’esercito?
Molte sono sotto coprifuoco. I cittadini non possono tornare nelle
loro case. A dirla tutta, non hanno più case a cui far ritorno. Larghe
zone delle città sono state rase al suolo e ai loro abitanti non è
permesso nemmeno di vivere nelle tende che hanno piantato fuori le città
distrutte, perché sono state bruciate o sono diventate obiettivo dei
cecchini. Questa è la situazione di città come Sirnak e Nusaybin.
Erdogan vuole sostituire la popolazione locale con i cosiddetti profughi
arabi dalla Siria, che altro non sono che i familiari di membri
dell’Isis. L’obiettivo è creare un paradiso sicuro per l’Isis in
Turchia.
Erdogan ha detto che la montagna del Sinjar sta diventando come quella
del Qandil per la folta presenza di guerriglieri PKK. Cosa state facendo
nel Nord Iraq?
Il PKK è arrivato sulle montagne del Sinjar quando gli yazidi
stavano subendo un genocidio e avrebbero potuto morire di fame in
qualsiasi momento. È riuscito a metterli al sicuro quando tutto il mondo
stava semplicemente osservando quella brutta situazione senza fare
nulla. Abbiamo aiutato gli yazidi a creare le loro forze di auto difesa e
resteremo con loro finché non saranno più minacciati.
L’esercito turco è entrato in Rojava
per combattere le milizie curdo-siriane dellp Ypg e del Ypj in quanto
«amici del PKK». Qual è l’attività del PKK in Siria?
Il PKK non ha attività in Rojava, ma supportiamo la lotta di quella
gente contro l’Isis. È vero che possiamo condividere l’ideologia di
alcune forze del Rojava ma non ci sono rapporti organizzati fra noi.